sabato 25 giugno 2022
L'aborto va regolato
Toni apocalittici sui media – “shock in America”, “shock
mondiale”, “l’aborto non è più un diritto” - per la sentenza della Corte Suprema americana
che prende atto della mancanza di una legge federale in tema di aborto e
demanda la questione alla legislazione dei singoli Stati della federazione. Ma
questo è nel diritto americano: la federazione
si regge sul principio dell’autonomia
degli Stati membri, e della legislazione federale in via subordinata e per
specifiche attività – difesa, sicurezza, medicare
(per i bisognosi). La sentenza è lunga 147 pagine, e lo spiega.
Un complotto assolve
Un
aureo libretto, apprezzato all’uscita, nel 1993, e poi scomparso. Sulla mania
del complotto, che, spiega lo storico toscano, domina la storia dell’Italia –
Zeffiro Ciuffoletti non è un nome poetico, è un vispo novantenne. La storia
del regno, e anche quella della
Repubblica: dall’attentato a Togliatti a Capaci e alla Milano delle tangenti
(Ciuffoletti ha scritto perché convinto, malgrado le propensioni politiche, che
Mani Pulite non fosse un complotto). Passando per Piazza Fontana e via Fani.
Fuori
polemica, non è vero che l’Italia sia la patria dei complotti. Quella semmai è
l’America, ne scopre uno al giorno, o poco ci manca. Ma anche la Francia, anche
la Germania: probabilmente il complotto va con la democrazia, Canfora ne
racconta tanti dell’Atene del secolo d’oro, di Pericle e successori. E non è
vero, è evidente, che Mani Pulite fosse “pulita”. Ma è vero che ogni sistema
autoritario si propaganda denunciando cospirazioni. Così come ogni sistema
politico morente: le rivoluzioni sono un complotto, etc..
La
psicosi del complotto è più vera – forte, difusa - in chiave psicologica: il
complesso di persecuzione, a opera di ignoti, per cause ignote, magari solo
rimosse. Ciuffioletti richiama l’abate Barruel e la polemica gesuita, di un
cattolicesimo sotto atacco. I Protocolli dei Savi Anziani di Sion,
un’invenzione molto ben concepita e tempestiva – buona per Hitler e per Stalin.
Al confronto, la mania italiana è solo giornalistica, di un giornalismo che si
vuole di denuncia ma è solo pettegolo – tutti siamo colpevoli di qualcosa.
Zeffiro
Ciuffoletti, Retorica del complotto
venerdì 24 giugno 2022
Ama de casa
Lisi ha la bellezza creola languida, stanca dell’esperienza più che degli anni. La vita in due continenti può essere faticosa. È in viaggio da Lima, dove è cresciuta con una ama de casa, una serva che la famiglia accudisce. La quale ha fatto sirvina cui, avendone una figlia. La figlia è cresciuta in casa come una figlia, ha fatto le scuole, e veniva preparata a un lavoro da segretaria. Ma ha fatto sirvina cui con un venditore ambulante di una barriada, nella quale è scomparsa. Sirvina cui è il matrimonio incaico, senza obblighi per il padre. Anche la madre si è messa con un uomo. In casa le è subentrata una chucha, ragazza della selva, una selvaggia.
Il dollaro scalzato – o la trappola del dollaro
Se e quanto a lungo il dollaro rimarrà dominante?
Con tutto ciò che comporta di benefici per l’economia e la potenza politica
americana? “Il sistema monetario internazionale può essere alla soglia di un
cambiamento significativo, per una combinazione di forze economiche,
geopolitiche e tecnologiche. Ma è una questione aperta se queste forze
butteranno il dollaro giù dal suo piedistallo come moneta internazionale dominante”.
Il professor Prasad, maestro di Economia
Internazionale alla Cornell, e alla Brookings Institution, americano di origine
indiana, non è di logica baconiana, per cui un cosa non è un’altra: “indianamente “ dice che può essere l’una
cosa e l’altra. Ma il problema si pone, oggi come cinquant’anni fa – il dollaro
era in fase acuta di crisi. Allora furono inventati i Diritti Speciali di
Prelievo, un asset teorico, una nozione di riferimento. Oggi invece non
è in gioco una invenzione burocratica, di manager di banche centrali, ma un
insieme di forze, economiche e politiche. Che Prasad elenca.
Il dollaro è dominante. Poco meno del 60 per cento
delle riserve in valuta delle banche centrali del mondo è in dollari – i “fondi
ombrello”. Tutti i contratti commerciali di materie prime sono denominati e
pagati in dollari. Il dollaro è in uso per denominare e regolare la maggior
parte delle transazioni finanziarie internazionali. Ma il peso dell’economia
americana nella produzione mondiale è in calo: era il 30 per cento del pil
globale nel 2000, è ora il 25 per cento. E “l’emergere delle monete digitali,
sia private che ufficiali, sta scuotendo la finanza interna (americana, n.d.r.)
e internazionale”. Ci fanno ricorso anche molti Stati, e almeno quatttro banche
centrali le sperimentano: Cina, Hong Kong, Thailandia e Emirati.
La digitalizzazione monetaria è preferita perchè
rende le transazioni immediate e annulla i rischi di cambio. Costa anche meno –
specie per le rimesse degli emigranti, una parte sempre più cospicua del mondo.
E presto renderà possibile il commercio inter-Stati senza ricorrere al dollaro
- “Cina e India, per esempio, presto non avranno più bisogno di scambiare le
loro monete in dollari per commerciare senza costi eccessivi: potendo scambiare
renminbi e rupie direttamente costerà anche meno”. Insomma, “la posizione del
dollaro come «moneta veicolo» declinerà”.
Ma. Ma non bisogna sopravvalutare il ricorso delle
banche centrali alle valute digitali. Non quello della banca centrale della
Cina, che sta sperimentando un renmnbi digitale. Questo, se anche funzionasse,
non vuol dire che il resto del mondo, specie in Asia, si acconcerà al renminbi.
E poi, non digitalizza anche l’America, privati e banca centrale? E così via.
Di ma in ma, si arriva alla conclusione che il dollaro è ancora forte, e che
sarà difficile scalzarlo. Non sarebbe neanche nell’interesse del resto del
mondo. E questa è la “trappola del dollaro”. Gli investitori stranieri,
comprese le banche centrali, posseggono 8 mila miliardi di debito pubblico
americano. Il debito finanziario degli Stati Uniti col resto del mondo è di 53
mila miliardi. Se il dollaro perde valore, questo non costa nulla agli Stati
Uniti, ma ai detentori del debito sì. Cina inclusa. Gli invesutori americani,
al conttario, detengono in investimenti all’estero circa 35 mila miliardi di
dollari: un apprezzamento delle valute straniere nei confornti del dollaro
significherebbe che i loro investimenti si apprezzano se convertiti in dolari.
