sabato 11 giugno 2022
Farsa putiniana
Al quinto giorno il prefetto Gabrielli, sottosegretario a palazzo Chigi alla
sicurezza della Repubblica, si accorge che un dossier segreto (non declassificato)
dei servizi segreti è stato fornito domenica al “Corriere della sera”. Che ne
ha fatto ampio uso. E minaccia – il prefetto – la massima severità contro chi
ha divulgato il dossier, presentandolo come una spiata sulle opinioni di
politici, accademici e giornalisti: “Non esiste un Grande Fratello in Italia,
una Spectre”, ha tuonato tra Orwell e 007, “nessuno vuole investigare sulle
opinioni delle persone” - “il fatto stesso che un documento classificato sia
stato diffuso è una cosa gravissima e nulla rimarrà impunito”. E la cosa fa
riflettere.
Pasolini si racconta
“Nel mare io mi
rifugiavo, come in una non vita, un mio segreto benessere”, a totale arbitrio
del Pasolini bambino e ragazzo. Delle tre prose qui raccolte, del 1949-1950,
non pubblicate in vita, la più importante (rivelatrice) è senz’altro l’ultima,
“Operetta Marina – il “romanzo” del titolo è importante per altri motivi, come
primo tentativo di usare la terza persona, e di rappresentare, per quanto
flebilmente, la “diversità” sessuale. Scritta al modo di Proust. Con un omaggio
a Rimbaud, di cui riporta “Enfance” per intero, “la più incantevole
Illuminazione”, la seconda. Completa il libro un’altra più breve memoria, “Un
articolo per «Il Progresso»”.
Le prime prove
(“forme aurorali” le dice Naldini, che ha curato l’edizione postuma) del
discorso indiretto libero. E di vicende, ambienti e personaggi narrati
attraverso gli occhi e il linguaggio del mondo popolare. Con l’omosessualità
sempre sofferta, anche quando era ignota, in queste prose del 1949-1950 come
negli ultimi anni, autore affermato e personaggio nazionalpopolare. Ci sono
anche, settant’anni fa, le “riforme di struttura” – niente cambia.
“Un articolo per
il «Progresso»” è un primo tentativo, molto prima di Calvino, di raccontare una
vicenda elettorale, tra i manifesti murali della Dc contro la candidata di
sinistra, “la signora profetessa” – era una professoressa. Ma è un appunto,
benché in bella copia: un racconto che inizia e non finisce. “Operetta marina”
è un esercizio di memoria infantile, scritto alla maniera di Proust. Con la
constatazione sorprendente, per lo stesso Pasolini, del bambino che in terza
elementare dichiara alla madre: “Quando sarò grande farò il poeta e il capitano
di marina”. Un esercizio in autofiction, dell’infanzia e la prima
adolescenza, a Cremona e a Sacile, nelle scuolette e le scorribande. Prova
generale, a Cremona, del romanzo a venire: le periferie, i ragazzi, le marrane,
le scarpate, “stracci di erbe acquatiche, luride, scompigliate”, “prati golenali”,
“cocci scottanti”, “bruciati steri”. Qui col “fratellino Guido”, menzionato un
paio di volte. E con “le brucianti inquadrature della Tragedia del Bounty
e dei Capitani coraggiosi”, il film d Frank Lloyd con Charles Laughton,
Clark Gable e Franchot Tone, e quello di Victor Fleming con Spencer Tracy e il
piccolo Freddie Bartholomew.
Il mare è stato
l’orizzonte del narratore fino a tardi, fino a Bologna, all’università. Quello
“omerico” a Cremona”, quello “salgariano” a Sacile, quello “virgiliano” di Scandiano
e Reggio, poi di Bologna. Poi basta: “Finito il Liceo fui per iscrivermi
all’Accademia Navale di Livorno; mi iscrissi invece alla facoltà di Lettere” -
il ruolo del padre, militare di carriera, riaffiora, come sempre innominato,
socievole ma estraneo. “Operetta marina” è parte, spiega Naldini, doveva essere
parte di un progetto vasto, “Per un romanzo del mare”,.
Salgari, De
Amicis, “Cuore” sono porte aperte, come in tutte le vite giovani dell’epoca. Ma
del mare c’è già una lettura “pittorica”, sulle immagini del museo Navale di
Amsterdam. Di più però, di fatto, il ragazzo è già terragno, nell’evocazione di
Sacile, della madre, delle amiche Irene e Pinella. È marino da “piccolo
italiano”, con limiti: Yanez, Sandokan, Kammamuri e Tremal Naik sì, la fantasia
li accende, e basta, “leggevo controvoglia Verne, e odiavo Conrad”.
Il racconto del
titolo è più strutturato, è un romanzo. È la storia di un prete giovane al suo
primo incarico pastorale, parroco di un paesino del Friuli. Dove scopre la
povertà e il bisogno. E la tentazione, nelle forme di un ragazzo - nella
maniera d’essere e di porsi del giovane contadino. Che condivide con il
federale del Partito, giovane anche lui, ma più solido. Turbamenti che si
penserebbe platonici, e invece no. Cesare, il ragazzo del giovane prete, è per lui
“puro mistero, un mistero senza segreti”. Lo stesso, coi pantaloni dell’anno
prima, aderenti, è “qualcosa di impuro”. E la Bibbia, aperta a caso, dove
rimanda? “A «restare nella carne», amare con la carne, evidentemente” – peggio:
“Mi baci col bacio della sua bocca”. Interverrà l’esilio, per evitare lo
scandalo – il racconto è di una passione irreprimibile e non punibile – con l’emigrazione.
