sabato 21 maggio 2022
A Sud del Sud - l'Italia vista da sotto (492)
Giuseppe Leuzzi
Nella storia di
Falcone è evidente
Cronache dell’altro mondo – (dis)informative (185)
Il ministero dell’Interno, ribattezzato
della Sicurezza Interna (Homeland Security) dopo l’11 settembre, ha chiuso il Disinformation Governing Board, un organismo per la
disinformazione, creato un mese fa. Era affidato a una donna, Nina Jankowicz, consulente
del ministro ucraino degli Esteri, già collaboratrice di StopFake, l’organismo ideato
dal governo Obama nel marzo del 2014 per contrastare la “disinformazione”.
Il Board era stato ribattezzato il Ministero della Verità, come
nel romanzo di Orwell, “1984”.
L’Homeland Security ha giustificato la chiusura con l’incapacità
del Board di relazionarsi al Congresso, che doveva avallare organismo e dirigenti.
Secondo il mensile “libertariano” (cioè di destra) “Reason” il Board è stato
vittima del “curriculum sbagliato” di Jankowicz.
Jankowicz, trentenne, scrittrice, famosa su twitter per la parodia
di Mary Poppins, è autrice di due libri, “How to lose the Information War”, sulla
disinformacia russa, e il recentissimo “How to be a Woman Online”, un
manuale contro le molestie online. Il curriculum sarebbe “sbagliato” in quanto aveva
dichiarato inattendibili e probabilmente manomesse le telefonate (trovate su un
computer abbandonato), di Hunter Biden, il figlio del presidente, con un “oligarca”
ucraino per un affare in cui si doveva spendere il nome del padre, allora vice-presidente,
telefonate che ora il “New York Times” e il “Washington Post” accreditano vere.
Stati Uniti superpotenza energetica
Dietro la guerra non dichiarata a protezione dell’Ucraina, gli Stati Uniti ne
combattono una per la supremazia nel mercato mondiale dell’energia. Non da ora.
Da tempo gli Stati Uniti hanno colmato il “buco” nell’autosufficienza energetica
che aveva portato cinquant’anni fa – con l’entrata degli Stati Uniti quali
grandi importatori nel mercato internazionale - alla prima crisi petrolifera,
1973. E all’avvio di una crescita abnorme dei costi di ricerca e produzione di
idrocarburi in nuove aree: a grandi profondità, in mare, di olii pesanti (da
scisti bituminosi).
Gli Stati Uniti sono oggi il maggior produttore mondiale sia di petrolio
che di gas naturale. Nel 2020 hanno prodotto 713 milioni di tonnellate di
petrolio, il 17,1 per cento della produzione mondiale, e 949 miliardi di metri
cubi di gas naturale, il 23,5 per cento del totale mondiale. Seconda la Russia,
con 524 milioni di tonnellate (12,6 per cento del totale mondiale), e 722
miliardi di mc (18 per cento). Ma con una posizione defilata sul mercato
internazionale, esportando solo 77 miliardi di mc, il 7,6 per cento del totale
del gas esportato. Prima la Russia, con 230 miliardi di mc, il 22,6 per cento.
Ma anche sul gas gli Stati Uniti puntano a un ruolo preminente nel mercato
internazionale: sono tra i primi e più attivi candidati a sostituire le
forniture russe all’Europa, dopo le sanzioni, seppure nella forma più costosa e
complessa del gas naturale liquefatto, per i quali è difficile localizzare gli
impianti di rigassificazione, per problemi di sicurezza e di protezione
ambientale.
La Russia è com’era, imperiale e ignota
“Andavo in Russia per cercarvi argomenti
contro il governo rappresentativo: ne ritorno partigiano delle costituzioni”. Un
ultra, vittima della rivoluzione, ghigliottinato il nonno, comandante
militare emerito della rivoluzione stessa, e il padre, quando il figlio aveva
quattro mesi, ritorna dalla Russia vaccinato: “Questa disciplina da caserma
sostituita all’ordine della città, lo stato d’assedio divenuto lo stato normale
della società” gli rivelano la democrazia – novello Candido, il marchese viveva
nella democrazia e non lo sapeva. Riprese dopo l’invasione dell’Ucraina, queste
lettere, che all’uscita del volume si prestavano a una lettura in chiave di
guerra fredda, della Russia impero del male,
http://www.antiit.com/2015/11/che-fare-della-russia.html
presentano altri aspetti invece
interessanti. Non foss’altro perché non c’è altra opera che provi ad entrare
nel mondo russo, urbano e dello sterminato territorio, se non queste lettere immaginarie
di una viaggiatore molto dilettante e improvvisato, digiuno di politica e di scienza
politica, anche se le “Lettere”, di successo fulmineo e europeo, sono state messe
al pari con Tocqueville, “La democrazia in America”: un viaggiatore frettoloso,
che non prepara i viaggi se non con conoscenze occasionali (nel caso, ai bagni
di Kissingen, un Turgenev zio del futuro scrittore, e il diplomatico prussiano
Varnhagen von Ense, marito della celebrata Rahel, che intratteneva a Berlino il
più celebre salotto letterario, già amica personale di Custine, e sua consigliera
spirituale per corrispondenza per un lungo tratto), e le loro commendatizie, non
s’informa, non legge di storia, non impara la lingua, fa soggiorni brevi e
bruschi. Con lacune gravi, nel caso della Russia: niente storia, niente cultura
– di Puškin o Lermontov nemmeno il nome. Niente slavofilia né panslavismo,
niente fede religiosa, misticismo, devozione fanatica.
Ma c’è abbastanza. Nella sintesi che ne
fa il curatore, Pierre Nora, che l’opera recuperò negli anni 1970, in chiave
antisovietica: “l’oppressione mascherata da amore dell’ordine”, “il segreto che
presiede a tutto”, un “fanatismo d’obbedienza”, la fiducia nel padrone (c’era ancora
la servitù della gleba), la menzogna generalizzata “perché dire la verità sarebbe
sconvolgere lo Stato”, la manipolazione permanente della storia, la spionite
permanete e la mistificazione, l’ipersensibilità allo sguardo esterno - “il
regime non resisterebbe vent’anni alla libera comunicazione con l’Occidente”
(il Turgenev informatore del marchese de Custine era un diplomatico russo
incaricato dallo zar Nicola I di ricercare negli archivi europei i documenti
relativi alla Russia, in particolare quelli che si potevano rivelare
compromettenti). E “un’ambizione sfrenata e immensa”, “legge
sovrana di questa nazione, essenzialmente conquistatrice”. Di un imperialismo
“che non può germinare che nell’animo degli oppressi e nutrirsi che della
disgrazia di una nazione intera, la quale, avida a forza di privazioni, espia d’anticipo
in sé, con una sottomissione avvilente, la speranza di esercitare la tirannia
in casa d’altri”.
Troppo, ma nel verso giusto. La Russia è
condannata a ripetere cicli sempre eguali? Violenti, perdenti, e tuttavia
sempre ripresi. Oggi nel nome dell’orgoglio nazionale. Che si poteva camuffare
da attacco preventivo contro una minaccia Nato. Oppure da misura coercitiva per
l’applicazione degli accordi di Minsk. E invece no: solo la forza conta, non il
diritto. La rivoluzione di Ottobre rimette in moti i vecchi automatismi
autoritari. La nuova Russia di Putin, democratica, globalista e tutto, si
strugge di non potersi creare un altro impero, per di più etnico, di russi
etnici sparsi per l’Europa.