La conclusione è che “il dollaro potrebbe scivolare, ma continuerà a
governare”.
Il giorno dopo la pubblicazione del saggio sul
trimestrale del Fondo Monetario Internazionale, la Cina ha riunito a Pechino i
Brics, Brasile, Russia, India e Sud Africa, con la proposta concreta, senza
veli diplomatici, di scalzare il dollaro dall’egemonia commerciale e
finanziaria. E in genere la Cina funziona così, baconiana: dice una cosa e poi
la fa – non improvvisa per la propaganda, un enunciato è un programma, studiato
e adottato.
Il paniere di valute di riferimento che il
presidente cinese Xi ha prospettato ai suoi interlocutori sembra un calco dei
Diritti Speciali di Prelievo, un basket delle valute dei Brics. Se
funzionasse tra Cina e Russia, come si è cominciato a provare per il petrolio,
forse uscirà dalla teoria.
Eswar Prasad,
Enduring Preminence, “Imf
Financial and Development Magazine”, free online
giovedì 23 giugno 2022
Xi rimette in gioco la Russia
Il governo cinese ci ripensa e
passa dal benign neglect, la
disattenzione, per quanto favorevole, verso la bellicosa Russia, a un appoggio
indirettamente attivo. Per ora solo politico, ma dichiarato: la proposta di una
Global security Initiative, opposta alla Nato americana, e di una moneta di
conto alternativa al dollaro. È bastata l’annunciata partecipazione del
Giappone e della Corea del Sud al vertice Nato di fine giugno a Madrid, che ha
in agenda un allargamento all’Indo-Pacifico, per cambiare in pochi giorni
l’atteggiamento del presidente Xi: dai commenti pochi, e poco sbilanciati per
la Russia, sulla guerra, a un piano addirittura alternativo al dollaro e
all’egemonia Usa, compartecipato con la Russia.
Le dichiarazioni filorusse sui
giornali cinesi si sono intensificate, e scopertamente di appoggio alla guerra.
Ieri il vertice improvvisato con gli altri quattro grandi paesi Brics: Brasile,
Russia, India, Sud Africa. Utile se non altro allo sdoganamento diplomatico di
Putin, che per la prima volta partecipa a un summit internazionale dopo la
guerra, belligerante contro l’“Occidente”, sulla falsariga degli ex
“non-allineati”. E a mettere in piazza un programma, seppure ancora sotto forma
di ragionamento, per soppiantare la leadership del dollaro nella finanza
internazionale. Con una fiducia riaffermata sulla globalizzazione - che ha fatto
la Cina grande – contro i dazi americani e europei. Il tutto entro un progetto
di pace, dal nome accattivante di Global Security Initiative, alternativo a
quello “aggressivo” dell’amministrazione americana, sotto la copertura Nato.
Con una polemica diretta contro gli Stati Uniti, seppure non citandoli, e un
occhio ancora di riguardo verso l’Europa – il presidente Xi sarà ancora
personalmente sotto l’impressione favorevole avuta dal governo Conte per
esempio in Italia, nel suo viaggio europeo, e dagli accordi speciali che furono
firmati a Pechino.
L’India, che è parte autorevole
del Quad, l’alleanza a quattro dell’Indo-Pacifico promossa dagli Stati Uniti,
con Australia e Giappone, mantiene il dialogo anche con Pechino. In realtà è e
resterà neutrale, ma così si assicura di sapere in anticipo cosa bolle in
pentola. Perché qualcosa bolle, non ci sarà un ritorno come prima.
La guerra non tocca la Russia - 2
Non si sa nulla della Russia in
guerra. Del Parlamento, delle popolazioni, nelle città, nel territorio
sterminato. Dei media. Degli oppositori di Putin, o della guerra. Dei fautori.
Ci sono molti corrispondenti e inviati a Mosca, ma nessuna notizia. Eppure i
russi sono chiacchieroni: s’incontrano in Romagna, in Versilia, in vacanza, e
sono sempre i soliti, stravaganti, eccessivi, e chiacchieroni.
Si vive a Mosca, che anche perché
le perdite sono minori, in uomini? In materiali non si contano, non nella
guerra moderna – che fa tanto bene all’economia: più distruzioni più
produzione.
Ma la questione energia è una cosa seria
Si va all’allarme energia, per
l’estate e poi per l’inverno, alla possibile mancanza del gas, non abbastanza
per i consumi, nonché all’aumento spropositato dei prezzi, della benzina e del
gas, come all’avventura: per moltiplicare i margini e gli utili delle imprese
del settore. Anche a protezione dei cittadino, ma nella maniera meno
giustificabile e più costosa, addossando i sovrapprezzi praticati dalle
compagnie allo Stato. Niente deve disturbare il business, il mercato, la cui ideologia fa il paio in Italia proprio
con Draghi, il presidente del consiglio in carica.
Non si sottrae all’impressione il
ministro della Transizione Ecologica, lo scienziato Cingolani. Che palesemente
mena il torrone. Molti rigassificatori, per sostituire il gas russo con quello
americano, più caro ma pazienza, insomma molto business, cioè molti soldi, ma
non una vera politica: del risparmio, della riduzione dei costi,
dell’autosufficienza energetica, nei limiti del possibile.
Molti rigassificatori per esempio
in Toscana, per rovinarne le coste, che pure sono pregiate. Uno prospiciente, a
Panigaglia, uno galleggiante, una piattaforma gigante, al largo di Livorno, uno
galleggiante di dimensioni pantagrueliche, 300 metri per 40, che si vuole
ormeggiare nel porto di Piombino, davanti alla città e davanti all’Elba. Impianti non solo enormi, ma
comunque inquinanti, anche provvisti delle migliori tecnologie, dell’aria e
dell’acqua. Senza contare il rischio di avere un impianto di rigassificazione
in città.
Il ministro del futuro Cingolani
non prospetta niente, solo un futuro di affari. Come se non ci fosse un
problema di prezzi e di quantità, di gas e prodotti petroliferi. Prospetta
centrali nucleari pulite, di terza o quarta generazione, come se fossero per
domani, mentre – ammesso che siano possibili in Italia, stante il referendum
antinucleare, e ammesso che la nuova tecnologia sia effettivamente pulita, cioè
non produca scorie – richiederà almeno quindici anni, fra impianti pilota e
centrali di produzione, per entrare in funzione. Roba da non credere.