Che se allontana il peccato non interrompe la passione.
È bizzarro come la
sessualità problematica venga inquadrata da Pasolini dapprima nella funzione
discente, scolastica o politica – probabile riflesso della sua vicenda personale
(o i turbamenti omoerotici si configurano in quelle specifiche forme, come
avverrà poi per Cohn-Bendit, maestro pederasta, lui non turbato?) I primi
fremiti si integrano su materiali dal vero, commissionati a vecchi amici,
emigrati, artigiani, operai, cui lo scrittore chiede diari di vita vissuta, di
esperienze – una pratica che Naldini documenta, attraverso la corrispondenza,
in un paio di casi. Il racconto popolando di mondi mitizzati, e in fermo
immagine, come figurine di vasi greci.
Pier Paolo
Pasolini, Romàns, Guanda, pp. 198 € 12
Le prime prove (“forme aurorali” le dice Naldini, che ha curato l’edizione postuma) del discorso indiretto libero. E di vicende, ambienti e personaggi narrati attraverso gli occhi e il linguaggio del mondo popolare. Con l’omosessualità sempre sofferta, anche quando era ignota, in queste prose del 1949-1950 come negli ultimi anni, autore affermato e personaggio nazionalpopolare. Ci sono anche, settant’anni fa, le “riforme di struttura” – niente cambia.
“Un articolo per il «Progresso»” è un primo tentativo, molto prima di Calvino, di raccontare una vicenda elettorale, tra i manifesti murali della Dc contro la candidata di sinistra, “la signora profetessa” – era una professoressa. Ma è un appunto, benché in bella copia: un racconto che inizia e non finisce. “Operetta marina” è un esercizio di memoria infantile, scritto alla maniera di Proust. Con la constatazione sorprendente, per lo stesso Pasolini, del bambino che in terza elementare dichiara alla madre: “Quando sarò grande farò il poeta e il capitano di marina”. Un esercizio in autofiction, dell’infanzia e la prima adolescenza, a Cremona e a Sacile, nelle scuolette e le scorribande. Prova generale, a Cremona, del romanzo a venire: le periferie, i ragazzi, le marrane, le scarpate, “stracci di erbe acquatiche, luride, scompigliate”, “prati golenali”, “cocci scottanti”, “bruciati steri”. Qui col “fratellino Guido”, menzionato un paio di volte. E con “le brucianti inquadrature della Tragedia del Bounty e dei Capitani coraggiosi”, il film d Frank Lloyd con Charles Laughton, Clark Gable e Franchot Tone, e quello di Victor Fleming con Spencer Tracy e il piccolo Freddie Bartholomew.
Il mare è stato l’orizzonte del narratore fino a tardi, fino a Bologna, all’università. Quello “omerico” a Cremona”, quello “salgariano” a Sacile, quello “virgiliano” di Scandiano e Reggio, poi di Bologna. Poi basta: “Finito il Liceo fui per iscrivermi all’Accademia Navale di Livorno; mi iscrissi invece alla facoltà di Lettere” - il ruolo del padre, militare di carriera, riaffiora, come sempre innominato, socievole ma estraneo. “Operetta marina” è parte, spiega Naldini, doveva essere parte di un progetto vasto, “Per un romanzo del mare”,.
Salgari, De Amicis, “Cuore” sono porte aperte, come in tutte le vite giovani dell’epoca. Ma del mare c’è già una lettura “pittorica”, sulle immagini del museo Navale di Amsterdam. Di più però, di fatto, il ragazzo è già terragno, nell’evocazione di Sacile, della madre, delle amiche Irene e Pinella. È marino da “piccolo italiano”, con limiti: Yanez, Sandokan, Kammamuri e Tremal Naik sì, la fantasia li accende, e basta, “leggevo controvoglia Verne, e odiavo Conrad”.
Il racconto del titolo è più strutturato, è un romanzo. È la storia di un prete giovane al suo primo incarico pastorale, parroco di un paesino del Friuli. Dove scopre la povertà e il bisogno. E la tentazione, nelle forme di un ragazzo - nella maniera d’essere e di porsi del giovane contadino. Che condivide con il federale del Partito, giovane anche lui, ma più solido. Turbamenti che si penserebbe platonici, e invece no. Cesare, il ragazzo del giovane prete, è per lui “puro mistero, un mistero senza segreti”. Lo stesso, coi pantaloni dell’anno prima, aderenti, è “qualcosa di impuro”. E la Bibbia, aperta a caso, dove rimanda? “A «restare nella carne», amare con la carne, evidentemente” – peggio: “Mi baci col bacio della sua bocca”. Interverrà l’esilio, per evitare lo scandalo – il racconto è di una passione irreprimibile e non punibile – con l’emigrazione. Che se allontana il peccato non interrompe la passione.