Resta vera l’analisi-giudizio di Héléne
Carrère d’Encausse, massima russista, oggi al vertice dell’Académie Française, che
quest’opera “testimonia il difficile incontro tra la Russia tesa verso l’Europa
e l’Europa, che non seppe mai come trattare e comprendere la Russia”. E non ha
imparato nei quasi due secoli che sono passati dal 1839. È il problema più
generale degli slavi in Europa, da Trieste a Vladivostock, di un mondo forse
superiore numericamente, se non per dominio della storia europea, al resto dell’Europa,
sassone e latino, unificato dal diritto romano. Una omissione (trascuratezza,
finzione) non più possibile nel caso della Russia sterminata, territorialmente
e come risorse naturali, partner indispensabile della cosiddetta “transizione”
ecologica, se si intende sul serio e non come politica commerciale.
Astolphe
de Custine, Lettere dalla Russia, Adelphi, pp. 363 € 20
venerdì 20 maggio 2022
Cronache dell’altro mondo – bellicose (184)
Le sanzioni contro Cuba, imposte nel 1960, sono tuttora in vigore.
Le sanzioni contro l’Iran, imposte dopo l’occupazione a Teheran nel novembre
1979 dell’ambasciata americana, sono tuttora in vigore.
Sono invece ristabilite le relazioni con Grenada, non sanzionata ma invasa nell’ottobre
del 1983 per prevenire la possibile alleanza della ex isola delle spezie nei Caraibi con Cuba – invasione condannata
all’epoca da Gran Bretagna, Canada e Trinidad e Tobago, oltre che dall’Onu (ma in
Assemblea).
L’invasione
dell’Iraq nel 2003 è invece definita “ingiustificata e brutale” dall’ex
presidente George W. Bush, che l’ha voluta, in un discorso alla Metodist
Society. A proposito dell’invasione dell’Ucraina, l’ex presidente ha ammonito
contro il deficit di democrazia in troppi paesi in questi termini: “Il
risultato è un’assenza di checks and balances in Russia, e la decisione
di un solo uomo di lanciare un’invasione del tutto ingiustificata e brutale dell’Iraq”.
Correggendosi subito dopo: “Intendo dell’Ucraina”. E poi, sottovoce: “Anche
dell’Iraq, comunque”.
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La benzina torna a correre
Non si arresta il rincaro dei prodotti petroliferi, malgrado le quotazioni
del greggio ristagnino, con tendenza al calo, da qualche settimana. Non si arresta
negli Stati e si rifletterà in Europa.
Senza le accise, le addizionali e i balzelli vari dell’Italia, la benzina
costa negli Stati Uniti più che in Italia, dove è la più cara in Europa, In
tutti gli Stati americani ha superato i quattro dollari a gallone (un gallone americano
è 3,8 litri). Nella media nazionale il costo era di quattro dollari e mezzo mercoledì.
In California, stato di Washington, Oregon, Nevada, Alaska e Hawaii era di
oltre 5 dollari - in California di oltre 6 dollari. E naturalmente era superiore
lungo le autostrade: il prezzo medio rilevato era di 5,61 dollari, in aumento
di 2,36 dollari rispetto a un anno prima. La previsione è che il prezzo medio salirà ad agosto a sei dollari a gallone.
Il rincaro, avverte giustamente il ministro Cingolani, si è manifestato prima
della guerra russa all’Ucraina. È partito negli Stati Uniti, e non si arresta, per
capacità insufficiente di raffinazione (molti impianti sono chiusi per ragioni
ecologiche o lavorano al minimo), di trasporto, e anche, in parte minima, per
il blocco delle importazioni dalla Russia (l’8 per cento delle importazioni di
greggio e derivati, che contano per il 37 per cento dei consumi totali). E per
un’offerta totale tendenzialmente in contrazione, per effetto di investimenti
insufficienti nella ricerca e produzione: una tendenza in atto da alcuni anni,
in vista della transizione ecologica, e per i costi elevati di ricerca e
produzione negli Stati Uniti, sempre per effetto della protezione ambientale.
I ridotti investimenti sono comuni anche alle altre aree di produzione petrolifera
nel mondo.
La riduzione degli investimenti va anche in parallelo con la crescita della
domanda dei grandi mercati asiatici, di Cina, India.
Ecobusiness
Plastica ovunque, anche nel sangue. Per la prima volta la
microbiologia rileva quello che tutti sapevamo da decenni – ma la chimica era inattaccabile
(era l’industria del futuro ancora pochi decenni fa).
“Le aziende automobilistiche stanno passando all’elettrico, ma
ancora devono acquistare certificati verdi da Tesla, che investe il ricavato in
bitcoin, finendo con l’inquinare molto di più”, Guido Maria Brera a Cazzullo su
“7”: “Per creare i bitcoin si emettono enormi quantità di CO2”.
“Allarme peste suina, nove milioni di capi a rischio”, in Piemonte,
Liguria, Lazio: “La peste suina, che colpisce i cinghiali, si trasmette ai maiali”.
Tutto per aver voluto riempire i parchi, chissà perché, di cinghiali. Nemici
dei contadini, e ora anche della gente in città – almeno a Roma, di cui
affollano alcune strade.
Quanta potenza elettrica sarà necessaria per alimentare la circolazione
di 40 milioni di automobili tra otto anni, o tra ventotto, e cinque milioni di
camion? E sette milioni di moto? Quanti milioni ci vorranno di pale eoliche?
Anche in Cina, dove circolano 300 milioni di automobili, un numero
incalcolabile di motocicli?
Un attore al comando in Ucraina
Un ritratto non simpatico del presidente ucraino,
alla vigilia dell’invasione russa. Di una giornalista, direttrice, animatrice,
del “Kiev Independent”, magazine online in lingua inglese, oggi consultatissimo,
alla quale “Time” ha dedicato la copertina. Oggi pentita ma non del tutto: “Criticherei
ancora Zelensky, anche se in modo diverso”.
Il
ritratto di Zelensky è stato commissionato dal “New Yorker” quando l’invasione
russa si prospettava. E la stessa Rudenko parte dalla minaccia russa: “La Russia,
per la verità, sta facendo guerra nell’Ucraina orientale dal 2014. Ora la
minaccia è totale: ben 190 mila soldati russi sono ammassati ai confine dell’Ucraina
e in regioni separatiste, e un’invasione, con devastazioni e disastri, può
arrivare in ogni momento”. Ma la minaccia non migliora il ritratto: nei tre
anni di presidenza, Zelensky ha vissuto i problemi come se fosse a teatro, e la
ealtà, che lo smaschera, “lo ha rivelato essere scoraggiantemente mediocre”.
Dopo
l’elezione a grande maggioranza nel 2019 era partito bene: ha aperto il mercato
agricolo, ha ampliato i servizi digitali, e ha “avviato un enorme programma di
costruzioni stradali”. Poi più niente. Oligarchi sempre al commando, malgrado
la promessa “deoligarchizzazione” al centro della sua campagna elettorale. La
corruzione moltiplicata. “Cerchi magici” di persone per lo più incompetenti. E l’insofferenza a ogni critica. “Se un’elezione
si tenesse oggi, raccoglierebbe attorno al 25 per cento del voto” – un “sessantadue
per cento degli ucraini non ne vorrebbe la ricandidatura”.