Non si parla di altro, solo business, cioè oggi rigassificatori per
il gas americano. Centrali idroelettriche? Zero, la più parte sono dismesse. La
geotermia, che per esempio in Toscana assicura un terzo dell’energia consumata, tra Amiata e Monti Metalliferi, e potrebbe raddoppiare girando la chiavetta, non ha investimenti da decenni.
Nell’Alto Adriatico grandi riserve sottomarine di gas vengono lasciate allo
sfruttamento croato, perché l’Italia, a valle del Po, teme la sussidenza se il
gas viene pompato. Se il gas viene pompato dalla Crazia – i giacimenti sono
comuni - la sussidenza non c’è? No, ci sono piccoli interessi politici di
piccoli sindaci, che si fanno forti dell’ideologia verde, e cavalcano la
tigre - la sussidenza non c’entra,
contano i voti, che non sono di scambio i verdi non essendo naturalmente
siciliani, e nemmeno calabresi.
Cronache dell’altro mondo giudiziarie – 192
Nella commissione della Casa dei
rappresentanti che rievoca i fatti del 6 gennaio 2021, l’invasione del
Campidoglio, non sono stati ammessi deputati repubblicani. Solo democratici, e
due Repubblicani nemici di Trump – di cui uno, Liz Cheney, è figlia di Dick
Cheney, il vice-presidente delle presidenze Bush jr., capofila della destra
ultraconservatrice americana (l’ala neocon),
nonché oltranzista in politica estera, sostenitore dell’“1 per cento” (“Se
esiste un per cento di probabilità che qualcosa costituisca una minaccia, gli
Stati Uniti sono tenuti a reagire come se la minaccia fosse certa al cento per
cento”) e promotore della guerra all’Iraq su presupposti falsi. Il presidente
del gruppo Repubblicano alla Camera ne aveva candidati cinque, ma nessuno dei
cinque è stato ammesso dalla speaker
democratica della Camera, la presidente, Nancy Pelosi. La quale di suo ha
nominato i due repubblicani dichiarati anti-Trump.
Lo sfidante democratico
all’ultima elezione a governatore in Florida nel 2018, l’afroamericano Andrew
Gillum, quarantenne, è rinviato a giudizio con 21 imputazioni. Per
appropriazione indebita dei fondi elettorali e altre delitti, commessi tra il
2016 e il 2019. L’accusa è sostenuta dal ministro federale della Giustizia,
democratico. Segno che Gillum l’ha fatta grossa. Due anni fa, nel pieno
dell’isolamento da covid, Gillum era stato trovato in albergo in compagnia di
due uomini, uno dei quali escort di professione, nudo e in overdose.
Una simulazione sulle stragi di
civili negli ultimi cinque ani, dodici, con 221 vittime, spiega che con
l’accordo bi-partisan raggiunto una
settimana fa al Senato sulle vendite
di armi, una metà delle vittime si poteva probabilmente salvare.
Camilleri maccheronico
Sei
racconti di Montabano dispersi. Quattro in varie antologie Sellerio, “Capodanno
in giallo”, “Ferragosto in giallo”, “Un anno in giallo”, “Una giornata in
giallo”. Uno, “Il figlio del sindaco”, in edizione fuori commercio riservata ai
clienti del fu Unicredit Private Banking. Il più impegnativo, a cui Camilleri
molto teneva, che lo ha ripubblicato in vari luoghi, è stato scritto per la rivista
di quartiere cui lo scrittore era affezionato, “Il nasone di Prati”: racconta
di Montalbano comandato a Roma, vuole rifare Hitchcock, ed è il più debole dei
sei: un po’ di voyeurismo e nessuna sorpresa, fiacco anche nel ritmo, si ha costantemente
l’impressione di trovarsi in un film peplum,
di quelli americani sugli antichi romani con l’orologio al polso.
Un
Montalbano fumatore. Zitellone più del necessario. Per niente bravo (astuto,
coraggioso, appassionato), solo fortunato. Solo, senza comprimari. Con una nota
molto lusinghiera di Salvatore Silvano Nigro. Ma un’insalata senza l’aceto,
insapore, di aneddoti anche deboli-
I
racconti si leggono per la lingua, il linguaggio. Che non è il dialetto
siciliano. E questa è la chiave del “mistero Camilleri”, del suo fascino. Anche
quello di Verga è un siciliano “scritto”, d’autore. Ma ne ha le cadenze, e ne
riflette la psicologia – le lingue hanno una psicologia. Quello di Montalbano
è, s’immagina, quello di Camilleri che dialoga con se stesso, dentro e fuori
Porto Empedocle, dove alla fine avrà vissuto solo una ventina dei suoi 94 anni,
anche se saporosi. Una lingua personale, un po’ maccheronica, come quella di
Folengo. Sarà interessante vedere se resiste nel tempo.
Andrea Camilleri, La coscienza di Montalbano, Sellerio, pp. 257 € 14
mercoledì 22 giugno 2022
La guerra non fa male alla Russia
Arrivano russi malgrado tutto, per lavoro, dai parenti, in vacanza, e non
sembrano preoccupati. Sì, qualcosa è rincarato, ma non molto. Che la Russia,
paese del resto continentale per eccellenza, sia entrato nell’ottica americana
delle guerre da remoto, l’Ucraina come il Golfo, la Serbia, l’Afghanistan,
l’Iraq, la Libia, la Siria, per restare alle ultime guerre americane?
Oggi
22 giugno il cambio euro-dollaro segna 0,95. Un anno fa si aggirava su 1,20.
Poiché le materie prime, compresi il petrolio e il gas, si quotano e si pagano
in dollari, c’è un aggravio per l’eurozona del 20 per cento per il solo effetto
del cambio.
Il
cambio dell’euro sul dollaro ha segnato un lento cedimento fino a marzo, poi ha
avuto un brusco calo.
Si
può anche notare che il rublo, per converso, si è apprezzato nel corso della
guerra contro l’Ucraina. A marzo, all’avvio dell’“Operazione Speciale”, ha
subito una svalutazione di oltre il 50 per cento, da 77 rubli per dollaro a
114. Poi ha avuto un’altrettanto brusca rivalutazione, a livelli migliori che
pre-guerra, e ora naviga a quota 56.
