sabato 4 giugno 2022
Appalti, fisco, abusi (220)
“Oggi le spiagge, ieri le bollette. Quanto ci costa l’allergia il
libero mercato”, titola Ferruccio de Bortoli sul “Corriere della sera”. Senza
fare cifre. Che non sarebbero lusinghiere: il libero mercato ci è costato e costa
più del mercato ancora tutelato, o a tariffe controllate. Per i telefoni,
l’elettricità, il gas. Anche molto i più. E perfino qualche truffa, come il mese
telefonico, l’addebito “a calcolo” invece della lettura dei contatori
elettronici a distanza - che abbiamo pagato – e il vezzo di caricare
immediatamente superbollette, se uno si avventura a dare l’iban a Tim e WindTre.
L'amore è dolore
L’amore
è doloroso e spietato. L’amore, cioè la donna. “Dolce” lo Stil Novo è solo nella
musicalità della lingua, ma non nel tema d’amore, che è il suo principale. Non
in Frescobaldi come in Cavalcanti - ma anche in buona parte di Dante, le “Rime
petrose” e altri testi. La donna – l’amore – cortese non ha la frusta, ma è
sadica: fa disperare. Non rifiuta, ma accende il fuoco e poi ci butta l’acqua,
lasciando tizzoni e polvere. Con la vexata questio se si ha da prender moglie, meglio di no, e prima ancora - querelle allora ancora alla
moda nella poesia provenzale e in quella francese degli inizi - se sia più
degna d’amore la pulzella o la maritata.
Fa senso
(ri)leggere queste canzoni e sonetti in epoca di #metoo, dello sdegnoso “non mi
toccare”. Ma all’epoca, evidentemente, non funzionava meglio. Poiché è sempre un
lamento di distanze, mancanze e rifiuti. In questo Frescobaldi (figlio e fratello
di versificatori) anche cerebrali – non le donne, i versi. Fino a brutte rime, amanza
per pesanza, la fiamma che infiamma, e la ferezza per gravezza. Versificatore
noto, “famosissimo dicitore per rima in Firenze” secondo Boccaccio.
Tanta
poesia d’amore senza mai un’innamorata, una donna di cui innamorarsi, poeta e
lettore. Esercitazioni sul tema. Inevitabilmente ripetitive. Manierate. Già
manieriste.
Un susseguirsi
di metafore e iperboli, in forma di iperbati, soprattutto, endiadi, ipallagi. Di
un manierismo che dunque, già negli anni di Dante, imperava a Firenze.
Singolare il destino immortale di tanti versificatori, seppure fini dicitori,
che vivono e rivivono grazie ai codici che li contengono – immortali sono i
codici? Questo Frescobaldi, se non altro, s’illustra, sempre a credere a Boccaccio,
per aver salvato e fatto pervenire a Dante in esilio i primi sette canti dell’“Inferno”,
che avrebbe scritto quando ancora era a Firenze, come invito a continuare il progetto.
Pochi
versi, con notevole apparato, l’edizione Einaudi, di Furio Brugnolo.
Gabriele
Baldassarri, che cura la riedizione Quodlibet, ne effettua anche un revisione
testuale.
Dino
Frescobaldi, Canzoni e sonetti, Einaudi, pp. 95
Rime, Quodlibet, pp. 152 € 18
venerdì 3 giugno 2022
Sansone e i filistei - Berlusconi 29
Non ha consentito un erede. Ha fatto campagna per il Quirinale di
persona e da solo, a 87 anni, o quanti ne ha, malandato, di covid e non solo.
Ha boicottato il centro-destra negli anni in cui era impedito
dalla politica – a Roma, a Milano, dovunque il centro-destra avesse la
possibilità di vincere – con candidati impossibili o frantumando il voto in più
candidature. Ha bruciato una lunga serie di “delfini”, da lui steso nominati:
Tajani, Toti, Stefano Parisi, Alfano. E poi un seguito di donne, con incarico
meno “definitivo”, badanti.
Ha continuato a Napoli, dove ha fatto organizzare una kermesse
politica per prodursi instancabile in tutto il repertorio, a tutte le ore del
giorno, e anche della notte – nelle stesse ore in cui un Tribunale, il
trentesimo o quarantesimo che lo giudica, vorrebbe condannarlo per aver pagato
alcune donne. Invidiabile, da congratularsi, uno contro cento (saranno almeno un
centinaio i giudici impegnati nella guerra a Berlusconi?) non fosse che è in
politica, e ne blocca il funzionamento.
Sarà un misirizzi in forma umana, anche a cent’anni, come dice
Merlo su “la Repubblica” sabato, nella sua rubrica delle lettere, Berlusconi è
uno e molteplice: “Berlusconi, cavaliere con 59 nomine”. Impressionante la
raccolta di epiteti – i libri su Berlusconi saranno un migliaio? Un centinaio
sicuramente sì, sono (sono stati) un genere editoriale, e in quante copie?,
alcuni hanno fatto milionari gli autori, in primis Travaglio, il discolo
torinese cui Berlusconi diede un impiego nel suo “Giornale”. Questo l’elenco di
Merlo – non esaustivo (“ho provato a raccoglierli”)?: “Bandanano, Nano
Malefico, Nanefrottolo, Psiconano, Nano pelato, Nano di gomma, Mafionano,
Caimano, Caimano, Truffolo, Mentolo, Silviolo, Al Tappone, Tulinano (i tulipani
vengono dai Paesi Bassi), Bellachioma, Bellicapelli, Berlosco, Berlusca,
Berluscaz, Miliardario Ridens, Presidente Ridens, Berluscoso, Berluscraxi,
Berluskane, Berlussonini, Burlesqoni, Bungaman, Cavalier Banana, Cavalier del
Cials, Cavaliere delle Cosche e delle Cosce, er Bandana, Figlio di Putin,
Cavaliere Mascherato, Cavoliere, Papino, il Rifatto di Dorian Gray, Jena
Ridens, l’Ergoarca, l’Uomo di Arcore, Papino il Breve, Pirlusconi, Psicopapi,
Reo Silvio, Sua Brevità, Sua Emittenza,
Sua impunità, Testa d’asfalto,
Viagrasconi, Berluskao, Berlusckaiser
(col -ck, n.d.r.?), Berluskamen, l’Unto del Signore, er Catrame, Frottolino
Amoroso, Cav, l’Amornostro”.
E non ha finito, dunque,
la cosa ancora continua, seppure minacciosa. Cioè perdente. |
La libertà americana e la crudeltà
La
storia vera di Bob Zellner, giovane biondo dell’Alabama, figlio di un pastore
metodista che durante un soggiorno nell’Urss è diventato liberal e amico dei neri, figlio
a sua volta di un membro attivo del Ku Klux Klan che perseguiterà il nipote. Per
una “tesina” all’esame di laurea Bob partecipa a una funzione in una chiesa per
soli neri, nel 1961 c’era ancora il segregazionismo al Sud, e la cosa innesca
una serie di reazioni che lo portano sempre più a fianco della
protesta afroamericana.
Una storia
edificante, malgrado la violenza. Si scherza anche - nel mirino i progressisti bianchi,
con tutti i cliché dello
snobismo (“questa è una democrazia”, “no, è una repubblica”, è una delle battute).
Ma a fin di bene: Brown, inglese di provenienza, montatore di Spike Lee, ne fa una
storia hollywoodiana, in cui il bene trionfa e trionferà. Con una
controindicazione, che ne fa un film speciale: la violenza crudele e gratuita
dell’essere americano, come un riflesso condizionato. In tanta bontà risalta di
più. O forse solo perché è rappresentata come avviene: la facilità con cui una discussione
arriva al sangue, come se pestare, deformare, uccidere fosse un’estensione della
discussione. Un mondo si direbbe primitivo, dove la forza è solo assassina, distruttiva.
Barry
Alexander Brown, Il colore della libertà, Sky Cinema
giovedì 2 giugno 2022
Ombre - 618
Licenziato dalla Juventus,
Dybala viene fatto entrare al 91mo, come un qualsiasi “disturbatore”, dall’allenatore
dell’Argentina, l’ex (mediocre) calciatore Scaloni. Entrato a freddo, nei due
minuti restanti fa anche un bel gol. È il tempo dei “tecnici”, ragioneria e
tattica, con il portiere “regista”, non potendosi allungare il campo più
indietro, sperando in un golletto, non più del calcio? Il Millennio è grigio dappertutto.
