sabato 11 giugno 2022
Farsa putiniana
Al quinto giorno il prefetto Gabrielli, sottosegretario a palazzo Chigi alla
sicurezza della Repubblica, si accorge che un dossier segreto (non declassificato)
dei servizi segreti è stato fornito domenica al “Corriere della sera”. Che ne
ha fatto ampio uso. E minaccia – il prefetto – la massima severità contro chi
ha divulgato il dossier, presentandolo come una spiata sulle opinioni di
politici, accademici e giornalisti: “Non esiste un Grande Fratello in Italia,
una Spectre”, ha tuonato tra Orwell e 007, “nessuno vuole investigare sulle
opinioni delle persone” - “il fatto stesso che un documento classificato sia
stato diffuso è una cosa gravissima e nulla rimarrà impunito”. E la cosa fa
riflettere.
Pasolini si racconta
“Nel mare io mi
rifugiavo, come in una non vita, un mio segreto benessere”, a totale arbitrio
del Pasolini bambino e ragazzo. Delle tre prose qui raccolte, del 1949-1950,
non pubblicate in vita, la più importante (rivelatrice) è senz’altro l’ultima,
“Operetta Marina – il “romanzo” del titolo è importante per altri motivi, come
primo tentativo di usare la terza persona, e di rappresentare, per quanto
flebilmente, la “diversità” sessuale. Scritta al modo di Proust. Con un omaggio
a Rimbaud, di cui riporta “Enfance” per intero, “la più incantevole
Illuminazione”, la seconda. Completa il libro un’altra più breve memoria, “Un
articolo per «Il Progresso»”.
Le prime prove
(“forme aurorali” le dice Naldini, che ha curato l’edizione postuma) del
discorso indiretto libero. E di vicende, ambienti e personaggi narrati
attraverso gli occhi e il linguaggio del mondo popolare. Con l’omosessualità
sempre sofferta, anche quando era ignota, in queste prose del 1949-1950 come
negli ultimi anni, autore affermato e personaggio nazionalpopolare. Ci sono
anche, settant’anni fa, le “riforme di struttura” – niente cambia.
“Un articolo per
il «Progresso»” è un primo tentativo, molto prima di Calvino, di raccontare una
vicenda elettorale, tra i manifesti murali della Dc contro la candidata di
sinistra, “la signora profetessa” – era una professoressa. Ma è un appunto,
benché in bella copia: un racconto che inizia e non finisce. “Operetta marina”
è un esercizio di memoria infantile, scritto alla maniera di Proust. Con la
constatazione sorprendente, per lo stesso Pasolini, del bambino che in terza
elementare dichiara alla madre: “Quando sarò grande farò il poeta e il capitano
di marina”. Un esercizio in autofiction, dell’infanzia e la prima
adolescenza, a Cremona e a Sacile, nelle scuolette e le scorribande. Prova
generale, a Cremona, del romanzo a venire: le periferie, i ragazzi, le marrane,
le scarpate, “stracci di erbe acquatiche, luride, scompigliate”, “prati golenali”,
“cocci scottanti”, “bruciati steri”. Qui col “fratellino Guido”, menzionato un
paio di volte. E con “le brucianti inquadrature della Tragedia del Bounty
e dei Capitani coraggiosi”, il film d Frank Lloyd con Charles Laughton,
Clark Gable e Franchot Tone, e quello di Victor Fleming con Spencer Tracy e il
piccolo Freddie Bartholomew.
Il mare è stato
l’orizzonte del narratore fino a tardi, fino a Bologna, all’università. Quello
“omerico” a Cremona”, quello “salgariano” a Sacile, quello “virgiliano” di Scandiano
e Reggio, poi di Bologna. Poi basta: “Finito il Liceo fui per iscrivermi
all’Accademia Navale di Livorno; mi iscrissi invece alla facoltà di Lettere” -
il ruolo del padre, militare di carriera, riaffiora, come sempre innominato,
socievole ma estraneo. “Operetta marina” è parte, spiega Naldini, doveva essere
parte di un progetto vasto, “Per un romanzo del mare”,.
Salgari, De
Amicis, “Cuore” sono porte aperte, come in tutte le vite giovani dell’epoca. Ma
del mare c’è già una lettura “pittorica”, sulle immagini del museo Navale di
Amsterdam. Di più però, di fatto, il ragazzo è già terragno, nell’evocazione di
Sacile, della madre, delle amiche Irene e Pinella. È marino da “piccolo
italiano”, con limiti: Yanez, Sandokan, Kammamuri e Tremal Naik sì, la fantasia
li accende, e basta, “leggevo controvoglia Verne, e odiavo Conrad”.
Il racconto del
titolo è più strutturato, è un romanzo. È la storia di un prete giovane al suo
primo incarico pastorale, parroco di un paesino del Friuli. Dove scopre la
povertà e il bisogno. E la tentazione, nelle forme di un ragazzo - nella
maniera d’essere e di porsi del giovane contadino. Che condivide con il
federale del Partito, giovane anche lui, ma più solido. Turbamenti che si
penserebbe platonici, e invece no. Cesare, il ragazzo del giovane prete, è per lui
“puro mistero, un mistero senza segreti”. Lo stesso, coi pantaloni dell’anno
prima, aderenti, è “qualcosa di impuro”. E la Bibbia, aperta a caso, dove
rimanda? “A «restare nella carne», amare con la carne, evidentemente” – peggio:
“Mi baci col bacio della sua bocca”. Interverrà l’esilio, per evitare lo
scandalo – il racconto è di una passione irreprimibile e non punibile – con l’emigrazione.
Che se allontana il peccato non interrompe la passione.
È bizzarro come la
sessualità problematica venga inquadrata da Pasolini dapprima nella funzione
discente, scolastica o politica – probabile riflesso della sua vicenda personale
(o i turbamenti omoerotici si configurano in quelle specifiche forme, come
avverrà poi per Cohn-Bendit, maestro pederasta, lui non turbato?) I primi
fremiti si integrano su materiali dal vero, commissionati a vecchi amici,
emigrati, artigiani, operai, cui lo scrittore chiede diari di vita vissuta, di
esperienze – una pratica che Naldini documenta, attraverso la corrispondenza,
in un paio di casi. Il racconto popolando di mondi mitizzati, e in fermo
immagine, come figurine di vasi greci.
Pier Paolo
Pasolini, Romàns, Guanda, pp. 198 € 12
Le prime prove (“forme aurorali” le dice Naldini, che ha curato l’edizione postuma) del discorso indiretto libero. E di vicende, ambienti e personaggi narrati attraverso gli occhi e il linguaggio del mondo popolare. Con l’omosessualità sempre sofferta, anche quando era ignota, in queste prose del 1949-1950 come negli ultimi anni, autore affermato e personaggio nazionalpopolare. Ci sono anche, settant’anni fa, le “riforme di struttura” – niente cambia.
“Un articolo per il «Progresso»” è un primo tentativo, molto prima di Calvino, di raccontare una vicenda elettorale, tra i manifesti murali della Dc contro la candidata di sinistra, “la signora profetessa” – era una professoressa. Ma è un appunto, benché in bella copia: un racconto che inizia e non finisce. “Operetta marina” è un esercizio di memoria infantile, scritto alla maniera di Proust. Con la constatazione sorprendente, per lo stesso Pasolini, del bambino che in terza elementare dichiara alla madre: “Quando sarò grande farò il poeta e il capitano di marina”. Un esercizio in autofiction, dell’infanzia e la prima adolescenza, a Cremona e a Sacile, nelle scuolette e le scorribande. Prova generale, a Cremona, del romanzo a venire: le periferie, i ragazzi, le marrane, le scarpate, “stracci di erbe acquatiche, luride, scompigliate”, “prati golenali”, “cocci scottanti”, “bruciati steri”. Qui col “fratellino Guido”, menzionato un paio di volte. E con “le brucianti inquadrature della Tragedia del Bounty e dei Capitani coraggiosi”, il film d Frank Lloyd con Charles Laughton, Clark Gable e Franchot Tone, e quello di Victor Fleming con Spencer Tracy e il piccolo Freddie Bartholomew.
Il mare è stato l’orizzonte del narratore fino a tardi, fino a Bologna, all’università. Quello “omerico” a Cremona”, quello “salgariano” a Sacile, quello “virgiliano” di Scandiano e Reggio, poi di Bologna. Poi basta: “Finito il Liceo fui per iscrivermi all’Accademia Navale di Livorno; mi iscrissi invece alla facoltà di Lettere” - il ruolo del padre, militare di carriera, riaffiora, come sempre innominato, socievole ma estraneo. “Operetta marina” è parte, spiega Naldini, doveva essere parte di un progetto vasto, “Per un romanzo del mare”,.
Salgari, De Amicis, “Cuore” sono porte aperte, come in tutte le vite giovani dell’epoca. Ma del mare c’è già una lettura “pittorica”, sulle immagini del museo Navale di Amsterdam. Di più però, di fatto, il ragazzo è già terragno, nell’evocazione di Sacile, della madre, delle amiche Irene e Pinella. È marino da “piccolo italiano”, con limiti: Yanez, Sandokan, Kammamuri e Tremal Naik sì, la fantasia li accende, e basta, “leggevo controvoglia Verne, e odiavo Conrad”.
Il racconto del titolo è più strutturato, è un romanzo. È la storia di un prete giovane al suo primo incarico pastorale, parroco di un paesino del Friuli. Dove scopre la povertà e il bisogno. E la tentazione, nelle forme di un ragazzo - nella maniera d’essere e di porsi del giovane contadino. Che condivide con il federale del Partito, giovane anche lui, ma più solido. Turbamenti che si penserebbe platonici, e invece no. Cesare, il ragazzo del giovane prete, è per lui “puro mistero, un mistero senza segreti”. Lo stesso, coi pantaloni dell’anno prima, aderenti, è “qualcosa di impuro”. E la Bibbia, aperta a caso, dove rimanda? “A «restare nella carne», amare con la carne, evidentemente” – peggio: “Mi baci col bacio della sua bocca”. Interverrà l’esilio, per evitare lo scandalo – il racconto è di una passione irreprimibile e non punibile – con l’emigrazione. Che se allontana il peccato non interrompe la passione.