Si
adottano le sanzioni economiche contro un paese per isolarlo e per indebolirlo
economicamente. Ma questo secondo effetto può non essere rilevante: lo studio voluminoso
e classico di Paul Samuelson, Nobel 1970, “Economics”, rilevava nel 1948 che
mai l’economia è stata così ricca e in crescita negli Stati Uniti come per lo
sforzo di produzione bellico.
Ombre - 621
La
tassa sul biliardino e sul ping-pong, all’oratorio e in spiaggia, se ne
potrebbe ridere, e invece no: dice tutta la miseria dello Stato. Che non è più
governato da un Tremonti qualsiasi ma da Draghi, che è tutti noi, la testa e il
cuore della nazione.
Come
ci si arriva? Si dice per la “crisi fiscale dello Stato”, ma si dice da
cinquant’anni, quasi.
Il
capo della Vigilanza alla Bce, la banca centrale europea, Enria, è preoccupato
come sempre, ma dà via libera alle banche di pagare il dividendo, se c’è. Non
ci deve pensare la banca, che sa i suoi conti?
Il
blocco che Enria ora toglie ha colpito in Italia solo Unicredit, probabilmente
senza danno per la banca, ma è un singolare modo, a Francoforte della Bce come
a Bruxelles della Commissione, di “dirigere” gli affari. Non limitarsi alle
cornici legali, ma entrare nel merito, fare le cose.
Si
minaccia la siccità nella valle padana. Dove un progetto di diga sul fiume Enza
è “fermo da 162 anni: potrebbe assicurare l’acqua alla produzione del
Parmigiano-Reggiano”. Un progetto del 1860: “Nel 1988 i primi lavori, bloccati
per salvare le lontre”. Non c’è salvezza.
“Odessa
è sempre stata una città russa. Come Putin ha detto, l’Ucraina è stata data via
dalla dirigenza comunista”: parla chiaro con Francesco Bechis su formiche.net,
sito atlantista, Sergey Karaganov, fondatore del Valdai Club, consigliere di
Putin per la politica estera. Il Valdai è un forum rispettato di politica
internazionale.
Karaganov
dice anche un’altra verità: “Purtroppo del diritto internazionale è rimasto
poco in piedi negli ultimi vent’anni. Abbiamo assistito ala distruzione della
Jugoslavia da parte della Nato, all’invasione dell’Iraq, ai bombardamenti in
Libia”.
“Allarme Superbonus. Il credito è finito, imprese a
rischio. Trentamila aziende sono vicine al fallimento”. Ma anche se fossero
tremila, anche solo trecento, come si fa a fare una legge che poi non si
applica – si applica boicottandola, la cosa peggiore (sono otto mesi che la
Guardia di Finanza ha scovato falsi appalti per 5 miliardi, o 5 mila). Dal
reddito di cittadinanza al Superbonus tanta politica da dilettanti,
nell’ipotesi migliore.
“Assist
dell’ex comico a Conte”. Adesso, dopo la scissione di Di Maio, la cosa è comica
di suo. Ma si può essere ex comico?
Ma,
poi, Grillo – è di Grillo che si parla – cos’altro è se non un comico? Questa è
la sola verità, inutile fingere che i 5 Stelle siano un movimento, o una
rigenerazione: è un parco giochi, a
tema, niente si ricorda di quanto hanno fatto dove hanno amministrato, a
Torino, a Roma, nella stessa Parma, la loro prima piazza.
L’India
aumenta le importazioni di petrolio dalla Russia, il suo secondo fornitore, ed
esporta i prodotti petroliferi in Europa, favorita anche dai prezzi elevati. È
l’effetto “triangolazione” delle sanzioni – una distorsione dei mercati, che
non punisce il colpevole (la Russia) ma gli stessi sanzionatori.
L’Unione
Europea che fa causa alla Gran Bretagna, causa civile per danni, per poter commerciare
liberamente con l’Irlanda del Nord, non si sa se è più da ridere o da piangere.
Mentre siamo in guerra, con la Russia nientedimeno.
È più da ridere o da piangere un primo ministro inglese che resta al suo posto, e prende anche decisioni importanti, come armare l’Ucraina, cioè entrare in guerra, contro l’opposizione, come è normale, ma anche contro i due terzi del suo partito? È democrazia, la democrazia più antica del mondo?
Clinton, come ho messo la Russia alle corde
Un saggio
tempestivissimo, e molto ben scritto, da specialista di cose internazionali, sulla
rivista democrat tra le più bellicose. Tralasciando l’essenziale.
Clinton,
il presidente di dopo il crollo del Muro, ha spinto la Russia sulla via della libertà,
della democrazia e della cooperazione, sugli armamenti e su ogni altro aspetto,
l’ha finanziata perfino, facendone il suo primo impegno presidenziale – “ho
incontrato Yeltsin 18 volte e Putin cinque, due volte quando era primo ministro
di Yeltsin e tre negli oltre dieci mesi in cui le nostre presidenza si
sovrapposero”. Ha aperto alla cooperazione due settori importanti: “il terrorismo
etnico, religioso, tribale, e la proliferazione di armamenti nucleari, chimici, e biologici”. Ha introdotto
Mosca in molte organizzazioni occidentali, anche se da osservatore, quali il G
7 e la stessa Nato. E tra chi sosteneva l’allargamento della Nato
fin sotto il Cremlino, immemore della crisi cubana, e chi lo criticava, cita i
due maggiori critici, George Kennan, l’ex diplomatico all’origine della
politica di containment dell’Urss di
Stalin, e un Mike Mandelbaum, “un’autorità sulla Russia” – a favore cita
Madeleine Albright, la sua segretaria di Stato, appena deceduta (il saggio è
anche un omaggio a Albright), e vari nomi che non dicono nulla, se non per il
suono russo. Poi, candido, dice anche: sotto la mia presidenza entrarono nella
Nato Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, “contro l’opposizione russa”, sotto i
miei successori altri undici paesi dell’ex Patto di Varsavia sovietico, “contro
l’opposizione russa”. Ma tralascia l’essenziale della sua presidenza: la dissoluzione
della Jugoslavia con la guerra finale alla Serbia, e la “guerra” alla Fortress
Europa, l’Unione Europea che andava verso l’adozione dell’euro.