La
minaccia di guerra non ne ha migliorato l’immagine. Nell’insieme, ha provato a
ridimensionare la minaccia. Ma nella confusione. “Mentre l’Occidente accendeva i
megafoni per scoraggiare l’invasione”, Zelensky predicava la calma. Ancora a
gennaio, “un paternalistico Zelensky
prendeva in giro gli ucraini per la loro tendenza al panico e ridicolizzava la possibile invasione”. Della
minaccia russa naturalmente non ha colpa, concludeva Rudenko, “ma la
performance del presidente – eccessiva, imbarazzante, spesso inadeguata – non aiuta”.
Olga Rudenko, The Comedian-Turned-President
is Seriously in Over His Head, “The New York Times” free online (con traduzione
inclusa)
giovedì 19 maggio 2022
Ombre - 616
“La pace in 4 tappe. Sul tavolo dell’Onu il piano del governo italiano”. Non si sarebbe mai pensato, l’Italia che risolve la guerra. Non avendo letto “La rana e il bue”, la vecchia favola? Tutto tra Di Maio e Guterres. Cioè, tra chi e chi?
3.752 i civili morti in Ucraina dall’inizio del conflitto,
secondo l’Onu. Che sono molti ma non tanti, per tre mesi di bombardamenti.
L’Ucraina non è così distrutta come vediamo in tv? Non sono molti di più dei
civili uccisi a Belgrado nei due mesi di bombardamenti Nato nel 1999 - al netto
delle leucemie provocate dai proiettili a uranio impoverito. Sono molti di più
i civili morti in Iraq per i bombardamenti e l’invasione della coalizione occidentale
nel 2003: 100 mila (“The Lancet”) nei primi diciotto mesi.
“Simeone saltò fuori dalla doccia perché il Perugia
aveva segnato”, così Luca Marchegiani ricorda lo scudetto della Lazio nel 2000:
“Restò così, insaponato e fradicio per tutto il loro secondo tempo, per non
spostare la condizione astrale e non irritare la scaramanzia”. O non Collina,
l’arbitro del Milan?
La premier finlandese Marlin cerca a palazzo Chigi
l’avallo alla domanda di adesione alla Nato, e una buona parola con Erdogan. Di
Draghi che da detto Erdogan un dittatore?
“300 miliardi per liberarsi del gas russo”: Così
poco, solo trecento miliardi? E pronti, sull’unghia, in questo caso Bruxelles
non bada a spese? Vuole “pannelli solari su tuti i tetti entro il 2029”… Ma possono
ridere i cosiddetti produttori di “energie alternative”: per loro la guerra è
come il terremoto per Piscitelli, il costruttore che si fregava le mani per la
distruzione dell’Aquila.
Si può fare notizia di un affare non concluso, ma
nemmeno avviato? Sì, lo fa il “Financial Times”, bibbia delle Borse, che
annuncia solenne il fallimento di una trattativa Unicredit-Commerzbank per una
fusione mai avviata.
Il curioso è che le Borse non hanno creduto al “Ft”
e hanno premiato Unicredit. O sì, gli hanno creduto e sono felici che Unicredit non
si sobbarchi Commerzbank, pericolante da almeno un quarto di secolo (da quando
Unicredit si attrezzò quale gruppo trans-border),
proponendosi a Generali, Mediobanca, Intesa e, dieci anni fa, alla stesa
Hypovereinsbanok del gruppo Unicredit, la seconda banca tedesca dopo Deutsche -
nonché, ultimamente, alla stessa Deutsche Bank.
C’è più antipatico di Johnson, un fascistone, che
ora privilegia l’immigrazione a Londra solo di “giovani di talento”? Con
superlaurea da superuniversità. Da non credere, il difensore della libertà,
guida del mondo libero.
“Moro non credeva al compromesso storico”: dopo
Ettore Bernabei, anche Adriano Ossicini lo sapeva – così riporta Marco Follini
nel suo memoir. L’uomo del santino con “l’Unità”
in tasca - omaggio al partito che lo ha voluto morto?
Paolo Bertolucci, dell’Italia che vinceva la coppa
Davis, ora tra i protagonisti della serie tv “Una squadra”, lancia la serie consigliando
su “la Repubblica” il Massetto, il vino. Costo 2.000 euro, a bottiglia, bordolese, da tre quarti – c’è
anche un’annata a 1.280 euro, a bottiglia, bordolese.
Ha bloccato il ricambio nel suo partito quando era
giudizialmente proscritto dalla politica, e ora fa di tutto per suicidarlo, imponendosi
quale Grande Capo a 85 o 86 anni, in salute precaria, e come sempre a caccia di
“fidanzate”. Berlusconi viene accreditato di chiaroveggenza, oltre che di fiuto
per gli affari, ma sembra solo quello che i suoi (ex) socialisti e (ex) democristiani
hanno sempre sostenuto: ha occupato uno spazio vuoto. E questo è tutto dire dell’Italia
post-Di Pietro.
Ci sarà nella storia, nei manuali di storia,
un’Italia post-Di Pietro. Pensare: proprio niente, dell’Italia resterà il nome.
L’Italia del giudice che ha restituito un “prestito” di cento milioni di lire
da uno dei suoi carcerati in biglietti da diecimila, in una scatola da scarpe.
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Si dice in città
L’ingiusta giustizia
Un tranquillo fotografo è stato condannato a
trent’anni per l’omicidio della moglie, di cui non è colpevole. In carcere
studia e si laurea in legge. Dopodiché viene fatto liberare da uno studio legale
importante, col quale poi collaborerà. In una serie di indagini sbagliate e da
lui risolte, una per ognuno dei sei episodi della serie, di carcerazioni e
condanne sbagliate. Nonché per la sua vicenda personale, l’assassinio della moglie
rimasto impunito, in realtà non indagato. Nella solitudine dell’ex carcerato, gravata
nel caso dalla perdita dell’affetto della figlia. In assenza degli intrighi - e delle stupidaggini - delle Procure.
Una serie programmata in vista dei referendum
sulla giustizia (anche gli avvocati, però, qui non sono angeli). Confortata da un 20 per
cento di pubblico, ma di una serata evidentemente morta, poco più di tre
milioni e mezzo di spettatori. Perché i referendum sono segnati, avendone il Pd
e i 5 Stelle chiesto il boicottaggio - la coscienza opportunista della nazione:
usare i referendum per farsi amici i giudici. La giustizia è al sommo dei
timori e malumori italiani nei sondaggi, ma di fatto tutti “trovano la loro
strada” – si accomodano.
Maurizio Zaccaro, Giustizia per tutti,
Canale 5
mercoledì 18 maggio 2022
Il mondo com'è (445)
astolfo
Compiègne – S’intende per
“armistizio di Compiègne” quello firmato l’11 novembre 1918 tra l’impero
tedesco e l’Intesa che poneva fine alla rima guerra mondiale. Ma un secondo vi
fu celebrato, nello stesso luogo, i boschi vicino Compiègne, in Piccardia. Il
22 giugno 1940, tra la Germania di Hitler e la Francia sconfitta di Vichy – la
Francia veniva divisa in due parti, Alsazia-Lorena e la parte settentrionale
con la costa atlantica restavano sotto occupazione militare tedesca, (con
Alsazia e Lorena di fatto riannesse alla Germania), la parte centro-meridionale
formalmente indipendente, sotto il governo di Vichy – di fatto in larga parte
sotto occupazione italiana. I tedeschi imposero alle controparti francesi di
firmare la resa nello stesso bosco, e nello stesso vagone, che erano stati la
sede del primo armistizio di Compiègne. Il vagone era la carrozza salotto del
maresciallo francese Foch, il vincitore del 1918, etichettato come 2419D. Il
vagone fu rintracciato in un museo e trasportato nel bosco presso Compiègne.