È bizzarro come la sessualità problematica venga inquadrata da Pasolini dapprima nella funzione discente, scolastica o politica – probabile riflesso della sua vicenda personale (o i turbamenti omoerotici si configurano in quelle specifiche forme, come avverrà poi per Cohn-Bendit, maestro pederasta, lui non turbato?) I primi fremiti si integrano su materiali dal vero, commissionati a vecchi amici, emigrati, artigiani, operai, cui lo scrittore chiede diari di vita vissuta, di esperienze – una pratica che Naldini documenta, attraverso la corrispondenza, in un paio di casi. Il racconto popolando di mondi mitizzati, e in fermo immagine, come figurine di vasi greci.
Pier Paolo Pasolini, Romàns, Guanda, pp. 198 € 12
2
venerdì 10 giugno 2022
Problemi di base bellicosi 2 - 701
spock
La guerra è regolata dal diritto, dove, quando?
La storia comincia dalla guerra?
Dall’“Iliade”, per esempio?
Si muore e si uccide in guerra, e che altro?
Sarà la guerra un genere sbagliato, poiché è maschile?
Ma si combatte tra paesi per lo più al femminile?
spock@antiit.eu
La Cina non è contenta
Il blocco delle esportazioni alimentari dell’Ucraina colpisce anche la
Cina. La Cina è il maggior mercato dell’Ucraina. Di importazione - come per tutti
i paesi del mondo. E di esportazione, più della Russia prima della guerra, e
della Germania, per il 15 per cento del totale in valore.
È la Cina il maggior acquirente singolo, probabilmente, delle granaglie
ucraine. Principalmente granturco (1,4 miliardi di dollari), più orzo, luppolo,
etc. E olii di semi (un miliardo), specie soia. Per un valore doppio, la Cina,
2,5 miliardi di dollari, la Cina si riforniva in Ucraina di minerali di ferro e
tubi in ferro.
Il mancato rifornimento ora a causa della guerra può non incidere sull’economia
cinese, sui consumi alimentari, ma è un fastidio, e può spiegare il relativo
mutismo cinese sulla guerra – la Cina ha bloccato la condanna della Russia in
consiglio di sicurezza all’Onu, ma non ha detto e non ha fatto di più.
I dessous dell’Ucraina
Come mai l’Ucraina, ricca di istruzione, di miniere e di fabbriche, nonché
da sempre granaio del mondo, è un paese povero – classificato “povero” nelle
statistiche internazionali? Dei paesi ex sovietici è quello che è migliorato
meno nei trent’anni di libertà – meno del Kazakistan, per dire, o della stessa Bielorussia,
che pure non sono modelli, né sociali né politici, né hanno più risorse
naturali. Perché è un paese corrotto: non si può dire oggi che è in guerra, aggredita
dalla Russia, ma bisogna saperlo.
Il pil ucraino, di 150-155 miliardi di dollari prima
dell’invasione, collocava il paese al 58mo posto nella graduatoria mondiale per
valori assoluti – nei dati della Banca Mondiale. E al 107mo posto per pil pro
capite. È – era – il paese più ricco dell’ex Urss, dopo la Russia e il
Kazakistan, ma anche il più povero in termini di pil pro capite: meno della
metà della Bessarabia, un terzo del Kazakistan.
Si sono fatti molti scioperi, dopo l’indipendenza. Nel Donbass e nelle
altre aree industriali: semplicemente perché i lavoratori non venivano pagati.
Si sono fatte molte “rivoluzioni arancioni”. Che si suppongono della
“società civile” per le riforme. Ma non in Ucraina: sono state sempre “rivoluzioni”
organizzate da oligarchi contro governi eletti – nella migliore delle ipotesi da
affaristi contrari ad altri affaristi. Schematizzati come pro-europei o filorussi,
ma per comodo. E con molti soldi occidentali, di filantropi americani e altri
di fonte non dichiarata.
In tempi normali sarebbe stato difficile per l’Ucraina
accedere all’Unione Europea. Benché già legata alla Ue dal 2017 dall’Accordo di
Associazione e Libero Scambio, che liberalizzò i visti. Alla vigilia dell’invasione, il Fondo Monetario aveva sospeso l’avvio (con
una tranche da 700 milioni di dollari) di uno Stand by Arrangement del giugno
2020, l’accordo per un prestito di 5 miliardi di dollari, in attesa di “rassicurazioni
sul progresso nella realizzazione delle necessarie riforme, in particolare nei
settori della giustizia ed energetico, nonché nella lotta alla corruzione”.
Non si può dire, c’è la guerra, ma bisogna saperlo. L’Ucraina è anche in Europa
l’unico Paese a celebrare una festa fascista.
C’era una volta l’Italia
Pomicino,
il “Geronimo” di molte cronache politiche del “Giornale” di Feltri e Berlusconi,
già ministro del Bilancio negli anni 1990, fedelissimo di Andreotti, ci ha
preso gusto. Dopo “Strettamente riservato” e dopo “La Repubblica delle giovani
marmotte”. A smantellare la Seconda Repubblica - o Terza, o Quarta che si
voglia, tanto non si sa che cosa sia. “Controstoria della seconda Repubblica” è
il sottotitolo. Con una ricetta semplice: dice quello che i secondi
repubblicani non dicono, ma che tutti hanno visto e vedono. Il mercimonio delle
banche e aziende pubbliche, spezzettate e svendute, lo stato pietoso dei
servizi nel mercato libero, a vent’anni o trenta dalle privatizzazioni, al
telefono, nelle assicurazioni, in banca. In un’economia allo sbando: ogni anno
perde posizioni, nel mercato mondiale e in quello europeo. Senza investimenti,
e quindi non più competitiva - la produttività stagnante è il segno della
Seconda Repubblica, l’Italia segna il passo da venticinque anni buoni. Con una
disoccupazione reale enorme: l’Italia è il paese europeo con il più basso tasso
di occupazione (persone al lavoro rispetto al totale della popolazione), dieci
punti sotto la media continentale – era la quinta o quarta economia mondiale
prima del colpo di stato di Di Pietro, Borrelli&Scalfaro. Sotto un debito
pubblico triplicato rispetto al 1991, a prima del diluvio.