Di questo
è difficile parlare, tuttora: è una linea politica americana, o bi-partisan come è d’uso dire, di non
consentire un’Europa indipendente, ed è un tema enorme, ben più grave che
l’Operazione Speciale di Putin contro l’Ucraina, anche se non fa vittime, non
per ora. Ma come dimenticare la dissoluzione della Jugoslavia, armata e finanziata
da Clinton, fino alla Guerra alla Serbia. Una guerra aerea, la più micidiale
contro i civili, e la meno onorevole militarmente. Con bombe all’uranio
impoverito, che hanno continuato a fare vittime anche a distanza di anni – per
esempio tra il personale militare italiano di bonifica. Tre mesi di bombardamenti,
quotidiani, per lo più da basi italiane, dal 28 febbraio all’11 giugno1999.
Putin
certo non è giustificabile, e ha superato i tre mesi di bombardamenti. Ma la
Serbia, cui wikipedia concede tremila morti civili, compresi una settantina di
bambini, è grande 88 mila kmq, l’Ucraina 600 mila – un po’ di cinismo ci vuole.
Clinton distrusse la Serbia per dare l’indipendenza al Kossovo, richiesta da una
organizzazione che gli stessi Stati Unti definivano terroristica, l’UÇK, creata
da un mafioso, Ibrahim Thaci? Oppure per dare una lezione a Mosca?
Bill Clinton, I Tried to Put Russia on
Another Path, “The Atlantic”, 7 aprile 2022, free online
martedì 21 giugno 2022
Il mondo com'è (449)
astolfo
Wiliam
Jennings Bryan
– È stato il socialista più eminente in America, pacifista, ammazzabanche, tre
volte candidato presidenziale, re dell’opinione pubblica se non del voto
presidenziale.
Nel 1925
il maestro Scopes fu condannato a Dayton, nel Tennessee, per avere insegnato a
scuola l’evoluzionismo. Il nemico del maestro Scopes (che comunque vinse in appello)
era William Jennings Bryan, uno dei pochi americani socialisti e pacifisti. Era
contro l’evoluzione perché era contro l’imperante darwinismo sociale, allora e
oggi imperante in America, quello dei ricchi e poveri per destino, dei signori
della guerra, e della sopravvivenza del più capace, impiantato da Spencer sulla
selezione naturale, il fatto che “la giustizia appartiene ai forti”.
Leggendo
nel 1905 “L’origine dell’uomo”
Bryan notò che Darwin può “indebolire la causa della democrazia e rafforzare
l’orgoglio di classe e il potere dei ricchi”. La ragione lo stesso Darwin la
spiega, che si disse “cappellano del diavolo”, volendo catalogare i misfatti
della natura, cappellano di tutti quelli per cui Dio non esiste perché c’è il
diavolo, c’è il male.
Great Commoner,
William Jennings Bryan era l’Uomo della Strada, per il quale la filosofia
politica è semplice: combattere i privilegi. Nativo di Salem nel
Massachusetts, il posto delle streghe, fu giovanissimo il primo o secondo
deputato democratico di Chicago. Sarà il candidato democratico, populista e
progressista alle presidenziali di fine Ottocento, 1896 e 1900 - sconfitto da
William McKinley, il presidente più sconosciuto degli Stati Uniti. E sarà
sconfitto ancora alle presidenziali del 1908 - ma il vincitore William H. Taft
realizzò le riforme da lui proposte. Alle elezioni successive, nel 1912,
candidò con successo Woodrow Wilson, che lo nominò segretario di Stato. In
questo ruolo Bryan portò Wilson ad adottare le riforme per la Libertà Nuova.
Benché perdente, insomma, realizzò il suo programma. Ai lavoratori propose, in
un “patto dei produttori”, la giustizia economica, la tassazione progressiva,
il controllo della circolazione monetaria, il controllo dei monopoli.
Solo
perdette la battaglia per l’argento libero, Free Silver, sconfitto dal Nord-Est
industriale, il suo mondo, e dalle banche, che imposero l’oro e il gold standard per limitare il circolante
e tenere stabili i prezzi e il valore della moneta. Fu la seconda conquista o occupazione
del Sud in pochi anni. Contro l’oro era
l’America rurale, a Ovest e al Sud, favorevole alla lievitazione dei prezzi per
alleviare i debiti, che non poteva onorare per i crolli ripetuti dei prezzi
agricoli e minerari nelle crisi del 1873 e del 1893.
Un
Greenback Party, per la libera stampa dei dollari, si costituì dopo il Panico
del ‘73. Il Panico del ‘93 rilanciò il Free Silver e Bryan, per un rigore
monetario allentato e il parziale ritorno della monetazione all’argento. La
ripresa economica e maggiori forniture d’oro alleviarono i debiti e
indebolirono il Free Silver. Dopo la Depressione - Bryan non c’era più – F.D.Roosevelt
tornerà all’argento, facendone acquistare al Tesoro ingenti quantità, ma l’uso
nel conio fu minimo, e i depositi
sono stati venduti nel 1970.
Bryan
proponeva il suo progetto socialista in un quadro liberale, contro l’“invadenza”
di tutto ciò che era “federale”, il governo di Washington e perfino la Corte
Suprema. Analogamente in politica estera: Bryan perdette le elezioni nel 1900
facendo campagna contro l’imperialismo, anche se era stato due anni prima
volontario contro la Spagna, col grado di colonnello. E da segretario di Stato
lavorerà per il controllo sui Caraibi, dando materia al futuro capolavoro di
Dos Passos, “U.S.A”, o l’imperialismo
delle banane. Nel quadro di un piano di difesa del Canale di Panama e
dell’America Latina dall’eimperialismo europeo. Col Trattato Bryan-Chamorro del
1914 riservò agli Usa il diritto a intervenire anche in Nicaragua, come già a
Panama, a protezione del futuro secondo canale. Delineò l’Osa, l’Organizzazione
degli stati americani che nascerà nel 1948, portando una trentina di paesi a
firmare trattati per il negoziato obbligatorio preventivo in caso di crisi,
invece della guerra immediata, come usava. Ma lasciò il governo alla
dichiarazione di guerra contro la Germania per l’affondamento del “Lusitania”:
era neutralista.
Dopo la Grande Guerra Bryan si trasferì
in Florida, che godeva del primo boom,
e vi s’arricchì con gli immobili, nel tempo libero scrivendo di religione.
Guidò il proibizionismo e fece votare il Diciottesimo emendamento, ma difese le
suffragette nella campagna per il Diciannovesimo. Contestò con successo la Lega
delle Nazioni del suo protetto Wilson, e la dichiarazione di guerra avrebbe
voluto soggetta a referendum. Morì il 26 luglio 1925 a Dayton, Tennessee,
dov’era stato testimone influente per l’accusa al processo Scopes - morì cinque
giorni dopo la condanna del maestro. Avendo legato il suo nome alla campagna
per l’interpretazione letterale delle Scritture: la guerra egli imputava
all’empietà dell’evoluzionismo.