“In Italia
stipendi fermi da 30 anni. Per la stagnazione di pil e produttività”. Ma fa
niente, taglio basso, per il giornale non è importante, e poche storie.
Titolo grande:
“Inflazione come nell’86”, quando c’era l’inflazione (in calo ma dal 20 e 22
per cento). La fonte è sempre il governatore della Banca d’Italia Visco, che
intima: “No alla rincorsa tra prezzi e salari”. Cioè: i prezzi aumenti pure, i
salari, e le pensioni, no. Furbo!
In tuti i paesi di
cui si ha notizia i salari naturalmente sono aumentati, nei trent’anni dal
1990. In Italia sono mediamente diminuiti, del 2,6 per cento. Poi si dice che i
giovani emigrano, e che non si trovano lavoratori.
“Nei ristoranti da
qui a tre mesi 67 mila posti vuoti. Nessuno vuole “lavorare dalla mattina alla
sera, tutti i giorni, senza riposi, doppi turni, per trenta euro al giorno,
spesso al nero”. Che strano.
Liste d’attesa di un anno e oltre nella
sanità pubblica dell’onesto Zingaretti a Roma e nel Lazio, mentre la sanità privata nei cinque anni
dal 2017 ha raddoppiato (Gemelli) e triplicato (Idi) l’attività - esami clinici, visite, interventi. Sul
modello Milano – anche Emilia? Della sanità business. Che non è di sinistra, e sa di corruzione.
La Corte Costituzionale pubblica e spiega
in dettaglio la sentenza che impone il doppio cognome ai neonati, materno e paterno. Scritta da una
donna, la giudice Navaretta, ma inequivocabilmente da “Dottor Sottile”, il presidente della
Corte Amato. Non si capisce niente. Cioè si capisce: sarà un guazzabuglio all’anagrafe, con fratelli di
sangue con cognomi diversi, e con l’obbligo per una vita di firmare i dodici o tredici moduli che ogni
volta la banca o l’assicurazione pretendono di con quattro e cinque nomi diversi – e ricordarseli
bene tutti, nell’ordine.
Ryanair e Easyjet richiedono dunque anche
due e tre documenti a chi vuole andare a Londra con passaporto italiano. L’ambasciata inglese
dice che non è vero, che non è necessario, che il ministero britannico dell’Interno non richiede affatto
il secondo o terzo documento. Ma basta la parola, o il falco (ma è un fascistone) Johnson al comando:
non si sa mai le compagnie non si debbano
ricaricare un latino o un mediterraneo,
reimbarcarlo gratis e pagare una multa.
Però, è solo dai latini e mediterranei, dagli europei, che Johnson vuole il doppio documento. Non dagli asiatici o altre provenienze oceaniche. Nello spirito dell’impero.
L’Italia celebra peraltro,
Rai 1, Canale 5, la regina Elisabetta nel suo giubileo – che si può ritenere un
disastro, familiare, politico, tra Commonwealth, Europa e Stati Uniti, un po’
con l’uno un po’ con l’altro, e sempre presuntuosi, oppure un trionfo. Per gli
italiani è un trionfo?
La bufala dei bambini
ucraini rapiti dai russi e dati in adozione alle famiglie russe spopola, benché
incredibile, anche “la Repubblica” scimmiotta il “Corriere della sera”. C’è una
regia unica? Ci prendono per cretini? La guerra dev’essere i casi umani?
“Esagerava le notizie
sugli stupri. Kiev licenzia Denisova super commissaria per i Diritti”. E gli
inviati del Tg 1, del Tg 5, di Sky Tg 24 che ne dipendevano non li licenzia
nessuno? Se non sono vittime anch’essi di qualche oscura – e non – centrale dell’informazione.
“L’incomprensibile
attenzione di Denisova ai dettagli di crimini sessuali innaturali e abusi sui
bambini che non era in grado di circostanziare ha danneggiato l’Ucraina,
distraendo i media internazionali da quelle che sono le necessità reali del
Paese”. I media internazionali che sono buoi, e credono a tutto – mentre di
fatto non credono a nulla?
La guerra è d’aggressione,
non ci sono dubbi: la Russia ha aggredito l’Ucraina. Ma di fatto – negli
effetti, nello svolgimento della stessa guerra – è come se fosse una morsa
Russia-Usa. Contro l’Europa.
In realtà Denisova è stata rimossa perché era l’unico residuo nel governo della presidenza Poroschenko, il predecessore di Zelensky. Con cui Zelensky è in lite, anche ora sotto la guerra – l’ha fatto fermare alla frontiera con la Polonia, sulla via per recarsi al congresso del Partito Popolare Europeo.
Accumula sconfitte la
Ferrari, malgrado il valore dei piloti, per “errori” del “team”. Non da ora, da
alcuni anni – quanti piloti non ha “bruciato”? C’è una strategia perdente
dietro il marchio?
Dopo la Roma col
Feyenoord, Ancelotti vince col Liverpool non giocando. È il calcio del
Millennio, sterile?
Il fascino americano per
le armi, che provoca-produce ogni anno il più numero di morti per arma da fuoco
nel mondo, in assoluto e in rapporto alla popolazione, è bizzarro. Oppure non
lo è?
Roma è sempre più sporca,
anche col nuovo sindaco. E piena di animali strani, infettivi. Perché l’igiene
non è di partito, richiede organizzazione. E i partiti del sindaco non ce l’hanno
– si vede dagli assessori che gli hanno imposto: l’elezione diretta del sindaco
è stata una iattura? Dipende dal sindaco – ma questo, a Roma, non si può dire.
Sa di commedia, se non fosse potenzialmente molto dannosa, la peste suina portata dai cinghiali. Animali un po’ sporcaccioni, non belli, che dobbiamo proteggere, dopo averli moltiplicati. In omaggio al postumano?
L’arte piedistallo dei dittatori
L’arte
ha sostituito la religione, da qualche tempo, nel processo di secolarizzazione,
è la premessa di Todorov, e i dittatori lo sanno, che in un modo o nell’altro se
ne fanno paesi o interpreti. A lungo
Todorov
espone i casi di Mussolini, Hitler e Stalin – il titolo è di una conferenza a
Siena, nel 2007, a un dottorato di Antropologia, Storia e Teoria della Cultura,
in cui però non ci sono le avanguardie (o sono sottintese, nei movimenti
dittatoriali?). Non c’è più la religione, l’arte supplisce come una forma di assoluto,
e i dittatori non mancano di appoggiarvisi.
A
Mussolini, che si era proposto di “plasmare” il popolo italiano, l’opera riuscì
male perché l’Italia non era di marmo. “È la materia che manca”, confidava al
genero Ciano poco prima di mandarlo a morte: “Lo stesso Michelangelo ha avuto
bisogno del marmo per le sue statue. Se avesse avuto a disposizione soltanto
dell’argilla, non sarebbe stato altro che un ceramista”.
Hitler,
fallito come “pittore” e come “architetto”, ha vissuto nel mito di Wagner,
dell’arte “religione vivente rappresentata”. L’artista Hitler si dà anche lui il
compito di creare il “nuovo popolo tedesco”. Col razzismo, la propaganda,
l’eugenetica.
Stalin,
che tanti poeti ha voluto eliminati, pure s’intratteneva con loro: li chiamava,
a volte li ascoltava anche. Insomma, non ci si salva, non con l’arte.
Tzvetan Todorov, Avanguardie artistiche e
dittature totalitarie, Mondadori Education, Le Monnier Università, pp. 48 €
9
mercoledì 1 giugno 2022
Ecobusiness
La
plastica non si ricicla. Fatte tutte le prove, con le più diverse tecniche,
migliorati i procedimenti, la conclusione è una sola, dei centri di ricerca in America,
in Gran Bretagna, in Germania: una percentuale minima della plastica da rifiuto
è riciclabile (riutilizzabile) - al massimo, con i procedimenti più costosi, il
18 per cento.