Eni-Russia – Con l’abbandono
di tutte le attività in Russia (salvo continuare le importazioni di gas, in
attesa di nuove fonti di importazione), l’Eni chiude tre quarti di secolo di
una collaborazione, commerciale e industriale, che è stata probabilmente la sua
più proficua. Avviata ne 1955, in piena guerra fredda, unica azienda
occidentale interessata a riaprire i contatti con Mosca. La decisione nel 1955
di Enrico Mattei, il fondatore e presidente del gruppo, di cercare in Russia il
petrolio greggio di cui non disponeva, superando il boicottaggio dei grandi
gruppi petroliferi occidentali, anglo-americani, da lui definiti le “sette
sorelle”, fu di grande momento storico. Mattei ne aveva avuto l’idea dopo la
visita a Mosca di Adenauer, il cancelliere tedesco, che non aveva suscitato
reazioni. Invece la sua iniziativa commerciale suscitò una reazione molto
esplicita e dura del governo americano, con una campagna martellante mirata a screditare
Mattei e il suo gruppo - che alimenterà per decenni la “storia nera” dell’Eni.
In Italia gestita con disinvoltura dall’ambasciatrice Clare Boothe Luce, giornalista,
maritata al suo editore, deputata repubblicana al Congresso, sostenitrice di Eisenhower
alle presidenziali del 1952, cattolica. Con la collaborazione di numerosi giornalisti
di nome, tra essi Indro Montanelli.
Mattei non
desistette, e col sostegno del segretario Dc Fanfani e del presidente della Repubblica
Gronchi, che nel 1960 sarà il primo capo di stato di un paese del blocco
occidentale a recarsi a Mosca nel dopoguerra, subito dopo nello stesso anno
firmava il primo grande contratto di forniture petrolifere con il governo
sovietico. Il contratto dell’Eni, di grande valenza storica, fu seguito da
altri importanti accordi industriali di gruppi italiani nell’Urss, di Pirelli,
Fiat, Montecatini, Snia Viscosa, Olivetti, Chatillon.
Mattei agiva nel quadro di una
strategia mirante e fare dell’Italia l’hub energetico dell’Europa centrale. Con
due sistemi di condotte che, da Trieste e da Genova, avrebbero rifornito di
petrolio greggio e di prodotti petroliferi la Svizzera, l’Austria e la Germania,
dove costruì o progettava di costruire impianti di raffinazione, a Stoccarda e
in Svizzera a Aigle. Da Trieste a Ingolstadt l’oleodotto lo
realizzò, e nella città bavarese costruì anche la raffineria. Una soluzione
semplice, che però vide gli Stati Uniti prontamente all’opera per contrastare
Mattei e l’Eni anche in Germania. Il messaggio veicolato era: “Il petrolio russo in Baviera e in Svizzera per la porta di
servizio delle Alpi”. Il petrolio russo inteso come “il nemico” - senza sapere
che la riesportazione verso paesi terzi era interdetta, i sovietici non davano
a Mattei la possibilità di fargli la concorrenza col loro stesso petrolio.
Dieci anni più
tardi l’accordo petrolifero veniva doppiato da uno per il gas – anch’esso il primo
in Europa. Il successore di Mattei, Cefis, avviò i contatti nel 1967, quando
Mosca varò un programma di messa in produzione del bacino di Tjumen in Siberia:
Cefis propose di farsi grande compratore di gas, in cambio di forniture di
servizi e materiali di ricerca e produzione. Il negoziato fu duramente opposto
da Repubblica ceca e Ucraina, secondo le quali il gas veniva venduto all’Italia,
col sistema delle forniture in cambio di beni e servizi, a un costo inferiore a
quello che Mosca applicava a loro. E dal governo italiano dell’onorevole Moro,
personalmente non in buoni rapporti con Cefis e l’Eni, ritenuto feudo
fanfaniano, e più ancora dai socialisti, col ministro del Commercio Estero Tolloy.
L’accordo, pronto nel 1968, fu bloccato dalla crisi cecoslovacca, culminata con
l’invasione. Fu concluso nel 1969, col primo governo Rumor - Vittorino Colombo,
Sinistra Dc, al Commercio Estero. Per la fornitura di sei miliardi di mc l’anno
di gas naturale, da inoltrare mediante una condotta attraverso l’attuale
Slovacchia e l’Austria (Tag, Trans Austria Gasleitung), da realizzare in cinque
anni, col contributo dell’industria italiana. Ci lavoreranno Saipem, Snam
Progetti e Nuovo Pignone del gruppo Eni, e l’Italsider-Iri per la fornitura
delle tubazioni della condotta, tubi speciali, d’acciaio molto temperato e di
grande diametro - l’accordo per la fornitura delle tubazioni Italsider verrà
celebrato ogni anno con un ricevimento all’ambasciata russa a villa Abamelek a
Roma.
Già prima del
completamento della condotta Tag, tra Eni e Mosca si progettava una rete
europea del gas. A partire dal 1996 le forniture di gas sono raddoppiate – e in
seguito ulteriormente amentate – per la messa in produzione del nuovo immenso bacino
di gas naturale di Urengoy, anch’esso in Siberia. Al cui sviluppo il gruppo
italiano aveva partecipato, insieme con Italsider, fornendo stazioni di
compressione per il sistema di trasporti da Urengoy all’Ovest, tubazioni,
montaggi – oltre all’ammodernamento delle condotte esistenti.
Due anni dopo, in una
Russia ormai a economia di mercato, investiva in Russia nell’upstream e
nel downstream, nella ricerca e
produzione di idrocarburi, e nella venduta. Dal 2007 con l’acquisizione,
insieme con Enel, di tre gruppi attivi nella ricerca e produzione di gas, Arctic
Gas, Urengoil, e Neftegaztechnologia, attive nella regione di YamalNenets, l’area
maggiore produttrice di gas naturale al mondo. A fine 1999 aveva avviato, in
joint-venture paritaria con Gazprom, la costruzione del Blue Stream, un
gasdotto dai giacimenti siberiani alla Turchia.
I due accordi sono stati l’apice, senza
grandi sviluppi, del ruolo dell’Eni quale partner privilegiato di Gazprom, il
monopolista russo del gas, nell’area europea – una sorta di proiezione del
progetto di Mattei, di fare dell’Italia l’hub degli approvvigionamenti
energetici del centro Europa. Già negli anni di Eltsin, gli anni 1990, e di più
poi con Putin, la Germania si era già imposta a Mosca quale partner
privilegiato, e hub di Gazprom nella Unione Europea, col doppio
cancellierato del socialdemocratico Schröder, 1998-2005 – che poi diverrà, e
resta tuttora malgrado la guerra e le sanzioni, consulente locupletato della
stessa Gazprom.