Celti – In polacco l’Italia è Włochy – italiano
włoch, italiana włoszka. E nessuna delle etimologie suggerite, piuttosto di fantasia,
regge: da un ipotetico Jan Włoch fondatore di un villaggio italico ai parrucchieri
che la regina Bona Sforza portò con sé in Polonia, chiamati spregiativamente włosi, capelli o capelluti. Più
verosimile è la derivazione dai Volsci, il popolo italico in Terra di Lavoro,
con propaggini molisane. Della cui fine non molto si sa: i Romani per domarli
non li avrebbero trapiantati, come fecero con i Sanniti nelle Apuane, e gli Apuani
nel Sannio, ma li avrebbero respinti a nord, disgregati e nomadi o vagabondi, in
terra gallo-celtica.
Volsci del resto verrebbe da una radice in
sanscrito che significa “straniero”. Che comunque denomina popolazioni di
origine e tradizione celtica – dei galli che diventano gallesi, e welsch. O
viceversa: è Volsci un altro nome per celti, come si ritroverà anche in
Valacchia, nel greco Vlachos, gli antichi rom, e nel tedesco walh- e nello
slavo vlah o val- (vol-).
Curiosamente, Voltaire in vecchiaia,
quando ormai disperava dei francesi, prese a chiamarli, invece che galli, welches, che il francese pronunzia welsh.
Carlo Andrea Pozzo di Borgo – Fu il corso grande
nemico del corso Nepoleone. Nato italiano nella Corsica ancora genovese, nel
1764, fu il più costante avversario della rivoluzione francese, fin dall’inizio,
e dei Buonaparte, sia in Corsica sia in Francia dopo l’ascesa di Napoleone, e a
Londra, a Vienna e a San Pietroburgo. E la persona che lo stesso Napoleone
risentiva come il suo più pericoloso nemico.
Fece i primi studi al convento di Vico, presso Ajaccio, dei missionari
oblati di Maria Immacolata. Poi a Pisa, dove fu compagno di studi di Giuseppe
Buonaparte, il fratello maggiore di Napoleone che sarà re di Napoli e re di
Spagna, e si laureò in diritto con un professor Tosi. All’epoca i Buonaparte,
imparentati alla lontana con i Pozzo di Borgo, cugini di quinto grado,
condividevano con questi il sostegno a Pasquale Paoli, all’indipendentismo. Inizialmente:
dopo il fallimento e l’esilio di Paoli, il capo famiglia dei Buonaparte, Carlo
Maria, si schierò con Parigi, i Pozzo di Borgo no. Con la rivoluzione a Parigi,
i Pozzo di Borgo riesaminarono la questione. Carlo Andrea nel 1791, fu delegato
all’Assemblea rivoluzionaria a Parigi. Dove sedette nei banchi dei moderati,
votando contro le leggi eversive del clero. Ma presto provvide a tornare in
Corsica, già nell’agosto del 1792, dopo l’arresto e l’esecuzione di Luigi XVI,
la proclamazione della Repubblica, e la prima Comune di Parigi.
Tornato in Corsica, divenne il braccio destro dell’indipendentista
Paoli, rientrato dall’esilio. E fu da questi nominato nel luglio 1792 capo del
governo – Paoli si voleva capo delle forze armate, Luogotenente Generale, con
Napoleone tenente colonnello, a capo di reggimento di volontari corsi. Quando la
Repubblica francese attaccò la Sardegna dei Savoia, Paoli organizzò due spedizioni
di appoggio, una a Cagliari e una alla Maddalena. Entrambe sfortunate. Della
seconda faceva parte anche Napoleone, al comando dell’artiglieria, che dopo l’insuccesso
denunciò Paoli a Parigi.
Paoli passò allora con gli inglesi, protetto dalla flotta inglese,
adottò la lingua italiana e una costituzione, e proclamò l’indipendenza: un regno
di Corsica, che durò dal giugno 1784 all’ottobre 1796, re Giorgio III d’Inghilterra,
I di Corsica, presidente del Consiglio di Stato Pozzo di Borgo. Dopo la
denuncia di Paoli, la casa dei Buonaparte a Ajaccio era stata saccheggiata, e
Napoleone con tutta la famiglia si trasferì dapprima a Bastia e poi a Tolone,
dove già era in attività Luciano. Pozzo di Borgo faceva votare dal Parlamento
la confisca dei beni dei Buonaparte.
Il regno indipendente ebbe vita breve. Gli inglesi non si fidavano
di Paoli, che confinarono, dapprima a Monticello poi in Inghilterra. Nel giugno
1976 Napoleone da Livorno, dove aveva concentrato i fuoriusciti, organizzò lo
sbarco nell’isola, senza trovarvi resistenza. Pozzo di Borgo si rifugiò a Roma,
e poi a Londra, sotto la protezione del conte Gilbert Eliott, che era stato il
governatore inglese dell’isola per conto di Giorgio III. Da Londra passò a
Vienna, sempre al seguito del conte Elliott, divenuto duca di Minto, in
missione presso l’imperatore austriaco. Da Vienna passò nel 1804 al servizio di
Alessandro I. Di cui divenne il diplomatico di fiducia, artefice dell’alleanza
austro-russa che l’anno dopo, il 2 dicembre 1805, finì nella sconfitta di
Austerlitz. Venne quindi incaricato di missione con gli Anglo-Napoletani, e
subito dopo, sempre nel 1806, col comando militare prussiano.
L’anno successivo, inviato a Istanbul dopo la dichiarazione di
guerra del sultano alla Russia il 7 dicembre 1806, su pressione di un altro
corso, Horace Sébastiani, ambasciatore di Francia, fu sorpreso dalla notizia
della pace di Tilsit, in conseguenza della sconfitta russa di Friedland, con la
quale lo zar aderiva a un accordo con Napoleone in chiave anti-britannica. Non
passò un anno e Pozzo di Borgo fu allontanato da Alessandro I: la “guerra” privata
tra le due grandi famiglie corse proseguiva.
Anche Vienna gli divenne inospitale: Metternich in persona
comunicò a Pozzo di Borgo una richiesta di estradizione ricevuta da parte di
Napoleone, che lo metteva in imbarazzo. Pozzo di Borgo riparò allora a Londra.