Il riciclo è prevalentemente un business
fine a sé stesso. Per il quale si paga, attraverso la Tari, che è sempre più
una patrimoniale, per l’illusione che proteggiamo l’ambiente. Funziona per
carta e cartoni. Per il vetro. E, dove effettivamente si fa il compostaggio, per
l’umido. Ma in tutt’e tre i settori i riciclatori dovrebbero piuttosto pagare
loro la Tari, almeno in parte.
Meglio e di più si potrebbe per lo
sfalcio o potature, i tagli e rifiuti di piante, erbe, fiori. Nelle campagne e
anche in città. Che però pochissimi comuni ritirano, qualche decina, e solo in
città – in campagna usava e usa bruciare, moltiplicando l’inquinamento.
Cronache dell’altro mondo – in ascolto (190)
Le intercettazioni erano condannate negli Stati Uniti come opera
della criminalità, e comunque delittuose, fino a tutti gli anni 1960, documenta
lo studio di uno specialista di inglese e di studi americani alla Georgetown
University, Brian Hochman, “The Listeners”. Poi le agenzie federali anti-crimine,
Fbi e Dea, se le sono fatte autorizzare da varie giurisdizioni per casi
specifici. E anche qualche legge, statale, locale, le consente. Ma il sentimento
generale è contro, un’intrusione nella privacy. Anche per l’uso scorretto
che se ne è fatto in politica, negli stessi anni 1970 (lo scandalo che costò la
presidenza a Nixon).
Il sentiment che delle intercettazioni resta - la
percezione - anche dopo i successi della lotta anti-crimine (per la quale
comunque non vengono vantati), è quello de “La Conversazione”, il film di Coppola
del 1974, premiato a Cannes e agli Oscar, dello specialista in intercettazioni
vittima delle stesse.
Gli Stati Uniti sono il Paese con meno intercettazioni autorizzate,
in rapporto alla popolazione e in assoluto.
Raccontare è combinare le incongruenze
Un manifesto, e un saggio seminale sulla
scrittura. Anche se premette: “Questi non sono tempi in cui gli scrittori di un
paese possano parlare per conto altrui” – era il 1960. Anche se non si ama il
diverso, lo specifico.
L’ambizione dello scrittore è sempre di essere
“realistico”, cioè convincente. Perciò non etichettabile. Ma “se siete uno
scrittore del Sud, quell’etichetta, e tutti gli equivoci che vanno con essa, vi
è incollata immediatamente… e sarete giudicati sulla fedeltà delle vostre narrazioni
alla tipica vita meridionale”. Questo nel quadro di una generale standardizzazione
della narrativa: “Critici e lettori…. associano il solo materiale legittimo dei
romanzi al movimento delle forze sociali, al tipico, alla fedeltà ai modi come
le cose appaiono e avvengono nella vita normale”. Se si tratta di uno scrittore
del Sud, la sua normalità è, “in senso peggiorativo, il grottesco”. Commentando,
caratteristicamente: “Naturalmente, ho scoperto che qualsiasi cosa viene dal Sud
sarà chiamata grottesca dal lettore settentrionale, a meno che non sia grottesca,
nel qual caso sarà chiamata realistica”.
Analizzando la “normalità”, l’autrice della “Saggezza
nel sangue” anticipa il senso della fine, nel mezzo allora del boom e dell’affluency, dell’abbondanza per
tutti, senza limiti: “Dal Settecento, lo spirito popolare di ogni epoca
successiva ha teso sempre più all’opinione che i mali e misteri della vita
finiranno, davanti ai progressi scientifici dell’uomo, una credenza che è sempre
forte se questa è la prima generazione a fronteggiare l’estinzione totale a
causa di questi progressi” – era allora l’epoca della Bomba, che oggi si
potrebbe dire del Clima. Diverso è il caso, dice di se stessa, “dello scrittore
che crede che la nostra vita è e rimane essenzialmente misteriosa”.
Quanto al grottesco, “Thomas Mann ha detto che
il grottesco è vero stile anti-borghese”, anti-convenzionale. Non in America, però, spiega Flannery, dove per grottesco s’intende compassionevole.
Un saggio non rassegnato, mordente, come tutto
in questa scrittrice: “Henry James disse che Conrad nei suoi racconti la faceva
lunga, nella misura più lunga possibile. Io credo che lo scrittore di racconti
grotteschi li deve ridurre al minimo, perché nel suo spazio le distanze sono così
grandi”. Anche se “non è necessario precisare che l’apparenza di questi racconti
dev’essere al naturale (wild), che quasi per necessità va a finire violenta
e comica, a causa delle incongruenze che prova a combinare”.
Oppure – sempre con Henry James nel mirino – a
proposito del romanziere richiesto di fare “l’ancella della sua epoca”, la
serva: “Sono giunta a pensare di questa ancella come del facchino nero di Henry
James che depose la sua cassetta da toletta in una pozza quando James lasciò l’albergo
di Charleston. James fu così obbligato a sedere nel vagone affollato con la
borsa sulle ginocchia. Per tutto il Sud il pover’uomo fu servito ignobilmente,
e poi scrisse che i nostri domestici erano le ultime persone al mondo a doversi
utilizzare in quell’impiego, perché erano per natura inadatti. Il caso è lo
stesso col narratore. Quando gli si dà il compito del domestico, lascerà il
bagaglio del pubblico in una pozza dietro l’altra”.
Flannery O’Connor,
Some Aspects of the Grotesque in Southern Fiction, free online
martedì 31 maggio 2022
Problemi di base bellicosi - 700
spock
Se non c’è pace
senza guerra, non c’è guerra senza pace?
“La Russia non
si può capire con la mente”, Fedor Tjutchev?
Perché la
Russia non manda le bombe intelligenti?
E l’uranio
impoverito?
“La guerra è
un lavoro”, gen. Eremenko?
Il Novecento è finito, il secolo delle grandi guerre: quando?
spock@antiit.eu
Destra e sinistra “per me pari soooono”
Sono mesi che la Roma, la squadra di calcio, gioca sotto striscioni che
inneggiano alla marcia su Roma, a Mussolini, “Roma sempre marcia”, “Roma marcia
ancora”. Nell’altra squadra romana la stessa esibizione – non proprio la stessa,
meno impositiva, ma insomma - è stata censurata più volte, dalla questura e dalla
giustizia sportiva, e la proprietà della squadra ha dovuto prendere provvedimenti
disciplinari, fino ad alienarsi la tifoseria. La Roma è la squadra del cuore
della sinistra, e quindi non si dice niente.
Questo silenzio è di destra o di sinistra? Un po’ è che siamo come il duca
di Mantova nel “Rigoletto”, che “questa e quella per me pari sono”. Indifferenti.
E poi, certo, rigore è quando arbitra fischia rigore, come diceva Boskov – lo disse
proprio quando allenava la Roma. Ma l’assenza di condanne o di sanzioni non tranquillizza.
Destra e sinistra hanno ben altri fondamenti, si sa – o si impara da
Bobbio, che le ha filosofate (anche se le ha filosofate un quarto di secolo fa).
L’uguaglianza, per esempio, è fondamento della sinistra. Ma lo è anche della
destra – della destra sociale, e pure di quella politica (totalitaria). Bobbio,
nel 1994, a 85 anni, con grande esperienza, aveva qualche dubbio: “Dunque, destra e sinistra esistono ancora? E se esistono
ancora e tengono il campo, come si può sostenere che hanno perduto il loro
significato? E se un significato ancora lo hanno, questo significato qual è?”.
Poi non è andata meglio.
Si prenda Soru: il 27 settembre 1997 quotò Tiscali,
una start-up che valeva, al più, un euro, a 46 euro (l’equivalente), poi
in rapida ascesa fino a 1.200 euro. Per il 69 per cento sempre sua. Dopodiché
fu il governatore Dem della sua isola, la Sardegna. Un feudo fatto di impiegate
precarie, subito licenziate.
Lo stesso maneggio il re delle “sole” Soru ha ripetuto
con 3, o H3G. Per fortuna senza fregature in Borsa, ma sempre con scorpori,
licenziamenti, pacchetti tariffari truffa, e “appalti privilegiati”, di area
Dem.
