sabato 30 luglio 2022
Ombre - 626
Raccapricciante,
bestiale, nello svolgimento e nella documentazione fotografica, l’assassinio
dell’ambulante nigeriano a Civitanova Marche, sul corso Umberto, davanti a
decine di testimoni: uccidere un uomo di quarant’anni a bastonate richiede
tempo e applicazione, non è un atto inconsulto, e si può bloccare con una semplice
spinta all’assassino. Ma tutti stanno a vedere come si uccide un uomo, nemmeno
uno sguardo di meraviglia o disapprovazione.
Niente libro senza editore
“Un buon editore è
quello che pubblica circa un decimo dei libri che vorrebbe e forse dovrebbe
pubblicare”: con questa chiusa Calasso ricostruisce per ampie campiture la storia
di Adelphi e il carattere dell’editoria, o l’arte di pubblicare libri. Con l’esperienza
dei suoi quasi cinquant’anni in Adelphi, a partire dai ventuno. I “libri unici”
di Roberto Bazlen, con cui Adelphi ha debuttato, nel 1962, per per qualche anno
ha vissuto. La riedizione-riproposta di Nietzsche per cominciare, con immane lavoro critico - e poi di molto Heidegger, di tutta o quasi Simone Weil, di C. Schmitt. Le copertine. I risvolti. La Grande Vienna scoperta dallo stesso
Calasso che ha portato al decollo economico, con le grandi tirature: Joseph Roth
sopra tutti, Karl Kraus, Lernet-Holenia, Canetti, Wittgenstein, e poi Bernhard.
Le riscoperte: Savinio, proposto dalla figlia Angelica con la sua “Enciclopedia”,
irresistible, commenta Calasso, cominciando con “abat-jour” e finendo con “zampironi”,
Karen Blixen, Pessoa, rianimato da Tabucchi. Infine, sopra tutti, Simenon, anche
lui rianimato e anzi portato al prestigio letterario, anche in Francia, dove era
uno scrittore da edicola: approdato in Adelphi da Mondadori, dopo un paio d’anni
di tentennamenti, per una lettera entusiasta del suo grande amico Fellini, e subito
imposto al pubblico, sempre vastissimo (50 mila copie le tirature iniziali), da
una recensione di Parise.
Una raccolta di testi di varia occasione, articoli, commemorazioni, conferenze, di lettura leggera e
piena. Con un trattatello sui risvolti, dall’alto dei “millecento” da lui
scritti (“1089 a oggi”). Con molti personaggi, l’elusivo Bazlen sopra tutti (“due
persone “sono state determinanti nella mia vita: Robert Bazlen e Ingeborg
Bachmann”, ma di Bachmann poi non c’è traccia). I ritratti di Giuio Einaudi,
Luciano Foà (revisore di tutte le traduzioni di J. Roth, se le portava a casa,
extra time, per rivederle e armonizzarle: c’è un J.Roth italiano, di Foà), Roger
Straus, Peter Suhrkamp. E di Vladimir Dimitrievič, il serbo grande editore del
mondo slavo in Francia, ma per Calasso più che un editore, e un amico, un altro
sé stesso, uno che il mestiere di editore diceva di “traghettatore e giardiniere”.
Sul perché un
libro viene pubblicato oppure no, Calasso non dà risposta. Ma sottintende che
non c’è letteratura – e nemmeno storia, filosofia – senza editoria: una mediazione
necessaria, con la stampa (accurata, del giusto carattere di stampa e formato, e
con la giusta copertina – che può essere il lavoro maggiore dell’editore) e la promozione-distribuzione
del libro. Se Manuzio non avesse stampato la “Hypnerotomachia”, o non in quella
forma, la “Hyperotomachia”, il libro più bello mai stampato, oltre che primo
romanzo moderno, di avventure, non esisterebbe.
Roberto Calasso, L’impronta
dell’editore, La Repubblica, pp. 164 € 8,90
venerdì 29 luglio 2022
Berlusconi abbandonato, terza – Berlusconi 30
Da kingmaker a Robespierre di piazza,
spalla di Salvini: Berlusconi è sempre a tutti denti, ma non conta più nulla.
Già la preview, con lui sempre a tutti
denti a una barzelletta di Salvini, a ruoli invertiti, con Salvini poi, che non
fa ridere nessuno, non deponeva bene. E prima ancora la presenza di Marta
Fascina al colloquio della congiura sollevava dubbi: compagna di affetti o
badante politica? Ma anche la campagna presidenziale fu sgradevole, più che
ridicola: Berlusconi ottantaquattrenne che chiede il voto per sette anni di
presidenza, e ci crede, lascia i covid a ripetizione e gli altri segreti al San
Raffaele di Milano, per stabilirsi a Roma, nuovamente – salvo tornarsene a
Milano senza nemmeno fare notizia.
Si vota
il 25 settembre, entro il 15 ottobre le Camere devono essere “convocate”, il 27
ottobre secondo i sondaggi Giorgia Meloni dovrebbe avere l’incarico di presidente
del consiglio. Il 27 ottobre è il centenario della marcia su Roma, di Mussolini
che ebbe dal re l’incarico di presidente del consiglio – e fece un governo di
coalizione, con i Popolari, i Liberali, perfino i Democratici, tutti eccetto i
Socialisti. Forse non andrà così, e comunque non c’è una marcia su Roma, solo
pacifiche elezioni, ma è a un mesto tramonto che Berlusconi si è avviato, provocando
il voto anticipato.
O non è
lo stesso Berlusconi? Quello che si voleva amico di tutti, eccetto “i comunisti”.
Acido col “Draghi stanco”, dopo che lo ha silurato – detto da uno con la faccia
tirata e lo guardo perennemente velato. Infelice col “riposino in pace” ai
collaboratori di trent’anni che lo hanno abbandonato, spiegando profusamente
perché. Per non dire dell’instagram della sua compagna Marta Fascina, che
dileggia Brunetta con una canzone di De André, “Un giudice”, la scalata di “un
nano” ai vertici della magistratura – roba che in America l’avrebbe portata in
prigione. Berlusconi che dà un calcio negli attributi a qualcuno era difficile
da immaginare. Perfino con Travaglio, che lui fece giornalista e poi gli ha
scritto alcuni libri contro, ci riuscì, nella famosa sceneggiata da Santoro:
lui era quello dell’amore.
