sabato 18 giugno 2022
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (495)
Pizzo, pazzo, pezzo, pozzo,
puzzo
Lo Stato- mafia è vecchio
I tedeschi sapevano, il mondo sapeva
Un racconto semplice, breve, del
fascino demoniaco di Hitler e della fine degli ebrei in Germania. Max
Eisenstein e Martin Shulse, amici e soci carissimi, mercanti d’arte di successo
a San Francisco, si separano: è il 1932, Martin torna in Germania per fare
politica, da liberale, Max continua a fare gli affari anche per lui a San
Francisco. È il 1933 e Martin non solo crede in Hitler e lavora per lui, ma
dirada la corrispondenza con l’amico. È il 1934 e Martin comunica all’amico
l’assassinio della sorella minore, sorella di Max, Griselle, che recitando a
Berlino in teatro si è dichiarata ebrea, nel giardino di casa sua, dove era
arrivata inseguita dalle SA, per cercare rifugio dallo stesso Martin, che l’ha
respinta. Il finale è a sorpresa.
Niente di più di quanto si sa
ormai da lungo tempo della Germania di Hiler, dell’invasamento tedesco. Ma
questo racconto, in forma di lettere tra i due (ex) sodali, è del 1938,
pubblicato su rivista, esauritissima, ripreso nelo stesso anno dalla rivista “Readers’s
Digest”, esauritissima, l’anno successivo pubblicato come libro, esauritissimo,
e qualche anno dopo trasformato in film. Di autrice non ebrea, e scrittrice,
fino ad allora, non professionale. Nella questione storica se i tedeschi
sapevano oppure no, e cosa sapevano, loro come gli americani e ogni altro, la cosa era chiara agli inizi, nei seondi anni 1930.
Katherine
Kressmann Taylor, Destinatario
sconosciuto, Br, pp. 77 € 10
venerdì 17 giugno 2022
Letture - 494
letterautore
Sant’Agostino – “L’uomo più intelligente tra quanti ne siano mai vissuti”, lo dice Yambo-Umbetto Eco nel romanzo “La misteriosa fiamma della regina Loana”: “Insegna molte cose anche a noi psicologi di oggi”. Per esempio sul tempo: “Noi viviamo nei tre momenti dell’attesa, dell’attenzione e della memoria, e l’uno non può fare a meno dell’altro”.
Bloomsday – Il “New Yorker” ha festeggiato il Boomsday, il giorno o la festa di Bloom, ieri 16 giugno, il giorno in cui Leopold Bloom fece la sua Odissea nell’“Ulisse” di Joyce. Raccomandando una buona compagnia con cui festeggiare, e Guinness – la birra, non i primati: “Guinness è optional ma altamente raccomandata”.
Chiesa – Pasolini ne aborre “la pia prosaicità”, la dimensione (vocazione?) pastorale – lo annota di sé ragazzo a catechismo a Sacile , in “Operetta marina”
Conan Doyle – “Ci porta dove vuole, quando vuole, e ci fa entrare nell’interiorità dei personaggi che ha scelto”, Michel Houellebecq, lectio magistralis all’università di Enna – “e lo fa, davvero, in meno di una pagina”. Una lectio che è di fatto una rilettura dell’autore di Sherlock Holmes: “Andate in spiaggia, in un bel pomeriggio d’estate. Immergetevi in un racconto di Sherlock Holmes, inn meno di una pagina, se così ha deciso Conan Doyle, vi troverete catapultati a Londra, in una fredda e piovosa notte d’inverno, con la nebbia che invade le strade…”.
Corrida - Si faceva anche a Siena, chiamandola “caccia”. A metà
Quattrocento: sicuramente nel 1468, e forse anche prima, nel 1466, e
anche dopo. Roberto Barzanti lo documenta sul “Corriere della sera-Firenze” (“La
«Corrida» dei senesi”): due tele di Vincenzo Rustici, di proprietà degli Uffizi,
in deposito nella collezione del Monte dei Paschi, hanno per tema la “caccia”
del 15 agosto 1546. Sempre nella piazza del Campo, poi arena del palio equestre.
La tauromachia, sport tra i più assurdi, combattere a mani nude contro un toro, perpetua il vecchissimo culto del toro, pre-ellenico (minoico? miceneo?), un “animale-totem” (Barzanti), personificazione della forza. Nel Mediterraneo è forse il toponimo più diffuso.
Cucù – Lo smemorato di Eco, “La misteriosa fiamma della regina Loana”, ricorda bene ciò che non lo riguarda, e sa anche molte cose. Del film famoso, con Orson Welles a Vienna, anzi precisa: “Vienna, Kunsthistorisches Museum, il terzo uomo, Harry Lime sulla ruota del Prater dice che gli svizzeri hanno inventato l’orologio a cucù, Mentiva: l’orologio a cucù è bavarese”.
Kissinger – Arbasino, La Capria, Furio Colombo non scrissero su “Confluence”, la rivista di Kissinger a Harvard - non invitati?, a differenza di Vittorini (che però alla fine, dopo varia corrispondenza, non scrisse), Alvaro, Moravia e altri - ma parteciparono all’International Seminar che sempre per conto di Harvard il dr. Kissinger organizzava nei mesi estivi, a discutere di storia e filosofia, per giovani dai 25 ai 34 anni, scrittori, giornalisti, studiosi, per lo più europei, nei “primi anni Sessanta” – era il 1961, o il 1962. Lo scrive su “la Repubblica" giovedì 9 Furio Colombo. Ancora ammirato dell’intelligenza “europea” di Kissinger, dal quale fu invitato a darsi del “tu” ( a chiamarsi col nome proprio all’uso americano) – “invito amichevole (molto importante nella vita sociale americana)”.
Nord - Come snobismo lo registrava un secolo fa Mandel’stam nelle sue prime prove poetiche, “Tristia”: “Pesante fardello dello snob settentrionale\ è il vecchio spleen di Onegin”, il personaggio di Puškin.
Ossezia – Non ci sono solo la Crimea e il Donbass, da sottrarre all’Ucraina, anche il nord della Georgia Mosca voleva russa al tempo dell’Urss. Benché non apprezzata: “Figlio di osseta” era un appellativo spregiativo, nota Remo Faccani editando le poesie di Mandel’stam, benché l’Ossezia fosse terra d’origine di Stalin: “In Unione Sovietica, e soprattutto in Georgia, era diffusa la «leggenda» che la famiglia di Stalin fosse originaria dell’Ossezia”, minuscola etnia evidentemente non onorevole, “tanto più che il vero cognome di Iosif Stalin, Ďugašvili, ha il significato letterale di ‘figlio di osseta’”.