La gestione sindacale del lavoro, specie al ministero,
presidiato da ex sindacalisti, ma anche nelle centrali sindacali, si è specializzata
negli stati di crisi graziosamente concessi, per consentire i licenziamenti – i
prepensionamenti, la cassa integrazione.
De Benedetti, editore emerito della sinistra, ha fatto
stati di crisi a cascata. A petto di Berlusconi, la destra più odiata, che non
ha mai licenziato nessuno – e nessuno ha messo sul groppone degli istituti di
previdenza, con i prepensionamenti.
Che altro? Le “lenzuolate” di Bersani, il ministro dell’Industria
allegrone, oggi trinariciuto, che impoverirono il commercio al minuto e gli artigiani,
svilendone l’avviamento commerciale, a favore dei centri commerciali, senza
beneficio per i consumatori, anzi con aggravio di prezzi e infima qualità – ne sono
nate in vent’anni due generazioni di obesi. Il partito degli Ingegneri e
Architetti di Rutelli al giubileo del Millennio – una grattatina e via: quattromila
appalti, da mezzo miliardo di lire. Il sindaco anti-corruzione Marino destituito dal
notaio. I “contratti al buio” (senza bando, senza concorso) della Regione Lazio
dell’onesto Zingaretti – poche decine, è vero.
A
proposito della Regione Lazio dell’onesto etc,. non si finirebbe. Si fa la coda
dappertutto, nella regione Lazio, per la sanità. Coda chilometrica, non la coda
normale di ogni servizio. Con molti ticket sanitari. E con l’addizionale Irpef
al top, l’aliquota più alta in Italia. Per pagare la sanità privata, che nei cinque anni dal 2017 ha raddoppiato (Gemelli) e triplicato (Idi) le attività in convenzione con la Regione - sul modello Milano, o forse anche Emilia, una liberalizzazione che non porta nessun vantaggio, costa molto, e sa di corruzione. La Regione Lazio di destra mandava
l’avviso di scadenza del bollo auto, la Regione Lazio di sinistra non lo manda:
risparmia il francobollo, e incassa le penali per il ritardo.
La corruzione, endemica, sistemica, si direbbe di
destra. Mentre è di sinistra, compresa quella giudiziaria, la pessima: sui referendum per la giustizia giusta del 12 giugno, tema di sinistra se mai ce ne è uno, il Pd fa campagna surrettizia contro (astensione), ancorato al potere della giustizia, che invece è fascista.
Per non dire della Cina, della Russia, eccetera.
Umberto
Eco, che non ha osato cimentarsi col destra-sinistra, si è licenziato con un
amaro apologo, il romanzo-pamphlet “Numero
zero”, contro un certo giornalismo di sinistra. Di cui
così spiegò il senso a Scalfari, in una video-intervista: “Un tempo, se un
presidente non piaceva – fosse Lincoln o Kennedy – gli sparavano.
Già con Nixon e poi con Clinton si è visto che si può distruggere un presidente
tirando fuori le intercettazioni oppure parlando di cosa ha fatto la sera, con
chi è andato a letto. Tutta la nostra politica è ormai su questo piano. Il
comandamento è: bisogna distruggere, delegittimare, sputtanare”. Eco lo dice
con una punta politica, evidente nel video: intercettare, distruggere,
delegittimare, sputtanare è un procedimento violento, quindi tipicamente “di
destra”. Ma non è l’armamentario, il solo, della “sinistra” – dell’affarismo
che ha preso il posto della sinistra?
Destra
e sinistra rispetto sempre a che – resta il busillis di Bobbio? A un contesto.
Anche solo di idee, o progettuale – oppure di idee che coprono una certa realtà.
Il dibattito, a sinistra, sul lavoro, negli anni 2010 e compresi questi
primissimi 2020 di pandemia e di guerra, si colloca a destra, perfino molto più
a destra, della destra trent’anni fa. Il diritto al lavoro, regolarmente retribuito, è alla pensione, è ormai solo di destra. Al coperto del necessario aggiornamento, al mondo qual è, alla globalizzazione, è passato con i governi di sinistra, in Italia e in Europa (in Germania con Schroeder, in Inghilterra con Blair, in Francia con Hollande, in Italia col Pd) il peggiore affarismo, dei monopoli. Con ombre di corruzione.
Le innocenti all’estero si sono fatte temibili
Un forte attore, Matt Damon, e il regista Oscar
qualche anno fa per il film sulla pedofilia dei preti, “Il caso Spotlight”, non
rianimano una torpida storia della torpida provincia americana. Un padre,
onesto operaio di Stillwater, Oklahoma remota, decide di andare a Marsiglia, a
occuparsi della figlia, che c’era andata per studiare ed è in carcere per l’assassinio
della sua compagna di stanza. Una morte di cui lei non è colpevole, e lo è. E
alla fine, dopo due ore, non ci è né simpatica né antipatica. Come suo padre.
Un film costruito probabilmente sul caso di Amanda
Knox, infine assolta per l’assassinio della sua compagna di stanza a Perugia
Meredith Kercher – senza che l’assassino sia stato trovato. Su cui però un film
era già stato fatto, dieci anni, “La storia senza fine”. A meno che non sia una
critica della provincia americana, disorientata. Le “innocenti all’estero” di
Mark Twain, pensoso sulle sorti delle vergini americane nella depravata Europa,
hanno cambiato pelle?
Tom McCarthy, La ragazza di Stillwater, Sky
Cinema
lunedì 30 maggio 2022
Letture - 492
letterautore
Sant’Antonio – In Congo Gide si
sente a un certo punto come sant’Antonio che “riflette sulla stupidità del catoblepa”
– di qualcuno dice: “La sua stupidità mi attira”. Sant’Antonio di Padova? Più
probabile sant’Antonio abate, detto anche (wikipedia) “sant’Antonio il Grande, sant’Antonio d'Egitto, sant’Antonio
del Fuoco, sant’Antonio del Deserto e sant’Antonio l'Anacoreta”, un abate ed
eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo
degli abati. Il catoblepa è un animale leggendario, “dal collo
lungo esile, la cui testa si trascina per terra”, per il Petit Robert – “una specie
di bufalo nero con una testa di porco” per wikipedia.
Croce – “Il più formidabile lettore e
intenditore di testi in Italia”, lo dice Carlo Dionisotti, “Geografia e storia
della letteratura”, “che sia apparso dal Settecento a oggi”.
Dante – Non è umanista, nella sintesi
fulminea Dionisotti, ib.: Petrarca lo è, alla corte avignonese che Dante
detesta.
Però Boccaccio,
che idolatra Dante, ha il gusto della cultura classica – l’ha mediato a Napoli,
ambiente saturo di cultura francese, che allora, prima di Petrarca, mediava i
classici anche per gli italiani.
Nel toscano-italiano “codificato” da
Bembo, “perfino Dante appare sboccato e popolare” – sempre Dionisotti, cit., 115.
Che ha anche la “cantilena” della “Commedia”, p. 236
Umberto Eco - Deve molto a Roland Barthes – senza saperlo? Si direbbe anzi tutto, meno
i romanzi. Al Barthes delle “Mitologie”, suo primo e fondamentale libro, 1957: i
diari minimi, le bustine di Minerva, Mike Bongiorno, le tesi di laurea –
leggere la quotidianeità, come tutti, sui giornali, le riviste, i cinegiornali
poi le tv, le chiacchiere. E agli “Elementi di semiologia” i trattati. Nel
taglio, e nello spirito. Eco non lo dice, ma lo spiega, in una presentazione di
Barthes nella rubrica Rai “Settimo giorno” del 1975, recuperata ora su youtube,
“Umberto Eco su Roland Barthes” (purtroppo tronca). Eco spiega che anche
Barthes voleva essere uno scrittore, benché professore esperto di semiologia. Scrittore
quando scriveva delle “mitologie” contemporanee, il Tour de France, il divismo,
Dior, etc., o di Ignazio di Loyola, di Sade, o del piacere della scrittura. E
che l’etichetta di semiologo, che lui temeva perché sa di tavole rotonde,
dibattiti, conferenze, i noia e fatica, gli si è attaccata “per caso”: Eco e i
suoi amici di “Marcatré” avevano deciso di tradurre un suo scritto di
semiologia, degli appunti di lezione. La forma in cui era scritto piacque molto
a Vittorini, che volle farne un volumetto della sua collana Nuovo Politecnico
Einaudi. Il successo di questi “Elementi di semiologia” si riverberò in
Francia, con la ripresa di quella modesta traccia universitaria in “trattato”,
e subito recepita in Inghilterra e nel mondo anglosassone. Questo lo ha
costretto a tralasciare la sua voglia di scrittura d’invenzione. Diventato
semiologo eminente, non ha più potuto, come invece Eco ha fatto, scrivere i
romanzi?