Ora si
ragiona sul 37, il 61 e il 2 per cento: nel Rosatellum, il sistema elettorale
per intenditori (l’elettore non sa per chi vota), si può finire col sedere per
terra per un’infinità di motivi. Se in più non si sa quanti andranno a votare,
sicuramente non molti…Tutti i poteri sono del capo partito. Che quindi deve
avere grande influenza, per poter dare sicurezza. E cisì è finita che
Berlusconi non trova più abbastanza candidati, e pochissimi di rilievo. C’era
la fila, li faceva selezionare dalle migliori headhunter americane, ora avvocati, ingegneri e ragazze di bella
presenza ci ripensano – a meno che non si accolli lui le spese elettorali. Fuori
dall’uninominale secco per oltre un terzo dei seggi, che ora sono solo 600,
invece che 945. E nel proporzionale di coalizione chi decide, quanto conta
Berlusconi?
Rimarrà
come quello che ha saputo guidare alla ragione politica i neofascisti e la Lega
di Bossi – di cui non si ricordano più le ampolle di acqua santa di non si
ricorda più quale fiume, la Venezia dei dogi e dei carrarmati di cartapesta, il
parlamento padano, il marco invece della lira, la politica in canottiera,
giallastra, il celodurismo, e che non fu buttato fuori dalla scena politica per caso, il 4 per cento per tornare in Parlamento
rimediando per pochi voti (berlusconiani?). Ha reso la destra in qualche modo politica. Ma ha
sempre impedito che qualcuno nel suo partito crescesse, non gli ex socialisti
(Tremonti, Cicchitto, fino a Brunetta), non gli ex democristiani (Casini,
Follini, e i tanti altri), non i suoi ragazzotti eletti a delfini, Tajani, Toti Alfano, Bondi e altre mezze figure - e in campagna elettorale si programma sulle sue tv mentre ascolta annoiato, irritato, il parlatore Tajani. Un Micciché stratega di due cappotti in
Sicilia in due distinte elezioni, con la vittoria in tutti i seggi – la sola Sicilia
faceva la sua maggioranza – non ha mai avuto un incarico, uno spazio. E ora si
trova solo. Politicamente: avrà problemi a trovare candidati alle elezioni – a
meno che non paghi lui le spese elettorali: la fuga è generale. Con la
contemporanea sorprendente, non richiesta, professione di fede leghista, pura e
dura, da sempre e per sempre (“l’unità d’Italia è stata un errore”), di Fedele
Confalonieri, l’amico e collaboratore dai tempi dell’oratorio (“chi portava il
pallone si faceva la squadra, Berlusconi portava il pallone”).
Il
programma è ridicolo - mille euro al mese ai pensionati sociali, roba da Lauro.
I precedenti infausti: chi provoca il voto anticipato è punito dagli elettori,
i socialisti nel 1972, i democristiani nel 1976, i comunisti nel 1979. Ammesso
che gli elettori a settembre vadano a votare – si parla già di “vedove di
Berlusconi”, i più delusi sono le sue innumerevoli, determinate, agitate fan.
Cronache dell’altro mondo - debitorie (205)
“Per decenni”, racconta la storia di
apertura del “New Yorker”, “Betty Ann ha lavorato come insegnante. A 52 anni si
è iscritta a Legge alla New York University, nella speranza di cambiare vita”. Per
pagarsi l’università, “ha preso in prestito 29 mila dollari, dei fondi
federali. Oggi deve 329.309,69 dollari. Ha novantun’anni”.
Una nuova crisi del debito emerge dai
prestiti agli studenti. La bolla è – era un anno fa – di 1,7 trilioni di dollari,
nella scala americana equivalente a 1.700 miliardi. Sono molti, sono pochi? Non
sono ripagati.
La storia del debito studentesco è lunga,
parte dagli anni 1950. Quando fu lanciato come promessa di ricchezza e istruzione,
a favore dei non abbienti, di chi non aveva sostanze familiari. Senza mai un’avvertenza
sulle dinamiche di accumulo. Nel tempo, il debito studentesco ha finito per prosciugare
le rendite dei pensionati, e prima ancora la capacità di accumulo ai fini della
pensione. Complice anche la politica delle retribuzioni calanti che ha dominato
gli ultimi trent’anni, del mercato globale.
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Quando la Finlandia era felice in Russia
Un incontro di
solitudini, vuote, incerte. Col rifiuto, la curiosità, l’abitudine, la complicità,
la gelosia, il distacco, il ritrovamento, per due esistenze smarrite che infine si sostengono. Dentro lo scompartimento soffocante di un interminabile treno russo – di quelli
che fanno anche lunghe soste, per ogni possibile diversivo. E nella Russia
grigia e gelata attorno a Murmansk, il grande porto carbonifero nel circolo polare. Un’ambientazione che da
sola fa le storie soggettive.
Kuosmanen è già un
maestro riconosciuto di atmosfere, ed è stato per questo film premiato dalla giuria
a Cannes. Ma la cosa che più attrae del film, presentato a Cannes nel 2021, è
che lei è una finlandese archeologa o interessata di archeologia, che è stata lasciata dalla sua innamorata sprezzante e va nella remota Murmansk per vedere i petròglifi, e lui è
un minatore russo. Che il cattivo è un finlandese, un bohémien ladro, uno che disprezza i russi.
Che il film è parlato in russo. E Kuosmanen fa della Russia più brutta e povera
un capolavoro d’arte. Prima che Finlandia e Russia diventassero, di nuovo,
nemiche, acerbe, giusto pochi mesi prima.
Juho Kuosmanen, Scompartimento
n. 6 – in viaggio con il destino, Sky Cinema
giovedì 28 luglio 2022
La guerra non tocca la Russia - 6
Unicredit ha dismesso, teoricamente, le attività in Russia. Ma nel
trimestre aprile-giugno vi guadagna 346 milioni, un sesto del totale
dell’utile, per un giro d’affari che è una frazione minima del suo totale. E
grazie alla rivalutazione del rublo si ricapitalizza, seppure di uno 0,5 per
cento. “Abbiamo molte imprese europee clienti, molte italiane, ben contente di
essere in Russia con noi”, dice l’ad del gruppo Orcel a “la Repubblica”.
Tra le banche occidentali ancora operanti a Mosca, alcune sono alla
ricerca di personale, per coprire le dimissioni seguite all’annuncio delle
sanzioni. Secondo Headhunter, l’austriaca Raiffeisen Bank ha pubblicato a
luglio 276 offerte di lavoro, l’americana Citibank 84.
Si tratta sul canale turco per l’esportazione
dei cereali ucraini come artificio diplomatico, da una parte e dall’altra, per
tenere aperto un canale di comunicazione. I cereali in realtà (grano, mais e
altre specie minori) sono stati già esportati, secondo il ministero dell’Agricoltura
americano, che monitora il commercio internazionale dei grani. Lo stoccaggio
delle raccolte 2021 era stato già smaltito per cinque sesti prima della guerra.
