astolfo
Aborto
- Il Messico non abortisce. Abortisce l’Est Europa, a partire dalla
Russia. Si astengono il Messico, principalmente, e anche alcuni paesi europei: Portogallo,
Austria, Grecia, Croazia.
L’organizzazione
mondiale della sanità ne tiene un censimento – datato e incompleto, avverte, perché
sono statistiche erratiche, in alcuni paesi l’aborto si pratica ma non è legale,
e le statistiche nazionali spesso non sono comunque affidabili, ma indicativo.
Questo
il dettaglio, sorprendente – con l’avvertenza che Brasile e Polonia non figurano
né nell’una tabella né nell’altra perché non hanno, o non hanno comunicato, il
dato. I paesi con più aborti sono – erano quindici anni fa – i paesi dell’ex
blocco sovietico. Gli Stati Uniti, dove l’aborto libero è ora in discussione,
si collocano (si collocavano nel 2004) tra le due graduatorie, con un tasso di
aborti (aborti per mille donne), del 20,8.
I
dieci paesi col più elevato tasso di aborto (annuo, per mille donne)
1. Russia –
53,7 (2204)
2. Vietnam –
35,2 (2000)
2. Kazakistan –
33,3 (2005)
4. Estonia – 33,3
(2005)
5. Bielorussia
– 31,7 (2004)
6. Romania –
27,8 (2004)
7. Ucraina –
27,5 (2004)
8. Lettonia –
27,3 (2004)
9. Cuba – 24,8
(2004)
10. Cina – 24,0 (1998)
I dieci paesi col più basso tasso di aborto
1. Messico – 0,1 (2003
2. Portogallo – 0,2 (2002)
3. Qatar – 1,2 (2004)
4. Austria – 1,3 (2001)
5. India – 3,1 (2001)
6. Sud Africa – 4,5 (2000)
7. Grecia – 5,0 (1999)
8. Croazia – 5,7 (2004)
9. Svizzera –
7,3 (2004)
10. Belgio – 7,5 (2003)
Finlandia –
L’approdo nella Nato è solo l’ultimo passo di un’avventurosa storia recente dei
rapporti con la Russia. Parte dell’impero russo dal 1809, indipendente dal 1919,
fece nella seconda guerra mondiale tre guerre, sull’uno e sull’altro fronte. In
un primo tempo, a seguito del patto Ribbentrop-Molotov, Stalin ritenne subito, a
fine 1939, la Finlandia zona a sovranità russa: il tentativo d’invasione russo,
nell’inverno 1939-1940 fallì, e la Finlandia passò con l’Asse. Finì la guerra, però,
con gli Alleati, combattendo i tedeschi in Lapponia.
La
Finlandia è stata parte della Svezia fino alle guerre napoleoniche. Poi, dal
1809, parte dell’impero russo. Fino al 1918. Dal 1919 era indipendente. Dopo appena
vent’anni di indipendenza, quindi, nel 1939 si trovò l’Unione Sovietica contro.
Stalin convocò i governanti finlandesi a Mosca e chiede alcune cessioni territoriali.
La risposta fu negativa. Stalin mobilitò contro la Finlandia, che allora aveva
3 milioni e mezzo di abitanti, un’armata di 120 mila uomini, con 600 carri armati
e un migliaio di obici e cannoni. Ma non riuscì a penetrare nell’indifeso vicino.
Le comunicazioni terrestri erano quasi inesistenti, e l’utilizzo dei mezzi
corazzati semoventi impossibile. Inoltre Stalin attaccò a dicembre, con i soldati
in uniforme grigioverde estiva. E una truppa senza capacità di manovra, solo
capace di attaccare in massa. Indifferente alle perdite (indifferenza “inspiegabile
per un europeo”, secondo gli stessi osservatori e commentatori finlandesi), e pronta
alla resa. Mentre i pochi finlandesi avevano grande mobilità sugli sci, in
uniformi bianche indistinguibili.
La Finlandia
combatté da sola, senza aiuto da Francia e Inghilterra, già impegnate nella
guerra contro Hitler – e quindi contro l’asse Hitler-Stalin. Solo piccoli gruppi
di volontari accorsero a titolo personale – i pochi che riuscirono a superare i
blocchi della Svezia, che interpretava la sua neutralità in senso assoluto, contro
Hitler-Stalin e contro gli Alleati.