È bizzarro come la sessualità problematica venga inquadrata da Pasolini dapprima nella funzione discente, scolastica o politica – probabile riflesso della sua vicenda personale (o i turbamenti omoerotici si configurano in quelle specifiche forme, come avverrà poi per Cohn-Bendit, maestro pederasta, lui non turbato?) I primi fremiti si integrano su materiali dal vero, commissionati a vecchi amici, emigrati, artigiani, operai, cui lo scrittore chiede diari di vita vissuta, di esperienze – una pratica che Naldini documenta, attraverso la corrispondenza, in un paio di casi. Il racconto popolando di mondi mitizzati, e in fermo immagine, come figurine di vasi greci.
Pier Paolo Pasolini, Romàns, Guanda, pp. 198 € 12
2
venerdì 10 giugno 2022
Problemi di base bellicosi 2 - 701
spock
La guerra è regolata dal diritto, dove, quando?
La storia comincia dalla guerra?
Dall’“Iliade”, per esempio?
Si muore e si uccide in guerra, e che altro?
Sarà la guerra un genere sbagliato, poiché è maschile?
Ma si combatte tra paesi per lo più al femminile?
spock@antiit.eu
La Cina non è contenta
Il blocco delle esportazioni alimentari dell’Ucraina colpisce anche la
Cina. La Cina è il maggior mercato dell’Ucraina. Di importazione - come per tutti
i paesi del mondo. E di esportazione, più della Russia prima della guerra, e
della Germania, per il 15 per cento del totale in valore.
È la Cina il maggior acquirente singolo, probabilmente, delle granaglie
ucraine. Principalmente granturco (1,4 miliardi di dollari), più orzo, luppolo,
etc. E olii di semi (un miliardo), specie soia. Per un valore doppio, la Cina,
2,5 miliardi di dollari, la Cina si riforniva in Ucraina di minerali di ferro e
tubi in ferro.
Il mancato rifornimento ora a causa della guerra può non incidere sull’economia
cinese, sui consumi alimentari, ma è un fastidio, e può spiegare il relativo
mutismo cinese sulla guerra – la Cina ha bloccato la condanna della Russia in
consiglio di sicurezza all’Onu, ma non ha detto e non ha fatto di più.
I dessous dell’Ucraina
Come mai l’Ucraina, ricca di istruzione, di miniere e di fabbriche, nonché
da sempre granaio del mondo, è un paese povero – classificato “povero” nelle
statistiche internazionali? Dei paesi ex sovietici è quello che è migliorato
meno nei trent’anni di libertà – meno del Kazakistan, per dire, o della stessa Bielorussia,
che pure non sono modelli, né sociali né politici, né hanno più risorse
naturali. Perché è un paese corrotto: non si può dire oggi che è in guerra, aggredita
dalla Russia, ma bisogna saperlo.
Il pil ucraino, di 150-155 miliardi di dollari prima
dell’invasione, collocava il paese al 58mo posto nella graduatoria mondiale per
valori assoluti – nei dati della Banca Mondiale. E al 107mo posto per pil pro
capite. È – era – il paese più ricco dell’ex Urss, dopo la Russia e il
Kazakistan, ma anche il più povero in termini di pil pro capite: meno della
metà della Bessarabia, un terzo del Kazakistan.
Si sono fatti molti scioperi, dopo l’indipendenza. Nel Donbass e nelle
altre aree industriali: semplicemente perché i lavoratori non venivano pagati.
Si sono fatte molte “rivoluzioni arancioni”. Che si suppongono della
“società civile” per le riforme. Ma non in Ucraina: sono state sempre “rivoluzioni”
organizzate da oligarchi contro governi eletti – nella migliore delle ipotesi da
affaristi contrari ad altri affaristi. Schematizzati come pro-europei o filorussi,
ma per comodo. E con molti soldi occidentali, di filantropi americani e altri
di fonte non dichiarata.
In tempi normali sarebbe stato difficile per l’Ucraina
accedere all’Unione Europea. Benché già legata alla Ue dal 2017 dall’Accordo di
Associazione e Libero Scambio, che liberalizzò i visti. Alla vigilia dell’invasione, il Fondo Monetario aveva sospeso l’avvio (con
una tranche da 700 milioni di dollari) di uno Stand by Arrangement del giugno
2020, l’accordo per un prestito di 5 miliardi di dollari, in attesa di “rassicurazioni
sul progresso nella realizzazione delle necessarie riforme, in particolare nei
settori della giustizia ed energetico, nonché nella lotta alla corruzione”.
Non si può dire, c’è la guerra, ma bisogna saperlo. L’Ucraina è anche in Europa
l’unico Paese a celebrare una festa fascista.
C’era una volta l’Italia
Pomicino,
il “Geronimo” di molte cronache politiche del “Giornale” di Feltri e Berlusconi,
già ministro del Bilancio negli anni 1990, fedelissimo di Andreotti, ci ha
preso gusto. Dopo “Strettamente riservato” e dopo “La Repubblica delle giovani
marmotte”. A smantellare la Seconda Repubblica - o Terza, o Quarta che si
voglia, tanto non si sa che cosa sia. “Controstoria della seconda Repubblica” è
il sottotitolo. Con una ricetta semplice: dice quello che i secondi
repubblicani non dicono, ma che tutti hanno visto e vedono. Il mercimonio delle
banche e aziende pubbliche, spezzettate e svendute, lo stato pietoso dei
servizi nel mercato libero, a vent’anni o trenta dalle privatizzazioni, al
telefono, nelle assicurazioni, in banca. In un’economia allo sbando: ogni anno
perde posizioni, nel mercato mondiale e in quello europeo. Senza investimenti,
e quindi non più competitiva - la produttività stagnante è il segno della
Seconda Repubblica, l’Italia segna il passo da venticinque anni buoni. Con una
disoccupazione reale enorme: l’Italia è il paese europeo con il più basso tasso
di occupazione (persone al lavoro rispetto al totale della popolazione), dieci
punti sotto la media continentale – era la quinta o quarta economia mondiale
prima del colpo di stato di Di Pietro, Borrelli&Scalfaro. Sotto un debito
pubblico triplicato rispetto al 1991, a prima del diluvio.
Un po’ questo terzo libro
morde poco, rispetto ai primi due. Dove c’era la scena in cui Borrelli fa
blocco con i suoi armigeri, “i giornalisti”: il Procuratore Capo di “Mani Pulite”, quando Carlo Sama comincia a
nominare giornalisti, lo blocca con un liquidatorio: “Per quello che ci
risulta, si tratta di giornalisti con i quali Sama aveva appuntamenti di
lavoro” - Sama era l’“ufficiale pagatore” del sistema di tangenti collegato
all’affare Enimont, per conto del gruppo Ferruzzi. O la vera storia della
“discesa in campo”. Berlusconi temeva il fallimento a opera del sistema
Mediobanca, di Enrico Cuccia e i suoi salotti milanesi, e per proteggersi entrò
in politica. Dapprima come patrocinatore, subito dopo, al concretizzarsi delle
minacce, da capopopolo. Fu tenuto a galla da due banchieri marginali al
sistema, Luigi Fausti della Commerciale, che per questo pagherà, e Cesare
Geronzi dell’allora Banca di Roma, che Andreotti proteggerà dai fulmini
milanesi – Cuccia scese a patti con Andreotti. E la morale finale: con la
politica Berlusconi evitò la sorte dei Ferruzzi, un impero dissolto dai salotti
buoni nel nulla, col suicidio del capo azienda, Raul Gardini.
Molto peraltro Pomicino
qui si occupa di fatti correnti, come un qualsiasi opinionista (tratta pure della
“buona morte”), dopo un avvio brillante. Prefato da Ferruccio de Bortoli, che
certamente non è sulla stessa linea d’onda di Pomicino - e lo scrive. Ma sa
qual è la chiave di volta della Seconda Repubblica: la svendita della manomorta
pubblica. Anche se sembra avere, a tratti, la memoria corta, anche lui.
Pomicino
apprezza Draghi, anzi lo ritiene indispensabile, e lo scrive in un capitolo –
senza Draghi l’Italia in questa legislatura non sarebbe andata da nessuna
parte. Giusto. Ma la parte migliore dei suoi ricordi riguarda le
privatizzazioni piratesche, dei grandi enti economici, delle grandi banche e delle
grandi aziende pubbliche – roba da oligarchie postsovietiche: chi ha potuto ha
arraffato. Cui ha presieduto Draghi, direttore generale del Tesoro. Alcuni gruppi
sono riusciti a sopravvivere e anzi a rilanciarsi, molto competitivi sui
mercati internazionali – caratteristicamente quelli in cui lo Stato è ancora
socio di controllo: Eni, Enel, Finmeccanica, Fincantieri. Altri invece sono crollati
a picco: molte banche, specie dopo l’eliminazione di Antonio Fazio dalla Banca
d’Italia, la Sip-Stet, gruppo allora d’avanguardia, che privatizzato e spolpato
sopravvive da “salvataggio” in “salvataggio” (con la piùbassa velocità internet in Europa, appena 50 o 60 Mbps), la siderurgia, la meccanica (Ansaldo,
Breda, Galileo, Nuovo Pignone…), Autostrade, l’alimentare (quanti marchi
svenduti, per niente).