E durante la guerra le esportazioni non sono mai cessate, per i quantitativi
residui.
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Cronache dell’altro mondo - bellicose (204)
La visita annunciata dalla Speaker della
Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, a Taiwan, come segno di solidarietà, è
ritenuta da Pechino un atto ostile. Le dichiarazioni in questo senso si
susseguono, dei portavoce della presidenza, e sui giornali di partito, come riportati
dal “Global Times”, il giornale del partito in lingua inglese - praticamente solo di Taiwan si sarebbe parlato oggi nella lunga telefonata tra Biden e Xi. Un atto ostile,
in qualche commento, addirittura militare, dato che Nancy Pelosi, come terza più
alta carca dello Stato, sarà trasportata o accompagnata da aerei militari.
Il presidente Biden, che considerava il viaggio
annunciato di routine, non ha reagito - non al presidente cinese, che si sappia. Ma il suo ministro della Difesa (“il
Pentagono”) sì, ha criticato la Speaker dei Rappresentanti. Il suo capo di Stato Maggiore, il generale Mark Milley, ha criticato il viaggio annunciato indirettamente, spiegando che l’unico rischio di una guerra tra
Stati Uniti e Cina è solo per “un incidente”, una catena di reazioni non controllate.
Se la giustizia politica passa a sinistra
In America non si perdono i diritti
politici per decisione di una giudice, cioè per una condanna, spiega il
costituzionalista americano Brian Kalt a “la Repubblica”. E cita il caso, “accaduto
negli anni Venti al socialista Eugene Debs: si candidò dal carcere alla presidenza
e ottenne un milione di voti”. Ma non dice perché Debs era carcerato: era in
carcere da due anni, dal 1918, perché si era opposto all’entrata in guerra
degli Stati Uniti, con una condanna a dieci anni – il presidente Harding,
contro cui si era candidato, lo grazierà a fine 1921 (anche per i problemi di
cuore sviluppati da Debs in prigione, che lo porteranno presto alla morte).
Debs, già candidato quattro o cinque volte alla presidenza, era da trent’anni
il creatore e l’animatore del sindacalismo in America. Aveva fondato l’Industrial
Workers of the World (Iww). Era stato già in prigione, con una condanna a sei mesi, nel 1894 per avere organizzato uno sciopero dei ferrovieri - che il
presidente Cleveland represse con l’esercito.
La giustizia politica è sempre stata di
destra, dell’assolutismo e poi dei regimi più o meno forti. Da tempo invece, in
Italia e negli Stati Uniti, è un’arma di sinistra. Spuntata contro Berlusconi,
che è fatto della stessa pasta dei suoi giudici persecutori, ma efficace contro
altri obiettivi. Per un successo politico della sinistra? Che arranca su tutti i
versanti, del voto come dei lettori?
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Sinistra sinistra
Sofri vittima della caccia al Psi
Fa
senso imbattersi in un dossier a carico di Sofri per l’assassinio di Calabresi,
pubblicato il 20 maggio 1990 come inserto de “L’Espresso”: conferma che la
confessione di Marino fu utilizzata per azzoppare il partito Socialista. Niente
di meno.
È un dossier odioso, di ìntercettazioni sul telefono
di casa di Sofri e di altri di “Lotta Continua”, 700 pagine, fatte trascrivere
integralmente dagli avvocati di parte civile, della famiglia Calabresi – i CC
avevano prodotto un breve sommario. Da cui si palesa indirettamente (sono
trascritte quasi soltanto le telefonate da casa Sofri e altri di Lc solo se
riferite al partito Socialista) che la messa in causa personale di Sofri (e di
Pietrostefani come copertura) nasce dal suo rapporto col Psi, e in particolare
con Martelli, all’epoca vice-segretario del Psi. Dieci anni dopo l’avvicinamento, durante e dopo il sequestro e l’assassinio di Moro. Al governo è De Mita, che
ha preteso palazzo Chigi per “dare una lezione” ai socialisti – è ministro anche
Mattarella.
È palesemente, alla rilettura, un dossier che vuole
dimostrare la stretta vicinanza di Sofri e i suoi compagni con i socialisti.
Con molte annotazioni solo apparentemente vaghe. Tipo: “Carlo Panella, marito
di Roberta La Capria, parente acquisito di Sandro Viola, inviato di punta di
Repubblica” – tre o quattro insinuazioni in una. Carlo Degli Esposti, altro
intercettato del dossier, si salverà inventandosi i “Montalbano” di Camilleri.
Qualche anno fa Cazzullo, “Il caso Sofri”, ha fatto
di Lotta Continua una costola del Pci. No.
Questo è importante per capire la vicenda. Sofri sì, in parte, all’origine,
Lotta continua no. Anzi, è nata e si è sviluppata in opposizione al Pci. Sofri
stesso non ha più avuto tessere dopo quella giovanile del Pci, eccetto quelle
radicali. E si era avvicinato politicamente al Psi, dal rapimento e
l’assassinio di Moro in poi, a una parte del Psi, quella più in sintonia con le
lotte di libertà, che Claudio Martelli negli anni 1980 impersonava. Ed è qui
che s’innesta il caso Sofri. Vittima, l’ennesima, dopo Sciascia e altri meno
illustri, della politica che decise l’assassinio di Moro.
Del Pci furono i primi confidenti di
Marino. Del Pci il primo collegamento tra Marino e Bonaventura. Del Pci la
campagna di stampa che accompagnò l’incriminazione e forzò la condanna.
Cazzullo ricorda il senatore Bertone, come tramite coi servizi. Ma si
schierarono molti politici subito, i giornali di partito, e anche l’Anpi,
l’associazione dei partigiani. Ancora nel Duemila Piero Fassino, ministro ex
Pci della Giustizia, non solo si rifiutò di proporre la grazia per Sofri, come
avrebbe dovuto nella vecchia procedura, ma per non scarcerare Sofri non propose
nemmeno l’indulto, benché lo chiedesse il papa, per il giubileo del millennio.
Con Napolitano al
Quirinale la grazia non fu nemmeno discussa, e Sofri si è fatto tutto il
carcere, fino alla scadenza della pena nel 2012. Caso raro, anzi unico, negli
annali giudiziari. Quella di Napolitano è l’unica delle tre presidenze della
detenzione di Sofri dopo la condanna definitiva che non hanno discusso la
grazia. Lo fece perfino Scalfaro, in medias res. Mentre Ciampi
arrivò a promuovere una decisione della Corte Costituzionale che gliene
attribuisse la facoltà anche col parere contrario del governo: la pronuncia
della Corte, a prevalenza ex Pci, arrivò tre giorni dopo la scadenza del
mandato di Ciampi. In occasione della grazia per direttissima a Bompressi, il
proponente Mastella, ministro di Giustizia, annunciò che la proposta era in
arrivo anche per Sofri, solo un po’ più complicata. Ma non è stata mai
proposta, né da Mastella né da Napolitano, che dopo la sentenza della Corte
Costituzionale poteva agire di sua iniziativa.