In effetti Barthes
arriva tardi agli studi accademici, a 35 anni. Dopo una lunga giovinezza passata
tra occupazioni avventizie, supplenze soprattutto, e collaborazioni a periodici
di varia lettura. E molto teatro, come promotore, organizzatore e anche attore.
La prima traduzione di Barthes in realtà è stata del 1960, dell’editore Lerici,
“Il grado zero della scrittura”, la scorribanda sula “scrittura” che si può in
effetti anche leggere come una preparazione al Romanzo.
Genere – In letteratura fa un bel giardino zoologico, nota Barthes nelle
“Mitologie” – “Romanzi e bambini” – a proposito di “Elle”, il settimanale femminile
(“un vero tesoro mitologico”): “A credere a ‘Elle’, che una volta ha riunito in
una sola fotografia settata romanziere, la donna di lettere costituisce una specie
zoologica notevole: partorisce come capita romanzi e bambini”.
Gide al Congo – “Gide leggeva un po’ di Bossuet discendendo il Congo. Questa postura riassume
abbastanza bene l’ideale dei nostri scrittori in vacanza, fotografati da ‘Le
Figaro’”. Roland Barthes nelle “Mitologie”, dove rappresenta
la realtà-mondo con gli articoli di giornale, al § “Lo scrittore in vacanza”,
trova che Gide, in viaggio avventuroso e faticoso come poteva esserlo
un secolo fa tra Congo e Africa Equatoriale, facendosi fotografare, in posa, sul
battello mentre legge Bossuet, esemplifica l’immagine borghese (“Le Figaro”)
dello scrittore in vacanza.
Non sapendo che
era un viaggio di otto mesi, in compagnia del giovane e bello Marc Allegret –
non sarà la malignità di Barthes per invidia?
Italia – Prima della Grande Guerra si discuteva fra gli storici se e fino a
quale segno la storia d’Italia si potesse dire unitaria. Croce era decisamente per
il no.
Italiano – Se il toscano fosse già
diventato lingua nazionale con la “Commedia” e il “Decameron”, non ci sarebbe
stato l’Umanesimo. Lo diventerà dopo, e da fuori Firenze: con la “codificazione”
introdotta da Bembo – Dionisotti, “Geografia e storia della letteratura”, 115.
Tardi, insiste
Dionisotti, il toscano diventa la lingua, malgrado una “colonizzazione toscana
attivissima nella vita economica e sociale, e la subitanea, vastissima,
diffusione della ‘Commedia’”
Kipling – Un Houdini, un trasformista.
Quando scriveva agli amici, “tendeva a modificare la calligrafia, imitando quella
della persona a cui si rivolgeva” – Ottavio Fatica, nell’introduzione alla raccolta
di racconti “I figli dello Zodiaco”. Imitava anche le voci e gli accenti, inquietando
gli amici per quel suo “inquietante dono camaleontico”. Lo stesso polimorfismo
dei racconti. Suscitando per questo l’interesse del primissimo critico, Henry
James: “Non c’è nulla, in questo universo vasto e terribile, che gli non possa
incarnare”. E in Italia di Renato Serra: “Si pone d’un colpo solo nei panni del
suo personaggio: poi comincia a scrivere tutte le cose intorno da quel preciso
punto di vista, di donna, di negro, di assassino, d’innamorato, di asceta, di
elefante, di pantera, di foca, di locomotiva, di bastimento”. E del giovanissimo
Cecchi.
Petrarca – “Petrarca non è un
laico”, è la cosa che più colpisce Dionisotti nella “Geografia e storia della
letteratura”, 61: il fondatore dell’Umanesimo italiano ed europeo, il maestro
della nuova poesia amorosa, è un chierico cappellano e canonico, e vive dei
proventi dei benefici ecclesiastici, con amanti e figli naturali.
Proust – Non sarà stato antisemita come lo
vuole (voleva?) Piperno. Ma sicuramente non “rivendica”, come dice Daria
Galateria alla fine della sua introduzione ai “75 fogli” ritrovati, “le certezze
del suo «sangue»”. Galateria lo dice trovando curiosa – “una figura comica” -
nel racconto ammiratissimo del secondo viaggio a Venezia, nell’ottobre del
1900, da solo, il passaggio sul Cristo benedicente di San Marco: “Nostro Signore
con l’aria effeminata, orientale e bizzarra, con il suo gesto trasformato in
una posa da grasso siriota equivoco”. Ma questi connotati li riferisce a
“esseri di razza diversa”.
C’è anche di peggio (di “più diverso”) al
primo sguardo entrando nella basilica, quando vede “il Dio che sappiamo essere il
nostro Dio, ma che sembra quasi un giullare pascià d’Oriente”.
Ma non c’è scrittore nel Novecento che
abbia pratica corrente, usuale, normale, alla chiesa, e ne usi i riferimenti (pratiche,
riti, formule) nella scrittura. Il bacio materno della buonanotte Proust dice
“ostia narcotica” nella stessa introduzione di Galateria.
Russia
– Non ne hanno buona opinione gli intellettuali russi del primo Ottocento,
sull’onda lunga della rivoluzione francese, e del liberalismo – le raccolte di
aforismi ne sono piene, sulla traccia di Winston Churchill quando finì il flirt
con Stalin: “La Russia è un rebus
avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma”.
“Qualcuno
saprebbe capire la Russia?”, è problema posto dal poeta e traduttore, dal tedesco,
dal francese, Afanasij Fet a metà Ottocento, mezzo tede sc per parte di madre,
educato in Estonia. Lo stesso che aveva già esposto, più argomentato, Fëdor Ivanovič Tjutčev, poeta di notevole rispetto e diplomatico: “La Russia non si può capire con la mente,\ né
la si misura col metro comune:\ la Russia è fatta a modo proprio,\ in essa si
può soltanto credere”. Peggio di tutti era stato il filosofo Piotr Čåadaev, “Lettere filosofiche”: “Abbiamo
qualcosa, nel nostro sangue, che respinge ogni vero progresso”. Ma era un
pensatore legato alla reazione cattolica in Francia, Bonald e Joseph De
Maistre.
“Siamo una lacuna nell’ordine intellettuale”,
diceva anche Čåadaev. E: “Solitari nel mondo, al mondo non abbiamo apportato
nulla, insegnato nulla, non abbiamo versato una sola idea nella massa delle idee
umane”. Questo non sarà più vero col secondo Ottocento e il primo Novecento, dal
terrorismo anarcoide al comunismo. Ma soprattutto in letteratura e arti – già Fet,
Tjutcev e Čåadaev avevano Griboedov, Puškin, Lermontov: poesia, narrazioni
musica, balletto, teatro, cinema, per un secolo saranno stati soprattutto
russi.
Dotstoevskij, che
aveva viaggiato, aveva il punto di vista giusto: “Agli occhi dell’Europa, la
Russia è come uno degli enigmi della Sfinge. Per l’Occidente è più facile
scoprire il moto perpetuo o l’elisir di lunga vita che sviscerare l’essenza
della russità, lo spirito russo, il suo carattere e la sua natura”.
Il poema di Puškin, “Ruslan e Ljudmila”,
di amori avventurosi, è ambientato tra Kiev e Dnipro. Su Kiev e i “kieviani”
(nella traduzione di Landolfi) alla fine dell’avventura “scenderà la pace”.