Paolo
Cirino Pomicino, Il grande inganno, Lindau, pp. 217 € 18,50
giovedì 9 giugno 2022
Ombre - 619
Si pubblica un dossier dei servizi segreti sui filo-russi nei media italiani, sul più grande giornale italiano, con molto spazio e molti nomi, e non succede nulla. Nessuno si scandalizza, che i servizi segreti italiani spiino dei giornalisti, che magari dicono le cose sbagliate, ma perché è il loro mestiere, dire le cose.
Non si scandalizza nemmeno il governo, anche se lo scoop di Sarzanini e Guerzoni – della manina che ha dato loro il dossier segreto - è diretto contro Draghi. Una tagliola in vista del dibattito sulla guerra di giorno 21. Si dice servizi segreti in Italia ed è sempre una questione di intrighi, a cominciare dal piano Solo – quante volte saranno stati riformati da allora, una dozzina? Perché non risparmiare? Si sono fatti fare la guerra alla Libia, che era un feudo italiano, e ne hanno letto sui giornali.
Fa senso lo schieramento del Pd, fino a Fazio e la Littizzetto, e della Rai del Pd Fuortes, contro i referendum sulla giustizia. Fa senso non per i referendum, si possono avere pareri diversi e contrari, ma perché su nessun’altra questione il Pd è così unito e impegnato, i giovani senza lavoro, per esempio, l’inflazione, la pulizia delle strade dove governa. E s’impegna contro i referendum non per una questione di giustizia ma di potere - di avere più potere tra i giudici.
Medvedev, l’ex
presidente russo, economista mite, diventa una belva contro l’Occidente e gli
Occidentali: “Li odio tutti!”, urla su Instagram. Odioso. Ma nessuno si chiede
come sia arrivato a tanto - non richiesto. O si domandi se non si prospetti continuatore di Putin - se Putin è effettivamente in fin di vita, come vogliono le spie inglesi.
Elon Musk che
minaccia di ritirare l’opa su Twitter se Twitter non fornisce la cifra, o la stima,
degli account falsi è liquidato come il furbastro che si è pentito di avere
offerto 45 miliardi e vuole tirarsi indietro. Ma Twitter non fornisce i dati
richiesti, questo è il fatto. Che sarebbe una notizia – il dato non è marginale,
per gli inserzionisti pubblicitari con tutta evidenza, e per l’“informazione”
social.
Vince e convince
l’Italia senza un solo juventino. E allora sorge il dubbio se un allenatore può
reprimere, invece di mettere in valore, i giovani: Bernardeschi, Kean - per non
dire di Dybala, che preferisce andare all’Inter per meno soldi. Dopo Spinazzola,
che è dieci volte meglio di Alex Sandro, ma è stato ceduto in cambio di Luca
Pellegrini, che era il miglior terzino sul mercato e dopo un anno di Juventus
nessuno vuole. O viceversa, di allenatori che sanno fare ottimo uso dei
calciatori e migliorarli, Lorenzo Pellegrini, Cristante, Spinazzola.
Il “Corriere della
sera” presenta il docufilm che Rondolino ha dedicato a Berlinguer, come al
“politico più amato dalla sinistra italiana”. Che invece ha sbriciolato e
distrutto. Basti il pensierino che a Berlinguer dedicava vent’anni fa uno dei
suoi successori, Piero Fassino. Assomigliandolo “a un campione di scacchi che
sta giocando la partita più importante della sua vita”: la partita dura ormai
da molte ore “e guardando la scacchiera il campione si accorge che con la
prossima mossa l’avversario gli darà scacco matto. Come evitarlo? Morendo un
attimo prima: “In fondo, la tragica fine risparmia a Berlinguer l’impatto con
la crisi della sua strategia politica”.
Ma è sempre l’ora
di Berlinguer. Si vende anche la scorta di Berlinguer, la scorta di polizia,
che Luca Telese riesce a scrivere e l’editore del “Corriere della sera” a
promuovere evidentemente con profitto. Non c’è stato il regime ma ci sono i
nostalgici.
“Insonnia?”,
chiede il medico. “”No! Non riesco a dormire perché mia moglie russa”. “Non lo
dica! Se lo scopre il Copasir sono guai!”. È la vignetta di Giannelli sul
“Corriere della sera” martedì. Il Copasir fa ridere, sono quattro parlamentari
che non sano fare altro, se non chiacchierare. Ma il. dubbio sorge che i servizi
segreti, o di intelligence come ora usa dire, non siano da più – da meno?
Possibile che sula guerra forniscano al Copasir solo scemenze? Non da ora, da almeno
dieci anni, da quando si fecero fare la guerra in Libia da Hillary Clinton e
Sarkozy, due geni della politica.
Grillo consiglia i
grilli a tavola”. Sembra uno scherzo, e invece è la politica italiana.
Grillo consiglia i
grilli a tavola soprattutto per i bambini – per divertimento? E allora gran dibattito
tra nutrizionisti, chef e personalità, della politica, dello spettacolo.
La Ue decide l’embargo contro il petrolio russo e il
giorno stesso l’Opec+, cioè l’Opec più la Russia, aumenta la produzione. Come
sarebbe a dire, perché la Russia aumenta la produzione?
Vince Johnny Depp contro l’ex moglie Amber Heard, per colpe evidenti, e il “New Yorker”, subito imitato da “la Repubblica”, stabilisce che il Tribunale, presieduto da una donna, ha condotto il procedimento per affossare #metoo e scoraggiare le denunce di violenza sessuale. Invece di dire, come sembra ovvio, che danneggiano i diritti delle persone oltraggiate le denunce infondate. Questa Heard riceveva cani e porci a casa, si ubriacava e picchiava il marito. Che non è simpatico, ma che vuol dire?
Luciano Violante ricorda nelle presentazioni del suo ultimo libro che nella seconda metà degli anni 1960 fu assistente di Aldo Moro. Per il quale, si può anche ricordare, allora segretario della Dc e\o presidente del consiglio, fu creata una cattedra di Diritto Penale, o Procedura di DP, a Scienze Politiche. Un corso di studi che fin’allora, e dopo di allora, non si è occupato di penale. Ma era Scienze Politiche a Roma, dove Moro voleva la cattedra – essendo a Giurisprudenze i corsi di penale già occupati.
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Sinistra sinistra
Andrà a finire male
Non si può sapere come andrà a finire sul campo (non ci sarà – non ci può essere
– una vittoria militare, è impensabile un governo ucraino che accetti la mutilazione
di un quarto, o un terzo, del territorio) ma già si sa che molte cose sono
cambiate con l’attacco della Russia. Per la Russia stessa, in Europa, e in Asia.
Il mercato delle fonti di energia è già
rivoluzionato. Il maggiore e meno caro fornitore di petrolio e gas naturale
dell’Unione Europea era la Russia, che ora non lo sarà più. Nella transizione a
nuovi approvvigionamenti i prezzi cresceranno, e prevedibilmente, sua base dei
costi di produzione, resteranno elevati. Lo stesso per i cereali, e le
granaglie in genere, di cui la Russia è grande esportatrice – insieme con l’Ucraina,
la cui produzione resterà comunque fuori mercato per molto tempo.
In generale, la Russia sarà considerata a lungo estranged dall’area e dalla politica europea – isolata,
con la sola Bessarabia al suo fianco. Questo anche nel caso che l’Ucraina (e la
Georgia, e altri paesi che si sentano minacciati dalla Russia), non entrino
nell’Unione Europea e\o nella Nato.
Ci sarà un rallentamento della crescita
economica mondiale, più incisivo e forse anche più duraturo che per effetto del
covid. Anche perché la ripresa in uscita dal covid era già minata dall’inflazione,
nei due grandi mercati di consumo della globalizzazione Stati Uniti e Ue.
L’Unione Europea rimarrà definitivamente minoritaria
nel concerto delle Grandi Potenze, a questo punto ristretto a Stati Uniti e
Cina. Senza la sponda russa, e anzi con la Russia ostile, è solo un largo mercato.
Ancora ricco ma a sviluppo limitato. E senza autonomia, né di sicurezza né
monetaria.
Cronache dell’altro mondo – giudiziarie (191)
San Francisco ha fatto un referendum per cacciare il Procuratore Capo,
Chesa Boudin, che aveva appena eletto
due anni fa come più libertario in una città libertaria: figlio di terroristi
dei Weathermen, o Weather Undergorund Organization, collaboratore di Hugo
Chavez, fautore delle carceri aperte, della depenalizzazione dei furti, e della
demobilitazione della polizia. Naturalmente i furti e le rapine si sono
moltiplicate, come anche gli assassinii, e gli stessi suoi elettori di sinistra
hanno promosso un referendum per rimuoverlo. Che hanno votato al 60 per cento.
Un centinaio di atlete di ginnastica artistica fanno causa all’Fbi, la
polizia federale, per un miliardo di dollari, per non essere state protette dalle
molestie sessuali che avevano denunciato. Il caso riguarda uno degli allenatori
delle atlete, Larry Nassar. Denunciato a suo tempo da alcune di esse, e dalla
federazione della ginnastica artistica, a Indianapolis e a Los Angeles, senza
effetto. Nassar è stato perseguito solo successivamente, in Michigan.
La Procura di Manhattan, che ha istruito il caso Epstein,
del miliardario che procurava agli amici minorenni, voleva chiudere in bellezza
processando il principe inglese Andrea. Ma la regina Elisabetta, senza apparire,
ha chiuso la vicenda pagando la donna che accusava il figlio. La stessa Procura,
pur in cerca di personaggi celebri, ha invece evitato di coinvolgere l’ex
presidente Bill Clinton, uno dei più assidui ai parties di Epstein.