Il giudice Pomarici, che
istruì il caso, era il terminale dei servizi segreti. Il colonnello
Umberto Bonaventura, carabiniere, che mise a punto la testimonianza di Marino –
poi unica “prova” al processo - in almeno dieci giorni di isolamento con lo
stesso, veniva dalla famigerata divisione “Pastrengo”, non una buona scuola
(c’era stato Dalla Chiesa ma anche il generale Palumbo, fascista dichiarato,
con lo stupro di Franca Rame), ed era dei servizi segreti, specialista della
controinformazione. Tratterà lui il “Dossier Mitrokhin”, che infamerà non pochi
giornalisti onesti. Il generale dei carabinieri Bozzo, che lo ebbe ai suoi
comandi, ne conserva una buona opinione, ma ha voluto dire che non ha
apprezzato il modo come l’allora maggiore Bonaventura raccolse la testimonianza
di Marino contro Sofri, soprattutto non la decisione di remunerarlo.
Pomarici e Bonaventura
erano incaricati delle indagini sull’assassinio di Calabresi da subito, nel
1972. E si erano perduti in ipotesi fantasiose. Dovevano non fare la vera
indagine? A che cosa lavorava Calabresi quando fu assassinato? Calabresi era
vice-capo dell’Ufficio politico della Questura quando fu assassinato. In
servizio attivo. Non passava le giornate nelle polemiche e la causa con Lotta
continua, come hanno narrato i giornali.
Il cuore della questione è: come è
nata la questione Sofri? Dalla testimonianza di Marino. E com’è nato
Marino? Sì, era stato “Gasparazzo”, era stato Lotta Continua, ma il Marino della confessione
è nato dalla frequentazione del Pci. E dalla reazione giudiziaria al rovinoso
referendum sulla responsabilità civile dei giudici promosso dai radicali e dai
socialisti per i Morti del 1987, con l’80 per cento di voti in appoggio, e un
65 per cento di votanti, due record. A poco più di un anno, il tempo di preparare
la trappola, dal referendum stesso. A opera di inquirenti di destra, missini.
In contemporanea con la parallela offensiva che, sempre sul lato missino,
lanciava in Calabria contro i socialisti il giudice Cordova. Lo stesso che, pur
non nascondendo le sue idee missine, sarà il cannone del Pci per abbattere
Falcone, isolandolo - mettendolo nel mirino.
Il fasciocomunismo, come all’epoca si sarebbe
detto, non è inventato - né è invenzione posteriore di Pennacchi romanziere. Né
sono sono state eccezioni Marco Travaglio che diventa analista dell’“Unità” e
D’Avanzo di “Repubblica”. Sofri è il primo anello di un aggiramento
del Psi che si concluderà nel 1992, sul terreno più fertile del finanziamento politico illecito.
Il cuore della questione sono le
condanne preconcette, in tribunale e fuori. Dei giudici, dell’ex Msi e dell’ex Pci.
Leo Sisti, Linea continua
http://www.misteriditalia.it/calabresi/inchieste/Lineacontinua.pdf
mercoledì 27 luglio 2022
Problemi di base produttivi - 707
spock
Globalizzazione significa che la Cina produce e noi
compriamo, con che soldi?
Il pianeta si salva con l’economia del ricambio continuo,
nuovi sneakers, nuovo iphone, nuova auto, magari elettrica, e sia pure made in
China?
È per questo
che il Made in China dopo un po’ non funziona, per iol ricambio?
Perché le
ferrovie ritardano i treni, senza (quasi) mai un motivo?
Perché il wifi
ogni tanto salta – con la fibra ultraveloce?
Perché le aziende
dei telefoni sono così disastrate?
spock@antiit.eu
Giappone fatato
Gli zoccoli di legno? “Parlano, ogni
zoccolo ha un suo suono” - “e può anche capitare che la folla si metta di
proposito al passo”. Il jinrikisha, o kurumaya, il “cavallo umano”
che lo porta a spasso alla stanga, parla col sudore, e anche con l'atto di detergersi.
E i piedi, i “piedini”, non deformati dalle scarpe? E i caratteri grafici -
pitture, miniature: allegri, chiassosi, malinconici, pensosi? E i fiori di ciliegio
naturalmente, così vaporosi e così fitti e spessi, una neve, un cuscino.
Lafcadio Hearn, e con lui oggi Ottavio
Fatica, il curatore, condividono l'entusiasmo fine Ottocento per il Giappone.
Tutti, si dice lo stesso Hearn al primo giorno in Giappone, ne hanno l'impressione
di “un paese fatato”, e di “un popolo fatato”. Due iamatologi entusiasti, senza
riserve. Anche se di niente, di un Giappone che non esiste da tempo, già da
allora.
Finendo il primo giorno di visita su e
giù per Yokohama trascinato dall'uomo cavallo, Heran ha infine la visione di
Budda. Nel recesso più segreto del santuario. È uno specchio, brunito. E viene
da pensare a quanto Borges era già qui, in questi “Glimpses of unfamiliar
Japan”, d a cui la plaquette è tratta. Fatica, che condivide anche gli
entusiasmi buddisti, richiama opportunamente San Paolo: “Videmus nunc per
speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem” – ogni tanto ci guardiamo
allo specchio.
Con qualche preziosità del curatore –
toscanismi? L'asserpolìo. L'illusione “spare”. Se non sono sviste: “I
giapponesi battono le mani per far venire gli inservienti” - o non sono gli
occidentali?
Lafcadio
Hearn, Il mio primo giorno in Giappone, Adelphi, pp.74 € 5
martedì 26 luglio 2022
Il gas russo - e la moglie di Berlusconi
La storia del gas russo comincia
nel 1969, quando l’Eni, monopolista del gas italiano, conclude che le riserve
nazionali non sono grandi e che bisogna importare il gas. I rapporti con Mosca
erano buoni, dopo il primo accordo per il petrolio, firmato nel 1955 da
Enrico Mattei. Il successore di Mattei, Cefis, avviò i contatti per
il gas nel 1967, quando Mosca varò un programma di messa in produzione del
bacino di Tjumen in Siberia: Cefis propose di farsene grande compratore, in
cambio di forniture di servizi e materiali di ricerca e produzione. Il
negoziato fu duramente opposto da Repubblica Ceca e Ucraina, secondo le quali
il gas veniva venduto all’Italia, col sistema delle forniture in cambio di beni
e servizi, a un costo inferiore a quello che Mosca applicava a loro. E dal
governo italiano dell’onorevole Moro, personalmente non in buoni rapporti con
Cefis e l’Eni, ritenuto feudo fanfaniano, e più ancora dai socialisti, col
ministro del Commercio Estero Tolloy, perché gli acquisti di materie prime da
Mosca si riteneva comportassero “sfioramenti” in Svizzera a favore del Pci.