Russia – Un componimento breve, “Viviamo senza più avvertire sotto di noi il paese”, che l’autore Mandel’stam giudicava debole ((“è un finale scndete, ha qualcosa di cvataeviano”, di accomodante), anche se gli meriterà l’arresto e il confino, nel 1934, cui seguirà la morte per inedia quattro anni dopo, ritraeva in Stalin una certa Russia: “il montanaro del Cremlino”, dalle “tozze dita come vermi” e “occhiacci di blatta”, vi figura attorniato da “mezzi uomini”, “una marmaglia di gerarchi dal collo sottile”.
Salgari – Occupava la fantasia di Pasolini ragazzo a Sacile,Yanez, Tremal Naike, Kammamuri. Di un ragazzo che sognava il mare, dapprima “omerico”, alle elementari, poi “salgariano” - da ultimo sarà “virgiliano”, proseguendo gli studi: “Leggevo controglia Verne e odiavo Conrad. Soltanto nel mio Salgari il mare era pulito, tinto di un unico colore geografico e sempre perfettamente funzionale” – “non solcato da navi a vapore ma da tre-alberi, brigantini, giunche e vascelli, era veramente il regno dell’arbitrio interiore”.
Caterina
Sforza –
“L’anticonformista”, la dichiara la due giorni di commemorazione nella sua
Forlì – sua per eredità dal marito, essendo appunto nata Sforza, milanese, che
però si tenne stretta, contro una papa “guerriero” come e più di lei, Giulio
II, e altri malintenzionati. Venendo però dall’iperconformismo: a nove anni era
già sposa a Girolamo Riario, di nient’altro capace che di essere nipote del
papa regnante, Sisto IV – a venticinque vedova con sei figli. Maritata dal padre,
il duca di Milano, peraltro celebrato, Galeazzo Maria.
letterautore@antiit.eu
La timidezza di Pasolini, arrogante
Il
docufilm di Ferrara, uno dei primi del genere, su Pasolini, presentato a Venezia nel2014, e lì sepolto
sotto le critiche, riemerge come una gradita sorpresa per il centenario della
nascita. A Pesaro domenica, alla Mostrra
Internazionale del Nuovo Cinema, e in streaming.
È Pasolini nella sua ultima
giornata di vita. Impersonato da Willem Dafoe, che vive a Roma da molti anni,
conosce i luoghi di Pasolini, ne ripete gesti e modi di porgere. Attorniato da
Laura Betti (Maria de Medeiros) e Ninetto Davoli (Riccardo Scamarcio). In una
sorta di film-verità che è invece la parabola
(una parabola) di Pasolini.
Non sarà “tutto Pasolini”, ma
testimonia la sua speciale timidezza: la maniera aggressiva di porsi, senza
imporsi. Da vittima, anche di se stesso, e ai margini.
Abel Ferrara, Pasolini, chili.com, free online
giovedì 16 giugno 2022
La globalizzazione non fa bene all'economia
Fa bene agli affari –mai guadagno così facile e così
elevato da quando si può “produrre” in Cina. O in altri laboratori a basso
costo e di rispettabile qualità. Ma non all’economia.
La globalizzazione ha immiserito l’Europa, e gli
italiani, poiché ne ha ridotto i livelli di reddito relativi, e questo non va
bene all’economia. In una bilancia mondiale, dei crediti e demeriti di una
politica,è normale e anche giusto che il made in China soppianti ogni altra
attività in altri mercati di produzione non in grado di competere. Ma allora
bisognerebbe che fosse a condizioni operative ugualizzate, senza il dumping di cui molti mercati emergenti
si avvantaggiano, economico (salariale, di costi) e sociale (sindacale,
legale). In Cina soprattutto vasto, grazie al regime politico duro e forte, in
grado di permettersi un dumping
sociale (paghe orarie, orari di lavoro) di imbattibili proporzioni.
L’economia italiana, che era la quinta, forse anche
la quarta trent’anni fa, ora arranca, nella seconda decina. La povertà assoluta
delle famiglie italiane è passata dal 4,3 per cento del totale nel 2000, 954
mila nuclei, per un totale di 2 milioni 937 mila individui, a poco meno di 2 milioni
di famiglie nel 2021, il 7,6 per cento del totale delle famiglie, per 5,6
milioni di individui, il 9,4 per cento della popolazione – quasi il doppio che
vent’anni prima.
Che il
pil malgrado tutto cresca ancora non è di per sé segno di salute. Se c’è, come
in questi anni, un redistribuzione in calo
del reddito, anzi una piramidalizzazione accresciuta del reddito disponibile,
prodotto. Il motore in realtà è asintono, una distribuzione piramidalizzata del
reddito implica un allentamento progressivo della funzione produzione\consumo,
che è il vero motore di un’economia. Qui, nella globalizzazione, si ha un’accumulazione che è piuttosto una sterilizzazione
del reddito, in attività commerciali (quanto imprenditori sono di fatto meri
venditori di prodotti cinesi), in paradisi fiscali, in consumi d lusso - non lo
yacht da duecento metri di stazza fa il benessere, ma duecento dodici metri a vela,
con modesta capacita di cavalli vapore: il reddito produce, oltre che
riprodursi, solo se distribuito.
I
ricchi poveri
Nel 1994 venivano censite 2.038.000 famiglie in
povertà, per 6.458.000 individui – il 10,2 per cento delle famiglie, l’11,5 per
cento degli individui. Ma è diverso il concetto di povertà assoluta. In termini
di povertà relativa, il dato 2021 censisce circa 2,9 milioni di famiglie, l’11,1
per cento del totale, per un totale di quasi 8,8 milioni di individui, il 14,8
per cento della popolazione. Tutti di immigrazione recente? Non tra i residenti,
che l’Istat monitora – del resto la povertà è più ampia al Sud, più del doppio che
al Nord, mentre al Sud gli immigrati sono tra un quarto e un terzo che al Nord.
In parte dovuta all’immigrazione, in parte al prolungamento della vita media
(persone sole anziane). Ma soprattutto per tre fattori. Per una riduzione del reddito
medio comparato. Per il numero sempre in calo di occupati nelle fasce di età
lavorative. E per il monte salari stagnante, in calo in germini reali.
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Ombre - 620
“Il
Pd perde consensi in tute le città”, in Toscana, già roccaforte rossa - Vannino
Chiti, uno dei fon datori del Pd: “Per il Pd è la sconfitta più grande”, sempre
in Toscana. Per un difetto più generale: “Il partito è diventato una
confederazione di correnti pensano a sistemare le notabibilita”. Cosa che tutti
sanno, ovunque, ma non si dice – non se ne scrive.