L’ora del giornalismo
Una serie che si annuncia d’eccezione, storica
ma ricostruita con acume, negli ambienti, nella politica, nella Palermo dei
tardi anni 1950 – che si vede poco, ma si sente molto: i primi due episodi,
regista Piero Messina (gli altri vedranno alla regia Ciro D’Emilio e Stefano
Lorenzi), sembrano abbracciare anche l’intera città, pur girate in quattro soli
ambienti, chiusi. Con una cura particolare per gli attori, per i personaggi evocati
– sulla traccia dei ricordi di Giuseppe Sottile, che nel quotidiano sbarcherà
una quindicina d’anni dopo: tutti scelti con appropriatezza, e funzionali,
caratterizzati.
Il nuovo direttore mandato dal Partito (la persona
evocata è Vittorio Nisticò) in un giornale di partito che non vende e non paga
gli stipendi, decide che invece di “ridurre i costi” (licenziare) bisogna fare
giornalismo, cronaca. Dapprima forzando i giornalisti stessi, stanchi galoppini
politici. Palermo s’incarica di dargli ragione
– la cronaca non manca.
“L’Ora” di Palermo è stato un giornale
soprattutto politico. La serie ha scelto di privilegiare il giornalismo, una funzione
che “L’Ora” ha svolto anche egregiamente: è una iniezione di cui oggi più che
negli anni 1950 si sente la mancanza.
Piero Messina, L’Ora – Inchiostro contro piombo,
Canale 5
mercoledì 8 giugno 2022
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (494)
Giuseppe Leuzzi
Il divario cresce con la Repubblica 1 - lo stato
dell’arte
La mostra al Maxxi di Roma del grande
fotografo veneziano Gianni Berengo Gardin, in attività per sessant’anni, dai
secondi anni 1950, “L’occhio come mestiere”, mostra curiosamente che nelle campagne e nei borghi non c’era grande
differenza di condizione e stato dell’arte fra le diverse aree come oggi. Fra
le mondine di Vercelli e le falciatrici lucane, per esempio, tra il borgo
semiabbandonto toscano e l’analogo siciliano. La differenza è cresciuta – è
nata? – negli anni della Repubblica, post-boom anni 1960.
Si spiega in questa chiave anche il leghismo. Che non nasce con
l’unità, è una sopravvenienza – Milano era diversa prima, riformista, quasi
giacobina.
Il divario cresce con la Repubblica 2 - niente ricerca
al Sud
La graduatoria dei dipartimenti
universitari di eccellenza, appena resa nota dall’Anvur, l’Agenzia Nazionale di
Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, per la suddivisione di
1,3 miliardi di contributi statali, lascia in corsa 350 dipartimenti dei quasi
800 che avevano fatto domanda di accesso ai fondi – i quali verranno suddivisi,
dopo una ulteriore scrematura, fra 180 dipartimenti: come dire un dipartimento su
cinque in concorso. È un concorso astruso, nel senso che non sono noti i
criteri di valutazione, e non sono spiegate le graduatorie. Meglio, il criterio
di valutazione c’è, si chiama Ispd, Indicatore Standardizzato di Performance
Dipartimentale, che però lascia senza parole per l’elusività – è leggibile sul sito
Anvur: non ci si capisce niente. E l’Anvur si rifiuta di spiegarlo.
Che c’entra il Sud? Il concorso ha un
precedente, del 2017, i cui esiti il sito roars.it è riuscito a procurarsi
malgrado la segretezza. Scoprendo che il miliardo e trecento milioni di cinque
anni fa sono andati ai dipartimenti universitari del Nord, con l’eccezione della
Liguria, con l’esclusione praticamente dei dipartimenti del Sud. Le percentuali
sono altissime, per alcune regioni del Sud, dei dipartimenti giudicati a Ispd
zero: in Sicilia per il 51 per cento, uno su due, in Puglia il 39, che pure ha
università emerite, come Bari e Lecce, in Calabria, sede della prestigiosa
Unical, il 32 per cento, in Sardegna il 26. Mentre l’inverso si registra per i
dipartimenti del Nord: nessun dipartimento escluso in Veneto, Trentino-Alto
Adige e Umbria, in Emilia-Romagna solo l’1 per cento, il 2 per cento in Piemonte, il 5
in Friuli-Venezia Giulia.
All’apparenza una discriminazione. Che però
non è un sospetto: lo conferma l’assoluto diniego, sia dell’Anvur che del Miur,
di spiegare i criteri della scelta. Cioè l’assoluta non trasparenza della
valutazione. Di cui si capisce l’arbitrarietà leggendo appunto l’Ispd, l’Indice su cui
l’Anvur avrebbe effettuato le valutazioni – una lettura senza senso, forse uno
scherzo.
Uno scandalo talmente grossolano che se ne
fa bandiera perfino Gian Antonio Stella, colonna antisudista del “Corriere della
sera” – lo stesso che lo stesso articolo ieri su questa storia chiude al veleno, con i “corsi
siciliani” di formazione (nulla a che vedere con le università) “per «baristi
acrobatici» o esperti di merletto macramè” (e oggi si riproduce imputando alla
Regione Sicilia - cioè, sottintende, alla corruzione - l’impoverimento relativo dell’isola nel
dopoguerra: nel 1951, “quando sulle Madonie grandi auto e grandi piloti si
contendevano la Targa Florio, l’intero Pil siciliano era un ottavo di quello
italiano, oggi è un ventesimo. Come mai? Lo sanno tutti”): “È mai possibile che
su 119 dipartimenti esclusi per «Zero tituli», per dirla con Mourinho, ben 72
siano nel Sud e nelle isole? Con la Sicilia che arriva a 25 stroncature
avvilenti, cioè quasi il doppio di tutto il Nord messo insieme”.
L’abuso, curiosamente insindacabile in un
governo che si presume parlamentare, potrebbe essere politico. Come l’energia
(Eni, Enel, Eena, etc.), la ricerca (Cnr, Anvur, Miur, Infn, etc.) è saldamente
democristiana, con la breve parentesi di Fabio Mussi al Miur nel secondo breve
governo Prodi, 2006-2008. Con prevalenza Pd rispetto ai vecchi Dc poi
berlusconiani: con le infaticabili Moratti, Gelmini, Massa, Carrozza, et al.
E allora è una manovra, una delle tante, per riconquistarsi il Nord
leghista-berlusconiano. Oppure è semplicemente un riflesso condizionato, di
tecnocrati pazzi che si nascondono sotto ricette segrete – l’Ispd, va ripetuto, merita una
lettura. Comunque una pratica talmente scandalosa, contestabile sia in sede
amministrativa che penale, da meritarsi una denuncia non da Palermo o da Bari,
dagli esclusi, ma da Pavia. Da un ordinario di Modelli e Analisi dei Dati, il
professore Giuseppe De Nicolao. Originario di Padova, di famiglia bellunese.
De Nicolao è un esperto del settore,
animando dal 2013 un osservatorio sui “ritorni” degli investimenti scolastici e
per la ricerca, al sito roars.it. Dove parla di “alchimie numerologiche
pseudoscientifiche”.
Un altro Sud
La Francia avrebbe tutti i titoli per una
“questione meridionale”. Da sempre uno Stato accentrato e accentratore, a
fronte, al Sud, di una lingua diversa e una cultura complessa, provenzale, italiana,
spagnola. L’Occitania era più che un’utopia per Simone Weil, parigina, ancora
nel 1942. Il movimento occitano è stato effervescente ancora negli anni
1970-1980.
La storia è diversa. La Francia, Stato
continentale, arriva tardi e svogliato al Sud. Del divario economico non si cura - ma in Francia è più forte col Nord (quello di “Benvenuti al Nord”, il
film cult che in Italia è diventato “Benvenuti al Sud”, come a dire sempre
“strano”, diverso). Ma non c’è stato vittimismo e non c’è nemmeno revanscismo.
Il Sud della Francia ha avuto anche le mafie, negli anni 1950-1960 i “Marsigliesi”
dominavano il malaffare in Europa. Se ne è liberata. Ha rifatto Marsiglia –
letteralmente, l’ha ricostruita a parte. Il Sud ha i suoi usi, perfino la corrida,
e le sue fabbriche. Si sa gestire. E non ha bisogno di polemizzare.
Nel primo Rapporto Censis sulla Transizione
Ecologica, in tutte le quattro categorie di centri urbani rilevati, Citta
metropolitane, Province con più di 500 mila abitanti, Province tra i 300 mila e
i 500 mila abitanti, e province con meno di 300 mila abitanti, per il contesto
Imprese (“investimenti green dal 2016 a oggi”) vengono per prime le province
meridionali. Messina, Reggio Calabria e Bari per le Città metropolitane.
Taranto, Salerno e Foggia per il secondo gruppo. Catanzaro, Trapani e Potenza
per il terzo. Nuoro, Crotone e L’Aquila per il quarto.
Il tessuto industriale naturalmente è
debole, in queste come nelle altre province meridionali, e l’incidenza di
queste aziende nel complesso nazionale resta minimo. Però, gli indici certificano
che non sono le idee né l’iniziativa che difettano al Sud, insieme con l’aggiornamento,
con l’attenzione a come il mondo va, cioè l’essenza dell’imprenditoria: intelligenza
e iniziativa. Manca il complesso, difficile da creare e far maturare in un
mercato globale, le cui “catene di valore”, catene produttive, portano sempre più
lontano. E manca l’infrastruttura – fare rete, averne i mezzi: manca la politica,
il governo pubblico dell’economia, sia pure nell’aspetto minimo, comunicazione
(stradali, ferroviarie, digitali), burocrazia intelligente, scuole, sanità.
