sabato 30 luglio 2022
Ombre - 626
Raccapricciante,
bestiale, nello svolgimento e nella documentazione fotografica, l’assassinio
dell’ambulante nigeriano a Civitanova Marche, sul corso Umberto, davanti a
decine di testimoni: uccidere un uomo di quarant’anni a bastonate richiede
tempo e applicazione, non è un atto inconsulto, e si può bloccare con una semplice
spinta all’assassino. Ma tutti stanno a vedere come si uccide un uomo, nemmeno
uno sguardo di meraviglia o disapprovazione.
Niente libro senza editore
“Un buon editore è
quello che pubblica circa un decimo dei libri che vorrebbe e forse dovrebbe
pubblicare”: con questa chiusa Calasso ricostruisce per ampie campiture la storia
di Adelphi e il carattere dell’editoria, o l’arte di pubblicare libri. Con l’esperienza
dei suoi quasi cinquant’anni in Adelphi, a partire dai ventuno. I “libri unici”
di Roberto Bazlen, con cui Adelphi ha debuttato, nel 1962, per per qualche anno
ha vissuto. La riedizione-riproposta di Nietzsche per cominciare, con immane lavoro critico - e poi di molto Heidegger, di tutta o quasi Simone Weil, di C. Schmitt. Le copertine. I risvolti. La Grande Vienna scoperta dallo stesso
Calasso che ha portato al decollo economico, con le grandi tirature: Joseph Roth
sopra tutti, Karl Kraus, Lernet-Holenia, Canetti, Wittgenstein, e poi Bernhard.
Le riscoperte: Savinio, proposto dalla figlia Angelica con la sua “Enciclopedia”,
irresistible, commenta Calasso, cominciando con “abat-jour” e finendo con “zampironi”,
Karen Blixen, Pessoa, rianimato da Tabucchi. Infine, sopra tutti, Simenon, anche
lui rianimato e anzi portato al prestigio letterario, anche in Francia, dove era
uno scrittore da edicola: approdato in Adelphi da Mondadori, dopo un paio d’anni
di tentennamenti, per una lettera entusiasta del suo grande amico Fellini, e subito
imposto al pubblico, sempre vastissimo (50 mila copie le tirature iniziali), da
una recensione di Parise.
Una raccolta di testi di varia occasione, articoli, commemorazioni, conferenze, di lettura leggera e
piena. Con un trattatello sui risvolti, dall’alto dei “millecento” da lui
scritti (“1089 a oggi”). Con molti personaggi, l’elusivo Bazlen sopra tutti (“due
persone “sono state determinanti nella mia vita: Robert Bazlen e Ingeborg
Bachmann”, ma di Bachmann poi non c’è traccia). I ritratti di Giuio Einaudi,
Luciano Foà (revisore di tutte le traduzioni di J. Roth, se le portava a casa,
extra time, per rivederle e armonizzarle: c’è un J.Roth italiano, di Foà), Roger
Straus, Peter Suhrkamp. E di Vladimir Dimitrievič, il serbo grande editore del
mondo slavo in Francia, ma per Calasso più che un editore, e un amico, un altro
sé stesso, uno che il mestiere di editore diceva di “traghettatore e giardiniere”.
Sul perché un
libro viene pubblicato oppure no, Calasso non dà risposta. Ma sottintende che
non c’è letteratura – e nemmeno storia, filosofia – senza editoria: una mediazione
necessaria, con la stampa (accurata, del giusto carattere di stampa e formato, e
con la giusta copertina – che può essere il lavoro maggiore dell’editore) e la promozione-distribuzione
del libro. Se Manuzio non avesse stampato la “Hypnerotomachia”, o non in quella
forma, la “Hyperotomachia”, il libro più bello mai stampato, oltre che primo
romanzo moderno, di avventure, non esisterebbe.
Roberto Calasso, L’impronta
dell’editore, La Repubblica, pp. 164 € 8,90
venerdì 29 luglio 2022
Berlusconi abbandonato, terza – Berlusconi 30
Da kingmaker a Robespierre di piazza,
spalla di Salvini: Berlusconi è sempre a tutti denti, ma non conta più nulla.
Già la preview, con lui sempre a tutti
denti a una barzelletta di Salvini, a ruoli invertiti, con Salvini poi, che non
fa ridere nessuno, non deponeva bene. E prima ancora la presenza di Marta
Fascina al colloquio della congiura sollevava dubbi: compagna di affetti o
badante politica? Ma anche la campagna presidenziale fu sgradevole, più che
ridicola: Berlusconi ottantaquattrenne che chiede il voto per sette anni di
presidenza, e ci crede, lascia i covid a ripetizione e gli altri segreti al San
Raffaele di Milano, per stabilirsi a Roma, nuovamente – salvo tornarsene a
Milano senza nemmeno fare notizia.