Il
gas liquefatto? Subito, domani, basta girare l’interruttore. Mentre ci vogliono
anni, anzitutto per individuare un sito dove costruire l’impianto di rigassificazione
– che nessuno vuole: puzza, ed è poco sicuro. Per esempio a Piombino, dove la Snam
, la società del gas, ha fatto la prima uscita - con un rigassificatore già pronto, un gigantesco impianto galleggiante da ormeggiare. Tra Piombino e l’Elba, non se
ne parla. Ma sarà lo stesso a Ravenna, o a Chioggia.
Curiosamente,
Piombino è – era – minacciata dalla deindustrializzazione. Per la crisi dell’acciaio
etc. – “Acciaio” è il romanzo della città, di Silvia Avallone (che però è di Biella, o di Bologna, non di Piombino). Ma contro il gas
liquefatto c’è un solo grido: “L’impianto ci ucciderà, vogliamo salvare il mare
e il lavoro”. La solerte cittadina si è riqualificata con un serie di itticolture,
apprezzate sui mercati.
Per
affrettare il delisting dell’As Roma dalla Borsa, i Friedkin, padroni del club,
offrono una serie di ricchissimi incentivi, a chi possiede poche azioni e a chi
ne possiede cento e duecentomila. Ma, nonostante gli incentivi, nessuno si è
affrettato. Amor di Roma, o semplice dimenticanza – di possedere il titolo? Che
vale pochi centesimi, ma in Borsa va su e giù, come fosse un titolo trattato –
il flottante residuo è solo l’11 per cento.
Aspettando
fine anno, quando dovrebbe operare il blocco alle importazioni di petrolio russo,
l’Europa ne acquista come mai prima. La Germania e l’Italia, insieme con la Cina,
se ne dividono la metà.
Il
greggio russo è soprattutto esportato con i tanker, di nazionalità britannica e
norvegese - la guerra ha fatto bene agli affari, non c’è solo la Exxon con le
tasche piene di dollari, come dice Biden.
A
colmare il (piccolo) gap nelle importazioni occidentali di petrolio dalla Russia
nei primi cinque mesi del 2022 sono l’India e gli Emirati Arabi - con la Cina, di cui Mosca è diventata la prima fornitrice. Gli Emirati
sono esportatori di petrolio. Passando da Abu Dhabi e Dubai il petrolio russo
si ribattezza.
Dalle
sanzioni contro la Russia è escluso il nichel. Evidentemente, poiché l’export
di Norisk, il gruppo russo che ne possiede le miniere, non ha conosciuto battute
d’arresto, moltiplicando il fatturato nei primi cinque mesi. Una società di
Vladimir Potanin, uno degli uomini più vicini a Putin. Personalmente escluso dalle
sanzioni, sia americane che europee.
È
un appoggio o un siluro a Draghi la presentazione sul “Corriere della sera” del
rapporto riservato dei servizi d’informazione sulla propaganda russa in Italia
come la “lista delle spie di Mosca”? Probabilmente è solo giornalismo di un
certo tipo, dei cronisti giudiziari – che erano poco tollerati in redazione e
ormai dominano i giornali. Ma a Draghi non ha fatto bene, in vista del
dibattito in Parlamento: sembra lui l’obiettivo dell’informativa. Non voluto naturalmente
– il sottosegretario ai servizi, Gabbrielli, minaccia indagini interne e
sanzioni alle gole profonde. Ma per chi lavorano i servizi? O bisogna presumere
che ai servizi siano addetti poco capaci?
Basta
annunciare la visita fiscale e duecento dipendenti subito sono guariti, dopo
mesi di malattia. Succede a Roma, all’azienda dei rifiuti. Governare a volte
non è difficile.
I
due migliori poliziotti, i più attivi e di successo, Cortese e Improta, condannati
per “sequestro di persona e falso”, per avere espulso una donna kazaka, Alma
Shalabayeva, che girava con un passaporto falso, sono assolti in appello. Dopo
dieci anni: carriere troncate, per la gioia di qualche malvivente. Perseguiti
dalla Procura di Perugia, contro il parere della Procura generale. La stessa Procura
che ha evitato di identificare gli assassini di Meredith Kercher. Mentre
incriminava Andreotti come assassino di Pecorelli. È Perugia che fa male ai giudici?
O sono sempre gli stessi, che si divertono?
Dice
che tra i giudici a Perugia – nella condanna di Cortese e Improta c’entrano,
con la Procura, anche il gip e in Tribunale - c’entra la massoneria. Che vuol
dire? C’è una massoneria particolare che fa fare castronerie ai giudici?
“il
Venerdì di Repubblica” celebra il sindaco di Manerba del Garda per la semplice
idea di rendere i cittadini responsabili della pulizia, del verde, e in genere
del decoro. Con ottimi risultati. Senza dire che è un sindaco di destra. Perché
la sinistra rinuncia alla verità?
“La
peste suina entra negli allevamenti” - “a rischio 50 mila capi”. Nel Lazio, dove
i cinghiali possono circolare liberamente protetti, anche dentro Roma. Ma che ci
sarà in questa protezione a oltranza di un animale non bello e nemmeno utile, e
anzi dannoso?
Un
processo si trascina stancamente a Roma dal 2006, per l’assassinio a Kabul di
due cooperanti, in teoria vittime dell’eroina, col trafugamento di ben 12 milioni
di dollari, pagati dall’Italia e dall’Onu, alla Idlo, una International Development
Law Organization, che avrebbe dovuto insegnare il diritto agli afghani. E invece
trafficava droga, oltre che milioni pubblici. La liberazione dell’Afghanistan
si rivela per ogni aspetto un pozzo senza fondo di corruzione. Compresa
l’inerzia dell’inchiesta, quindici anni per non accertare nulla.
Le streghe in Calabria
Lo
sfrenato Filosa, il “mangaka” italiano vincitore di tutti i premi internazionali
per racconti graphic, milanese di
adozione, esce dalla pausa covid
più armato (aggressivo) di prima. In tavole colorate pop e supersfrenate, ma
insieme dettagliste, quasi miniaturizzate, moltiplicate - le tavole saranno un migliaio. Riprendendo dopo la pandemia la saga
calabrese – i “pruppi” di questo secondo volume sono i polipi, come i “lupi
minari” del primo volume (2019) sono i lupi mannari - in forme nipponiche, di
miti e di streghe. Di streghe più che di demoni.