Riemergerà nel 1812, richiamato in fretta dallo zar. Al quale assicurò in
Svezia l’alleanza di Bernadotte, e per conto del quale rivitalizzò i legami corsi,
familiari e di amicizia. Finirà con l’ingresso di Alessandro I a Parigi. Che
Napoleone attribuirà a Pozzo di Borgo, nel “Memoriale di Sant’Elena” di Las
Cases: fu lui a consigliare allo zar la marcia su Parigi, anche se Napoleone
avrebbe potuto attaccarne la retroguardia – “Fu Pozzo di Borgo a decidere il
destino della Francia, della civiltà europea, ed i destini dell’intero mondo: aveva
guadagnato una grande influenza sul gabinetto russo”. I destini dell’Europa
decisi da due corsi.
A Parigi nel 1814 Pozzo di Borgo fu nominato commissario del governo
provvisorio. Nei Cento Giorni fu in Belgio, presso Luigi XVIII, rappresentante
di Alessandro I. A Waterloo si salvò per caso da una carica dei corazzieri
francesi. Alla restaurazione fu collaboratore di promo piano di Luigi XVIII, e
poi di Carlo X. Al passaggio della monarchia francese agli Orléans di Luigi Filippo
riprese i legami con San Pietroburgo, inducendo lo zar Nicola I a riconoscere
la nuova monarchia. Fu poi per alcuni anni ambasciatore russo a Londra. Fino ai
75, nel 1839, quando si ritirò a Parigi. Dove visse fino al 1842, vent’anni
dopo la morte del grande nemico Napoleone.
astolfo@antiit.eu
L’infelicità di essere madre
Dodici racconti “dal vero”, di e attorno
alla cronaca (Cogne apre e chiude, con dedica a Anna Maria Franzoni: le storie
sono in realtà dieci, incorniciate dall’infanticidio in val d’Aosta), con un’escursione
esotica a Godarat nel 1237, su genitorialità fuori norma. Non in linea cioè col
vero senso della procreazione, che è di dare vita. Di donne per lo più. Con tre
storie di uomini. E una, la più poetica o meno truce, che si vuole di Ouro
Preto in Brasile, nel 1936, con un narratore al maschile che si rivela portavoce
di un io femminile.
Una mantide campeggia in copertina, ma sono
racconti del rifiuto della vita, propria e altrui. Per inadeguatezza si dice,
ma insomma per confusione mentale. Specie quando la madre rifiuta la figlia,
per una forma di gelosia.
Un assunto originale, per un punto di vista
forse solo necessario. Della donna che è naturalmente madre, ma rifiuta questa condizione.
È strano semmai che arrivi in ritardo, in epoca di decostruzioni. Che dopo
Tremestieri però – e Valfurva, e la stessa Cogne, che trova Petri solidale, e
altri che le cronache trascurano (le guerre madre-figlia sono il caso più
ricorrente dei servizi sociali in ambito urbano) – sa di raccapriccio. Funziona
non contro la maternità in ambito patriarcale, ma contro le madri dei racconti,
per quanto vittime: in nessun punto della storia, nemmeno nel maschilismo più
bieco, la maternità è una imposizione, una tortura inevitabile.
Romana Petri, Mostruosa maternità, Perrone, pp. 200 € 16
lunedì 20 giugno 2022
Secondi pensieri - 486
zeulig
Guerre di religione – Si fanno a
causa delle Scritture, è l’opinione corrente. Le fanno quelle religioni che
sono legate a una Scrittura, a una maniera esclusiva di essere religiosi:
ebraismo, cristianesimo, islam. Non per esempio, si dice, le religioni
orientali: induismo, buddismo, confucianesimo, taoismo si differenziano in
dottrina, ma le differenze dottrinali non sono in essi così decisive (esclusive)
come nelle tre religioni del Libro.
Questo
è vero e non lo è: l’induismo è militante, anche più delle tre religioni
rivelate. La guerra è concetto e istituzione più ampia, che assume anche
connotazioni religiose. Connessa con l’aggressività, che caratterizza il mondo
animale, in funzione protettiva ma anche distruttiva – è il problema delle guerre
di liberazione: fino a che punto?
Ipotesi – È il motore
(meccanismo) della scoperta scientifica. La volontà, la voglia, di prospettare
ipotesi, dalla più banale alla più astrusa, è anche umana e solo umana, prima
che “scientifica”: la curiosità.
Inverare
le ipotesi è la base della razionalità: la ragione è curiosa.
È
il proprio dell’uomo, la natura non fa ipotesi – non perfette, non scegliendo:
fa – è - esperienza.
La
ragione ipotetica Einstein vuole animata da “intuizione”, e “simpatia”:
arrivare alle “leggi elementari universali” si può solo per deduzione – “non
c’è un sentiero logico per queste leggi: solo l’intuizione, basata sulla simpatetica
comprensione dell’esperienza, può arrivarci”.
Leggere - È ricreare,
una funzione più attiva che passiva? Sicuramente sì per le letture non di svago.
Anche di romanzi, soprattutto di poesia: la poesia richiede una consonanza, in
qualche forma. Soprattutto per i “grandi classici”, quelli che dicono qualcosa
a molti. Come notava Gentile, “L’esperienza pura e la realtà storica”, a Pisa
nel 1914: “La ‘Divina Commedia’, nella cui lettura ci esaltiamo, non è quella
scritta sette secoli fa, ma quella che scriviamo noi leggendola”. Lo stesso si
può supporre anche dell’autore, di Dante, se e quando si rileggeva – anche se
non si riscriveva, non sappiamo, non conoscendosi per fortuna le varianti.
Militanza – È la forza
della debolezza. Dei fondamentalisti oggi come dei movimenti lgbtqia+. Un tempo
dei gesuiti: nati e cresciuti nella militanza, quando la chiesa era debole dopo
la Riforma, quando la chiesa diventò potente in alleanza con i troni rimossi su
iniziativa degli stessi regnanti. O del sindacalismo – il movimento dei
lavoratori.
Una
militanza bene improntata deve cioè disinnescarsi quando ha vinto.
Minoranza – Ha diritto a
proteggersi, che a volte implica un diritto di aggressione – di violenza. Ma
non oltre il punto dell’uguaglianza. La minoranza nell’età dei diritti tende
invece a privilegiarsi, in una sorta di integralismo – io e il mondo, e
nient’altro. Che è alla radice della conflittualità etica, tribale, che si
risolleva negli Stati Uniti e in Europa.