“Sommettiti alla forza russa!” è l’ordine di Ruslan, cui un genio malefico ha
sottratto l’amata Ljudmila. Ma eroico, saggio, modesto, in tutte le circostanze
del poema, è “l’onesto Finno” (sempre © Landolfi).
letterautore@antiit.eu
La difficile quadra europea - senza una difesa
Si leggono e guardano giornali e tg non per le notizie ma per quello che
dicono e come lo dicono. E qui, nella guerra, è chiaro lo schieramento preliminare
a favore dell’Ucraina, con tutti i fardelli della guerra umanitaria, quali si
esercitano dalla guerra del Biafra, 1968, in poi. Della guerra in sé si sa poco
o niente, perché si fa, con che armi, con che risultati, nessuno s’ingegna di
sapere. A Mariupol ora “si trovano” cadaveri “ammassati in un supermercato”:
dai russi, s’intende, in una città che hanno occupato e controllano da due mesi?
Ma lo stesso sembra fare l’Europa, i governi e la Ue: stizziti e niente più.
È una guerra d’aggressione, non c’è dubbio. Che non può finire come è
cominciata, con l’occupazione dell’Ucraina. E neppure come sta evolvendo, in
occupazione del Donbass. Questo è evidente, lo è stato fin da subito. La risposta
doveva essere correlata a questa verità: non è una guerricciola di confine, Non
è il Kashmir, non è il S ud del Libano, è una guerra d’occupazione, e non finirà,
non può finire, non si sa come, posto che l’Ucraina non può vincerla, non può
ricacciare indietro la Russia.
Le risposte umorali non servono. Occupano le pagine e i telegiornali ma non
servono – nemmeno a incrementare le tirature e gli ascolti, a quello che si
vede. Ma non è un problema di media, di opinione pubblica: è un problema di
governi inermi, europei. Le condanne morali non servono. Può anche darsi che la
Russia abbia ragione. Che la Nato – senza che l’Europa lo sapesse? – attizzava il
fuoco, con l’addestramento e le forniture militari e con la propaganda
antirussa in Ucraina. Che l’Ucraina non si sia conformata agli accordi di Kiev,
che pure aveva sottoscritti nel 2015, con la mediazione e il patrocinio europei.
E anzi perseguiva una politica antirussa, come lo aveva fatto per quasi vent’anni
– con l’evizione di ben due presidenti eletti, perché a giudizio di alcuni affaristi
erano “filorussi”. Può anche darsi che il disegno ucraino fosse di espellere
tutti gli ucraini “filorussi”, un quarto della popolazione. Non lo sappiamo, ma
in Ucraina – questo è certo - tutto è possibile, solo la democrazia e la verità
hanno qualche problema.
Però l’attacco della Russia è una guerra d’aggressione, senza se e senza
ma. Alla quale l’Europa deve decidere se rispondere, oppure disinteressarsene. Ma
rispondere come si fa in guerra, con le armi. Le telefonate e le sanzioni, le
minacce di sanzioni, servono solo a passare il tempo. Putin andava confrontato con
i suoi stessi mezzi. Armi sul campo? Armi sul campo.
Oppure si poteva anche dire: abbiamo sbagliato politica con la nuova
Russia, la Russia non è la potenza conquistatrice quale era all’epoca sovietica,
vogliamo intavolare con la Russia una politica di pace, aprire un’area
economica comune, trovare forme di collaborazione.
Invece siamo qui, ieri come l’altra settimana, come un mese fa, come due mesi
fa, a fare telefonate, e a discutere se e come, quando, se mai, fare le
sanzioni numero sei, o sette, contro il petrolio e contro il gas russo. Chiacchiere,
la guerra è un’altra cosa. Senza una difesa europea, seppure in ambito Nato, certo non si può fare altro.
Il confronto Usa-Russia è sull’energia
“Energy,
Climate and the Clash of Nations” è il sottotitolo. Yergin, storico delle
origini della Guerra fredda, “The Shattered Peace” (l’ambasciata americana a
Mosca era sospettosa dei sovietici, soprattutto dei tanti ebrei nel sovietismo,
già negli anni 1920….), col tempo specialista poi dell’energia (premio
Pulitzer nel 1991 per “Il premio. L’epica corsa al petrolio, al potere e al
denaro”), fondatore di una Cambridge Energy Research Associates, poi acquisita da
S&P Global (Standard&Poor’s, etc,), di cui è vice-presidente, analizza
la transizione in programma verso un futuro senza fonti di energia fossili nel quadro
dei rapporti globali di potenza. Che vede in questa fase nel confronto fra Stati
Uniti e Russia, più che con la Cina, poiché a suo giudizio è l’energia che decide
il futuro, la Potenza delle nazioni.
La tesi
del libro è che gli Stati Uniti sono i meglio equipaggiati per vincere la gara.
Sono già il primo produttore mondiale di petrolio, col 17,1 per cento del
totale mondiale (i dati sono del 2020), la Russia è seconda, col 12,6. Sono
anche i primi produttori di gas naturale, col 23,5 per cento del totale
mondiale, con la Russia seconda, al 18. E la leadership si perpetuerà, questo
il secondo assunto del saggio, grazie alla diffusione del fracking, la tecnologia di produzione
di idrocarburi dagli scisti bituminosi, di cui gli Stati Uniti (e più il
Canada) sono larghi detentori.
Una
prospettiva bizzarra, basare la supremazia americana sugli scisti bituminosi,
la cui lavorazione è per più aspetti inquinante, e anche fortemente. Bizzarra
per un assunto che pone il clima tra i suoi obiettivi, la protezione dell’ambiente.
Successivamente,
presentando il libro, lo studioso si è spiegato. La transizione al 2050, come decretata
dalla Ue, è un termine troppo breve. Che vede la Cina favorita, poiché ha
deciso il passaggio in massa affrettato alla circolazione elettrica, disponendo
dei materiali per la fabbricazione delle batterie. Ma anche la Cina, che
continua a produrre elettricità col carbone, avrà problem. Per non dire dell’India,
un “continente” come la Cina, il cui scopo primario è ora di far arrivare l’elettricità
a tutto il paese, o anche soltanto il gas propano in bombole, per smettere l’uso
di bruciare stoppie e legna. Nei paesi più avanzati le fonti cosiddette “alternative”,
insiste Yergin, solare e vento, hanno il grosso problema della conservazione,
dell’immagazzinamento dell’energia prodotta, altrimenti nelle notti lunghe, e
nelle estati senza vento, si creerebbero problemi per l’approvvigionamento.
Yergin
contesta anche la tesi che la ricerca e produzione di idrocarburi abbia da
tempo raggiunto il picco e sia ora in declino. Con abbondanza di cifre. Che però
non smentiscono la scarsità dell’offerta da quasi un anno, ben prima della guerra
Ucraina e della (tentata) messa al bando delle esportazioni russe di petrolio e
gas: i prezzi di petrolio e gas sono da tempo in risalita.
Più bizzarro
ancora è che l’egemonia americana venga basata sugli scisti solo in virtù dell’Energy
Policy Act del 2005 (o “Dick Cheney energy bill”, dal nome del vice-presidente
di Bush jr. che preparò e fece votare la legge), in virtù del quale il fracking è esentato dal
Clean Water Act, la legge Galli americana, che disciplina e restringe l’inquinamento idrico.
È larga e determinate l’opposizione locale al fracking. Il fronte anti-energie fossili è anche aggressivo. “Gli azionisti di molte banche, incluse Bank of America, JPMorgan
Chase e Wells Fargo”, poteva scrivere questo sito un mese fa, “hanno votato
risoluzioni che impegnano a chiudere il credito a chi investe in combustibili
fossili. E sono ora sotto pressione i grandi clienti liquidi delle banche, come
Google, Apple o Salesforce, che sono impegnati in proprio a ridurre le
emissioni nocive, a fare pressione in tal senso sulle banche”.
D’altra
parte, se la produzione di petrolio e gas naturale è ancora elevata nel 2020 e
forse nel 2021, gli investimenti invece sono fermi. È anche vero, come sostiene
Yergin in interventi successivi ala pubblicazione del libro, che la nuova
amministrazione democratica di Biden non ha messo in discussione il Dick Cheney
Bill, ma si è ritrovata tutti i bandi di nuove concessioni di ricerca deserti:
l’energia tradizionale non è più un business, appetibile.