Il
ragazzo Cosma, con la madre intrepida, corre e sbaraglia demoni e diavole. Con
molto bianco e nero là dove sono in ballo “calamità femminili”. Anche in forma
di “zinnuse”, tutte tette, “magare” per lo più. Una caccia illustrata più che
scritta, cui Filosa dà graficamente le forme della corsa e del tumultuoso (e il
ruolo di Zurlo – è lo Zurlo di “Artisti si nasce”?). Intervallate – raramente –
da quadretti in riposo, quasi idillici, più dell’odiosamata Crotone natia.
Una
“corsa” divertente – oltre che di grande capacità grafica. E di divertente scorrettezza,
da istrione che l’abilità libera, e anzi consacra. Non da ultimo, di professare
il manga “calabrese”. Imponendo cioè, per la maestria, per l’autorevolezza, una
realtà marginale come luogo d’avventura, con tanto di riferimento specifico, Rose,
Cirò Marina, Punta Alice, Crotone appunto (irriconoscente del suo figlio
geniale?, l’imperdibile S.S.106, l’imperdibile Aspromonte, luogo di tutti i
fantasmi.
Nicola
Zurlo-Vincenzo Filosa, Cosma&Mito 2 -
L’assedio dei pruppi, Coconino Press Fandango, pp. 136 ill. € 18
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mercoledì 15 giugno 2022
Divorziare dalla Cina, è difficile
Decoupling è ora il mantra, e quasi la parola d’ordine, anche
per gli alfieri della globalizzazione, dei mercato aperti. Staccarsi cioè dalla
grande fabbrica del mondo che è la trent’anni la Cina – con altri apaesi asiatici,
Vietnam, India, ma il decoupling è riferito alla Cina. Non per ragioni di
convenienza, “produrre” a mezzo di produzioni cinesi è sempre conveniente. Ma
per una questione di politica generale, di equilibri.
Era inevitabile,
per almeno due motivi, che Trump aveva messo con la solita irruenza in chiaro. Produrre
in Cina significa disinvestire in patria e questo non ha senso economico – va bene
per gli affari, non va bene per l’economia: se profitta a qualcuno, non va bene
a nessuno – compresi, ma alla fine, gli stessi che “producono” in Cina. Dove,
questo il secondo motivo, un regime politico non liberale è al comando, le cui
scelte politiche non obbediscono alle logiche democratiche, del maggiore
benessere per tutti. Né alle consultazioni, ai compromessi, agli impegni
legali, ma a una politica del potere e quindi di potenza.
Il ragionamento
è semplice: la Cina ha dato molto agli imprenditori occidentali, e in parte
anche ai consumatori – la Cina è entrata nel mercato americano negli anni di Clinton
perché consentiva di fare la spesa anche ai poveri, con prodotti (abbigliamento,
calzature, prodotti per la casa) a prezzo minimo. Ma con un progetto, che non è
di essere per sempre la fabbrica del mondo, ma anche il padrone. Un progetto
comprensibile. Anche inevitabile. Ance giusto, non fosse per il regime
autoritario e di potere.
Se decupling sarà, non sarà però senza
danni. Ci saranno più investimenti in Europa e negli Stati Uniti. Ma molti
grandi gruppi (Volkswagen su tutti) potrebbero soffrirne, avendo nella Cina il
loro più grande mercato. Perché il decoupling
sarà ovviamente, di necessita, reciproco.
E comunqne non
si può fare a meno della Cina. Il mercato di gran lunga più grande e più in
espansione al mondo. Nonché fornitore, specie all’industria europea, delle
cosiddette “terre rare”, minerali sempre più essenziali alla transizione verso l’economa
verde. Stati Uniti e Canada si offrono di compartecipazione le loro risorse, ma non basterà.
La violenza della solitudine
La Medea di Tremestieri, che ha ucciso la figlia dopo averla accudita con amore, non è la vittima di un disturbo mentale. O allora di una sindrome di cui soffriamo tutti: la solitudine. La stessa che è all’origine degli uxoricidi, sempre più immotivati e truculenti, che si moltiplicano: sono carnefici che sono anche vittime. Solitudine di uomini, e anche di donne (la madre di Catania non è la prima che uccide il figlio o la figlia). Per una generale difficoltà di relazionarsi, che sempreeno trova limiti alla violenza.È l’effetto dell’isolamento invasivo. Senza più i rifugi tradizionali, la famiglia, il confessore, la maestra. E senza sostegni nuovi – i telefoni di pronto intervento psicologico semmai acuiscono la solitudine, sono come la Asl per il malato in carne. L’effetto di una modernità si direbbe vuota. Di sostegni esterni nella presunzione di una liberazione. Che invece è un carcere, duro, di fantasmi e demoni. Il buon saggio non c'è. Non comunque che si veda, mentre l’essere umano si vuole socievole.
Le ore felici di Zelda e Scottie
Ospiti in Europa dei Murphy,
Gerald e Sara, negli anni 1920 ancora felici, non intossicati dal presunto
fallimento di Scott come scrittore, Tomkins ricostruisce quei momenti, con
plurimi dettagli. E dalle testimonianze e le corrispondenze, specie con Sara,
trae anche notevoli spunti critici, di come Scott Fitzgerald pensava l’arte del
romanzo – a differenza, per esempio, di Hemingway.
Scott Fitzgerald è divenuto un
grande scrittore postumo, benché pubblicato in vita, per il riconoscimento
insistente di Hemingway e altri amici. “Tenera è la notte”, cui pure teneva più
che agli altri tre suoi romanzi, lui
stesso considerava un romanzo fallito, dopo le disattenzioni e le stroncature
critiche, e lo riscrisse – in una versione che tutti giudicano peggiorata (quando
morì, nel 1940, il romanzo non era più in stampa).
Calvin Tomkins, Living well is the best revenge, “The
New Yorker”, 28 luglio 1960, free online
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martedì 14 giugno 2022
Problemi di base bellicosi 3 - 702
spock
Dice che
Kissinger è un cretino – che spiega che se la Cina si prende Taiwan la Russia
la sostiene?
Se la Cina si
prende Taiwan dopo Hong Kong - per la quale nessuno ha protestato, nemmeno il
papa ha fatto il solito lamento?
La pace è
divisibile?
Ci informano o
si divertono - poi si dice che nessuno compra più il giornale?
Va Draghi a
cercare gas e mediazioni da Erdogan, che ha definito un dittatore?
Sanzioniamo
tutto, ma non quello di cui abbiamo bisogno?
spock@antiit.eu
La leggenda di Pasolini
A cura di Bernard
Vanel e Roberto Veracini, la raccolta di una dozzina di tributi, compresi Paolo
ed Emilio Taviani, all’arte e al genio di Pasolini, in incontri di vario carattere,
in diverse località, a Roma,
Parigi, Volterra, Pisa, Venezia, Nantes e altrove.