L’accordo, pronto nel 1968, fu bloccato dalla crisi
cecoslovacca, culminata con l’invasione. Fu concluso nel 1969, col primo
governo Rumor - Vittorino Colombo, Sinistra Dc, al Commercio Estero. Per la
fornitura di sei miliardi di mc l’anno di gas naturale, da inoltrare mediante
una condotta attraverso l’attuale Slovacchia e l’Austria (Tag, Trans Austria
Gasleitung), da realizzare in cinque anni, col contributo dell’industria
italiana. Ci lavoreranno Saipem, Snam Progetti e Nuovo Pignone del gruppo Eni,
e l’Italsider-Iri per la fornitura delle tubazioni della condotta, tubi
speciali, d’acciaio molto temperato e di grande diametro - l’accordo per la
fornitura delle tubazioni Italsider verrà celebrato ogni anno con un
ricevimento all’ambasciata russa a villa Abamelek a Roma.
Già prima del completamento della
condotta Tag, tra Eni e Mosca si progettava una rete europea del gas.
Nel 1973 l’accordo veniva
raddoppiato, a 12 miliardi di mc.. Coinvolgendo altri importatori sul transito
dell’oleodotto, come l’Austria. La diffidenza, come già per il petrolio, di cui
l’Eni si era fatto acquirente nel 1955, dopo il primo moto di scandalo cessava,
essendo i russi buoni fornitori, rispettosi dei tempi e delle clausole, benché
ci fosse la “guerra fredda”.
Nello stesso 1973 l’Eni aveva
anche adottato una politica del “tutto gas”, dando per scontato che l’Italia non
sarebbe passata al nucleare, come la Francia stava facendo. Cercò quindi una seconda
fonte di approvvigionamento, oltre alla Russia: avvistata prima nell’Iran, poi
nell’Algeria, con cui a fine 1974 concludeva il primo accordo d’importazione. Contemporaneamente triplicando gli acquisti di gas libico della Esso, che già arrivava liquefatto da Marsa El Brega a Panigaglia, con un gasdotto.
A partire dal 1996 le forniture di gas russo sono
raddoppiate – e in seguito ulteriormente amentate – per la messa in produzione
del nuovo immenso bacino di gas naturale di Urengoy, anch’esso in Siberia. Al
cui sviluppo vari gruppi italiani hanno partecipato, Eni, Enel, Italsider,
fornendo stazioni di compressione per il sistema di trasporti da Urengoy
all’Ovest, tubazioni, montaggi – oltre all’ammodernamento delle condotte
esistenti. Si
è passati da 12 miliardi di mc. importati dalla Russia ai 35 miliardi del 2021.
La triplicazione dell’import di
gas dalla Russa si deve alla spinta dei governi Berlusconi, e di Berlusconi in persona,
nei tanti contatti avuti in proposito con Putin, in Italia e a Mosca, e con Medvedev.
In contemporanea, e in gara, con quanto faceva la Germania del cancelliere
socialdemocratico Schröder, al potere dal 1998 al 2006 – poi diventato, dal
2006, superconsulente molto ben retribuito di Gazprom: la Germania di Merkel
diventerà con lui l’hub europeo del gas russo, l’alleato privilegiato di Gazprom (un legame talmente stretto che oggi la Ue deve plafonare i consumi di tutti per rifornire la Germania).
Il primo approccio di Berlusconi per
un aumento delle importazioni fu fatto per un privato, per il suo amico
personale e socio in affari Bruno Mentasti, che voleva entrare nel lucroso
business da grossista, nel 2002. Una iniziativa che poi non si concluse. L’aumento
fu opera soprattutto della gestione Scaroni all’Eni, nominato da Berlusconi. In
contemporanea con l’affacciarsi sul mercato internazionale dei grandi
distributori di gas nel mercato ormai liberalizzato, come Enel, Edison, e
altri, e con la collaborazione industriale per lo sviluppo dei giacimenti
Urengoy.
Il primo approccio di Berlusconi per il gas russo, a
Mosca nel 2002, con Medvedev, è una storia sapida. Berlusconi era già in affari
con Mentasti. Ma il gas fu opera delle mogli di Berlusconi e di Mentasti. Bruno Mentasti, che Berlusconi voleva imporre a Medvedev,
era in quell’affare il marito di sua moglie: era la signora Mentasti che aveva
il cuore di Berlusconi. E non per il noto casanovismo dello stesso, ma per
essere intima dell’allora first lady Veronica.
Mentasti partner italiano di Gazprom,
anche soltanto per la provvigione in Austria tramite la Centrex, è sembrata
all’epoca, e forse è stata, una delle barzellette di Berlusconi “diplomatico”:
Mentasti sta all’Eni come un concessionario d’auto alla Fiat. Ma poi abbiamo
saputo perché: i Mentasti erano – e sono - amici di Veronica allora Berlusconi.
“Oggi”, informava tenero il “Corriere della sera”, oggi il giorno dopo le
elezioni del 7 giugno 2009, la moglie di
Berlusconi “dovrebbe raggiungere le amiche del cuore per un paio di giorni a
Lodi, dove Floriana Mentasti ha organizzato nella sua bellissima casa di
campagna un ritiro tutto «al femminile»”. Oggi, due anni e mezzo dopo la
lettera a “Repubblica” della moglie contro Berlusconi, nelle more della separazione che ne era seguita. E la cosa si collegava
al gas, al mancato affare: la cosa russa era sfumata sul nascere, gli affari
comuni si erano divisi, e i Mentasti si sono scoperti amici della moglie di
Berlusconi e non di Berlusconi.
Sono stati loro a portare Dario
Cresto-Dina alla moglie di Berlusconi e la moglie di Berlusconi a denunciare il
marito su “Repubblica”, il giornale di cui Cresto-Dina è vice-direttore.