Libri penitenziali
–
Erano liste di peccati con relative penitenze, a uso dei confessori, in uso per
alcuni secoli, fini al Concilio Lateranense del 1213 – quello che dispose la
“confessione obbligatoria”, almeno una volta l’anno. In uso a partire dal VI
secolo, quando sarebbero stati ideati da monaci “insulari”, irlandesi e
inglesi, distinti come “penitenziali del gruppo celtico” e “penitenziali del
gruppo anglosassone”.
I primi
ricalcavano i penitenziali in uso nei monasteri. Come forma di regolamentazione
della vita claustrale. Proposti alla società, recepivano il concetto germanico
del Wergeld, del riscatto cioè del delitto, comunque della colpa,
attraverso un pagamento – da cui le indulgenze, che porteranno poi, invece,
allo scisma di Lutero.
Le penitenze,
oltre che progressive in ragione della natura e gravità dei peccati, erano
commisurate anche alle condizioni di vita dei penitenti – più pesanti per i più
ricchi. Esprimendosi in donazioni, giornate di lavoro, cessione di beni o
servizi, le penitenze pratiche, oppure nell’esclusione dalla chiesa,
dall’edificio, o dalle cariche pubbliche, nell’abbigliamento penitenziale:
erano pene pubbliche, anche se la confessione era ora auricolare, non più
pubblica.
Sionismo cristiano
–
Calcolati tra il 25 e il 35 per cento della popolazione americana, grosso modo
100 milioni di persone, gli evangelici sono comunque la comunità religiosa più
influente politicamente negli Stati Uniti. Politicamente omogenea. All’80 per
cento, quattro su cinque, hanno votato nel 2016 e nel 2020 per Trump. A Trump
hanno in pratica imposto il vice, Mike Spence. Mentre in Brasile si
mobilitavano per Jair Bolsonaro, loro recente adepto – sia Pence che Bolsonaro
erano cattolici.
Le
chiese evangeliche avrebbero avuto anche un ruolo determinante nella decisione
di Trump di riconoscere Gerusalemme come la capitale d’Israele, e
successivamente per influenzare in senso filo-israeliano il governo saudita del
principe Mohammed bin Salman, uomo forte del regime, e l’intesa con Israele. Gli ebrei americani in larga parte non condividevano
l’iniziativa di Trump, il movimento evangelico invece, che l’aveva proposta, la
propagandò anche in Medio Oriente. anche presso i sauditi.
astolfo@antiit.eu
Mattei agiva nel quadro di una strategia mirante e fare dell’Italia l’hub energetico dell’Europa centrale. Con due sistemi di condotte che, da Trieste e da Genova, avrebbero rifornito di petrolio greggio e di prodotti petroliferi la Svizzera, l’Austria e la Germania, dove costruì o progettava di costruire impianti di raffinazione, a Stoccarda e in Svizzera a Aigle. Da Trieste a Ingolstadt l’oleodotto lo realizzò, e nella città bavarese costruì anche la raffineria. Una soluzione semplice, che però vide gli Stati Uniti prontamente all’opera per contrastare Mattei e l’Eni anche in Germania. Il messaggio veicolato era: “Il petrolio russo in Baviera e in Svizzera per la porta di servizio delle Alpi”. Il petrolio russo inteso come “il nemico” - senza sapere che la riesportazione verso paesi terzi era interdetta, i sovietici non davano a Mattei la possibilità di fargli la concorrenza col loro stesso petrolio.
Dieci anni più tardi l’accordo petrolifero veniva doppiato da uno per il gas – anch’esso il primo in Europa. Il successore di Mattei, Cefis, avviò i contatti nel 1967, quando Mosca varò un programma di messa in produzione del bacino di Tjumen in Siberia: Cefis propose di farsi grande compratore di gas, in cambio di forniture di servizi e materiali di ricerca e produzione. Il negoziato fu duramente opposto da Repubblica ceca e Ucraina, secondo le quali il gas veniva venduto all’Italia, col sistema delle forniture in cambio di beni e servizi, a un costo inferiore a quello che Mosca applicava a loro. E dal governo italiano dell’onorevole Moro, personalmente non in buoni rapporti con Cefis e l’Eni, ritenuto feudo fanfaniano, e più ancora dai socialisti, col ministro del Commercio Estero Tolloy. L’accordo, pronto nel 1968, fu bloccato dalla crisi cecoslovacca, culminata con l’invasione. Fu concluso nel 1969, col primo governo Rumor - Vittorino Colombo, Sinistra Dc, al Commercio Estero. Per la fornitura di sei miliardi di mc l’anno di gas naturale, da inoltrare mediante una condotta attraverso l’attuale Slovacchia e l’Austria (Tag, Trans Austria Gasleitung), da realizzare in cinque anni, col contributo dell’industria italiana. Ci lavoreranno Saipem, Snam Progetti e Nuovo Pignone del gruppo Eni, e l’Italsider-Iri per la fornitura delle tubazioni della condotta, tubi speciali, d’acciaio molto temperato e di grande diametro - l’accordo per la fornitura delle tubazioni Italsider verrà celebrato ogni anno con un ricevimento all’ambasciata russa a villa Abamelek a Roma.
Già prima del completamento della condotta Tag, tra Eni e Mosca si progettava una rete europea del gas. A partire dal 1996 le forniture di gas sono raddoppiate – e in seguito ulteriormente amentate – per la messa in produzione del nuovo immenso bacino di gas naturale di Urengoy, anch’esso in Siberia. Al cui sviluppo il gruppo italiano aveva partecipato, insieme con Italsider, fornendo stazioni di compressione per il sistema di trasporti da Urengoy all’Ovest, tubazioni, montaggi – oltre all’ammodernamento delle condotte esistenti.
Due anni dopo, in una Russia ormai a economia di mercato, investiva in Russia nell’upstream e nel downstream, nella ricerca e produzione di idrocarburi, e nella venduta. Dal 2007 con l’acquisizione, insieme con Enel, di tre gruppi attivi nella ricerca e produzione di gas, Arctic Gas, Urengoil, e Neftegaztechnologia, attive nella regione di YamalNenets, l’area maggiore produttrice di gas naturale al mondo. A fine 1999 aveva avviato, in joint-venture paritaria con Gazprom, la costruzione del Blue Stream, un gasdotto dai giacimenti siberiani alla Turchia.
I due accordi sono stati l’apice, senza grandi sviluppi, del ruolo dell’Eni quale partner privilegiato di Gazprom, il monopolista russo del gas, nell’area europea – una sorta di proiezione del progetto di Mattei, di fare dell’Italia l’hub degli approvvigionamenti energetici del centro Europa. Già negli anni di Eltsin, gli anni 1990, e di più poi con Putin, la Germania si era già imposta a Mosca quale partner privilegiato, e hub di Gazprom nella Unione Europea, col doppio cancellierato del socialdemocratico Schröder, 1998-2005 – che poi diverrà, e resta tuttora malgrado la guerra e le sanzioni, consulente locupletato della stessa Gazprom.
Libri penitenziali – Erano liste di peccati con relative penitenze, a uso dei confessori, in uso per alcuni secoli, fini al Concilio Lateranense del 1213 – quello che dispose la “confessione obbligatoria”, almeno una volta l’anno. In uso a partire dal VI secolo, quando sarebbero stati ideati da monaci “insulari”, irlandesi e inglesi, distinti come “penitenziali del gruppo celtico” e “penitenziali del gruppo anglosassone”.