Il
saggio è più vero sottotraccia, per i rumori di fondo, che Yergin storico della guerra fredda evidentemente
sa percepire, della gara Russia-Usa, in atto ormai da un secolo (ma già individuate
due secoli fa, da Tocqueville e Custine….). Le cifre spiegano probabilmente
molto dell’attuale guerra, che è della Russia contro l’Ucraina, ma non tanto in
filigrana è poi degli Stati Uniti contro la Russia. Anche con l’energia, certo –
e con i missili, i carri armati, i cannoni.
Daniel
Yergin, The new Map, Penguin, pp. 544, ril. € 15,50 su amazon
domenica 29 maggio 2022
Cronache dell’altro mondo – (dis)informative 2 (189)
“Addolorati per i bambini di Uvalde oggi, dovremmo trovare il tempo di ricordarci che sono passati due anni dall’assassinio di George Floyd sotto il ginocchio di un poliziotto”, è il tweet dell’ex presidente Obama per l’eccidio alla scuola elementare in Texas: “Il suo assassinio (di Floyd, n.d.r.) è presente in noi tutti ancora oggi, specialmente coloro che lo amavano”.
Per il Disinformation Governing Board, creato da Biden sei settimane fa e forse abbandonato, dopo l’abbandono della responsabile nominata, Nina Jankowicz, che ha ritenuto opportuno non presentarsi nemmeno alla convalida del Congresso, un’altra nomina è sotto scrutinio, quella di Michael Chertoff come consulente del Board. Avvocato e giudice federale, Chertoff è stato ministro dell’Interno di George Bush jr., ha avviato la caccia agli americani mussulmani dopo l’11 settembre, e la costruzione del muro anti-immigrati al confine col Messico, e ha un’azienda di crisis management che collabora con la Cia. Nella campagna elettorale del 2020, aveva scritto al “New York Times” che Trump usava il ministero dell’Interno per fini elettorali. |
Candace Owens, giornalista-star del “Daily Wire”, afroamericana, ha un documentario in rete che vuole “fare giustizia” di George Floyd e di Black Lives Matter (BLM), “The greatest Lie ever told: George Floyd and the Rise of BLM”: c’è un mito di George Floyd, ed è una montatura. “The Daily Wire”, un sito di destra, ha pubblicità prevalentemente indirizzata agli afroamericani. Non c’è argomento, e non c’è sito o giornale o dibattito tv che non sia in America di parte, schierato politicamente. E irriducibile allo schieramento avverso, politico o di opinione. L’opinione pubblica è opinione politica, pregiudiziale: l’evento è presentato sulla base del pregiudizio politico. |
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (493)
Giuseppe Leuzzi
“Nel regno della mafia”, Napoleone
Colajanni, è già titolo del 1900 – Napoli 1900. L’Italia è nata con la mafia
attaccata.
In un’annotazione dell’ottobre 1954, che
pubblicherà nel “Diario di un borghese”, Ranuccio Bianchi Bandinelli lamenta
“il ritornello: Orgoselese delinquente”. Perché, dice, porta “a una
riflessione e constatazione assai grave: che l’attuale governo sta applicando a
poco a poco a tutta l’Italia la stessa mentalità rozzamente colonialistica, con
la quale aggrava il fenomeno del cosiddetto «banditismo» orgosolese”.
Ma si può dire di tutti i governi, la
mentalità è sempre colonialistica – con molti “collaboratori volenterosi”.
Vertiginosa sintesi della storia d’Italia
in un capitolo breve della “Geografia e storia della letteratura” di Carlo Dionisotti:
i Vespri Siciliani rilanciano l’opposizione ghibellina per tutta l’Italia,
s’interrompe
il predominio della langue d’oïl, si rafforza il volgare, si fa strada un
accesso diretto, invece che mediato dalle traduzioni francesi, a fonti latine.
Si leggono con disagio le cronache
dell’inchiesta a Roma sulla ‘ndrangheta, sui quaranta o cinquanta arresti ordinati
dai “pm Luciani, Minisci e Musarò, coordinati dagli aggiunti Ilaria Calò e
Michele Prestipino”. Un’inchiesta dunque seria, con cinque giudici a
sostenerla, compreso l’ex vice di Pignatone inventore di Mafia Capitale,
gli arrestati saranno sicuramente mafiosi.
Ma a tutt’oggi, dopo tre settimane, sappiamo
solo di nomi di politici spesi, magari una sola volta, nelle telefonate intercettate.
Di Pirozzi e Alemanno, politici di destra. Mentre Prestipino è del Pd. La mafia
come mezzo?
Sentirsi bene nel dialetto
“È solo ideologia cercare di scavare nei
dialetti chissà quali tesori ancestrali e originari”, sbotta Enzensberger
(“L’Espresso”, 27 ottobre 2005): la giornalaia all’angolo parla il dialetto di
preferenza perché “nel dialetto si sente bene, come a casa propria, punto”.
Ma questo non è poco, è anzi moltissimo:
sentirsi in pace. Il dialetto è fondante. Finché rimane la lingua materna,
certo. Ma perché cancellarlo o sostituirlo? Il bilinguismo è meglio di una
lingua. Oppure no? E comunque insopprimibile, se c’è, è una sorta di imprinting:
gli indiani sono – si sentono – indiani benché da due secoli anglofoni.
Va col dialetto normalmente il regionalismo,
o localismo. È la lingua locale, circoscritta, delle società stabili, e si mantiene
come “costruzione mentale” anche nella società mobile, nomadica, di oggi. Come un
documento sotterraneo di riconoscimento. Ma come una prima ossatura, o una prima
costituzione fisica e logica – loica. Una bardatura anche, è vero, che può
limitare il movimento, sia pure solo psicologico, mentale. Ma è una radice – lo
sradicamento andrebbe rivisto, da troppo tempo è un valore di per sé, senza
esiti buoni visibili: fare il manovale a Lubecca, invece che a Catanzaro, per
la stessa paga oraria, non conviene e anzi costa, e non necessariamente
arricchisce (di cosa nella fattispecie? l’apprendimento forzoso di una terza lingua,
di cui non c’è bisogno, e la consuetudine gravosa al buio e al freddo).
Il dualismo è del costo della vita
“Il Sud subisce ogni anno un consistente
drenaggio di capitale umano”, è la considerazione con cui Dario Di Vico apre lo
speciale Sud del settimanale “7” del “Corriere della sera”: “Tantissimi giovani
meridionali, si calcola il 23 per cento, scelgono il Nord e disertano le università
del Sud”. Si dice, si pensa, perché al Sud non c’è futuro.
Forse. Pesa anche lo scarso investimento nell’istruzione
superiore. Per effetto del reddito basso, o per altre ragioni scusabili, per
esempio il pendolarismo, ma comunque con questo esito, che pesa forse più del
calcolo di Di Vico: la percentuale di giovani di 20-24 anni con un “livello di
istruzione elevato” sul totale di quella classe demografica è al Sud poco più della
metà della media europea (39,4 per cento), con le punte negative della Calabria
(20,3 per cento) e della Sicilia (20,1), calcola il “Country Report della
Commissione Ue sull’Italia della settimana scorsa. Ma di più conta integrarsi
al Nord subito, il prima possibile, dato che il futuro, l’attività, si svolgerà
quattro volte su cinque al Nord.
Le famiglie investono in un’università del
Centro-Nord per fare entrare i figli il prima possibile nel sistema economico settentrionale,
o meglio nel costo della vita settentrionale, entro cui integrarsi (ingegnarsi,
adattarsi, regolarsi). Perché l’Italia ha due costi della vita, benché in un
sistema economico unico: delle abitazioni e degli affitti come dei consumi
quotidiani, alimentari, di trasporto, di abbigliamento - anche se la
distribuzione in questo caso è nazionale, i prodotti sono gli stessi. E il Nord
vale-costa il doppio del Sud.
Si sono abolite le gabbie salariali ed è
giusto, non si può discriminare il salario in base alla regione geografica. Ma è
una misura giusta che però avvantaggia la manualità, e svantaggia-indebolisce
la professionalità – là dove è salariata, stipendiata. Per esempio nel pubblico
impiego, dove, spiega il ministro dei Trasporti Giovannini, a proposito della
Motorizzazione: “Su 320 posti da funzionario messi a concorso”, e vinti, “una
quota consistente ha rinunciato, evitando di prendere servizio, a meno che non
gli fosse indicata una sede al Sud”, un’altra sede da quella di prima destinazione.