Si vota
il 25 settembre, entro il 15 ottobre le Camere devono essere “convocate”, il 27
ottobre secondo i sondaggi Giorgia Meloni dovrebbe avere l’incarico di presidente
del consiglio. Il 27 ottobre è il centenario della marcia su Roma, di Mussolini
che ebbe dal re l’incarico di presidente del consiglio – e fece un governo di
coalizione, con i Popolari, i Liberali, perfino i Democratici, tutti eccetto i
Socialisti. Forse non andrà così, e comunque non c’è una marcia su Roma, solo
pacifiche elezioni, ma è a un mesto tramonto che Berlusconi si è avviato, provocando
il voto anticipato.
O non è
lo stesso Berlusconi? Quello che si voleva amico di tutti, eccetto “i comunisti”.
Acido col “Draghi stanco”, dopo che lo ha silurato – detto da uno con la faccia
tirata e lo guardo perennemente velato. Infelice col “riposino in pace” ai
collaboratori di trent’anni che lo hanno abbandonato, spiegando profusamente
perché. Per non dire dell’instagram della sua compagna Marta Fascina, che
dileggia Brunetta con una canzone di De André, “Un giudice”, la scalata di “un
nano” ai vertici della magistratura – roba che in America l’avrebbe portata in
prigione. Berlusconi che dà un calcio negli attributi a qualcuno era difficile
da immaginare. Perfino con Travaglio, che lui fece giornalista e poi gli ha
scritto alcuni libri contro, ci riuscì, nella famosa sceneggiata da Santoro:
lui era quello dell’amore.
Ora si
ragiona sul 37, il 61 e il 2 per cento: nel Rosatellum, il sistema elettorale
per intenditori (l’elettore non sa per chi vota), si può finire col sedere per
terra per un’infinità di motivi. Se in più non si sa quanti andranno a votare,
sicuramente non molti…Tutti i poteri sono del capo partito. Che quindi deve
avere grande influenza, per poter dare sicurezza. E cisì è finita che
Berlusconi non trova più abbastanza candidati, e pochissimi di rilievo. C’era
la fila, li faceva selezionare dalle migliori headhunter americane, ora avvocati, ingegneri e ragazze di bella
presenza ci ripensano – a meno che non si accolli lui le spese elettorali. Fuori
dall’uninominale secco per oltre un terzo dei seggi, che ora sono solo 600,
invece che 945. E nel proporzionale di coalizione chi decide, quanto conta
Berlusconi?
Rimarrà
come quello che ha saputo guidare alla ragione politica i neofascisti e la Lega
di Bossi – di cui non si ricordano più le ampolle di acqua santa di non si
ricorda più quale fiume, la Venezia dei dogi e dei carrarmati di cartapesta, il
parlamento padano, il marco invece della lira, la politica in canottiera,
giallastra, il celodurismo, e che non fu buttato fuori dalla scena politica per caso, il 4 per cento per tornare in Parlamento
rimediando per pochi voti (berlusconiani?). Ha reso la destra in qualche modo politica. Ma ha
sempre impedito che qualcuno nel suo partito crescesse, non gli ex socialisti
(Tremonti, Cicchitto, fino a Brunetta), non gli ex democristiani (Casini,
Follini, e i tanti altri), non i suoi ragazzotti eletti a delfini, Tajani, Toti Alfano, Bondi e altre mezze figure - e in campagna elettorale si programma sulle sue tv mentre ascolta annoiato, irritato, il parlatore Tajani. Un Micciché stratega di due cappotti in
Sicilia in due distinte elezioni, con la vittoria in tutti i seggi – la sola Sicilia
faceva la sua maggioranza – non ha mai avuto un incarico, uno spazio. E ora si
trova solo. Politicamente: avrà problemi a trovare candidati alle elezioni – a
meno che non paghi lui le spese elettorali: la fuga è generale. Con la
contemporanea sorprendente, non richiesta, professione di fede leghista, pura e
dura, da sempre e per sempre (“l’unità d’Italia è stata un errore”), di Fedele
Confalonieri, l’amico e collaboratore dai tempi dell’oratorio (“chi portava il
pallone si faceva la squadra, Berlusconi portava il pallone”).
Il
programma è ridicolo - mille euro al mese ai pensionati sociali, roba da Lauro.