Un florilegio più
che un’analisi critica. Ma il fondamento celebrativo è ben convinto, e di forte
impatto. Pasolini “è parte oggi della memoria collettiva”, dicono i curatori: “Come
Kafka. Come Rimbaud” – “le sue immagini e le sue parole trascinano e agitano chiunque
le guardi o legga”. Pasolini è “una leggenda, e pronunciare il suo nome basta a
evocare paesaggi, corpi, colori, sorrisi, rabbie, rivolte”.
In Francia il suo mito
è fortissimo. Almeno un centinaio di sue opere sono in edizione – e non si sono
ancora liberalizzati i diritti. Per lo più curate criticamente.
Pasolini 2022-1922, L’Ours
de granit, pp 136 € 15
lunedì 13 giugno 2022
Il mondo com'è (448)
astolfo
Chautauqua-Licei – Chautauqua,
dal nome del lago sopra New York, era la rappresentazione dei cantastorie
indiani che giravano il paese a dorso di cavallo e in ogni remoto villaggio,
sotto la tenda, parlavano di tutto all’impronta. Il nome fu utilizzato nel
secondo Ottocento e fino al crac del 1929, come “circuito” di conferenze e spettacoli,
solitamente estivi, mobili, per l’America rurale. Per cinquant’anni portò la
cultura nell’America remota, seppure quella dell’America protestante,
anglosassone. Come estensione del movimento dei licei, club di educazione
popolare con biblioteche e conferenze. Avviati nel 1826 nel Massachusetts, i
licei s’erano estesi alla Nuova Inghilterra, a New York e a tutti gli Usa,
trasformandosi dopo la Guerra Civile in attività di lucro. Famoso fu il Lyceum
Bureau, lanciato da James C.Redpath nel 1868, che nel decennio successivo esibì
a pagamento P.T. Barnum, Mark Twain, Wilkie Collins ed Emerson.
Nel 1874 un pastore metodista, John H.Vincent, e Lewis Miller, un
uomo d’affari di Akron, Ohio, lanciarono il Circuito o Tenda Chautauqua, una
catena di scuole estive per formare i maestri delle scuole parrocchiali
domenicali, anche su temi profani. La prima scuola, nell’agosto del 1874, fu un
tale successo che il lago Chautauqua ebbe un immenso sviluppo, di ville,
alberghi, teatri. Cinque anni dopo si costituiva una Scuola Normale di
Chautauqua. Il Circuito portava le conferenze l’estate in ogni canto, per
tre-dieci giorni, alternate a concerti, sotto una tenda grigioverde, di 125 per
175 piedi, che divenne il simbolo dell’America rurale. Nel 1920 venti compagnie
gestirono novantatré circuiti negli Usa e in Canada, e spettacoli in 8.580 località,
per trentasei milioni di spettatori. Negli anni 1920 ogni centro avrebbe voluto
una Tenda. Nel 1932, con la crisi, il Circuito si dissolse.
Il Circuito
sarà stato anche l’ultimo uso esotico dell’“America che non c’è”, i suoi
indiani.
Indiani – Quelli d’America non hanno avuto
tutti la stessa sorte, ridotti alle riserve, e abbrutiti, di “fumo” e alcol –
di cui hanno avuto a lungo libera licenza di vendita, insieme con la privativa
del gioco d’azzardo. Per il resto limitandosi a fornire toponimi ispirati, come
avveniva quando li cacciavano nel nome della civiltà.
Altrove, nel Nuovo Messico, la California del Sud, l’America Latina, dove
c’erano i preti, gli indiani di Colombo sono sempre lì, benché nel Cinquecento
si eliminassero a milioni, secondo il testimone Las Casas.
I protestanti avranno avuto mira migliore nella corsa verso Ovest,
non avendo lasciato residui. I sopravvissuti che emergono dal folklore di augh! e tomahawk
sono a loro modo integrati. Anche se in una cultura, in Luisiana, California
del Sud, Nuovo Messico, spagnola e francese prima che americana, densa e non
desertificante.
Anche nella fase storica attuale, in cui l’America
estende i diritti a ogni essere animato, e anche inanimato, come possono essere
i minerali, trascuri i pellerossa. Se non altro per ragioni
commerciali, potrebbero anch’essi dire e dare molto. Gli indiani sono ancora anonime
“tribù”, popoli senza storia, l’America può essere spietata, nella sua infinita
bontà.
I re
anglosassoni non se ne curarono, degli indiani, l’America semplicemente diedero
in appalto ai buoni puritani – i re cattolicissimi di Spagna invece se li
fecero sudditi propri, benché “para ser
menores, miserables y rùsticos”, per contenere gli avidi coloni, e li
salvarono dallo sterminio.
Ucraina-Russia – La guerra civile dopo la rivoluzione sovietica si combatté
prevalentemente in Ucraina, nell’entroterra e nella regione costiera sul mar
Nero. In un’Ucraina che fu parte tra le più attive, della rivoluzione e della
controrivoluzione, in una serie di guerre di tutti contro tutti, per circa
cinque anni, che vide Kiev liberata e occupata quindici volte, di cui tre in un
giorno. Fra ucraini, rossi e bianchi, e contro i polacchi - contro i polacchi
con più determinazione e impegno che contro il sovrastante russo.
Un movimento per l’indipendenza si era rafforzato dopo la caduta
dello zar nel febbraio del 2017, che in pochi mesi portò a una dichiarazione di
indipendenza. Dapprima in forma di Repubblica Popolare, cioè rivoluzionaria, filorussa
ma autonoma, nel novembre 2017, e il 25 gennaio 1918 alla dichiarazione di
indipendenza. Riconosciuta il 9 febbraio dagli “imperi centrali”,
Austria-Ungheria e Germania. I “rossi” non cedettero, non subito: presero il controllo di Kiev lo stesso giorno in cui fu
firmato il trattato di Brest-Litovsk, il 3 marzo 1918. Ma con il trattato Lenin
portava la Russia fuori dalla guerra, e i “rossi” ucraini furono presto sopraffatti,
da “bianchi” col sostegno di Germania e Austria-Ungheria.
Formazioni ucraine furono anche parte attiva nella controrivoluzione.