La
guerra si concluse con un armistizio, dopo quattro mesi e mezzo di
combattimenti, dal 30 novembre 1939. La Russia contava 127 mila morti e
dispersi, e 265 mila feriti – con grosse perdite di mezzi: 1.800 carri armati e
521 aerei. La Finlandia ebbe tra i 23 e i 26 mila morti e dispersi, e 43.500
feriti. Ai primi di marzo, l’impegno anglo-francese-polacco per un corpo di
spedizione di 57 mila uomini in soccorso della Finlandia, incontrò l’opposizione
di Svezia e Norvegia, formalmente neutrali, al suo passaggio. Approssimandosi la
buona stagione, che avrebbe favorito i sovietici,
il
maresciallo finlandese Mannerheim, che aveva organizzato la difesa, chiese allora
al governo di impegnarsi per un armistizio. Questo fu firmato a Mosca il 9 marzo
e interinato dal governo finlandese il 12 maggio. La Finlandia accedeva alle richieste
di Stalin, ritornando in pratica, attraverso vari aggiustamenti, alle frontiere
che Pietro il Grande aveva stabilito nel 1721, subentrando al controllo svedese.
Tre
mesi dopo, all’attacco tedesco all’Urss a metà 1941, di cui la Finlandia era
stata messa in qualche modo al corrente con qualche giorno di anticipo,
Helsinki si schierò con la Germania, e partecipò attivamente alla guerra. Un accordo
segreto era stato sottoscritto nel maggio 1941 tra il governo finlandese e lo
Stato maggiore tedesco. La Finlandia mosse contro l’Urss pochi giorni dopo
l’avvio dell’attacco tedesco. Il piano tedesco era di congiungere le truppe del
fronte Nord con quelle finlandesi per isolare Leningrado - oggi nuovamente San Pietroburgo.
Ma la tenaglia non fu chiusa subito, e con l’inverno si considerò fallita.
I finlandesi
continuarono a collaborare con la Wehrmacht, ma in autonomia. Senza persecuzioni
di ebrei, benché pochi in Finlandia - Helsinki vanta che nei tre anni abbondanti
di alleanza militare e schieramento congiunto, dal 1941 al 1944, i suoi soldati
si portavano dietro sia le cappelle per le funzioni cristiane sia le sinagoghe
da campo.
Nel
1944, avanzando l’Armata Rossa fin dentro la Germania, le ostilità ripresero
anche con la Finlandia. Che addivenne a un nuovo armistizio, il 2 settembre
1944. Ancora una volta a suo carico: riparazioni di guerra pari all’intero pil
finlandese del 1939. E una dichiarazione di guerra alla Germania – che aveva
ancora vari reparti dislocati in Finlandia, soprattutto a protezione delle miniere
di nickel al Nord. E ci fu la guerra di Lapponia, oltre il circolo Polare
Artico: le residue forze finlandesi si scontrarono con le residue forze
tedesche a Pestamo, in Lapponia. Scontri che durarono fino all’aprile 1945,
quando i tedeschi residui si ritirano in Norvegia. Con quattromila tra morti e
feriti, da entrambe le parti.
La
vicenda offrì in qualche modo alla Finlandia lo statuto di nazione combattente
per la democrazia. E garantì l’indipendenza politica nel dopoguerra, seppure
con una neutralità all’ombra dell’Unione Sovietica.
La specificità
finlandese non è finita con la guerra. Nel dopoguerra è stato un paese pienamente
indipendente, democratico, a mercato libero. Ma neutrale, rigidamente. In questa
equidistanza sarà al centro dell’importate iniziativa per la pace e la
sicurezza in Europa avviata infine nel 1975. Che si concluse con l’“Atto di
Helsinki”: un atto storico, a conclusione della Conferenza sulla sicurezza e la
Cooperazione in Europa, un complesso lavoro diplomatico svoltosi tra luglio 1973
e agosto 1975. L’atto finale, detto di Helsinki, fu firmato da 35 Stati: Urss,
Usa, Canada e tutti gli Stati europei, esclusi Albania e Andorra. L’Atto di
Helsinki doveva essere la piattaforma dell’accordo per la sicurezza in Europa,
di cui Putin dichiara oggi l’impossibilità, dopo averlo perseguito per un
ventennio, in Italia con i governi Prodi e Berlusconi, in Germania, con i
governi Schröder e Merkel, negli Stati Unito con Bush jr. (l’alleanza antiterrorismo)
e Obama.
L’Atto
di Helsinki garantiva in qualche modo il blocco comunista, il dominio sovietico
in Europa Orientale. Ma impegnava la Russia al rispetto dei diritti umani. Nell’ambito
della Csce, una rete diplomatica sempre attiva anche se non istituzionalizzata
(lo sarà nel 1995, a Urss dissolta: Mosca aderirà a trasformarla in Osce, Organizzazione
Internazionale), si sviluppa il dibattito sui diritti umani, civili, poi
politici, che ebbe larga parte nella perestrojka di Gorbaciov e nella
dissoluzione dell’impero sovietico nel 1988-89.