Un dipendente pubblico al Sud è un signore, altrove fatica. Avveniva in Emilia-Romagna già trent’anni
fa nella sanità: un infermiere-a del Sud, benché sottoccupato-a o disoccupato-a,
aveva difficoltà a trasferirsi, con contratto a tempo indeterminato, nella
sanità pubblica, perché la paga non copriva, o male, le spese di affitto e
mantenimento. Lo stesso anche a livelli un po’ elevati: un direttore di supermercato
che è un signore a Gioia Tauro, avrebbe qualche problema a Milano, anche a
Crema – problema di status, di decoro, e di capacità di spesa, e risparmio,
anche di sopravvivenza. Più forte è la sperequazione reddito\consumo per lavoratori
autonomi, idraulici, elettricisti, meccanici, pittori, anche informatici, che
si pagano come da Roma in su e spendono la metà, un terzo e un quarto – vivere dove
si è nati ha un costo dell’abitazione zero o minimo.
Si dice che il Sud fugge da se stesso per
mancanza di prospettive, di occupazione, di reddito. Di fatto il Sud è pieno di
occasioni, nella vasta area dell’offerta pubblica, per esempio le infrastrutture,
la sanità, ma anche in quella privata, nell’agricoltura, nella prima agroindustria,
nel commercio, nella rappresentanza e assistenza tecnica. Che sono sfruttate però
male, questo è il fatto: i posti migliori non sono occupati al top della professionalità, raccolgono
anzi gli scarti del mercato nazionale. La migliore si è ambientata da Roma in
su – integrandosi in quel sistema economico-costo della vita per tempo. La
sanità è di scarsa qualità, o l’imprenditoria è debole, per questo motivo,
perché ci sono due Italie economiche, due livelli di costi della vita.
Se il trasporto costa più del prodotto
Si ordini in Sicilia, o in Calabria, anche
in Puglia, frutta o altri vegetali di basso valore aggiunto, arance, mandarini,
limoni, di qualsiasi specie, anche prodotti di qualità, locali, patate, riso, anche
prodotti di prezzo unitario elevato, vino, olio, si pagherà di spedizione quasi
sempre più che per il prodotto. Anche se, per lo più, genuino: fresco, bio
eccetera. La distanza dai mercati penalizza l’agricoltura di buona parte del Sud
– anche della Sardegna, s’immagina – che soprattutto primeggia in agricoltura,
e nell’incipiente agroindustria.
È un handicap cui non si pensa, e che
andrebbe superato con intervento pubblico – non si può chiedere al piccolo produttore
di investire in una grande distribuzione o un costoso immagazzinamento. Tanto
più che sono produzioni il cui valore aggiunto è in larga proporzione il
fresco. Ma è l’ultima cosa cui i poteri pubblici locali pensano. Investono molto
e volentieri in viaggi promozionali e in pubblicità, si spera solo per insipienza, senza ristorni mascherati, ma
non in una struttura distributiva che serva da supporto, per il Centro-Italia, per
il Nord-Italia, magari per il Nord-Est e per il Nord-Ovest.
Ma tutto questo, poi, è una mancanza
atavica, una distorsione mentale, il lascito di qualche dittatore cattivo, oppure
una mancanza, e a questo punto una colpa? Anche privatamente, fra camere di commercio
o fra associazioni di produttori, si potrebbe creare una struttura distributiva
a ridosso dei grandi mercati di consumo. Non è (sarebbe) difficile.
Il primo problema del Sud, si direbbe, non
è la mafia, è la politica.
Migrazioni ordinarie
“Lei non sembra meridionale” è il
complimento faticoso che tocca nei percorsi bizzarri dell’emigrazione – la
quale è un fatto corrente, non è un’eccezione e in fondo mai nemmeno una condanna
o una punizione: emigriamo sempre, di poco o di molto.
Piccoli e neri – s’intende questo per meridionale
– se ne trovano ovunque, e forse in più gran numero fuori del Meridione. Se i
connotati sono razziali, specie le connotazioni lombrosiane, bisogna dire che
le razze sono molto mescolate.
Quanti romani non si trovano in Romania,
antichi romani? E quanti francesi - galli (celti) o normanni (vichinghi) - in
Italia. Un censimento non si può fare - forse col dna. Ma guardandosi in giro è
un’evidenza. Ci saranno anche più Normanni in Sicilia, Calabria e Puglia che in
tutta la Normandia, perché no – o più Normanni in Sicilia, Calabria e Puglia
che Arabi.
Mentre a Roma si fanno gli italiani, quel
sangue misto che è l’Italia di oggi. Una città di vecchie comunità, anche latine
i primi tempi, ma poi più definitamente ebraica, marchigiana, umbra,
senese-grossetana, e ora anche calabrese e abruzzese, e un po’ di ogni dove –
quanti valtellinesi a Roma, nel primo Novecento facevano loro il commercio
alimentare, e hanno ancora la loro banca, in ogni quartiere e sotto-quartiere.
Calabria
La Polizia ha una struttura internazionale apposita per la ‘ndrangheta:
Ican, Interpol/Italia cooperation against 'ndrangheta. Finanziata con 4,5
milioni, l'anno. Una struttura d’eccellenza, ricca, una delle poche – l’unica?
– dedicate dallo Stato alla Calabria.
Ma il suo ideatore, il vicecapo della Polizia prefetto Rizzo,
capo anche della Criminalpol, non sa che Rocco Morabito non e stato arrestato
in un grotta dell’Aspromonte (che non ha grotte) ma in Sudamerica, dalle
polizie sudamericane. E non è “capo indiscusso della 'ndrangheta”, che si
caratterizza per essere acefala – o avere molte teste.
Sapere di che si parla non risolve ma fa buona impressione –
in Calabria non quadra mai nulla.
Capita di dover ascoltare in due distinti
locali conversazioni fra amici che progettano le vacanze. In Calabria, dove però
ci sono già stati. Tutti perplessi, e anzi negativi - è gente supponente, è
tutto sporco, non funziona nulla, manca l’acqua, hanno luoghi bellissimi è un
peccato che ne siano i padroni. Però, ci sono andati, e probabilmente ci tornano. Perché costa poco? Ma neanche questo è più vero. La fama – l’immaginazione
- può superare la realtà. O è viceversa?
Capita invece spesso, a Roma, d’incontrare
professionisti, medici, avvocati, qualche artigiano, ebanista, sarto, di
origine calabrese, che non la nega, e volentieri dice dove e quando, ma
“personalmente” dichiara di non averci più a che fare. Sempre per un motivo:
corruzione, imbroglio, inefficienza, non esclusa la violenza. Tutti vittime in
Calabria? Di chi?
Ciò – la disaffezione - contraddice la
calabresità. Una delle tante -ità (napoletanità, sicilianità), le psicologie
sociali spicciole che caratterizzano il Sud. Che forse avrebbero bisogno di un ripasso:
molta emigrazione è volontaria.
Proust calabrese? Analizzando la madeleine,
il biscotto di Proust (“un biscotto panciuto e friabile”), il recupero casuale
di esperienze e sensazioni remote, Giacomo Debenedetti lo spiega così (“Il
romanzo del Novecento”, 374): “A questi ritorni Proust dà il nome di
«intermittenze del cuore». Questo riaffiorare di ricordi in virtù di un associarsi
di sensazioni è un fenomeno di esperienze comuni, non è stato certamente Proust
il primo a provarlo e a descriverlo. Un nostro vecchio filosofo calabrese, che
visse e lavorò a Napoli nei primi decenni del secolo scorso (dell’Ottocento,
n.d.r.), e fu tra l’altro un pioniere dello studio di Kant in Italia, Pasquale
Galluppi insomma, ha legato il suo nome a una legge empirica di psicologia, la
quale accerta che una serie o un sistema di immagini tende a riprodursi per
intero quando ce ne sia richiamata una parte allo stato di immagine sensoria”.
Ma Galluppi, chi era costui? Galluppi peraltro, testimonia Debenedetti, e non Bergson, cone dicono i proustologi.
leuzzi@antiit.eu