Le penitenze, oltre che progressive in ragione della natura e gravità dei peccati, erano commisurate anche alle condizioni di vita dei penitenti – più pesanti per i più ricchi. Esprimendosi in donazioni, giornate di lavoro, cessione di beni o servizi, le penitenze pratiche, oppure nell’esclusione dalla chiesa, dall’edificio, o dalle cariche pubbliche, nell’abbigliamento penitenziale: erano pene pubbliche, anche se la confessione era ora auricolare, non più pubblica.
Le chiese evangeliche avrebbero avuto anche un ruolo determinante nella decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come la capitale d’Israele, e successivamente per influenzare in senso filo-israeliano il governo saudita del principe Mohammed bin Salman, uomo forte del regime, e l’intesa con Israele. Gli ebrei americani in larga parte non condividevano l’iniziativa di Trump, il movimento evangelico invece, che l’aveva proposta, la propagandò anche in Medio Oriente. anche presso i sauditi.
astolfo@antiit.eu
Pasolini corsaro all’adunata di Goebbels
“Pasolini aveva sofferto e patito il fascismo al
suo parossismo in maniera definitiva e irreversibile”, affermava Moravia in una
difesa dell’ultimo film di Pasolini, “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (“Il
censore si veste da corvo”, “L’Espresso”, 23 novembre 1975). No, al tempo del
fascismo era fascista come tutti, e non a disagio. Partecipava ai “Littoriali”
cultura, e li vinceva. Non andò in montagna dopo l’8 settembre, non si pose nemmeno
il problema, nella pur copiosa corrispondenza e le numerose testimonianze di
coetanei, amici, conoscenti. Benché il fratello minore Guido invece fosse convinto
partigiano - e prima di morire assassinato a tradimento dai comunisti titini, era stato rapito e bastonato al paese dai fascisti: la violenza si praticava, a Casarsa e Versuta. Lui no, malgrado tutto visse l’occupazione tedesca spensierato, occupato in attività
letterarie, senza mai un’ombra. Questo è il resoconto, pubblicato
In guerra fu fondatore del “Setaccio”, la
rivista della Gil bolognese, gioventù italiana del littorio, e collaboratore di
“Architrave”, il mensile della Guf, gioventù universitaria fascista, della federazione
bolognese. Questo è il resoconto di un’adunata dei giovani europei a Weimar, a
luglio del 1942. Pasolini, 20 anni, ne torma estasiato, e il 12 agosto ha già prodotto
un resoconto entusiasta. Con una captatio benevolentiae di questo
tenore, benché tra parentesi: “(A
scusare la forse troppo porosa e fiduciosa ingenuità di questo discorso, dirò che è stato,
più che scritto, gridato, mentre, appena tornato da Weimar a Firenze,
non mi ero ancora del tutto
sciolto da quell'aria eccezionale e memorabile, in cui, nel sentirmi maggiormente europeo, mi
sentivo maggiormente, e quasi disperatamente, italiano.)”.
Sotto una citazione da Leopardi: “
Sotto una citazione da Leopardi: “... le illusioni quando sono nel loro
punto fanno
un popolo veramente civile (“Zibaldone”, 1106)”.
Sotto la testatina: “Pagine corsare”…..
Due mesi dopo – Goebbels
organizzava a Weimar convegni culturali in serie – fu tenuto nella capitale di Goethe
l’adunata degli scrittori europei, alla quale parteciparono Vittorini, Giaime
Pintor e Falqui. Mentre Alvaro, Montale, Pastonchi, Bacchelli, Tecchi e altri
si defilarono, si poteva.
Pier Paolo Pasolini, Cultura italiana e
cultura europea a Weimar, “Architrave” 31 agosto 1942, free online
martedì 17 maggio 2022
Problemi di base bellicosi 7 - 687
spock
La poesia comincia con la guerra, perché?
È la guerra poesia,
è la poesia guerra?
Perché i poeti
nel tempo della guerra?
Perché la pace richiamerebbe la guerra?
“Si può uccidere anche senza fare nulla”, Elizabeth Anscombe?
spock@antiit.eu
La Cina è vicina, ma impaziente
Non c’è un’alternativa cinese per la Russia, e nemmeno per Putin.
La guerra prolungata va contro gli interessi e le strategie cinesi - il “Global
Times” lo spiega ogni giorno, il giornale del Pcus in inglese.
Al presidente Xi l’attacco all’Ucraina ha fatto comodo – contro
l’aggressivismo di Biden nell’Indo-Pacifico: il patto Aukus, Usa-Gran
Bretagna-Australia, col riarmo da parte americana, l’attivismo militare del
Giappone e della Corea del Sud, il build-up della questione Taiwan, sempre
da parte dell’amministrazione Biden. Ma la guerra prolungata non va bene.
La guerra ha messo in stallo l’Europa, e quindi la relazione
privilegiata che Xi ha costruito nei due -tre anni precedenti la pandemia. Presso
vari paesi, compresa l’Italia, e con l’Unione Europea. Una iniziativa coronata dal
super accordo per gli investimenti di fine 2020. Ha messo in stallo soprattutto
i paesi dell’Est Europa, con cui Pechino aveva stabilito legami speciali.
La guerra contribuisce quasi quanto l’insorgenza di covid al
rallentamento dell’economia cinese. Che si trova in un momento delicato negli
assetti finanziari, privati e pubblici. E necessita di un rilancio dell’attività
produttiva, non sopporta altre contrazioni.
Cronache dell’altro mondo – di odii (186)
“Un tempo sorprendenti e degni di nota, gli assassinii di massa si
sono fusi sullo sfondo della vita negli Usa”, scrive lo storico afro-americano
di Princeton Keeanga Yamahtta Taylor a commento dell’ultimo eccidio. Notando
che quest’anno, fino a ora, in meno cioè di cinque mesi, ci sono statue circa
duecento sparatorie di questo tipo – o così registrati.
L’ultimo eccidio sabato è stato opera di un diciottenne che a
Buffalo, nl quartiere prevalentemente afro-americano di Masten, ha ucciso dieci
persone e ferito tredici in un alimentari. Dopo aver postato un “manifesto”
razzista di 180 pagine.
C’è carenza di latte in polvere per neonati negli Stati Uniti. Che
però, per ingiunzione di un tribunale tre anni fa, il governo federale deve
fornire ai bambini degli immigrati illegali detenuti alla frontiera con il Messico.
Biden à ora per questo accusato di privilegiare gli immigrati illegali rispetto
alle famiglie americane.
Biden in caduta libera
L’attivismo nella guerra contro la Russia ha risollevato gli
indici di popolarità di Biden, ma in un contesto sempre negativo. L’ultimo sondaggio,
Nbc News, condotto da Public Opinion Strategies e Hart Research Associates (società
di sondaggi del partito Democratico), dà tre americani su quattro scontenti. La
stessa percentuale che fu rilevata nella “Grande Depressione” del 2008. Solo il
16 per cento ritiene che il paese si muova nella giusta direzione, il 75 per
cento dice che va nella direzione sbagliata.