Un po’ questo terzo libro
morde poco, rispetto ai primi due. Dove c’era la scena in cui Borrelli fa
blocco con i suoi armigeri, “i giornalisti”: il Procuratore Capo di “Mani Pulite”, quando Carlo Sama comincia a
nominare giornalisti, lo blocca con un liquidatorio: “Per quello che ci
risulta, si tratta di giornalisti con i quali Sama aveva appuntamenti di
lavoro” - Sama era l’“ufficiale pagatore” del sistema di tangenti collegato
all’affare Enimont, per conto del gruppo Ferruzzi. O la vera storia della
“discesa in campo”. Berlusconi temeva il fallimento a opera del sistema
Mediobanca, di Enrico Cuccia e i suoi salotti milanesi, e per proteggersi entrò
in politica. Dapprima come patrocinatore, subito dopo, al concretizzarsi delle
minacce, da capopopolo. Fu tenuto a galla da due banchieri marginali al
sistema, Luigi Fausti della Commerciale, che per questo pagherà, e Cesare
Geronzi dell’allora Banca di Roma, che Andreotti proteggerà dai fulmini
milanesi – Cuccia scese a patti con Andreotti. E la morale finale: con la
politica Berlusconi evitò la sorte dei Ferruzzi, un impero dissolto dai salotti
buoni nel nulla, col suicidio del capo azienda, Raul Gardini.
Molto peraltro Pomicino
qui si occupa di fatti correnti, come un qualsiasi opinionista (tratta pure della
“buona morte”), dopo un avvio brillante. Prefato da Ferruccio de Bortoli, che
certamente non è sulla stessa linea d’onda di Pomicino - e lo scrive. Ma sa
qual è la chiave di volta della Seconda Repubblica: la svendita della manomorta
pubblica. Anche se sembra avere, a tratti, la memoria corta, anche lui.
Pomicino
apprezza Draghi, anzi lo ritiene indispensabile, e lo scrive in un capitolo –
senza Draghi l’Italia in questa legislatura non sarebbe andata da nessuna
parte. Giusto. Ma la parte migliore dei suoi ricordi riguarda le
privatizzazioni piratesche, dei grandi enti economici, delle grandi banche e delle
grandi aziende pubbliche – roba da oligarchie postsovietiche: chi ha potuto ha
arraffato. Cui ha presieduto Draghi, direttore generale del Tesoro. Alcuni gruppi
sono riusciti a sopravvivere e anzi a rilanciarsi, molto competitivi sui
mercati internazionali – caratteristicamente quelli in cui lo Stato è ancora
socio di controllo: Eni, Enel, Finmeccanica, Fincantieri. Altri invece sono crollati
a picco: molte banche, specie dopo l’eliminazione di Antonio Fazio dalla Banca
d’Italia, la Sip-Stet, gruppo allora d’avanguardia, che privatizzato e spolpato
sopravvive da “salvataggio” in “salvataggio” (con la piùbassa velocità internet in Europa, appena 50 o 60 Mbps), la siderurgia, la meccanica (Ansaldo,
Breda, Galileo, Nuovo Pignone…), Autostrade, l’alimentare (quanti marchi
svenduti, per niente).
Paolo
Cirino Pomicino, Il grande inganno, Lindau, pp. 217 € 18,50
giovedì 9 giugno 2022
Ombre - 619
Si pubblica un dossier dei servizi segreti sui filo-russi nei media italiani, sul più grande giornale italiano, con molto spazio e molti nomi, e non succede nulla. Nessuno si scandalizza, che i servizi segreti italiani spiino dei giornalisti, che magari dicono le cose sbagliate, ma perché è il loro mestiere, dire le cose.
Non si scandalizza nemmeno il governo, anche se lo scoop di Sarzanini e Guerzoni – della manina che ha dato loro il dossier segreto - è diretto contro Draghi. Una tagliola in vista del dibattito sulla guerra di giorno 21. Si dice servizi segreti in Italia ed è sempre una questione di intrighi, a cominciare dal piano Solo – quante volte saranno stati riformati da allora, una dozzina? Perché non risparmiare? Si sono fatti fare la guerra alla Libia, che era un feudo italiano, e ne hanno letto sui giornali.
Fa senso lo schieramento del Pd, fino a Fazio e la Littizzetto, e della Rai del Pd Fuortes, contro i referendum sulla giustizia. Fa senso non per i referendum, si possono avere pareri diversi e contrari, ma perché su nessun’altra questione il Pd è così unito e impegnato, i giovani senza lavoro, per esempio, l’inflazione, la pulizia delle strade dove governa. E s’impegna contro i referendum non per una questione di giustizia ma di potere - di avere più potere tra i giudici.