Il grottesco del Sud
A 31 anni, appena
diventata un nome nella letteratura americana, Flannery O’Connor deve difendersi
in un saggio, “Alcuni aspetti del grottesco nella letteratura meridionale” (poi
incluso in “Mistery and Manners”, la raccolta tradotta come “Un ragionevole uso
dell’irragionevole”, non più disponibile – l’originale si può leggere online),
dal “grottesco” di essere etichettata meridionale, in quanto scrittrice. Anche perché
il southern si lega in America, alla degeneracy,
alla perversione: “Quando ho cominciato a scrivere, la mia speciale bête
noire era questa entità mitica, la Scuola della Perversione Meridionale. Dovunque
sentivo di Scuole della Perversione Meridionale”.
Collocata dai
critici nella “scuola” del “grottesco meridionale” (Poe, Faulkner) o della “degenerazione
meridionale” (Truman Capote, Carson McCullers), Flannery O’Connor reagiva.
Anche se la connotazione è – era all’epoca, 1960 – un segno di distinzione, nella
generale piattezza delle lettere americane: “Critici
e lettori…. associano il solo materiale legittimo dei romanzi al movimento
delle forze sociali, al tipico, alla fedeltà ai modi come le cose appaiono e
avvengono nella vita normale”. Solo che, se si tratta di uno scrittore del Sud,
la sua normalità è, “in senso peggiorativo, il grottesco”. Commentando,
caratteristicamente: “Naturalmente, ho scoperto che qualsiasi cosa viene dal Sud
sarà chiamata grottesca dal lettore settentrionale, a meno che non sia
grottesca, nel qual caso sarà chiamata realistica”.
Ma, fuori dell’irritazione, con affascinanti
intuizioni. “Ogni qualvolta mi si chiede perché gli scrittori del Sud hanno la
tendenza a scrivere di freaks, di personaggi strani, rispondo che è
perché siamo ancora capaci di riconoscerne uno. Per essere capace di riconoscere
un personaggio strano devi avere qualche concetto dell’insieme uomo, e al Sud
il concetto generale dell’uomo è ancora, nel complesso, teologico. Questa è una
vasta affermazione, ed è pericoloso farla, perché qualsiasi cosa sulla fede al
Sud può essere negata al prossimo con la stessa giustezza. Ma approcciando
l’argomento dal punto di vista dello scrittore, penso sia possibile dire che,
mentre il Sud è difficilmente Cristo-centrato, è quasi certamente
Cristo-ossessionato. Il meridionale che non ne sia conscio, ha comunque paura di
poter non essere stato formato nell’immagine e somiglianza di Dio. I fantasmi
possono essere molto feroci e istruttivi. Fanno strane ombre, particolarmente
nella nostra letteratura. In ogni caso, è quando il freak può essere sentito
come una figura per il nostro spiazzamento essenziale che raggiunge qualche
profondità in letteratura”.
O ancora: “Lo scrittore meridionale è obbligato
da tutti i punti di vista a estendere il suo sguardo oltre la superficie, oltre i meri
problemi, finché non tocca il mondo che è il tema di profeti e poeti”.
È il piccolo segreto di Camilleri, che è
sfuggito al cappio delle mafie. Pur scrivendo (prevalentemente) dei polizieschi,
in terra di mafia.
leuzzi@antiit.eu
Petrobufale
Grande edizione, con apparati più lunghi dei
testi, rilegata, in formato gigante, da grande classico. Con sgomento reiterato
di Walter Siti, onesto curatore. E “pezze d’appoggio”, i materiali su cui
Pasolini lavorava, che ne dicono la difficoltà, trattandosi – volendosi - il
romanzone documentario, un romanzo-verità. Sono articoli di giornale. Su e
contro Cefis, che si era fatto manager-padrone di Montedison, allora grande
cosa a Milano, che “Milano” (banche e giornali) non gradiva. Su Girotti, che
nessuno sa chi sia ma era il successore e longa manus di Cefis
all’Eni, finché non tentò di fargli le scarpe in Montedison – e con ragione:
come Eni, doveva colmare ogni anno le perdite multimiliardarie di Montedison
senza contare niente. E sulle liti di Girotti con Francesco Forte, l’economista
ora deceduto, nominato vice-presidente Eni per “lottizzazione” politica
(Girotti era fiero democristiano, come tutto nel mondo dell’energia, sarà anche
senatore Dc, Forte era nominato dal partito Socialista), che Girotti in un
organigramma memorabile collocò in una pagina a sé, casella solitaria, e senza
alcuna incombenza – una vice-presidenza che distrusse il brillante economista
lombardo: Roma, dove scese a vivere da solo, lo ubriacò, lo si incontrava la
sera a piazza Navona o Campo dei Fiori, solitamente ubriaco anche lui.
Franco Fortini, “Io, tu e
Pier Paolo”, “L’Espresso” 7 dicembre 1986, la recensione dell’epistolario
1940-1954 curato da Nico Naldini, seppure sempre apocalittico, ha ragione nella
sostanza:
“Per innovare il discorso
critico su Pasolini, la pubblicazione degli epistolari, degli inediti, e delle varianti
serve a poco, fuorché alla chiacchiera universale” – e si può immaginare cosa
ne avrà pensato all’uscita di “Petrolio”, affrettata, raffazzonata, sei anni
dopo. Una pubblicazione scandalistica, ma in sé più che per i contenuti che
esibisce. Arbasino
ne scrisse a lungo urtato, malgrado l’amicizia personale, dalla violenza insistita
del “romanzo” (trattamento? bozza? appunti), e dalla ricerca editoriale di un succès
de scandale con l’esibizione degli “atti impuri”: “Ripete molte volte «il
glande», che sembra un verdura desueta o un frutto della Quercia con necessità di
note filologiche”.
Questo per la filologia, e sarebbe già
abbastanza per chiudere il libro. Ma “Petrolio” ora si vuole vendere come la
soluzione dei “misteri italiani”, dei lunghi terribili anni 1970, seguiti
all’Autunno Caldo del 1969 a partire da piazza Fontana. E la cosa è bizzarra –
diminuisce molto il Pasolini civile, dantesco, degli ultimi suoi tempi.
La riedizione insiste su un capitolo rubato. Né
Naldini a suo tempo né ora Siti sanno nulla di capitoli rubati, o di Eni. Ma
Carla Benedetti e “L’Espresso” tipicamente vi insistettero all’epoca della
prima pubblicazione. Basandosi sul giudice Cali, uno che ha passato la sua vita
in magistratura a intessere ipotesi sulla
fine di Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni. E ipotizzando che il cosiddetto
capitolo mancante – c’è la copertina, “Cefis”, non c’è niente dentro – fosse
“basato”, scriveva Benedetti su “L’Espresso”, “su uno strano libro, «Questo è Cefis»,
pubblicato nel 1972 con lo pseudonimo di Giorgio Steimetz dall’Agenzia Milano
Informazioni, di Corrado Ragozzino” – che è Steimetz? “Finanziato da Graziano Verzotto”,
che Benedetti e Calia definiscono “amico di Mattei”, mentre non lo era: Verzotto
era uno dei tanti veneti maneggioni in Sicilia, definito “l’uomo dei misteri”
in morte, che a un certo punto fuggì all’arresto rifugiandosi a Beirut, “amico
di Mattei” (che non aveva “amici”) per sua peculiare fabulazione. Mentre Cefis
aveva all’Eni come uomo di fiducia, presso giornali e partiti, che lui
personalmente disdegnava, Franco Briatico, una Grande Democristiano che
finanziava il “Manifesto” – che però da ultimo ebbe qualche dissapore con Cefis,
poiché Cefis non l’aveva voluto con sé alla Montedison, come era nelle
ambizioni di Briatico.
Avendo lavorato con queste persone in quegli
anni, a partire dal fatidico 1968, si può testimoniare che le “agenzie” erano
una miriade, in funzione di ricatto, per uno o più “abbonamenti” (milioni di
lire), altrimenti scatenavano “campagne stampa”. Il problema vero che ponevano
era che bisognava spulciarle ogni giorno, o quando uscivano, perché erano
specialisti di quelle che oggi si chiamano fake news, allora “voci”
o “boatos”. Erano opera di qualche carabiniere a riposo, e di informatori veri
o presunti dei servizi segreti, persone che avrebbero ambito a esserlo, carabinieri
e\o agenti segreti, un po’ come il vigilante è tipicamente quello che voleva
essere poliziotto, e facevano sospettare di poter essere espressione o massa di
manovra di servizi segreti – il che non era impossibile, i servizi in Italia
erano e sono opera di basso giornalismo.
Contro Cefis le “agenzie” si scatenarono quando
passò dall’Eni alla Montedison - che Cefis attraverso l’Eni si era comprato.
Manager certamente poco accomodante, un ex ufficiale dell’esercito che l’8
settembre era passato con la parte giusta, che fu facile trasformare in agitatore
di complotti – insieme con Carlo Pesenti, che oggi invece si celebra come grande
democratico, e con Attilio Monti, un petroliere (della raffinazione) che era
padrone dei giornali del Centro Italia. A opera degli stessi servizi di
(dis)informazione che invece sono stati dietro a molte tragedie dell’Italia in
quegli anni – i cd “servizi deviati”. Alla Montedison Gioacchino Albanese, che
Cefis si era portato dietro dall’Eni invece di Briatico, ritenne di non dover
più stare al ricattino delle “agenzie” – anche perché aveva a disposizione il
“Corriere della sera” (il “Corriere della sera” di Ottone, di cui Pasolini era
la star), che Montedison pagava per conto dello squattrinato Angelo Rizzoli. E
Cefis divenne il complottatore universale – presto del tutto dimenticato quando
riconobbe il suo fallimento alla Montedison e abbandonò la scena. Un “romanzo”
costruito sul niente, sulle chiacchiere?
Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Garzanti,
pp. 828, ril. € 28
martedì 7 giugno 2022
Letture - 492
letterautore
Architetto – Si vuole dominatore
degli spazi, cioè voluminoso? Mezzo secolo di critica dell’architettura
Novecento, detta fascista, piacentiniana, inutilmente grandiosa, con dispendio
enorme di energia, per il riscaldamento e per il raffreddamento. Dopodiché
l’architettura contemporanea, per esempio a Roma il Maxi di Zara Hadid e l’Ara
Pacis di Richard Meier si segnalano unicamente per lo spreco di spazio, per incapsulare
volumi enormi i spazi vuoti, a nessun effetto, né pratico né visivo, se non per
il dispendio che richiedono incommensurabile per il riscaldamento e per il raffreddamento.
Botteghe Oscure – È il top delle riviste letterarie per la
scrittrice americana Flannery O’Connor
nel 1960 (“Some Aspects of the Grotesque in Southern Fiction”): “Puoi
pure pubblicare i tuoi racconti in ‘Botteghe Oscure’, non sono per niente
buoni”. Intende dire in America – il lettore di “carcere federale, o manicomio
statale, o casa-albergo locale dei poveri, che vi scriverà che non avete servito i
suoi bisogni”.
Però: il lettore in America scrive(va) ai suoi autori?
Chautauqua – Robert M. Pirsig
fa “chautaqua” ogni tanto nel suo libro di viaggio “Lo Zen e l’arte della
manutenzione della motocicletta”. Chautauqua, dal nome del lago sopra New York,
era la rappresentazione dei cantastorie indiani che giravano il paese a dorso
di cavallo e in ogni remoto villaggio, sotto la tenda, parlavano di tutto
all’impronta. Tra fine Ottocento e primo Novecento un Circuito Chautauqua portò
la cultura nell’America remota, seppure sempre dell’America urbana. Pirsig si
rappresenta le posizioni dei suoi compagni di viaggio, il figlio e una coppia
di amici, per meglio capirne le reazioni.
Classico-Romantico – Sono “maschile”
e “femminile” nella vecchia dicotomia di “Fedro”, alias di Pirsig quando faceva
il filosofo logico, prima del ricovero in clinica psichiatrica che lo ha
normalizzato. Una distinzione a cui però Pirsig, pur criticandola, non rinuncia
da savio, in “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, 1974, un quindicennio
dopo la discussione sulle “due culture”, irriducibili, l’umanistica e la tecnico-scientifica,
al § 6 della Parte Prima: “Un’intelligenza classica guarda al mondo
primariamente come la sua forma sottostante. Una romantica lo vede
primariamente in termini di apparenza esteriore”. Una differenza che Pirsig
diventato savio spiega in termini di differente lettura di un disegno di meccanica,
per esempio, o di schema elettronico: “Il modo romantico è primariamente
ispirato, immaginativo, creativo, intuitivo. Predominano le sensazioni piuttosto
che i fatti. L’“Arte”, quando è opposta alla “Scienza” è spesso romantica. Non
procede dalla ragione o da leggi. Procede per sentimenti, intuizioni e
coscienza estetica. Nelle culture Nordeuropee il modo romantico è solitamente
associato con la femminilità…. Il modo classico, al contrario, procede dalla
ragione e da leggi – che sono esse stesse forma sottostanti di pensiero e comportamento.
Nelle culture europee è primariamente un modo maschile, e i campi della scienza,
della legge e della medicina non attraggono le donne primariamente per questo
motivo. Benché andare in moto sia romantico, la manutenzione della moto è
puramente classica”.
Ora i campi non allontano o attraggono per
sesso – attraggono o allontanano per opportunità, di guadagno e di carriera
(potere). Sono cambiati i campi o sono cambiati i sessi?
Do – È il “do” che sostituisce l’“ut” della
scala originaria di Guido D’Arezzo, anno Mille, e non il viceversa: non è l’uso
francese – che tuttora ha l’“ut” al posto del “do” – che sostituisce l’uso
“italiano”. La notazione di Guido, “Micrologus”, fu cambiata in Italia nel
Cinquecento da Giovanni Battista Doni, probabilmente dalla sillaba iniziale del
suo cognome.
Grottesco – È “il vero stile
anti-borghese” di Thomas Mann – non figura tra i suoi detti celebri, ma è anche
ovvio: è anti-convenzionale.
È però la cifra di Thomas Mann, di tutti i
racconti, compreso “Morte a Venezia”, e probabilmente il “Doctor Faustus”.
Anche “Tonio Kroger”, e lo stesso “I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia” si
potrebbero leggere in questa chiave - benché, allora, prolissa: il grottesco è
rapido, anche fulmineo. Non epica: il romanzo borghese non è epico, e allora in
qualche modo è grottesco, anche Proust, anche Flaubert – soprattutto Proust e
Flaubert, i due romanzieri super della borghesia.
Forse è qui la differenza con i romanzieri sussi, della nobiltà (Tolstoj), della ribellione (Dostoevskij), e della semplicità (Turgenev, Cechov).
Intellettuali
chierici –
Sono stati chierici i maggiori letterati del Tre e Quattrocento, nota
Dionisotti alle pp. 61- 64 della “Geografia e storia della letteratura”: Petrarca
e Boccaccio, Alberti e Poliziano. Una condizione di privilegio intellettuale e
pratico – alla qualifica erano legati benefici (rendite, pensioni).
Il concilio di
Trento – ancora Dionisotti – fu un concilio di letterati, ma di potere.
Gli intellettuali laici, d’altra parte,
sono soprattutto toscani, sempre secondo Dionisotti, che li valuta in un terzo
del totale.
Hitler – “La Germania, vinta in una guerra imperialista, cercava un Hitler, e l’aveva trovato”, V. Grossman, “Stalingrado”, 2da parte, § 30. Cercava un leader revanscista, però, e ne trovò uno, e un disegno, costruiti sui fallimenti: “Tutte le sue idee furono contraddette dalla storia. Niente di ciò che aveva promesso si realizzò. Tutto ciò che aveva voluto annientare trovò in questa lotta un nuovo vigore, un nuovo soffio”. Hitler come rigeneratore, dunque, nel mezzo delle distruzioni che senza posa architettava.
Latino – Il latino del
tardo Quattrocento è di gran lunga più realistico e popolare della letteratura
in volgare, trova Dionisotti nella “Geografia e Storia della letteratura”: è
nel primo ‘500 che il latino diventa una severa disciplina ciceroniana e
virgiliana – mentre Bembo codificava il volgare.
Più popolare forse no, non era possibile, ma più vivace.
Pasolini – Ebbe una fase proustiana, nel 1951, quando già viveva a Roma. Nel progetto “Per un romanzo sul mare”, poi ridotto, nell’estate del 1950, a “Operetta marina”, un racconto lungo, una cinquantina di pagine, dell’infanzia a Cremona e a Sacile. Inviato nel 1951 al premio Taranto, non fu premiato, “benché giudicato”, scrive Nico Naldini, “«un finissimo racconto proustiano»” – la stessa impressione, netta, si ha senza sapere del premio Taranto leggendo il racconto nei Meridiani: una derivazione trasparente e quasi un’imitazione, quasi un pastiche, genere di cui Proust si dilettava, nelle figurine e il loro mondo, oltre che nella scrittura, benché tessuta di coordinate e non di subordinate.
Poesia cavalleresca – “Genere umilissimo,
tradizionalmente anonimo” – Dionisotti, “Geografia e storia della letteratura”,
158.
letterautore@antiit.eu
Ecobusiness
L’auto elettrica sposta il centro mondiale di produzione dall’Atlantico
all’Estremo Oriente. In termini di minerali necessari alla produzione di batterie
performanti, e di capacità di produzione delle batterie stesse.
Uno studio di Ubs Evidence Lab, laboratorio di analisi del gruppo bancario
svizzero, calcola che con un mercato mondiale dell’auto al 100 per cento
elettrico, la domanda di litio crescerebbe del 3.000 per cento, del cobalto del
2.000 per cento, di terre rare del 655 per cento, di grafite del 524 per cento,
di nickel del 200 per cento. Tutti minerali di produzione soprattutto cinese e
asiatica, oltre che russa. Mentre la domanda di acciaio resterebbe uguale –
meno 1 per cento.
La capacità di produzione delle batterie per auto elettrica più performanti
è al momento quasi totalmente cinese, sudcoerana e giapponese: per il 94 per
cento esattamente. Quattro aziende cinesi hanno il 44 per cento del mercato delle
batterie, in termini di potenza installata. Tre sudcoreane coprono il 32 per
cento del mercato. E tre giapponesi il 18 per cento.
Quant'è cambiata l'Italia
La pregnanza della “narrativa” per immagini
soprattutto, che il fotografo veneziano oggi ultranovantenne esercita con perizia e risultati
duraturi, nelle tematiche, i soggetti, le luci. Sotto un velo di malinconia, di chi sa che sta
facendo testimonianza di realtà periture – specialmente impressionante la
documentazione dei cosiddetti “ospedali psichiatrici” prima della “legge
Basaglia”, 13 maggio 1978, appena quarant’anni fa, poco più.
La visione oggi comparativa che la grande mostra
consente, di reperti tra il 1960 e il 2015, testimonia anche una curiosità:
l’Italia, città e campagne, era nel 1960 molto più uniforme nelle varie aree di
quanto non lo sia oggi, tra metropoli e provincia, tra Nord e Sud.
Gianni
Berengo Gardin, L’occhio come mestiere, Maxxi Roma € 7
lunedì 6 giugno 2022
Il mondo com'è (447)
astolfo
Catòblepa – S’incontra leggendo di Gide il “Viaggio al Congo”, del 1927, un riferimento a un animale mai sentito, catòblepa, che allo scrittore viene in mente trovandosi di fronte a qualcuno che non gli piace – i coloni in genere non gli piacevano, mezzo affaristi e mezzo razzisti: “Mi sento come sant’Antonio che riflette sulla stupidità del catoblepa” – “la sua stupidità mi attira”.