“Diritti
e non privilegi” è l’indegna delle manifestazioni urbane lgbtqia+. Che però
sono manifestazioni celebrative e non rivendicative. Una festa, ma anche una
imposizione della diversità, della minoranza. Una incongruità.
Storia – “La memoria
umana non è una somma: è un caos di vaghe possibilità”, Borges. È una somma di
possibilità – una costruzione, alquanto studiata, di elementi anche disparati
per un insieme significante.
Si
costruiscono possibilità, in effetti. Anche rimemorandole.
Se
tutto è caos l’uomo (la memoria) è parte del caos. Ma con la funzione del
muratore, analitica, ordinativa.
Tecnologia – È mentale.
Esercizio filosofico prima che pratico. Esercizio mentale come la filosofia di
Heiudegger che la rifiuta e la danna. Non solo i procedimenti ma anche la
conoscenza dei materiali e del loro possibile
uso. L’uranio, il litio, il cobalto esistono in natura da “sempre”, ma vi hanno
una funzione da poco e da pochissimo, si possono dire materiali inerti, in
rapporto agli usi che oggi se ne possono fare, al loro potenziale, che invece va scoperto, e manipolato – e a un potenziale piuttosto che a un altro, per
lo stesso materiale “naturale”.
Le
macchine sono primariamente un fenomeno mentale. Nelle finalità e, di più, nelle
funzioni, nei particolari. Ogni macchina che funzioni è una “costruzione ingegnosa”.
Lo stesso per i materiali, per la loro combinazione e per gli usi che se ne
possono fare: dai minerali di ferro il ferro, dal ferro l’acciaio, i tanti
acciai, e i loro “inifiniti” possibili usi.
Il motore a combustione interna dell’ing. Otto, dopo quello di Barsanti e
Matteucci, di uso corrente, è di una complessità che non ha nulla di naturale -
i cilindri, i pistoni, il carburatore, le candele, le punterie... – se non i
materiali, di per sé inerti, di cui le sue parti sono composte ai fini di un
progetto.
Perché
si è volato a un certo punto e non prima – si è volato inseguendo un sogno
molto antico, di sempre? I combustibili che mandano l’uomo in orbita e sulle
stelle esistevano da sempre, ma non se ne sapevano le qualità, le possibili qualità, soprattutto non in
combinazione fra di loro, esplosivi, additivi, protettivi, etc..
Tribù – A lungo desueta negli studi ma
non nella pratica, la forma sociale tribale riemerge nel luogo che se ne pensava
più distante poiché inventa e gestisce il progresso tecnico, negli Stati Uniti,
tra il fondamentalismo nero, quello femminista, quello transessualismo, e quello
maschilista, bianco – con insorgenze di
ripiego, asiatico, latino, southern, indiano o nativo. In America i
filoni culturali “comunitario” prima e poi “identitario” sono passati da una
rivalutazione dei concetti a paratie stagno, in un quadro di fondamentalismo
(esclusivismo). La riaffermazione dell’identità vi si fa in vista di un
confronto. Tra gruppi che si vogliono esclusivi e impositivi, per criteri
storici, biologici, e\o sessuali. Che è un ritorno alle origini (un ritorno
amplificato, alla presunta biologia assommandosi il presunto sesso), alla prima
società. Che in uno spazio ristretto, benché in una società di molti milioni, in
regime di contratto sociale minimo (residuale a fronte dell’individualismo
costituzionalizzato), porta alla frammentazione.
Era
e resta forte in alcune aree arabe beduine, in Libia e in Iraq, con estensioni
in Siria. In altre aree arabe, l’Algeria e il Marocco dei deserti, è invece in
regresso – ricordata, più che tenuta in vit,a solo per motivi letterari, della
nostalgia (Yasmina Khadra e altri).
È protettiva,
come la famiglia, come le origini, ma anche dissolutiva.
Viaggio – “Viaggiare è
meglio che arrivare” - distrae, riposa, rinnova. La notazione di Stevenson lega
il viaggio alla speranza, e forse non è sempre il caso, ma all’attesa sì: ci si
muove per un motivo, e questo genera un’aspettativa, un’attesa. Che è la
sostanza del tempo: il viaggio è uno dei generatori del tempo – non nel senso
della creazione, ma dell’alimentazione. Per il sedentario il tempo è limitato –
si accorcia.
zeulig@antiit.eu
Il “barone” americano di Calvino
In occasione di una mostra a Torino dedicata allo scultore
italo-americano Salvatore Scarpitta, la rievocazione di un aneddoto che lo
stesso Scarpitta ha più volte raccontato, anche nelle sue memorie. Che a undici
anni, nel 1940, temendo l’ira del padre per qualche sua piccola magagna, si era
appollaiato su un albero del pepe in giardino. E richiesto da un vicino giornalista
che ci faceva lassù, disse: “Voglio battere il record della permanenza su un
albero”, che era di 156 giorni. E sull’albero del pepe in giardino visse,
sostenuto dai familiari e dalla curiosità di mezza America, per 602 ore, 25
settimane. Nel 1950, a suo dire, trovandosi a Roma, da Menghi a via Flaminia,
che allora sfamava la metà dei letterati e artisti di Roma, la metà che non si
sfamava da Cesaretto in via della Croce, avrebbe raccontato l’aneddoto anche a
Calvino. Che sette anni dopo pubblicava “Il Barone rampante”.
Un aneddoto accettato per vero. Calvino aveva già in fieri “Il
visconte dimezzato”, che pubblicherà qualche mese dopo l’incontro. E al “Barone”
darà consistenza storica, una vita appesa all’albero in un periodo in cui l’Europa
cambiava pelle, con la Rivoluzione francese, Napoleone, il Congresso di Vienna e
la Restaurazione – ispirandosi peraltro a un suo grande amico, Libereso Guglielmi,
botanico. E naturalmente la narrazione è di altro tenore che l’aneddoto – l’impuntatura
e il record.
Rocco Moliterni, “Il vero
Barone Rampante sono io”, “La Stampa”, 18 Ottobre 2012, free online
domenica 19 giugno 2022
Problemi di base materni - 703
spock
Perché
le madri ossessionano le figlie?
Anche
le madre non casalinghe?
La
figlia sì, il figlio no?
La
madre ossessiona la figlia, il padre no: c’è in qualche bibbia?
Il
padre non ossessiona i figli, e nemmeno le figlie?
“Mostruosa
maternità”, racconta Romana Petri: come sarebbe a dire?
Dopo tanto femminismo, le donne sono sempre così diverse –
le madri?
spock@antiit.eu