Medvedev, l’ex
presidente russo, economista mite, diventa una belva contro l’Occidente e gli
Occidentali: “Li odio tutti!”, urla su Instagram. Odioso. Ma nessuno si chiede
come sia arrivato a tanto - non richiesto. O si domandi se non si prospetti continuatore di Putin - se Putin è effettivamente in fin di vita, come vogliono le spie inglesi.
Elon Musk che
minaccia di ritirare l’opa su Twitter se Twitter non fornisce la cifra, o la stima,
degli account falsi è liquidato come il furbastro che si è pentito di avere
offerto 45 miliardi e vuole tirarsi indietro. Ma Twitter non fornisce i dati
richiesti, questo è il fatto. Che sarebbe una notizia – il dato non è marginale,
per gli inserzionisti pubblicitari con tutta evidenza, e per l’“informazione”
social.
Vince e convince
l’Italia senza un solo juventino. E allora sorge il dubbio se un allenatore può
reprimere, invece di mettere in valore, i giovani: Bernardeschi, Kean - per non
dire di Dybala, che preferisce andare all’Inter per meno soldi. Dopo Spinazzola,
che è dieci volte meglio di Alex Sandro, ma è stato ceduto in cambio di Luca
Pellegrini, che era il miglior terzino sul mercato e dopo un anno di Juventus
nessuno vuole. O viceversa, di allenatori che sanno fare ottimo uso dei
calciatori e migliorarli, Lorenzo Pellegrini, Cristante, Spinazzola.
Il “Corriere della
sera” presenta il docufilm che Rondolino ha dedicato a Berlinguer, come al
“politico più amato dalla sinistra italiana”. Che invece ha sbriciolato e
distrutto. Basti il pensierino che a Berlinguer dedicava vent’anni fa uno dei
suoi successori, Piero Fassino. Assomigliandolo “a un campione di scacchi che
sta giocando la partita più importante della sua vita”: la partita dura ormai
da molte ore “e guardando la scacchiera il campione si accorge che con la
prossima mossa l’avversario gli darà scacco matto. Come evitarlo? Morendo un
attimo prima: “In fondo, la tragica fine risparmia a Berlinguer l’impatto con
la crisi della sua strategia politica”.
Ma è sempre l’ora
di Berlinguer. Si vende anche la scorta di Berlinguer, la scorta di polizia,
che Luca Telese riesce a scrivere e l’editore del “Corriere della sera” a
promuovere evidentemente con profitto. Non c’è stato il regime ma ci sono i
nostalgici.
“Insonnia?”,
chiede il medico. “”No! Non riesco a dormire perché mia moglie russa”. “Non lo
dica! Se lo scopre il Copasir sono guai!”. È la vignetta di Giannelli sul
“Corriere della sera” martedì. Il Copasir fa ridere, sono quattro parlamentari
che non sano fare altro, se non chiacchierare. Ma il. dubbio sorge che i servizi
segreti, o di intelligence come ora usa dire, non siano da più – da meno?
Possibile che sula guerra forniscano al Copasir solo scemenze? Non da ora, da almeno
dieci anni, da quando si fecero fare la guerra in Libia da Hillary Clinton e
Sarkozy, due geni della politica.
Grillo consiglia i
grilli a tavola”. Sembra uno scherzo, e invece è la politica italiana.
Grillo consiglia i
grilli a tavola soprattutto per i bambini – per divertimento? E allora gran dibattito
tra nutrizionisti, chef e personalità, della politica, dello spettacolo.
La Ue decide l’embargo contro il petrolio russo e il
giorno stesso l’Opec+, cioè l’Opec più la Russia, aumenta la produzione. Come
sarebbe a dire, perché la Russia aumenta la produzione?
Vince Johnny Depp contro l’ex moglie Amber Heard, per colpe evidenti, e il “New Yorker”, subito imitato da “la Repubblica”, stabilisce che il Tribunale, presieduto da una donna, ha condotto il procedimento per affossare #metoo e scoraggiare le denunce di violenza sessuale. Invece di dire, come sembra ovvio, che danneggiano i diritti delle persone oltraggiate le denunce infondate. Questa Heard riceveva cani e porci a casa, si ubriacava e picchiava il marito. Che non è simpatico, ma che vuol dire?
Luciano Violante ricorda nelle presentazioni del suo ultimo libro che nella seconda metà degli anni 1960 fu assistente di Aldo Moro. Per il quale, si può anche ricordare, allora segretario della Dc e\o presidente del consiglio, fu creata una cattedra di Diritto Penale, o Procedura di DP, a Scienze Politiche. Un corso di studi che fin’allora, e dopo di allora, non si è occupato di penale. Ma era Scienze Politiche a Roma, dove Moro voleva la cattedra – essendo a Giurisprudenze i corsi di penale già occupati.
Andrà a finire male
Non si può sapere come andrà a finire sul campo (non ci sarà – non ci può essere
– una vittoria militare, è impensabile un governo ucraino che accetti la mutilazione
di un quarto, o un terzo, del territorio) ma già si sa che molte cose sono
cambiate con l’attacco della Russia. Per la Russia stessa, in Europa, e in Asia.