Pasolini giovane, affamato e liberato
Il
libro forse più diretto - semplice, non artefatto – di Pasolini, creato postumo
raccogliendo qualche appunto e le collaborazioni giornalistiche dei suoi primi
anni a Roma, anni 1950, che però non si ristampa. Anna Magnani dal vivo. La
madre: “Com’è piccolina mia mamma, piccolina come una scolara, diligente,
impaurita, ma decisa a compiere fino n fondo il suo dovere”. Il mondo “borgataro” che poi sarà dei due
romanzi “di vita” visto con semplicità, come una cosa diversa. L’apprendistato
del romanesco, il “gergo a Roma”, un po’ ferroso, rigido – e tale rimarrà in
effetti nei romanzi: quello di Trastevere, a cui lui lo imputa, è piano,
invitante, non irto come lo fa Pasolini. Il debito pagando al “portentoso Gadda”
– col quale, arriva a dire, “non senza
orgoglio, condivido per analogia – e forse proprio per affinità elettive, se
non con nemmeno un centesimo delle facoltà naturali”, “l’incontro col Belli”.
La
propensione è ancora non rimossa per i pisciatoi pubblici e i calzoncini sopra
il ginocchio dei ragazzini: gli anni erano censori, ma Pasolini non se ne
faceva una colpa, non ancora, come se esercitasse la paideia greca, l’educazione dei ragazzi attraverso l’intimità. Il
tema principale è da subito, 1950, all’arrivo in città, quello dei “pischelli”.
Molte
scenette poi di genere, con i “pischelli” e senza, a Roma anni 1950-1960. Roma
è il tema principale, già in quegli anni – Scalfari e “l’Espresso” ne
contestavano i titoli di capitale, insieme con Antonio Cederna e altri
lombardi. Pasolini sa di che si tratta: “Roma è sicuramente la più bella città
d’Italia – se non del mondo. Ma è anche la più brutta, la più accogliente, la
più drammatica, la più ricca, la più miserabile”. È la città del cinema.
Sono
le prime prove, se si vuole, del genere prima pagina che imporrà Pasolini sul
“Corriere della sera” vent’anni dopo, di “cose
viste” alla Victor Hugo. Ma con
più pienezza di sé, malgrado le difficoltà economiche, e senza violenza. C’è
perfino un “pezzo” sul fenomeno dei “romanisti” e dei “laziali”, gustoso,
come vissuto dal di dentro di queste strane psicologie. E c’è già la maniera,
per i funerali di Di Vittorio.
Il
primo trattamento di “La ricotta” è per un Totò ricco capitalista, furbo, che tutto
vede e antivede, detto Mater Danarosa, che finirà tra gli stracci per amore
della Bambina Stracci, la figlioletta dell’uomo, una comparsa di cinema, di cui
è detto che è morto in croce per fame, per indigestione di ricotta.
Pier
Paolo Pasolini, Storie della città di
Dio
lunedì 25 luglio 2022
Cronache dell’altro mondo – velenose (203)
“Delusa dalle divisioni della politica americana, dalla
polarizzazione della nostra società”, si dice Scarlett Johansson a Severgnini sul “Corriere della
sera”. Si diceva nel 2010, in un’intervista da copertina sul settimanale “7”:
“La faziosità dei media è ripugnante, davvero. Veramente difficile da mandare
giù”.
La richiesta è ora quotidiana, dei settimanali in versione online,
cioè minuto per minuto, e dei quotidiani, al Procuratore Generale (il ministro
della Giustizia) Merrick Garland perché incrimini Trump per l’assalto al
Congresso il 6 gennaio 2021.
La popolarità di Biden è in calo, secondo i media, perché è una
presidenza “debole”. Cioè, perché non affronta energicamente il caso Trump (il
presupposto è che il Procuratore Generale non si muova per una direttiva
politica). Biden si è fatto un programma, già in campagna elettorale, di svelenire
le tensioni fra destra e sinistra, su tutte le questioni aperte: aborto, immigrazione,
polizia (disarmo?), vendita di armi, relazioni con la Cina. Nonché sulla
politica economica, per la quale, dovendo passare dal Congresso, cerca sempre l’accordo
con i Repubblicani – che gli è peraltro indispensabile al Senato, e potrebbe
diventarlo dopo il voto di novembre anche alla Casa dei Rappresentanti. Avendo
vissuto negli anni di Obama, di cui era il vice-presidente, la crescita abnorme
della polarizzazione di opinione.
Letture - 496
letterautore
Aneddotica – “L’aneddotica è dominio pressoché esclusivo dello snobismo”, Wisława
Szymborska (“Come vivere in modo più confortevole”, 226), “e assai
difficilmente riuscirà a farvi breccia una persona dal cognome che dice poco,
per quanto arguta sia”.
Céline – “Un enorme ammontare di energia verbale e di prolungate metafore” è il
segreto anche delle ”bagattelle”, i libelli antisemiti: Alice Kaplan così
individua sulla “New York Review of Books” il “segreto” di Céline – sormontato
da “un incongruo inchino a spettacoli di bellezza”.
Cibo – “Il cibo è green, healthy, lactose free e caro”, Guillaume Musso, “La sconosciuta della Senna”. L’ultima follia americana (o mercato, giro d’affari) – ma non si dice più, nemmeno in Francia (la Francia è stata a lungo gelosissima, attenta all’americanizzazione, con De Gaulle e non solo, l’ultimo difensore fu Jacques Toubon, ministro della Cultura e della Francofonia, dal 1993 al 1995, quindi trent’anni fa): con i social siamo diventati tutti americani, all’istante, come il caffè Nestlè, solubile.
Cristo – Prima di Pasolini, la questione era posta da Pavese, in “Ciau, Masino”, il primo romanzo rimasto inedito, e affidata a Hoffman, “l’ebreo”, l’amico intelligente: “Io ho dinnanzi una religione che dovrebbe essere fondata su una bruciante carità. Amore di Dio e amore delle creature. E se la considero agli effetti, trovo che tutto si riduce a una nebulosa tenerezza verso entità nebulose, l’umanità, il bambino, la vergine. Dov’è il vero amore di Cristo?”
Curiosi – Si chiamavano così, nei processi dell’Inquisizione, i delatori–accusatori – secondo Voltaire, che in questi termini ne scrive a Condorcet il 14 luglio 1773. In questo senso il rinvio è spiegato da Linda Gil, la specialista degli archivi degli Illuministi, in nota alla “Correspondance secrète Voltaire-D’Alembert-Condorcet” da lei curata: “Nome dato ai denunciatori ufficialmente incaricati dall’Inquisizione di denunce delle distorsioni della religione”.
Dante e Montessori – È il titolo dell’ultimo saggio del dantista Alfio Albani. Per tutta una serie di citazioni, notizie, riferimenti, nei saggi e nei diari di Mara Montessori. E per la sua lettura dell’“intelletto d’amore” non come fatto emotivo ma come forma d’intendere e conoscere.
Dumas
–
È autore di 654 opere, pubblicate – una sola opera è stata pubblicata postuma.