I precedenti infausti: chi provoca il voto anticipato è punito dagli elettori,
i socialisti nel 1972, i democristiani nel 1976, i comunisti nel 1979. Ammesso
che gli elettori a settembre vadano a votare – si parla già di “vedove di
Berlusconi”, i più delusi sono le sue innumerevoli, determinate, agitate fan.
Cronache dell’altro mondo - debitorie (205)
“Per decenni”, racconta la storia di
apertura del “New Yorker”, “Betty Ann ha lavorato come insegnante. A 52 anni si
è iscritta a Legge alla New York University, nella speranza di cambiare vita”. Per
pagarsi l’università, “ha preso in prestito 29 mila dollari, dei fondi
federali. Oggi deve 329.309,69 dollari. Ha novantun’anni”.
Una nuova crisi del debito emerge dai
prestiti agli studenti. La bolla è – era un anno fa – di 1,7 trilioni di dollari,
nella scala americana equivalente a 1.700 miliardi. Sono molti, sono pochi? Non
sono ripagati.
La storia del debito studentesco è lunga,
parte dagli anni 1950. Quando fu lanciato come promessa di ricchezza e istruzione,
a favore dei non abbienti, di chi non aveva sostanze familiari. Senza mai un’avvertenza
sulle dinamiche di accumulo. Nel tempo, il debito studentesco ha finito per prosciugare
le rendite dei pensionati, e prima ancora la capacità di accumulo ai fini della
pensione. Complice anche la politica delle retribuzioni calanti che ha dominato
gli ultimi trent’anni, del mercato globale.
Quando la Finlandia era felice in Russia
Un incontro di
solitudini, vuote, incerte. Col rifiuto, la curiosità, l’abitudine, la complicità,
la gelosia, il distacco, il ritrovamento, per due esistenze smarrite che infine si sostengono. Dentro lo scompartimento soffocante di un interminabile treno russo – di quelli
che fanno anche lunghe soste, per ogni possibile diversivo. E nella Russia
grigia e gelata attorno a Murmansk, il grande porto carbonifero nel circolo polare. Un’ambientazione che da
sola fa le storie soggettive.
Kuosmanen è già un
maestro riconosciuto di atmosfere, ed è stato per questo film premiato dalla giuria
a Cannes. Ma la cosa che più attrae del film, presentato a Cannes nel 2021, è
che lei è una finlandese archeologa o interessata di archeologia, che è stata lasciata dalla sua innamorata sprezzante e va nella remota Murmansk per vedere i petròglifi, e lui è
un minatore russo. Che il cattivo è un finlandese, un bohémien ladro, uno che disprezza i russi.
Che il film è parlato in russo. E Kuosmanen fa della Russia più brutta e povera
un capolavoro d’arte. Prima che Finlandia e Russia diventassero, di nuovo,
nemiche, acerbe, giusto pochi mesi prima.
Juho Kuosmanen, Scompartimento
n. 6 – in viaggio con il destino, Sky Cinema
giovedì 28 luglio 2022
La guerra non tocca la Russia - 6
Unicredit ha dismesso, teoricamente, le attività in Russia. Ma nel
trimestre aprile-giugno vi guadagna 346 milioni, un sesto del totale
dell’utile, per un giro d’affari che è una frazione minima del suo totale. E
grazie alla rivalutazione del rublo si ricapitalizza, seppure di uno 0,5 per
cento. “Abbiamo molte imprese europee clienti, molte italiane, ben contente di
essere in Russia con noi”, dice l’ad del gruppo Orcel a “la Repubblica”.
Tra le banche occidentali ancora operanti a Mosca, alcune sono alla
ricerca di personale, per coprire le dimissioni seguite all’annuncio delle
sanzioni. Secondo Headhunter, l’austriaca Raiffeisen Bank ha pubblicato a
luglio 276 offerte di lavoro, l’americana Citibank 84.
Si tratta sul canale turco per l’esportazione
dei cereali ucraini come artificio diplomatico, da una parte e dall’altra, per
tenere aperto un canale di comunicazione. I cereali in realtà (grano, mais e
altre specie minori) sono stati già esportati, secondo il ministero dell’Agricoltura
americano, che monitora il commercio internazionale dei grani. Lo stoccaggio
delle raccolte 2021 era stato già smaltito per cinque sesti prima della guerra.
E durante la guerra le esportazioni non sono mai cessate, per i quantitativi
residui.
Cronache dell’altro mondo - bellicose (204)
La visita annunciata dalla Speaker della
Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, a Taiwan, come segno di solidarietà, è
ritenuta da Pechino un atto ostile. Le dichiarazioni in questo senso si
susseguono, dei portavoce della presidenza, e sui giornali di partito, come riportati
dal “Global Times”, il giornale del partito in lingua inglese - praticamente solo di Taiwan si sarebbe parlato oggi nella lunga telefonata tra Biden e Xi. Un atto ostile,
in qualche commento, addirittura militare, dato che Nancy Pelosi, come terza più
alta carca dello Stato, sarà trasportata o accompagnata da aerei militari.