Il mercato delle fonti di energia è già
rivoluzionato. Il maggiore e meno caro fornitore di petrolio e gas naturale
dell’Unione Europea era la Russia, che ora non lo sarà più. Nella transizione a
nuovi approvvigionamenti i prezzi cresceranno, e prevedibilmente, sua base dei
costi di produzione, resteranno elevati. Lo stesso per i cereali, e le
granaglie in genere, di cui la Russia è grande esportatrice – insieme con l’Ucraina,
la cui produzione resterà comunque fuori mercato per molto tempo.
In generale, la Russia sarà considerata a lungo estranged dall’area e dalla politica europea – isolata,
con la sola Bessarabia al suo fianco. Questo anche nel caso che l’Ucraina (e la
Georgia, e altri paesi che si sentano minacciati dalla Russia), non entrino
nell’Unione Europea e\o nella Nato.
Ci sarà un rallentamento della crescita
economica mondiale, più incisivo e forse anche più duraturo che per effetto del
covid. Anche perché la ripresa in uscita dal covid era già minata dall’inflazione,
nei due grandi mercati di consumo della globalizzazione Stati Uniti e Ue.
L’Unione Europea rimarrà definitivamente minoritaria
nel concerto delle Grandi Potenze, a questo punto ristretto a Stati Uniti e
Cina. Senza la sponda russa, e anzi con la Russia ostile, è solo un largo mercato.
Ancora ricco ma a sviluppo limitato. E senza autonomia, né di sicurezza né
monetaria.
Cronache dell’altro mondo – giudiziarie (191)
San Francisco ha fatto un referendum per cacciare il Procuratore Capo,
Chesa Boudin, che aveva appena eletto
due anni fa come più libertario in una città libertaria: figlio di terroristi
dei Weathermen, o Weather Undergorund Organization, collaboratore di Hugo
Chavez, fautore delle carceri aperte, della depenalizzazione dei furti, e della
demobilitazione della polizia. Naturalmente i furti e le rapine si sono
moltiplicate, come anche gli assassinii, e gli stessi suoi elettori di sinistra
hanno promosso un referendum per rimuoverlo. Che hanno votato al 60 per cento.
Un centinaio di atlete di ginnastica artistica fanno causa all’Fbi, la
polizia federale, per un miliardo di dollari, per non essere state protette dalle
molestie sessuali che avevano denunciato. Il caso riguarda uno degli allenatori
delle atlete, Larry Nassar. Denunciato a suo tempo da alcune di esse, e dalla
federazione della ginnastica artistica, a Indianapolis e a Los Angeles, senza
effetto. Nassar è stato perseguito solo successivamente, in Michigan.
La Procura di Manhattan, che ha istruito il caso Epstein,
del miliardario che procurava agli amici minorenni, voleva chiudere in bellezza
processando il principe inglese Andrea. Ma la regina Elisabetta, senza apparire,
ha chiuso la vicenda pagando la donna che accusava il figlio. La stessa Procura,
pur in cerca di personaggi celebri, ha invece evitato di coinvolgere l’ex
presidente Bill Clinton, uno dei più assidui ai parties di Epstein.
L’ora del giornalismo
Una serie che si annuncia d’eccezione, storica
ma ricostruita con acume, negli ambienti, nella politica, nella Palermo dei
tardi anni 1950 – che si vede poco, ma si sente molto: i primi due episodi,
regista Piero Messina (gli altri vedranno alla regia Ciro D’Emilio e Stefano
Lorenzi), sembrano abbracciare anche l’intera città, pur girate in quattro soli
ambienti, chiusi. Con una cura particolare per gli attori, per i personaggi evocati
– sulla traccia dei ricordi di Giuseppe Sottile, che nel quotidiano sbarcherà
una quindicina d’anni dopo: tutti scelti con appropriatezza, e funzionali,
caratterizzati.
Il nuovo direttore mandato dal Partito (la persona
evocata è Vittorio Nisticò) in un giornale di partito che non vende e non paga
gli stipendi, decide che invece di “ridurre i costi” (licenziare) bisogna fare
giornalismo, cronaca. Dapprima forzando i giornalisti stessi, stanchi galoppini
politici. Palermo s’incarica di dargli ragione
– la cronaca non manca.
“L’Ora” di Palermo è stato un giornale
soprattutto politico. La serie ha scelto di privilegiare il giornalismo, una funzione
che “L’Ora” ha svolto anche egregiamente: è una iniezione di cui oggi più che
negli anni 1950 si sente la mancanza.
Piero Messina, L’Ora – Inchiostro contro piombo,
Canale 5
mercoledì 8 giugno 2022
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (494)
Giuseppe Leuzzi
Il divario cresce con la Repubblica 1 - lo stato
dell’arte
La mostra al Maxxi di Roma del grande
fotografo veneziano Gianni Berengo Gardin, in attività per sessant’anni, dai
secondi anni 1950, “L’occhio come mestiere”, mostra curiosamente che nelle campagne e nei borghi non c’era grande
differenza di condizione e stato dell’arte fra le diverse aree come oggi. Fra
le mondine di Vercelli e le falciatrici lucane, per esempio, tra il borgo
semiabbandonto toscano e l’analogo siciliano. La differenza è cresciuta – è
nata? – negli anni della Repubblica, post-boom anni 1960.
Si spiega in questa chiave anche il leghismo. Che non nasce con
l’unità, è una sopravvenienza – Milano era diversa prima, riformista, quasi
giacobina.