Morendo sessantottenne. Che ha riempito con 4.056 personaggi principali, 8872
secondari, e 24.339 appena accennati, per un totale di oltre 37 mila nomi.
Epistolari
–
Nel ‘700 (lo lamenta parla spesso Voltaire nella corrispondenza) e ancora nell’
‘800, le lettere venivano liberamente, se d’interesse del destinatario, rese
pubbliche. Si scambiavano anche tra più persone per essere lette, e a volte trascritte,
cioè copiate.
Fantasmi
–
Entrano in letteratura a fine Settecento. A opera del romanticismo (il
romanticismo se ne fa un ingrediente d’obbligo, e quasi una forza)? Anche il
gotico, che di fantasmi abbonda, si può ricondurre al romanticismo.
Francesco
–
“Mi sa spiegare perché è tanto in voga adesso lo spirito finto francescano? Non
le pare un po’ un’imbecillità?”, così “l’ebreo” Hoffman di Pavese, “Ciau, Masino”,
apostrofa don Rione, uno sperduto parroco da cui gli amici capitano in visita.
E rinforza: “Parlo latino”. Il romanzo, rimasto inedito, è del 1932, ma sembra
oggi: “…Sì”, continua Hoffman, “vanno tutti in brodo i liberi pensatori laici
per quattro sciocchezze sentimentali”.
Hitler-Stalin – Due “liberatori” per Gide
ancora nel 1943, che così li registra nel “Diario” tra il 9 marzo e il 12 aprile.
Lettore – R. Barthes ha
il “lettore isterico” (“Il piacere del testo”, 124): quello che “prende il testo
per oro colato, che entra
nella commedia senza contenuto, senza verità, del linguaggio, che non è più il soggetto di nessuno sguardo
critico e si getta attraverso il
testo (cosa ben diversa dal proiettarvisi)”.
Montecristo
napoleonico –
“Il conte di Montecristo” è una celebrazione di Napoleone? È l’ipotesi dello storico
Mascilli Migliorini, sul “Sole 24 Ore” domenica. È il primo libro di successo di
Dumas, 1844, e “rimanda anche alla scoperta dell’Italia”, fatta negli anni 1830.
Ma soprattutto alla nostalgia di Napoleone. Che di Dumas, come di “tutta la sua
generazione, generazione romantica, generazione «nata col secolo», come scrive
di sé Victor Hugo”, era una sorta di padre putativo. Anche se Napoleone era all’origine
delle disgrazie del padre dello scrittore, il soldato creolo della rivoluzione
assurto presto al grado di generale, fino a che non si imbatté in Napoleone. Nel
1795 il giovane Bonaparte si era sosti8tuito al generale nella difesa contro
l’insurrezione realista a Parigi. Nella successiva campagna d’Italia, e poi in
Egitto, i dissidi con Napoleone erano costati al generale Dumas padre la carriera
e anche l’occupazione: al ritorno dall’Egitto era stato pensionato (lo scrittore
nascerà dopo, nel 1802).
“Pensato dopo una gita all’isola d’Elba
e nell’arcipelago toscano, in compagnia del figlio di Gerolamo Bonaparte, il
“Conte di Montecristo” è in realtà il vero libro napoleonico di Alexandre Dumas.
L’epica vendetta di Edmond Dantès è anche la vendetta che un’intera generazione
affida allora alle pagine degli scrittori e degli storici, nelle quali le
imprese napoleoniche illuminano la sonnolenta e codarda età della
Restaurazione”.
Stendhal non scrisse il libro
napoleonico, per il quale pure annotò moltissime pagine, più che per qualsiasi
altro suo “romanzo storico”, perché si era fissato su Napoleone stesso?
Parigi
–
Ha il motto “fluctuat nec mergitur”. Che viene tradotto: “Galleggia e non va a
fondo”, mentre sembrerebbe “galleggia per non affondare”.
Pasolini – Magris gli
trova un precedente in D’Annunzio, non per l’estetica, proprio per quello che
ora più lo contraddistingue, la vena sociale (“Corriere della sera”,19 luglio,
“I ritratti di Enzensberger”): D’annunzio ha scritto di tutto, anche lui, “ma
anche capolavori di poesia nei quali ha fatto i conti - come molto più tardi, anche se in modo
imparagonabile, Pasolini – con quella trasformazione psicologica, fisiologica,
sensuale dell’uomo in quegli anni e decenni, in cui nasceva un «oltreuomo», che
non era, come forse pure D’Annunzio credeva, un «superuomo», ma un nuovo tipo,
una nuova forma d’uomo, una nuova struttura dell’Io”.
Rilke – È un altro “eteronimo”
di Pessoa? “I Quaderni di Malte Laurids Brigge” di Rilke e il “Libro dell’inquietudine”
di Pessoa, “questi due «diari» del Novecento, opera di due poeti che non si
sono mai conosciuti, presentano similitudini stupefacenti” – Antonio Tabucchi,
“L’automobile, la nostalgia e l'infinito”, 73. Cioè? “Entrambi i loro
protagonisti guardano il mondo”.
Viaggiare
–
Pessoa, che pure ha viaggiato, celebra “la viglia di non partire mai,\ perlomeno
non ci sono valige da fare” (“Poesie di Álvaro de Campos”).
Word-painting – Con la parola Ruskin
immaginava di poter descrivere cioè che per natura non può essere descritto –
il mutevole e il cangiante, come i colori dell’aria, variabili, varianti all’istante.
Ma era un’idea di Keats. E prima ancora di Orazio - “Ut pictura poësis” - la
poesia è come la pittura: una parte ti prende se ti avvicini, un’altra se ti
tieni a distanza.
letterautore@antiit.eu
Fu l’Umanesimo a privare la donna dei diritti
La
figura del cavaliere che monta sul destriero per accorrere in Terra Santa vede
anche sul retro alla finestra una donna che lo oserva da una torre con
inferriata, di cui si presume, si sa, che il marito l’ha cinta con un’imbracatura
di ferro al bacino, la “cintura di castità”. Ma, dice la storica del Medio Evo,
non si sa di nessun caso che queste imbracature abbiano trovato uso, o non
fossero mentali o modi di dire. E comunque le donne dei crociati non stavano a
casa ad aspettarli: migliaia partirono, anche loro, col marito, in molti casi
con la servitù, in alcuni con i figli piccoli: andavano all’avventura, a cercare
un posto migliore, sia pure con la benedizione celeste. E comunque potevano farlo.
La
donna nel Medio Evo aveva pienezza di diritti, fuorché nella scelta del
matrimonio. Aveva il diritto di mantenere il cognome e il patrimonio, di
ereditare e di fare testamento: i documenti molteplici lo attestano, di varie
aree. Negli atti notarili del tempo la firma dell’uomo è affiancata solitamente
da quella della donna, e con padronanza dell’ortografia. Poteva anche avere la
titolarità di laboratori, officine, negozi.