A iniziativa di ufficiali dell’esercito zarista. Che mobilitarono le unità di
cosacchi volontari nello schieramento zarista, eredi delle tribù di guerrieri
banditi del Sei e Settecento, contadini privilegiati, assegnatari di terre senza
lo statuto di servi della gleba, nonché protagonisti di molta letteratura. Per
quattro anni, fino a tutto il 1921, queste formazioni, sotto il comando di
Simon Petljura, un giornalista e agitatore politico ucraino a Mosca, furono impegnate
contro l’Armata Rossa, e contro gli anarchici di Nestor Machno, col sostengo
più spesso dei polacchi. Dei quali finì anzi alleato, accordando loro la
sovranità sulla Galizia occidentale, con Leopoli – vecchia città
santa polacca - in cambio del riconoscimento come capo dell’Ucraina, e di
assistenza militare. Era una delle intese polacche contro la Russia, contro il
regime rivoluzionario, che era arrivato a minacciare la presa di Varsavia, e
non portò fortuna a Petljura. Che andò esule in Francia, dove nel 1926 fu ucciso,
mentre passeggiava a Parigi, da Sholom Schwartzband, “poeta e anarchico russo”,
secondo wikipedia, “ebreo di idee libertarie” - che al processo dirà: “Ho
ucciso un grande assassino”.
Buona
parte delle attività di Petljura furono nel contrasto delle formazioni anarchiche,
di origini contadine, di Nestor Machno. Un ex contadino lui stesso, perseguitato
dal regime zarista, che dopo la rivoluzione d’Ottobre fu uno dei protagonisti
della guerra civile in Ucraina. Interlocutore di Lenin, da questi poi
avversato, anche lui poi esule a Parigi. Machno è ricordato da Pio Turroni, un
anarchico romagnolo – vivrà fino al 1982 – che lo aveva frequentato a Parigi
negli anni 1930 e ne ha fatto testimonianza scritta in “Nestor Makhno. La
rivoluzione russa in Ucraina Marzo 1917 - Aprile 1918”, pubblicato nel 1974.
I “rossi” intanto, anche senza e contro
Machno, prendevano il sopravvento in molte zone del paese. L’8 febbraio 1920 l’entrata
vittoriosa a Odessa assunse speciale significato. L’Ucraina si avviava a
diventare uno stato confederato nell’Urss, che solo formalmente era una
federazione, in pratica era un impero diretto e gestito con rigore dal partito Comunista
Sovietico, cioè russo.
Instaurato il regime
sovietico, molta della resistenza alla collettivizzazione fu, nelle campagne,
ucraina. E più vasta ed efferata vi fu la repressione – via via più intollerante
e autoritaria. A mano a mano che si consolidava il potere di Stalin - il cui
proconsole sarà Krusciov, come capo del governo regionale di Kiev già nella
guerra civile Krusciov si era distinto a capo dei commissari politici nel
Donbass). L’abbandono della Nep e la collettivizzazione forzata lanciata da
Stalin nel 1929 rapidamente portarono alla confusione organizzativa e al blocco
della produzione. Il 1932 fu un anno di carestia, nella quale si conta che
almeno quattro milioni di ucraini siano morti di stenti.
La Russia nell’Urss
fu sempre più risentita come un occupante, un dominatore. Le radici dei due
tentativi delle due Meidan di sradicare i russi dall’Ucraina si radicano in questa
stagione di odio, anni 1920-1930. Che fece più morti di qualsiasi guerra: il
più gran numero l’ha sterminato Stalin, i mugiki dopo i kulaki, i piccoli
proprietari - cinque milioni? Dieci? non contano. L’odio di Stalin, del regime
sovietico, contro i mugiki, i contadini, era più radicale di quello dei nazisti
contro gli ebrei, se esistesse una classifica dell’odio – nel caso degli ebrei,
erano almeno un Nemico temuto: contro i mugiki solo disprezzo, pedate e
bastonate, non se ne parla ma nessuno lo nega - ci sono i discorsi, i manifesti,
gli slogan. In Ucraina come in Russia. Ma in Ucraina i contadini sfidarono Stalin,
abbattendo i commissari del popolo della collettivizzazione man mano che
arrivavano, a migliaia, e a milioni i porci, le vacche, le pecore, rifiutandosi
di mietere e seminare, e la moglie di Stalin spinsero al suicidio. La repressione
fu terribile, con milioni di vittime. Diretta da Krusciov, benché di origini contadine –
veniva però dalla Russia di confine con l’Ucraina, i confini possono essere
terre di odio.
Tutto sommato, un rapporto
da un secolo armato, conflittuale. Yalta, dove furono firmati gli accordi che
hanno regolato l’Europa fino all’attacco della Russia all’Ucraina, è territorio
ucraino – era. Ma il rapporto tra i due mondi è sempre stato conflittuale.
A guerra quasi finita,
nel febbraio 1945, in Germania, un Esercito Nazionale Ucraino fu costituito quale
forza amata di un governo provvisorio dell’Ucraina indipendente dall’Urss, il
Comitato nazionale ucraino. Forte di due divisioni e di “gruppo speciale”. Era
un tentativo di proporsi, in analogia col governo polacco di Londra, quale
interlocutore degli alleati occidentali contro l’Unione Sovietica – benché fosse
un progetto subordinato al comando tedesco. Molti anche nella Wehrmacht, e lo
stesso Himmler, il capo delle SS, s’illusero a guerra perduta di poter passare con
gli Alleati contro lo spettro russo-sovietico. Contro il quale, però, anche se
subito dopo si accenderà la guerra fredda, non era interesse di nessuno marciare.
Il generale Reinhard Gehlen, che
nella guerra aveva creato per Hitler lo spionaggio anti-Urss, con polacchi,
ucraini, rumeni, baltici, nel 1945 passò con tutta la rete al servizio degli
Usa, e fu quindi capo dello spionaggio della Germania Federale. Ma non si fidava
degli ex suoi collaboratori anti-Urss, dei non tedeschi.
L’Esercito Nazionale Ucraino
si gonfiò, caratteristicamente, in una formazione temibilissima, arrivando a
vantare 200 mila o più effettivi, mentre non arrivava a racimolarne un quarto,
o un quinto. Male armati e non bene inquadrati – erano i residui ucraini
volontari nella Werhmacht e nelle Waffen.
Come comandante
fu ripescato Pavlo Shandruk, un ucraino che aveva combattuto con Petljura, e dopo
gli accordi di Petljura con la Polonia era diventato un ufficiale polacco. Nei
quattro anni dell’occupazione tedesca della Polonia aveva fatto il direttore di
una sala di cinema. Da generale dell’esercito ucraino si distinse per la
ritirata. Verso l’Austria passando per la Slovenia, giànel febbraio del 1945
dopo la costituzione, incalzato dai partigiani di Tito. Il 7 maggio l’Enu (normalmente
citato come Una, Ukrainian National Army) era in salvo, nell’Austria
anglo-americana, benché diviso in piccoli gruppi. Dal Tirolo Shandruk si
diresse alla frontiera italiana, consegnandosi al 15mo Gruppo d’armate
britannico. Altri si diressero a Nord, al confine con la Svizzera e la
Germania, consegnandosi al Sesto gruppo d’armate americano. Poi furono raggruppati,
e internati in Italia, nella zona controllata dal 2do Corpo polacco. Shandruk
cercò un contatto con il generale polacco Anders a Londra, lo ottenne, e ottenne
la protezione degli Alleati per i suoi uomini, al quasi totalità dei quali poté
restare in Occidente, fuori dall’Urss. Altri piccoli gruppi, dispersi, o caduti
prigionieri dei russi, furono poi espatriati in Svizzera. Shandruk è vissuto
poi a lungo negli Stati Uniti, scrivendo libri di storia militare ucraina.