È un animale leggendario, inventato da Plinio il Vecchio e ripreso da Eliano, come di ambito africano, quadrupede, col collo lungo e la testa pesante, che tendeva ad abbassare a terra – donde il nome, che è greco greco: καταβλέπω è “guardo verso il basso, guardo a terra”. Secondo Plinio era dotato di uno sguardo fulminante, un potere che però non esercitava dato che lo trascinava per terra.
A parte Gide, dimenticato. Ma non da Elio e le Storie Tese, nell’album “Italian, Rum Casusu Cikti”, i servi della gleba, del 1992. E da Fabrizio Barca, l’economista che fu ministro per il Sud del governo Monti dieci anni fa, per criticare lo Stato “occupato” dai partiti politici. Memore probabilmente del presidente emerito della Banca Commerciale, nonché mecenate culturale e letterario, Raffaele Mattioli, che nel 1962 parlò di “catoblepismo” a proposito degli intrecci perversi tra industria e banche che avevano portato alla crisi bancaria del 1932 – gli stessi che hanno portato qualche anno peraltro alla crisi delle banche venete, l’Antonveneta e la Popolare di Vicenza, spolpate dai grandi azionisti.
Pacto de olvido – L’accordo tra le forze
politiche e le istituzioni spagnole che ha retto la transizione dal franchismo
alla democrazia è stato abbandonato dopo quarant’anni, nel 2007 da una Legge
della Memoria Storica che condanna il franchismo. Il patto, firmato nel 1977
dal primo governo postfranchista, presieduto da Adolfo Suárez, con le forze
parlamentari, ufficialmente “Patti della Moncloa”, aveva garantito una sorta di
pace civile, ma a aveva anche come cancellato il passato, ma aveva coperto
anche impunità, ancora perseguibili.
Da
inizio millennio varie associazioni erano sorte per un ritorno della memoria.
In particolare la Asociaciόn para la
Recuperaciόn de la Memoria Histόrica, del
sociologo Emilio Silva, per il recupero
dei corpi delle vittime della repressione franchista rimaste senza nome
in fosse comuni. Che è il tema dell ’ultimo film di Almodovar, “Madres
paralelas”. La Ley de
Memoria Histόrica (Ley 52/2007, por la que se
reconocen y amplían derechos y se establecen medidas a favor de quienes
padecieron persecución o violencia durante la guerra civil y la dictadura), che
pone fine alla tregua, è stata approvata nel dicembre del 2007.
Nel contempo il governo spagnolo, presieduto dal socialista
Zapatero, annunciava di voler rivedere restrittivamente il Concordato firmato
nel 1979, nel quadro del “parto de olvido”. Mentre, però, il Vaticano di papa
Giovanni Paolo II procedeva a una rivendicazione di “resistenza” contro le
persecuzioni della Repubblica spagnola, e poi delle milizie durante la guerra
civile. Nel nome dei tanti trucidati solo per essere chierici o anche solo
fedeli della chiesa, preti, frati, suore, e anche giovani laici.
La domenica 28 ottobre 2007 papa Woytiła proclamò beati 498
“martiri” spagnoli, vittime della seconda Repubblica (1934) e della guerra
civile (1936-37): due vescovi, 24 sacerdoti diocesani, un diacono, un
suddiacono, un seminarista (di sedici anni, aspirante salesiano), sette laici,
e 462 membri di congregazioni religiose – in prevalenza agostiniani (98),
domenicani (62) e salesiani (59). In alcuni casi vittime di stragi – la più
numerosa al convento dei Carmelitani di Toledo: all’inizio della guerra civile,
nel luglio 1936, i miliziani presero il convento e uccisero a uno a uno i 16
religiosi che lo abitavano.
Il governo Zapatero fece finta di nulla, mandando a Roma, per la
beatificazione in piazza San Pietro, il ministro degli Esteri, Angel Maria
Moratinos. Ma quella era l’ultima cerimonia di beatificazione di vittime della
guerra civile in Spagna di una serie che Giovani Paolo II aveva voluto: altre
undici l’avevamo preceduta, con la beatificazione di 465 religiosi e civili
spagnoli uccisi dai miliziani.
Alla cerimonia del 28 ottobre 2007 in piazza San Pietro
presenziava anche il deputato socialista, e uno degli autori della Legge sulla
Memoria che andava allora in votazione, José Andres Torres Mora, il cui prozio,
il diacono ventiquattrenne Juan Duarte Martin, era stato protagonista nella
stampa spagnola della precedente beatificazione: il giovane, di Malaga, era
stato torturato nel luglio del 1936 dai miliziani con scariche elettriche,
perché rinnegasse la fede e gridasse viva il comunismo!” – così recitava la
causa di beatificazione della Conferenza Episcopale spagnola (un dossier di 500
pagine). Torture a cui il giovane invariabilmente rispondeva: “Viva Cristo
Re!”.
Waffen SS – Le SS
combattenti, inquadrate nella Wehrmacht, furono in grande parte costituite da
volontari, dei paesi occupati – tra essi molti ucraini, il precedente che è
all’origine della prima propaganda russa, il curioso appellativo di “nazisti”
riferito agli ucraini che Mosca stava attaccando.
C’erano mezzo
milione di stranieri, dai baltici ai turcomanni, nella Wehrmacht e le SS alla
fine della guerra. Nel ‘44, a guerra praticamente perduta, su
910 mila Waffen SS, oltre la metà erano non tedeschi – con una larga
partecipazione anche dei “tedeschi etnici” (Volksdeutsche), le popolazioni
tedescofone di Romania, Repubblica Ceca, Jugoslavia – non dei Volksdeutsche di
Russia, che stanno sul Volga, quindi sono venuti a contatto con l’esercito
tedesco.
Combattenti regolarmente inquadrati: ai sopravvissuti la
Germania Federale ha pagato le pensioni di guerra, con complesse procedure –
eccetto che ai polacchi e agli ucraini, i cui rispettivi governi non hanno
attivato la procedura per opportunità politica. E regolarmente operativi, anche
se alcuni gruppi si distinsero in operazioni di polizia, contro gli ebrei, con esecuzioni
in massa (i baltici), e nella caccia ai partigiani (ucraini), anche in Italia,
ma specialmente in Russia.
Il fatto non è
molto studiato, e le cifre che se ne danno sono approssimate. Tuttavia, danno
un’idea del volontariato europeo a fianco della Germania di Hitler. Queste le
cifre considerate più attendibili dei volontari:
Olandesi 50.000
Cosacchi
50.000
Lettoni 35.000
Ucraini
30.000
Estoni
20.000
Italiani:
20.000
Croati:
20.000
Serbi:
15.000
Belgi:
14.000
Bielorussi
12.000
Danesi
11.000
Francesi
8.000
Norvegesi
6.000
Volksdeutsche (per regione di origine)
Ungheria
80.000
Cecoslovacchia
45.000
Croazia
25.000
Europa
occidentale 16.000
Romania
8.000
Polonia
5.000
Serbia
5.000
Baltici
e ucraini vennero impiegati anche sul fronte russo. Con meno fortuna i baltici
contro Leningrado, con più successo gli ucraini al Centro-Sud, dove stavano per
attraversare il Volga e dilagare fino agli Urali – la battaglia di Stalingrado.
Volontari oppositori della Russia di Stalin, i baltici e gli ucraini, più che
per vocazione fascista (ma in Ucraina questa componente resta forte): i piani
di Stalin avevano prodotto spopolamento e perfino la carestia nell’ubertosa
Ucraina. L’Ucraina si segnalò anche per avere dato una svolta alla campagna di
reclutamento volontari delle SS, candidandosi in numero elevato - i russi
dicono in 300 mila, dieci volte il numero che si considera attendibile degli
effettivi ucraini. Inoltre, resta forte in Ucraina il reducismo, anche a
distanza di due e tre generazioni, dei nostalgici di Hitler. Il 28 aprile, con
Kiev ancora sotto le bombe russe, alcune centinaia di persone (trecento secondo
il “Jerusalem Post”) hanno sfilato al centro della città, in una “Marcia del
Ricamo”, per celebrare il 78mo anniversario della fondazione della 1ma Galizia,
la 14ma divisione Waffengrenadier delle SS. Una celebrazione annuale, insieme
con simpatizzanti tedeschi, tenuta gli anni precedenti a Leopoli. Fino al 2000,
quindi dieci anni dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, la professione di
fascismo era proibita anche in Ucraina. Quell’anno i partiti nazionalisti
ottennero il riconoscimento di “eroi della patria” per alcuni
collaborazionisti, contro l’“imperialismo sovietico”.
I volontari
venivano inquadrati nelle SS, i volontari dei territori occupati, essendo una
forma di reclutamento e formazione che la Wehrmacht non contemplava. La campagna
SS di reclutamento in Europa occidentale, benché immediata, già nel 1940, e consistente,
non fu di grande successo. Tuttavia, la prima formazione fu composta, nel 1942,
la Nordland, con volontari norvegesi e danesi. L’Olanda fornì due legioni,
Flandern e Niederlande. Altre legioni furono fornite dai volontari belgi, la
Wallonie, ungheresi, e croati. La legione ucraina fu la N.1.
Col Piano Generale
per l’Est Hitler aveva pianificato nel ‘42 l’espianto degli slavi, polacchi,
ucraini, bielorussi e cechi, in buona parte amici dei tedeschi, destinazione la
Siberia. Questione di principio, di razza: con i semiti e i latini i tedeschi
disprezzano gli slavi. Senza distinzioni, tra russi e polacchi per esempio, o
tra i polacchi e i semplici “russi rossi” della Galizia e dei Carpazi. Gli
stessi russi che molto si aspettavano dai tedeschi, Stalin non eccettuato. Poi
andò diversamente.
astolfo@antiit.eu
L’11 Settembre a Ostia
Un gioiellino dell’autore
di “Fatherland” (Hitler ha vinto la guerra) - che poi sarà il grande narratore,
da superlatinista, di Cicerone in tre volumi e di Pompei - qualche giorno dopo
l’11 Settembre. È l’autunno del 68 a.C, il porto di Ostia, al cuore dell’impero
romano, l’unico del Mediterraneo, viene occupato e bruciato, la fotta consolare
distrutta, due senatori eminenti presi in ostaggio, con i loro addetti e le scorte
armate.