Il tasso di approvazione della presidenza Biden è sceso al 39 per
cento, con un 56 per cento di scontenti. Con percentuali minori sui temi economici
– solo sula conduzione della guerra alla Russia Biden ottiene l’approvazione di
un 41 per cento, e la disapprovazione di una percentuale inferiore alla metà,
il 48 per cento. La gestione dell’economia vede un 33 per cento a favore e il
62 per cento contro. In particolare, solo il 23 per cento ritiene che il governo
stia affrontando il problema inflazione, il 71 per cento lo boccia.
Il senso della morte per Mozart
“La biografia di Mozart è segnata da due miti
estremi, il primo quello del bambino prodigio, il secondo quello del ‘Requiem’”.
Che non interessavano Mozart – “a entrambi il compositore non sembra partecipare”:
invenzioni commerciali, familiari. Quello del “Requiem” inventato dalla vedova
Constanze, per racimolare qualche soldo, e fu una trovata infine fortunata, nella
trascuratezza, per no dire la miseria, che aveva avvolto Mozart alla fine (funerale
solitario, sepoltura in una fossa comune), incontrando il gusto romantico. Ma
la morte viaggia con Mozart.
Un tema ricorrente è sbalzato in rilievo, che si
penserebbe poco mozartiano, posto che Mozart sia il tipo del felicione simpatico.
“Quando Mozart ci parla della morte”, e ce ne parla spesso, “lo fa sempre in
maniera imprevedibile, ma nello stesso tempo estremamente diretta”. In Singspiel
e non nelle opere, “preferendo chiarmarl0a in tedesco, «Tod», piuttosto che in
italiano… monosillabo cupo e in sé compiuto, come un punto nero finale”.
Una “scoperta” che si trascura, o si dà per scotata
– si canta, all’opera o nel popolare Singspiel, di tutto, della morte
compresa. Ma in Mozart è diverso. È della “morte liberatrice” l’aria “più
virtuosistica” del “Ratto del serraglio”. “La morte che salva e restituisce
pace” è anche di Pamina nel “Flauto magico”, a fronte del mutismo di Tamino e
Papageno – dunque anche nelle opere, ma in quelle in tedesco: la morte non c’è
nelle opere italiane (o meglio c’è, “Don Giovanni” etc,, ma non si canta, o invoca).
Un saggio breve (è il programma di sala per il
concerto di Santa Cecilia la settimana scorsa, “Mozart, non solo Requiem”), ma
ricostituente. Dà anche la ragione dell’apparente insensibilità alla morte della
madre a Parigi – altro periodo di stenti: è al contrario un eccesso di amorevolezza,
per il padre lontano.
Carla Moreni, Mozart, l’idea di un Requiem, Accademia
Nazionale di Santa Cecilia, pp. 57 € 5
lunedì 16 maggio 2022
Problemi di base ambientali - 696
spock
Il pianeta si
salva con lo spreco?
Il pianeta si
salva con l’economia del monouso, del ricambio continuo?
Macchine
più grandi, più materiali, più vernici, più scarichi, per il comodo di chi?
Più
mobilità più libertà?
Raddoppiare
le centrali elettriche per alimentare il parco auto?
L’etica dei principi (Max Weber) è fare
quello che si vuole?
“Non esiste vittima innocente”, Sartre?
spock@antiit.eu
Ritrovarsi e rinascere
Sulla giostra s’intende dei sentimenti, non
detti. L’anziana ama de casa, qui detta governante, abbandonata all’improvviso
perché la casa viene venduta, e la figlia della padrona di casa, mandata da
Roma a sloggiare la governante, si ritrovano come erano sempre state,
familiari, confidenti. Tra litigi e dispetti in armonia naturale. La vendita va
avanti – gli affari sono un altro mondo, parallelo – ma un’altra vita ricomincia, per entrambe.
Un racconto realistico, di fronte al mare di
Santa Maria di Leuca, fra le stradine di Castrignano del Capo di cui Santa
Maria è frazione, che si svolge come una favola. Garbata: tensioni e asprezze si
assorbono nell’ordinario. Nel linguaggio, che spesso è muto. Per antica
familiarità, per pratica linguistica, dialettale, locale. Con
la patina del nostos, del ritorno nostalgico: Cecere, sceneggiatrice di decine di film di tutt’altra
ambientazione, è dei luoghi.
Giorgia Cecere, Sulla giostra, Sky Cinema
domenica 15 maggio 2022
Letture - 490
letterautore
Cibocultura – Tutto è food
e la cultura non si può sottrarre. L’ex ministro del Tesoro Tremonti spiega il
suo celebre detto “con la cultura non si mangia”. Cioè spiega che non l’ha mai
detto, ma che volentieri si corregge: “Con la cultura troppi mangiano”.
Femminismo
–
“Nessuna delle pensatrici su cui ho lavorato è stata femminista, tranne Edith
Stein (che però si fece monaca, n.d.r.): Quanto ad Arendt, Weil, Zambrano
criticarono il femminismo emancipazionista del loro tempo”, Laura Boella, studiosa
del “pensiero femminile”.
Dario Fo – “Abominevole” per Pasolini, 1973, in un’intervista con Corrado
Augias per “L’Espresso”. Non la persona, il teatro di Fo, che all’epoca faceva
mezzo milione di spettatori a stagione ma era all’indice del Pci. “Abominevole, il
suo gauchismo è il più atroce che ci sia: terroristico, ricattatorio,
moralistico e puritano”.
Pasolini si diceva contro Fo anche per lo spettacolo
su Pinelli: “Mi vengono i brividi solo a pensarci” - salvo fare lui, con
Lotta Continua, poco dopo un docufilm su piazza Fontana.
Horcynus Orca – L’roca assassina
era in Russia un sommergibile atomico. Anna Politkovskaja, la giornalista russa
assassinata, racconta in “La Russia di Putin” una sua visita alla base navale
russa di Rybac’e, in Kamchatka. Portata a vedere un sommergibile atomico trova
“a prua, bianco su nero, un disegno di forte impatto: le fauci spalancate di
un’orca con tanti denti quanti un’orca vera non si è mai sognata di avere”. E dopo
la prima sorpresa spiega: “L’orca non è un caso, in origine il sommergibile si
chiamava kasatka, orca assassina”.
Inghilterra – È pantofolaia –
ordinata, tranquilla. Si direbbe sassone, cioè celtica, cioè stanziale e
terricola. È la netta e perdurante impressione che ne ha Svevo, là dove
ricorda, nel “Profilo autobiografico”, che “dal 1902 in poi fino al 1912”
soggiornò per lavoro “annualmente per qualche mese in un sobborgo di Londra” (Silvio
Benco nel necrologio specifica: “Fu tutti gli anni per sei mesi in Inghilterra,
dove si dedicava nell’arsenale di Portsmouth alla «pittura sottomarina» della
flotta britannica”): “In complesso gli parve che nel paese delle grandi
avventure l’avventura fosse più che altrove respinta”. Ognuno stava tranquillo
al proprio posto, nella propria “classe”, “poco incline a ribellioni o avventure”.
Ne deriva che la grandezza
dell’Inghilterra era in questa misura ordinata: “E credette di scoprire che la
forza di un paese fosse dovuta piuttosto a tali elementi e che anzi le
intraprese di un Lord Clive, o di un Rhodes o di un Nelson non potessero
produrre tanta ricchezza se l’avventura non fosse nella nazione un fatto
eccezionale, un innesto che nobiliti il vecchio tronco di un’attività giornaliera,
tranquilla, regolata”.