Il divario cresce con la Repubblica 2 - niente ricerca
al Sud
La graduatoria dei dipartimenti
universitari di eccellenza, appena resa nota dall’Anvur, l’Agenzia Nazionale di
Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, per la suddivisione di
1,3 miliardi di contributi statali, lascia in corsa 350 dipartimenti dei quasi
800 che avevano fatto domanda di accesso ai fondi – i quali verranno suddivisi,
dopo una ulteriore scrematura, fra 180 dipartimenti: come dire un dipartimento su
cinque in concorso. È un concorso astruso, nel senso che non sono noti i
criteri di valutazione, e non sono spiegate le graduatorie. Meglio, il criterio
di valutazione c’è, si chiama Ispd, Indicatore Standardizzato di Performance
Dipartimentale, che però lascia senza parole per l’elusività – è leggibile sul sito
Anvur: non ci si capisce niente. E l’Anvur si rifiuta di spiegarlo.
Che c’entra il Sud? Il concorso ha un
precedente, del 2017, i cui esiti il sito roars.it è riuscito a procurarsi
malgrado la segretezza. Scoprendo che il miliardo e trecento milioni di cinque
anni fa sono andati ai dipartimenti universitari del Nord, con l’eccezione della
Liguria, con l’esclusione praticamente dei dipartimenti del Sud. Le percentuali
sono altissime, per alcune regioni del Sud, dei dipartimenti giudicati a Ispd
zero: in Sicilia per il 51 per cento, uno su due, in Puglia il 39, che pure ha
università emerite, come Bari e Lecce, in Calabria, sede della prestigiosa
Unical, il 32 per cento, in Sardegna il 26. Mentre l’inverso si registra per i
dipartimenti del Nord: nessun dipartimento escluso in Veneto, Trentino-Alto
Adige e Umbria, in Emilia-Romagna solo l’1 per cento, il 2 per cento in Piemonte, il 5
in Friuli-Venezia Giulia.
All’apparenza una discriminazione. Che però
non è un sospetto: lo conferma l’assoluto diniego, sia dell’Anvur che del Miur,
di spiegare i criteri della scelta. Cioè l’assoluta non trasparenza della
valutazione. Di cui si capisce l’arbitrarietà leggendo appunto l’Ispd, l’Indice su cui
l’Anvur avrebbe effettuato le valutazioni – una lettura senza senso, forse uno
scherzo.
Uno scandalo talmente grossolano che se ne
fa bandiera perfino Gian Antonio Stella, colonna antisudista del “Corriere della
sera” – lo stesso che lo stesso articolo ieri su questa storia chiude al veleno, con i “corsi
siciliani” di formazione (nulla a che vedere con le università) “per «baristi
acrobatici» o esperti di merletto macramè” (e oggi si riproduce imputando alla
Regione Sicilia - cioè, sottintende, alla corruzione - l’impoverimento relativo dell’isola nel
dopoguerra: nel 1951, “quando sulle Madonie grandi auto e grandi piloti si
contendevano la Targa Florio, l’intero Pil siciliano era un ottavo di quello
italiano, oggi è un ventesimo. Come mai? Lo sanno tutti”): “È mai possibile che
su 119 dipartimenti esclusi per «Zero tituli», per dirla con Mourinho, ben 72
siano nel Sud e nelle isole? Con la Sicilia che arriva a 25 stroncature
avvilenti, cioè quasi il doppio di tutto il Nord messo insieme”.
L’abuso, curiosamente insindacabile in un
governo che si presume parlamentare, potrebbe essere politico. Come l’energia
(Eni, Enel, Eena, etc.), la ricerca (Cnr, Anvur, Miur, Infn, etc.) è saldamente
democristiana, con la breve parentesi di Fabio Mussi al Miur nel secondo breve
governo Prodi, 2006-2008. Con prevalenza Pd rispetto ai vecchi Dc poi
berlusconiani: con le infaticabili Moratti, Gelmini, Massa, Carrozza, et al.
E allora è una manovra, una delle tante, per riconquistarsi il Nord
leghista-berlusconiano. Oppure è semplicemente un riflesso condizionato, di
tecnocrati pazzi che si nascondono sotto ricette segrete – l’Ispd, va ripetuto, merita una
lettura. Comunque una pratica talmente scandalosa, contestabile sia in sede
amministrativa che penale, da meritarsi una denuncia non da Palermo o da Bari,
dagli esclusi, ma da Pavia. Da un ordinario di Modelli e Analisi dei Dati, il
professore Giuseppe De Nicolao. Originario di Padova, di famiglia bellunese.
De Nicolao è un esperto del settore,
animando dal 2013 un osservatorio sui “ritorni” degli investimenti scolastici e
per la ricerca, al sito roars.it. Dove parla di “alchimie numerologiche
pseudoscientifiche”.
Un altro Sud
La Francia avrebbe tutti i titoli per una
“questione meridionale”. Da sempre uno Stato accentrato e accentratore, a
fronte, al Sud, di una lingua diversa e una cultura complessa, provenzale, italiana,
spagnola. L’Occitania era più che un’utopia per Simone Weil, parigina, ancora
nel 1942. Il movimento occitano è stato effervescente ancora negli anni
1970-1980.