La cantante
Khrystyna Soloviy, che a marzo è diventata celebre adattando “Bella ciao” in
ucraino, esibisce su facebook, proprio quando canta “Bella ciao” (che peraltro
è un canto russo) degli anfibi con la scritta “Nostro padre Bandera”. Soloviy
cioè fa parte del movimento di estrema destra Svoboda, libertà, che si ispira a
Bandera. Forte di un 10 per cento alle elezioni parlamentari del 2012, protagonista
della seconda rivolta di Meidan, nel 2014 – quella che ha acceso il conflitto
con la Russia – e parte attiva del governo successivamente del governo.
Estromessa dal governo con la presidenza Poroshenkho, nel 2015, Svoboda si è
poi ridotta al 2 per cento al voto parlamentare del 2019.
Stepan Bandera
è il giovane politico ucraino che guidò il movimento per l’Ucraina indipendente
sotto l’occupazione tedesca. Collaborò con i tedeschi attivamente, anche se
finì in campo di concentramento, a Sachsenhausen, per la pretesa di un’indipendenza
totale. Poi liberato in cambio di una partecipazione attiva alle azioni militari
contro l’Armata Rossa, quando questa passò all’offensiva. A guerra finita, si
rifugiò in Baviera, sotto protezione alleata. Sarà assassinato nel 1959 –
avvelenato, si presume da agenti russi. Nel 2010 la sua memoria fu onorata dal presidente
antirusso Viktor Jushenko con l’onorificenza di Eroe dell’Ucraina – che l’anno
dopo verrà revocata dal Tar di Donesk, la capitale della Repubblica Popolare di
Donesk per la quale oggi si combatte.
astolfo@antiit.eu
La filosofia in motocicletta - la ragione non è razionale
Nel corso
di una girata in moto senza meta per il Middle West semideserto, Minnesota, i
Dakota, il Montana, col figlio disappetente e una coppia di amici, il professor
Pirsig riflette sulla sua disavventura, la follia cui l’ha portato la logica matematica – curata con 28 elettroshock, in
un “processo di Annichilamento”, o di “silenzio elettrocerebrale”. Rivive il
suo prima ipostatizzandosi come Fedro, un pensatore classico. Che si chiede,
gira e rigira: quanta ragione ha la ragione? Un tour de
force intellettuale che è diventato un libro di culto,
da quasi cinquant’anni ormai – è del 1974 – fuori commercio solo in italiano:
straordinaria la capacità del filosofo, distanziato sanamente dalla follia
filosofica, di farsi leggere per 400 fitte pagine.
Nelle
pause del viaggio il professor Pirsig si fa una “chautauqua”, la tenda-spettacolo
itinerante per l’America rurale (non urbana), che ha usato nel secondo
Ottocento e fino agli anni 1920-30, con conferenze e spettacolini edificanti,
di storia e di morale – uno dei tanti “prestiti” a titolo gratuito dagli
indiani, senza la saggezza. E discorre con “Fedro”, il Pirsig di prima dei manicomi.
Sul tema sempre - da vari punti di vista e per varie occorrenze, a volte partendo dalla manutenzione senza fine della motocicletta - della razionalità,
che è occidentale, è riduttiva, ed è il contrario della razionalità
fantasmatica, magica, gerarchica. Nella quale Pisig-Fedro riescono anche a
collocare, per l’intermediazione di Budda, la Tecnologia, per quanto faticosa, e
la Qualità, assillo mentale incessante.
Sulla
traccia di “Easy Rider”, il film di cult dei biker mezzo “fatti” che
attraversano l’America, un viaggio di (ri)formazione, da adulto per adulti. Le
pause sono molte, le pause di riflessione, tra i luoghi di refrigerio nella
calura e i motel nel mezzo del nulla, e una riparazione e l’altra della
motocicletta. Era anche il tempo in cui la moto veniva mossa da una catena, o
cinghia, che si allentava. E il carter perdeva olio. Il caso di riferimento è la
Harley Davidson, la moto più di culto, quella di Dennis Hopper e Jack Nicholson
in “Easy Rider”, che Bmw soppiantò, benché tedesca e spartana, perché non perdeva
olio. Qui è una Honda 350 Super Hawks, sappiamo dai paratesti, ma per Pirsig è
come una Harley Davidson, ogni cinque minuti deve metterci mano, ora le valvole,
ora l’accensione, ora i cilindri perdono colpi, ogni momento è buono per una
sosta, e una riflessione.
Il
linguaggio è un po’ scorretto, anzi non poco, ma ancora cinquant’anni fa si
poteva.
Robert
M. Pirsig, Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta
domenica 12 giugno 2022
Secondi pensieri - 485
zeulig
Amore – “L’amore è
nostalgia”, dice Freud, e intende della nascita, del ventre materno – la vita
intrauterina diverrà per i discepoli il paradiso (il paradiso prima del
peccato, da qui la nascita come il biblico peccato).
In effetti, quello
che di Freud colpisce in tema è che non se ne occupa, peer mancanza di
interesse o incapacità. Poco altro ne ha detto, se non come fatto psicogeno:
l’amore deriva direttamente dalla pulsione sessuale, e vive di essa, “l’amore è
il passo più vicino alla psicosi”, “Non
siamo mai così indifesi di fronte alla sofferenza come nel momento in cui
amiamo”.