Nella
scelta del coniuge non contava solo la sua volontà. Ma questo si può dire anche
degli uomini all’epoca, e ancora nel pieno del Rinascimento: il matrimonio era
una scelta familiare e sociale – anche politica, come si sa: Carlo V era
maestro dei matrimoni politici, come tutti gli Asburgo, anche i i Borboni
crebbero grazie ai matrimoni. Sarà solo nei secoli successivi, post-umanesimo,
che, basandosi sul diritto romano, la donna fu privata di ogni diritto.
Grande
scavatrice del Medio Evo, e della condizione della donna nel Medio Evo, Régine
Pernoud aveva affiancato alla “Donna al Tempi delle Cattedrali”, quest’opera
non tradotta sul ruolo attivo delle donne anche nelle migrazioni-spedizioni,
che la Bibliothèque de France rende di pubblico dominio, anche se tuttora sotto
diritti, nell’ambito del progetto Gallica.
Régine
Pernoud, La Femme au Temps des Croisades,
Gallica.Bnf, free online
domenica 24 luglio 2022
Cosa ci sarà sotto la crisi politica
È possibile che la crisi sia
precipitata d’improvviso, e senza una vera ragione, per caso? Non è possibile,
trattandosi di una crsi politica, tra persone cioè navigate, molto. E allora,
vediamo un po’.
Non si può dire – non si può
sapere - ma c’è una guerra sotterranea,
delle massonerie, nella crisi politica che ha portato al voto anticipato, dalla
guerra di Putin in poi? Di Conte, che a Firenze era chiamato “la contessina”,
scoperta di Bonafede, avvocato a Firenze di grande rispetto, si sa: è di obbedienza Grande Oriente. Che, come il Grande Oriente di Francia
da cui è stato generato da Napoleone, non ha preclusioni, accoglie liberamente
anche i comunisti (i repubblico-comunisti della Prima Repubblica) e quindi
anche i russi, ancorché non più sovietici.
La massoneria russa è sempre
stata di ispirazione francese, dai tempi di Diderot alla corte di San Pietroburgo.
Anche per questo la Russia è sempre invisa a Londra, da allora: quella degli
zar, quella leninista, e quella di Yeltsin-Putin – con parziale eccezione per i
boiardi che hanno portato i capitali nella City.
Di certo si sa che il Grande
Oriente è sempre stato accanto alla Russia postsovietica, fino alla
Transnistria e alla Crimea, e ancora di recente, muovendo Macron a tenere o
riaprire i contatti con Putin. Mentre di Draghi non si sa, ma è sempre stato
vicino a Londra, dai tempi del “Britannia” e poi dalla presidenza della Banca
centrale europea.
Resta l’incognita Berlusconi.
Legato alle logge americane, Columbus eccetera, ma evidentemente non in questo
caso, nel licenziamento di Draghi.
Ma questa è solo una delle piste,
volendo fare giornalismo investigativo, come è ora d’uso. Altre ipotesi non
sono da scartare.
Una è naturalmente che Berlusconi
sia manovrato dalle donne di casa, che lo accudiscono in villa, Licia Ronzulli
e Marta Fascina. E così, da uomo dell’amore e notorio autoreferente king maker
si è trasformato in killer. Ma
sarebbe come dare del rincitrullito a Berlusconi.
Una terza ipotesi vorrebbe la
crisi millimetrata sulla maturazione della rendita pensionistica. È l’ipotesi
di Aldo Grasso questa mattina: il 24 settembre scade la soglia dei quattro
anni, sei mesi e un giorno di permanenza in Parlamento per maturare il diritto alla pensione da parlamentare ai 65 anni. Perfetto, il voto anticipato è calcolato
al minuto, dal 25 si può fare casino.
E poi c’è il centenario. Si vota
il 25 settembre. Entro il 14ottobre le Camere sono convocate, a termini di Costituzione.
Eleggono i loro presidenti, il presidente della Repubblica fa le consultazioni
politiche e dà il primo incarico di governo della nuova legislatura. Il 27
ottobre? A Giorgia Meloni, come vogliono i sondaggi? Il 27 ottobre corre il
centenario di Mussolini presidente del consiglio – dopo la marcia su Roma, è
vero, non dopo un’elezione, ma si dimentica che non fu una forzatura
parlamentare: Mussolini ebbe l’incarico formale di formare il governo, e lo formò,
di popolari, liberali, nazionalisti e anche fascisti, passando alla Camera con
306 voti a favore, 116 contrari e 7 astensioni (al Senato con 196 voti contro
19). Era un Parlamento con le stesse misure del nuovo Parlamento, più o meno: il
25 settembre si eleggono 400 deputati e 200 senatori.
Il giallo della morta due volte
Una
donna muore due volte, a un anno di distanza. Bella, incinta. Non è possibile,
e in effetti Musso fatica non poco. Dapprima attraverso Roxane, una
superpoliziotta quarantenne in disgrazia non sappiamo perché, che dal suo
esilio a un ente inutile in una torre deserta muove rapidamente le indagini. A Parigi
come a Lille e a Nizza, questione di minuti, al massimo di ore, le novità si
accavallano. Mentre tutti, colleghi e (ex) collaboratori, prontamente si
muovono e verificano una intuizione o deduzione. Poi attraverso una confusa
serie di altri Virgilio.
Con
un tocco lesbico? Con la Boboland, i posti alla moda dei “bobo”, gli
intellettuali. In una Parigi cupa. Alla vigilia di Natale. Con microcamere,
manovrabili da ogni angolo della terra. E con gli inevitabili droni. Con i
caffè parigini classici, il “Select” etc, e quelli fusion – ma non si gustano “sorsi del ceviche”, il ceviche è un
piatto, di pesce. Ma di più con un’interminabile dose di Dioniso, storia e
personalità, “il Mangiatore di Carne Cruda”. A un certo punto, non si saprebbe
dire perché, ma sembra un’opera composita, a più mani – forse mettendo assieme
spezzoni di romanzo incompiuti? Il più amabile, e rispettabile, è dell’amore
fraterno e dell’amore paterno, a fronte di una madre malvagia.
Con
una serie interminabile di sigle di polizia. Forse per intimorire, col
burocratismo, sempre forte in Francia? Oppure il francese cambia pelle, non
vuole più differenziarsi dall’americano?
Un
pasticcio posticcio. Un polpettone, poco commestibile.
Guillaume
Musso, La sconosciuta della Senna,
Gedi, p. 302 € 8,90
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