Non è l’unico déja
vu. Gli attaccanti non sono avanguardie o emissari di nessuna potenza
straniera, nessuno oserebbe sfidare Roma in casa. Sono battitori liberi - i frustrati
della terra li dice Harris con le parole di Mommsen, in linguaggio
pre-fanoniano: “I dannati di tutte le nazioni, uno stato piratesco con un peculiare
spirito di corpo”.
Una curiosità e insieme
un ammonimento: il terrorismo non ha posto nella storia, per quanti morti e
distruzioni faccia.
Roobert Harris, Pirates
of the Mediterranean, “The New York Times, free online
domenica 5 giugno 2022
Secondi pensieri - 484
zeulig
Anticonformismo – O dello
spirito critico. Un valore associato con l’individualismo, e insieme con
l’apertura al diverso e al nuovo, quindi politicamente progressista o di
sinistra. Ma questa si identifica più propriamente col movimento delle masse,
con le masse, oggi come ieri, anche se il concetto di massa è passato dall’indistinto
e innominato a un pulviscolo o agglomerato di non-esistenze, seppure
individualizzate: tutti insieme, dello stesso avviso a pena di scomunica, col
comunismo ieri come con Greta oggi, o il woke, il politicamente
corretto, il postumano. E lo spirito critico conformista?
È una contraddizione, e può spiegare la crisi della politica – dell’antica
funzione della politica, che era, è, pedagogica. Si vede in particolare con la critical
theory americana, che propone una revisione storica radicale, dell’America
non come rifugio e esercizio della libertà, ma di oppressione, degli indiani
prima e poi degli schiavi. Di un anticonformismo radicale. Che si scontra però
con quello ancora incumbent del Mayflower, dei Padri Pellegrini, tutti
più o meno eredi dei dissenter.
Oppure è segno – la contraddizione - che l’anticonformismo è
totalitario, non tollera dissenso. Che sarebbe una contraddizione al quadrato, lo
spirito critico si vuole liberale e libertario.
Fede – Non per sé, anzi come mancanza e come
bisogno, è nel Millennio problema (rifugio: dubitare è già ammettere) di molti
agnostici e atei. Scalfari in Italia che si parla col papa, Woody Allen per
tutti, che con Monda sul “Robinson” si diverte a ribaltare i suoi aforismi negativi
più noti: “Purtroppo… nei momenti più belli sento quello che W.H.Auden ha definito il suono in lontananza di un
tuono durante il picnic. Ma, voglio ribadirlo, non significa che la vita non sia
degna di essere vissuta”. O anche, ricordando un suo sketch di “Io e Annie”,
in cui due vecchiette in casa di riposo si lamentano, una del mangiare che fa
schifo, e l’altra del fatto che lo schifo lo servano “in piccole porzioni”:
“Essenzialmente è così che io guardo alla vita: piena di solitudine, di
miseria, di sofferenza, di infelicità e disgraziatamente dura troppo poco”. Che
a 87 anni si può ritenere non più il gusto del paradosso.
Resta la negazione: “L’esistenza quotidiana è …. un brutto affare
concepito senza il nostro consenso che genera costantemente dolore”. E per
finire la vecchia differenza tra la “religione istituzionale” e “il credo personale,
che non ho ma che rispetto” – “ho conosciuto molte persone che cercano nella
religione qualcosa che dia senso all’esistenza e renda costanti e compiute le
bellissime emozioni che ogni tanto proviamo tutti, ma ci sembrano solo oasi nel
deserto della vita”.
Un “bisogno non razionale” da che cosa viene? Dall’abitudine non si
direbbe, il letterato o artista non lo è in quanto smagato?
Forza – È psichica. “I fisici,
nei loro calcoli pratici, si permettono di non tenere conto della forza infinitesimale
con la quale una pietra attira la Terra, senza negare per questo la legge della
gravitazione universale” – V. Grossman, “Stalingrado”, 2da parte, § 30.
Paranormale - Non solo Conan Doyle,
anche Kipling nello stesso periodo, primissimo Novecento, e nello stesso luogo,
Londra, navigava tra telepatia, medianismo, possessione. La lunga bonaccia
vittoriana si chiudeva con una sorta di positivismo del soprannaturale.
Scienza – È fantasmatica?
Non c’è differenza fra chi, indiani o europei, credeva ai fantasmi e l’uomo
moderno: così l’argomentazione del “filosofo pazzo” Robert Maynard Pirsig, in “Lo
Zen o l’arte della manutenzione della motocicletta”, un romanzo. Il romanzo è
preceduto dall’avvertenza: “Quanto segue si basa su cose accadute… Tuttavia,
non dovrebbe essere correlato in alcun modo con quel grande corpo di precise
informazioni rispondenti alla pratica ortodossa Zen buddista. Non è neanche molto
preciso sulle motociclette”. Ma l’argomentazione non è per ridere, come si
suppone. Pirsig ci credeva, e lo spiega anche, persuasivamente – poiché ha avuto
l’esaurimento nervoso, è stato in clinica psichiatrica, dove è stato curato con
l’elettroshock (“ventotto sedute di elettrodi di annichilazione artificiale”
aveva contato sornione), non gode di credibilità, ma il ragionamento fila:
“L’intelletto dell’uomo moderno non è superiore. I quozienti d’intelligenza non
sono molto diversi. Quegli indiani e uomini medievali erano altrettanto intelligenti
quanto noi, era il contesto dentro il quale pensavano che era differente. In
quel contesto di pensiero, fantasmi e spiriti erano altrettanto reali quanto
atomi, particelle, fotoni e quanti lo sono per l’uomo moderno”.
“Le leggi della fisica
e della logica…il sistema numerico… il principio della sostituzione algebrica.
Questi sono fantasmi. Solo che noi ci crediamo così fortemente che sembrano reali”.
Si può obiettare
che le “leggi” esistono, di fisica o di logica, solo che vanno scoperte,
riconosciute. Ma anche questo è contestabile: “Sembra del tutto naturale
presumere che la gravitazione e la legge di gravitazione esistevano prima di
Isaac Newton… Ma, quando ha cominciato questa legge a operare? è sempre
esistita?.... Prima dell’inizio della terra, prima che il sole e le stelle
fossero formati, prima della primordiale generazione di qualcosa, la lege di gravità
esisteva? Lì seduta, senza massa sua propria, senza energia sua propria, in mente
di nessuno perché non c’era nessuno, non nello spazio perché non c’era lo
spazio, né altrove, questa legge di gravità esisteva?... Se questa legge di gravità
esisteva, onestamente non so che cosa una cosa deve fare per essere nonesistente”….
“Il problema, la
contraddizione con cui gli scienziati si confrontano, è quella della mente.
La mente non ha materia né energia ma essi non possono sfuggire al suo
predominio su qualsiasi cosa facciano. La logica esiste nella mente. Non mi
sconvolge che gli scienziati dicano che i fantasmi esistono nella mente, è il solamente
che mi interessa. Anche la scienza è soltanto nella mente, solo che
questo non la fa cattiva”….
“Le leggi della
natura sono invenzioni umane, come i fantasmi. Le leggi della logica,
della matematica sono anche invenzioni umane, come i fantasmi. L’intera
benedetta cosa è invenzione umana, inclusa l’idea che non è invenzione
umana. Il mondo non ha alcuna esistenza fuori dell’immaginazione umana. È tutto
un fantasma, e nell’antichità era riconosciuto come un fantasma, l’intero
benedetto mondo nel quale viviamo. È condotto da fantasmi. Vediamo quello che vediamo
perché questi fantasmi ce lo mostrano, fantasmi di Mosé e il Cristo e
Budda, e Platone, e Descartes e Rousseau e Jefferson e Lincoln… Il senso comune
è niente più che le voci di migliaia e migliaia di questi fantasmi del
passato…”.
La mente è il tentativo di mettere ordine
al mondo, di controllarlo (dominarlo). Con qualcosa di innaturale. Ma la mente
è “naturale”, è fisiologica - l’uomo è bene pur esso natura. La matematica, la
logica e le leggi della fisica sono quindi anch’esse naturali, seppure si
occupino di mettere ordine al mondo, di dargli un senso. Ma se il mondo non ha natura
spirituale (fantasmatica), è lo spirto che è solo materiale, fisiologia –
reazione nervosa, per quanto accudita e affinata?
Viaggio – È metafora, come si dice, della
vita? Ma allora di una vita molto ananke, di piccole obbligate attività.
Si rinverdisce al ricordo (Goethe dopo una
trentina d’anni) – a condizione che sia
molto selettivo, e bene indirizzato.
zeulig@antiit.eu
Quando il fascino era femminile
Il fascino – le
streghe del titolo sono onnicomprensive – femminile, in favole e racconti, di
Baudelaire, George Sand, Victor Hugo, Shakespeare, Lovecraft, Updike, Maupassant
naturalmente e Michelet, Roal Dahl, Apuleio e altri. Una quindicina di racconti
attorno al fascino (femminile).
Un monumentino,
una raccolta a futura memoria, in un mondo senza più generi? E perché,
giustamente, la fascinazione dovrebbe essere femminile? Se non ci sono più
femmine.
Les sorcières dans
la littérature,
Folio, pp. 140 € 2
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