La storia è diversa. La Francia, Stato
continentale, arriva tardi e svogliato al Sud. Del divario economico non si cura - ma in Francia è più forte col Nord (quello di “Benvenuti al Nord”, il
film cult che in Italia è diventato “Benvenuti al Sud”, come a dire sempre
“strano”, diverso). Ma non c’è stato vittimismo e non c’è nemmeno revanscismo.
Il Sud della Francia ha avuto anche le mafie, negli anni 1950-1960 i “Marsigliesi”
dominavano il malaffare in Europa. Se ne è liberata. Ha rifatto Marsiglia –
letteralmente, l’ha ricostruita a parte. Il Sud ha i suoi usi, perfino la corrida,
e le sue fabbriche. Si sa gestire. E non ha bisogno di polemizzare.
Nel primo Rapporto Censis sulla Transizione
Ecologica, in tutte le quattro categorie di centri urbani rilevati, Citta
metropolitane, Province con più di 500 mila abitanti, Province tra i 300 mila e
i 500 mila abitanti, e province con meno di 300 mila abitanti, per il contesto
Imprese (“investimenti green dal 2016 a oggi”) vengono per prime le province
meridionali. Messina, Reggio Calabria e Bari per le Città metropolitane.
Taranto, Salerno e Foggia per il secondo gruppo. Catanzaro, Trapani e Potenza
per il terzo. Nuoro, Crotone e L’Aquila per il quarto.
Il tessuto industriale naturalmente è
debole, in queste come nelle altre province meridionali, e l’incidenza di
queste aziende nel complesso nazionale resta minimo. Però, gli indici certificano
che non sono le idee né l’iniziativa che difettano al Sud, insieme con l’aggiornamento,
con l’attenzione a come il mondo va, cioè l’essenza dell’imprenditoria: intelligenza
e iniziativa. Manca il complesso, difficile da creare e far maturare in un
mercato globale, le cui “catene di valore”, catene produttive, portano sempre più
lontano. E manca l’infrastruttura – fare rete, averne i mezzi: manca la politica,
il governo pubblico dell’economia, sia pure nell’aspetto minimo, comunicazione
(stradali, ferroviarie, digitali), burocrazia intelligente, scuole, sanità.
Il grottesco del Sud
A 31 anni, appena
diventata un nome nella letteratura americana, Flannery O’Connor deve difendersi
in un saggio, “Alcuni aspetti del grottesco nella letteratura meridionale” (poi
incluso in “Mistery and Manners”, la raccolta tradotta come “Un ragionevole uso
dell’irragionevole”, non più disponibile – l’originale si può leggere online),
dal “grottesco” di essere etichettata meridionale, in quanto scrittrice. Anche perché
il southern si lega in America, alla degeneracy,
alla perversione: “Quando ho cominciato a scrivere, la mia speciale bête
noire era questa entità mitica, la Scuola della Perversione Meridionale. Dovunque
sentivo di Scuole della Perversione Meridionale”.
Collocata dai
critici nella “scuola” del “grottesco meridionale” (Poe, Faulkner) o della “degenerazione
meridionale” (Truman Capote, Carson McCullers), Flannery O’Connor reagiva.
Anche se la connotazione è – era all’epoca, 1960 – un segno di distinzione, nella
generale piattezza delle lettere americane: “Critici
e lettori…. associano il solo materiale legittimo dei romanzi al movimento
delle forze sociali, al tipico, alla fedeltà ai modi come le cose appaiono e
avvengono nella vita normale”. Solo che, se si tratta di uno scrittore del Sud,
la sua normalità è, “in senso peggiorativo, il grottesco”. Commentando,
caratteristicamente: “Naturalmente, ho scoperto che qualsiasi cosa viene dal Sud
sarà chiamata grottesca dal lettore settentrionale, a meno che non sia
grottesca, nel qual caso sarà chiamata realistica”.
Ma, fuori dell’irritazione, con affascinanti
intuizioni. “Ogni qualvolta mi si chiede perché gli scrittori del Sud hanno la
tendenza a scrivere di freaks, di personaggi strani, rispondo che è
perché siamo ancora capaci di riconoscerne uno. Per essere capace di riconoscere
un personaggio strano devi avere qualche concetto dell’insieme uomo, e al Sud
il concetto generale dell’uomo è ancora, nel complesso, teologico. Questa è una
vasta affermazione, ed è pericoloso farla, perché qualsiasi cosa sulla fede al
Sud può essere negata al prossimo con la stessa giustezza. Ma approcciando
l’argomento dal punto di vista dello scrittore, penso sia possibile dire che,
mentre il Sud è difficilmente Cristo-centrato, è quasi certamente
Cristo-ossessionato. Il meridionale che non ne sia conscio, ha comunque paura di
poter non essere stato formato nell’immagine e somiglianza di Dio. I fantasmi
possono essere molto feroci e istruttivi. Fanno strane ombre, particolarmente
nella nostra letteratura. In ogni caso, è quando il freak può essere sentito
come una figura per il nostro spiazzamento essenziale che raggiunge qualche
profondità in letteratura”.
O ancora: “Lo scrittore meridionale è obbligato
da tutti i punti di vista a estendere il suo sguardo oltre la superficie, oltre i meri
problemi, finché non tocca il mondo che è il tema di profeti e poeti”.
È il piccolo segreto di Camilleri, che è
sfuggito al cappio delle mafie. Pur scrivendo (prevalentemente) dei polizieschi,
in terra di mafia.
leuzzi@antiit.eu