Hitler-Stalin –
Stalin non credette all’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, non subito, nelle
prime ore, nel primo giorno, tale era la fiducia che riponeva in Hitler. In base
al trattato del 1939 per la divisione dell’Europa orientale. E a una sua elevata
valutazione personale, evidentemente, del Führer tedesco. L’annuncio dell’invasione
fu dato nell’Unione Sovietica tardi, a mezzogiorno, alla radio, da Molotov, il
ministro degli Esteri che aveva firmato a Berlino il patto del 1939, allora
allora vice-presidente del Sovarkom, il consiglio dei commissari del popolo –
il consiglio dei ministri, come sarà denominato anche in Russia dopo la guerra.
Non lo fece Stalin, per evitare di associare il suo nome a una sconfitta.
Secondo le rivelazioni di Krusciov al XXmo congresso del partito Comunista Sovietico
nel 1956, il congresso della destalinizzazione, Stalin si era ritirato, dopo
alcune ore di perplessità, nella dacia di Kuntsevo, quindi fuori Mosca, e ci vollero
alcuni giorni e molte pressioni da parte degli altri membri del Politburo – la
direzione collegiale del Partito - perché riprendesse le funzioni di capo di
Stato.
Dagli
archivi risulta che Stalin era stato informato preventivamente dai servizi segreti
dei piani tedeschi. Ma non reagì, credendo secondo alcune testimonianze che si
trattasse di una provocazione dei generali tedeschi contro Hitler. Benché 170
divisioni tedesche fossero ammassate alle frontiere con l’Urss – 179 per
l’esattezza - delle 256 di cui la Germania disponeva all’epoca - che si rafforzeranno
presto con 61 divisioni alleate (fornite da Italia, Romania, Finlandia,
Ungheria e Bulgaria), compresa la Divisione Blu di “volontari” franchisti - più le Waffen SS, le SS combattenti arruolate nei paesi di area sovietica occupati, Ucraina e baltici. Quando i tedeschi attraversarono la frontiera, il primo ordine ricevuto dal
comandante sovietico, generale Malinovski, fu di “non reagire alla provocazione”
e di “non aprire il fuoco”. L’ordine di ribattere arrivò solo la sera, alcune
ore dopo il discorso di Molotov alla radio – come se Stalin aspettasse un
messaggio personale di Hitler che smentisse la guerra.
“Operazione
Barbarossa”, così, in italiano (Unternehmen Barbarossa), fu chiamato da
Hitler l’attacco all’Unione Sovietica all’alba del 22 giugno 1941. Un
rovesciamento del patto Molotov-Ribbentrop, firmato due anni prima, il 23
agosto 21939, a Mosca dai ministri degli Esteri di Germania e Russia. Avendo
già fornito alla Russia molti materiali bellici per la spartizione della Polonia,
pochi giorni dopo la firma del patto, e per la “guerra d’inverno”, la guerra di
Stalin alla Finlandia, tre mesi dopo.
Vauderie d’Arras – Un processo di stregoneria che ha avuto al centro i valdesi –
l’accusa reale era di essere eretici, discepoli di Valdo (Vaud) – nella città
di Arras, allora appartenente al regno borgognone, tra il 1459 e il 1461. Un
processo subito famoso anche, oltre che per essere diretto contro i valdesi, per
prodursi in ambiente urbano, e o per implicare persone di varia condizione
sociale. Ventinove gli accusati (tra essi il segretario del vescovo, che faticò
poi molto per farne derubricare la condanna, da eresia a tentativo di evasione),
dodici le esecuzioni. Dodici degli inquisiti erano donne, le condannate otto:
fu un altro processo alle streghe, in realtà.
Cominciò come tutti i processi alle streghe, con una denuncia. Di
un eremita, accusato di stregoneria. Sotto tortura, l’eremita denunciò alcune
persone come complici. Due dei denunciati, un artista di fiera e una
prostituta, sotto tortura fecero altri nomi. I primi roghi, nel maggio del
1460, furono di cinque accusati che in tribunale avevano ritrattato le
confessioni, estorte con la promessa della vita salva. L’inquisitore, un Pierre
de Broussart, sosteneva che un terzo degli abitanti di Arras, che ne contava “più
di diecimila”, secondo le stime degli storici demografi (10 mila è la
popolazione che si ritiene insieme minima e normale per una “città” ancora nel
Quattro-Cinquecento) erano sospettati di stregoneria. I processi e le
esecuzioni attirarono una folla enorme, di tutto il circondario: gente che
accorreva dopo giorni di viaggio. Trent’anni dopo, nel 1491, si fecero le
“riabilitazioni”: non c’era stata stregoneria a Arras.
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