Evoluzione – Nel 1925 il maestro Scopes fu condannato a Dayton, nel Tennessee,
per avere insegnato a scuola l’evoluzionismo. Sul maestro Scopes, che comunque
vinse l’appello, è stata fatta una commedia, Inherit the Wind – meglio sarebbe stata una commedia
musicale, le trovate scientifiche e filosofiche vanno al ritmo del charleston,
con cha-cha-cha. Il nemico del maestro Scopes, William Jennings Bryan, era uno
dei pochi americani socialisti e pacifisti. Era contro l’evoluzione perché era
contro l’imperante darwinismo sociale, allora e oggi imperante in America, quello
dei ricchi e poveri per destino, dei signori della guerra, e della
sopravvivenza del più capace, impiantato da Spencer sulla selezione naturale,
il fatto che “la giustizia appartiene ai forti”. Leggendo nel 1905 “L’origine dell’uomo” Bryan notò che
Darwin può “indebolire la causa della democrazia e rafforzare l’orgoglio di
classe e il potere dei ricchi”. La ragione lo stesso Darwin la spiega, che si
disse “cappellano del diavolo”, volendo catalogare i misfatti della natura,
cappellano di tutti quelli per cui Dio non esiste perché c’è il diavolo, c’è il
male.
Non bisogna sottovalutare Bryan.
Great Commoner, William Jennings
Bryan era l’Uomo della Strada, del quale tutto sapeva. E di cui condivideva la
filosofia politica: combattere i privilegi. Nativo di Salem nel Massachusetts,
il posto delle streghe, fu giovane il primo o secondo deputato democratico di
Chicago. Sarà il candidato democratico, populista e progressista alle
presidenziali di fine Ottocento, 1896 e 1900 - sconfitto da William McKinley,
il presidente più sconosciuto degli Stati Uniti. E sarà sconfitto ancora alle
presidenziali del 1908 - ma il vincitore William H. Taft realizzò le riforme da
lui proposte. Alle elezioni successive, nel 1912, candidò con successo Woodrow
Wilson, che lo nominò segretario di Stato. In questo ruolo Bryan portò Wilson
ad adottare le riforme per la Libertà Nuova. Benché perdente, insomma, realizzò
il suo programma. Ai lavoratori propose, in un “patto dei produttori”, la
giustizia economica, la tassazione progressiva, il controllo della circolazione
monetaria, il controllo dei monopoli.
Molte università bruciavano al suo tempo, al tempo della condanna
del maestro Scopes, i libri di Darwin, e i libri che ne esponevano le teorie,
Harvard per esempio. L’evoluzione, non c’è religione o filosofia che non ne
tenga implicitamente conto, l’inconscio stesso ne è pregno, nonché la natura,
ogni tanto siamo qualcosa che non siamo più, e saremo qualcosa che ora non siamo.
Un po’ come le stelle che all’improvviso non vediamo, che non esistevano da
milioni di anni. Un mondo di fossili morti, compresi gli umani, alimenta la
vita, l’erba dei campi, la funzione clorofilliana, l’acqua. Darwin voleva dare,
uomo del suo secolo, ordine a questo essere e non essere, e nel suo piccolo c’è
pure riuscito - anche perché poi è morto. L’evoluzione è la vita che accade
mentre moriamo, quando siamo svegli è ben una rivoluzione che a ogni istante ci
proponiamo. Anche rinunciando. La dottrina della creazione invece è di Platone.
Che sarebbe poco male. Ma tutte le nostre credenze si giustificano solo se si
crede nella creazione, questo è principio concorde di ogni ermeneutica.
Freud – Molto non gli
perdonava la nipote Sophie Freud, che ora è morta. Sotto l’accusa genera le di
“indulgenza narcisistica”, di un uomo pieno di sé, e nient’altro. E
l’osservazione che salta agli occhi di tutti, che rese infelici tutte le donne
di famiglia, compresa l’amatissima figlia Anna e la moglie. Sciocche Sophie
diceva molte teorie del nonno, dalla invidia del pene (“un’assoluta
sciocchezza”) al transfert. Vent’anni fa era apparsa del docufilm di Manfred
Becker, “Neighbours: Freud and
Hitler in Vienna”, per dire: “Ai miei occhi entrambi, Adolf Hitler e mio
nonno erano falsi profeti del XX secolo” – in quanto condividevano “l’ambizione di convincere gli altri uomini
dell’unica e sola verità che loro avevano scoperto”.
In particolare, da
psicologa, insegnante e praticante, ne contestava la elazione edipica, e il
transfert – il transfert nacque per disinnescare il fenomeno delle pazienti che
s’innamoravano del terapeuta, ma senza effetto: le pazienti poi cambiano
terapeuta e s’innamorano del nuovo.
Gerarchia – È il principio
dell’ordine. È il principio del mondo? Non la classificazione, la dipendenza
gerarchica. Dal merito, dalla violenza, dalla saggezza, dall’attitudine o dalle
attitudini. Trovandosi a “entrare” nel motore della sua motocicletta, Robert M.
Pirsig riflette che pezzo dopo pezzo, dal più grande al più piccolo, e fine, e
sottile, sta costruendo “una struttura”: “Questa struttura di concetti è
formalmente chiamata una gerarchia, e fin dai tempi antichi è stata una
struttura di base per tutte le conoscenze occidentali. Regni, imperi, chiese,
eserciti, tutti sono stati strutturati in gerarchie. Gli affari moderni sono
strutturati così. Le tavole dei contenuti di riferimento dei materiali sono
strutturate così, le catene di montaggio, il software dei computer, tutta la conoscenza
scientifica e tecnica è strutturata così – al punto che in alcuni campi, come
la biologia, la gerarchia di regno-filo-classe-ordine-famiglia-genere-specie è
quasi una icona”, una relazione sacra.
È il principio della
funzionalità (ordine). Ma fino a che punto? Non c’è società – economica, religiosa,
politica, intellettuale, morale – senza gerarchia. Di valori, di funzioni, di
personalità.
E l’uguaglianza,
postulato di base ineliminabile, come si combina? È anarchica, dissolutoria? Nel
vecchio linguaggio politico la gerarchia era il “sistema”. Ma il sistema, sotto
la crosta di abusi e soprusi, non è la razionalità?
Grande Fratello
– Si tende a fare confusione con l’originale di Orwell, l’autorità politica che
tutto controlla, anche il respiro, con le chiacchiere – social, televisive,
giornalistiche (specie quelle sempre malevole delle cronache giudiziarie). L’equivoco
è alla base della confusione che si è fatta questa settimana sul dossier dei
servizi segreti a carico dei “putiniani” d’Italia, dei sostenitori della Russia
nella guerra contro l’Ucraina. Mentre non era un controllo dei segreti di
queste persone, o anche il loro riutilizzo, ma una rassegna di ciò che essi hanno
detto in pubblico. Il Grande Fratello, qualora fosse stato pro Ucraina,
semplicemente non avrebbe consentito ai “putiniani” di parlare.
Il Grande Fratello non tollera
eccezioni – non tollera la tolleranza. E non reagisce ma agisce – è monolitico,
quasi sempre monocratico, e istituzionale – ha la forza dello Stato.
zeulig@antiit.eu