Italia – “Tutto il mondo ama l’Italia
perché è vecchia ma ancora glamorous. Perché mangia e beve bene ma è
raramente grassa”, era l’attacco dell’elogio una quindicina d’anni fa del “New
York Times all’Italia. Era giù un anno, il 2007, in cui “gli ultimi numeri
mostrano una nazione più vecchia e più povera – al punto che il capo dei vescovi
ha proposto un forte impegno per i pacchi alimentari ai poveri”.
Nuove maternità – Utero in
affitto, gestazione per altri, maternità surrogata, gravidanza solidale: è la
ultimissima terminologia della maternità che “Scienza in rete” cataloga, 5
maggio
Opera – “È da checche spasimare per
l’opera”, dice Pasolini nella biografia di Siciliano.
Lui era solo per Bach – che pure ambiva al
canto. Ma subì con piacere la fascinazione di Maria Callas, personaggio
melodrammatico anche nella vita – “una giovinetta assetata d’incruenti stragi”.
E quando, smaltito il lustro della relazione, se ne libera, alla concettosissima
interminabile poesia d’addio dà un titolo verdiano, “Timor di me?” - dal
“Trovatore”, atto IV, “Timor di me? D’amor sull’ali rosee”. Di un’aria che “Maria
Callas”, scrive Siciliano, “sapeva cantare con voce mirabile” – oltre che “con
viva sensibilità femminea”.
Proust – Di sintassi “germanica”. Lo nota
Svevo, nel tardo autoelogio (“Un profilo
autobiografico di Italo Svevo”), a proposito di chi lo accostava a Proust: “La
frase ch’è tutto propria del Proust, con i suoi luminosi incisi e le sue sapienti
complicazioni che ricordano una sintassi germanica, non trovano alcuna
corrispondenza nella frase breve e brusca e disadorna dello Svevo”.
Svevo – Crebbe con “i maggiori classici
tedeschi e in primo luogo amò i romanzi di Friedrich Richter (Jean Paul) che
certamente ebbero una grande influenza nella formazione del suo gusto” – “Un profilo
autobiografico di Italo Svevo”.
Lo stesso “grande dono di apprendere l’arte
di ridere della vita” Svevo attribuisce nella nota anche all’amico triestino e pittore
Veruda (lo scultore Balli di “Senilità”).
Uno dei suoi primi (1927), entusiasti,
apprezzati critici, Marcel Thiébaut, della “Revue de Paris”, poneva Svevo
“nella tradizione dei romanzieri del XVIIImo secolo, lucido, secco”. Questo a
proposito di “Senilità”. Per “La coscienza di Zeno”, Benjamin Crémieux, critico
ancora più autorevole, racconta Svevo nella stessa nota autobiografica, “lo
metteva accanto a Charlot, perché veramente Zeno inciampa nelle cose”.
Fu autore “francese”, scoperto cioè in Francia,
da Valéry Larbaud e Benjamin Crémieux – su indicazione di Joyce. Che gli dedicarono
un numero speciale del “Navire d’argent”, la rivista di Adrienne Monnier, la
libraia titolare anche di Shakespeare and Company, l’editrice dell’“Ulisse”, febbraio
del 1926. Ma Crémieux già da un paio panni proponeva elogiativamente Svevo, su
suggerimento, spiegava, di Joyce e Valéry Larbaud. Nel 1925, in più riprese,
Svevo era lo scrittore più proposto da Montale – cioè da un italiano fuori della
cerchia triestina.
letterautore@antiit.eu
Svevo raccontato da Svevo
Che cos’ha Svevo in comune con Proust? Nulla.
Che cos’ha Zeno in comune con Bloom, il protagonista di Joyce? Questo Svevo
non lo dice ma lo sottintende: sì, Freud, ma allora è Joyce che ha preso l’abbrivo
da Svevo, che sapeva di Freud e di tedesco, mentre Joyce non sapeva il tedesco
e ridicolizzava Freud - ammesso che ne sapesse qualcosa. La questo, la “gloria”,
viene a 64 anni, dopo venti pagine di rifiuti e disattenzione.
Le venti pagine sono l’autobiografia che l’editore
Morreale, che aveva ripubblicato “Senilità”, e poi “La coscienza di Zeno”,
infine con successo, richiese a Svevo nel 1928 per le riedizioni. Svevo la
commissionò a un giornalista suo amico, Giulio Cèsari, e poi la riscrisse.
Molto, e in dettaglio, è della vita di Ettore
Schmitz, ragazzo educato in Germania, che presto dovete guadagnarsi da vivere,
alla sede triestina della Banca Union di Vienna. Lettore ammirato di Francesco
De Sanctis e di Carducci – che gli ritardò la “scoperta” di Manzoni.
Lettore-sperimentatore di Jean Paul da ragazzo, e poi di Flaubert, Daudet, Zola.
Collaboratore assiduo, da bancario, de “L’Indipendente”, glorioso quotidiano
socialista di Trieste, con cronache da “vice”, di libri e mostre, e con qualche
racconto. Nel 1893, a 32 ani, il primo romanzo. “Una vita”, e il primo
fallimento. Che però Svevo ora di successo introduce così: “‘Una vita’, che il
Crémieux considera il parallelo italiano della ‘Educazione sentimentale’ del
Flaubert…”. A cui fa seguire l’apprezzamento di Montale, 1925. Lo stesso avverrà
sei anni dopo con “Senilità”: Svevo ora di successo minimizza gli insuccessi. E
questo è già un dato notevole.
Subentra un periodo di silenzio. Svevo riflette
sulla lingua, trovandosi impacciato a esprimersi in italiano – a “manzoneggiare”,
si direbbe: “Non si può raccontare efficacemente che in una lingua viva, e la
sua lingua viva non poteva essere altro che la loquela triestina”. L’impeto artistico Svevo
intanto traspone nella musica, entrando come secondo violino in un quartetto “di
buoni musicisti”. Deve andare a Londra se mesi l’anno per lavoro e impara l’inglese,
a lezione privata da Joyce. Scopre e apprezza Freud. Durante la guerra ne
traduce anche “l’opera sul sogno”. È Joyce a riaccendere la fiamma della
scrittura: “Ebbe subito un grande affetto per ‘Senilità’. Di cui ancora oggidì
sa qualche pagina a memoria” – “‘Una vita’ gli piacque meno”. E con la pace
ritorna la voglia: “Nel diciannove s’era messo a scrivere ‘La coscienza di Zeno’.
Fu un attimo di forte travolgente ispirazione. Non c’era possibilità di
salvarsi. Bisognava fare quel romanzo”.
Il resto è noto. Cioè no. “La coscienza di Zeno”
fu pubblicato nel 1922. Meno che a Trieste trovò un’incomprensione assoluta ed
un silenzio glaciale”. Svevo lo manda a Ettore Janni del “Corriere della sera”
con una lettera, “il Janni non rispose”. Due anni più tardi va a trovare, sempre
al “Corriere della sera”, Giulio Caprin, per i buoni uffici “di un comune amico”:
Caprin dice subito a Svevo che il giornale “non disponeva di abbastanza spazio
per occuparsi del suo libto”, tuttavia “più tardi gli dedicò due righe tra i ‘Libri
ricevuti’”.
Italo Svevo, Un
profilo autobiografico, free online
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