Il presidente Biden, che considerava il viaggio
annunciato di routine, non ha reagito - non al presidente cinese, che si sappia. Ma il suo ministro della Difesa (“il
Pentagono”) sì, ha criticato la Speaker dei Rappresentanti. Il suo capo di Stato Maggiore, il generale Mark Milley, ha criticato il viaggio annunciato indirettamente, spiegando che l’unico rischio di una guerra tra
Stati Uniti e Cina è solo per “un incidente”, una catena di reazioni non controllate.
Se la giustizia politica passa a sinistra
In America non si perdono i diritti
politici per decisione di una giudice, cioè per una condanna, spiega il
costituzionalista americano Brian Kalt a “la Repubblica”. E cita il caso, “accaduto
negli anni Venti al socialista Eugene Debs: si candidò dal carcere alla presidenza
e ottenne un milione di voti”. Ma non dice perché Debs era carcerato: era in
carcere da due anni, dal 1918, perché si era opposto all’entrata in guerra
degli Stati Uniti, con una condanna a dieci anni – il presidente Harding,
contro cui si era candidato, lo grazierà a fine 1921 (anche per i problemi di
cuore sviluppati da Debs in prigione, che lo porteranno presto alla morte).
Debs, già candidato quattro o cinque volte alla presidenza, era da trent’anni
il creatore e l’animatore del sindacalismo in America. Aveva fondato l’Industrial
Workers of the World (Iww). Era stato già in prigione, con una condanna a sei mesi, nel 1894 per avere organizzato uno sciopero dei ferrovieri - che il
presidente Cleveland represse con l’esercito.
La giustizia politica è sempre stata di
destra, dell’assolutismo e poi dei regimi più o meno forti. Da tempo invece, in
Italia e negli Stati Uniti, è un’arma di sinistra. Spuntata contro Berlusconi,
che è fatto della stessa pasta dei suoi giudici persecutori, ma efficace contro
altri obiettivi. Per un successo politico della sinistra? Che arranca su tutti i
versanti, del voto come dei lettori?
Sofri vittima della caccia al Psi
Fa
senso imbattersi in un dossier a carico di Sofri per l’assassinio di Calabresi,
pubblicato il 20 maggio 1990 come inserto de “L’Espresso”: conferma che la
confessione di Marino fu utilizzata per azzoppare il partito Socialista. Niente
di meno.
È un dossier odioso, di ìntercettazioni sul telefono
di casa di Sofri e di altri di “Lotta Continua”, 700 pagine, fatte trascrivere
integralmente dagli avvocati di parte civile, della famiglia Calabresi – i CC
avevano prodotto un breve sommario. Da cui si palesa indirettamente (sono
trascritte quasi soltanto le telefonate da casa Sofri e altri di Lc solo se
riferite al partito Socialista) che la messa in causa personale di Sofri (e di
Pietrostefani come copertura) nasce dal suo rapporto col Psi, e in particolare
con Martelli, all’epoca vice-segretario del Psi. Dieci anni dopo l’avvicinamento, durante e dopo il sequestro e l’assassinio di Moro. Al governo è De Mita, che
ha preteso palazzo Chigi per “dare una lezione” ai socialisti – è ministro anche
Mattarella.
È palesemente, alla rilettura, un dossier che vuole
dimostrare la stretta vicinanza di Sofri e i suoi compagni con i socialisti.
Con molte annotazioni solo apparentemente vaghe. Tipo: “Carlo Panella, marito
di Roberta La Capria, parente acquisito di Sandro Viola, inviato di punta di
Repubblica” – tre o quattro insinuazioni in una. Carlo Degli Esposti, altro
intercettato del dossier, si salverà inventandosi i “Montalbano” di Camilleri.
Qualche anno fa Cazzullo, “Il caso Sofri”, ha fatto
di Lotta Continua una costola del Pci. No.
Questo è importante per capire la vicenda. Sofri sì, in parte, all’origine,
Lotta continua no. Anzi, è nata e si è sviluppata in opposizione al Pci. Sofri
stesso non ha più avuto tessere dopo quella giovanile del Pci, eccetto quelle
radicali. E si era avvicinato politicamente al Psi, dal rapimento e
l’assassinio di Moro in poi, a una parte del Psi, quella più in sintonia con le
lotte di libertà, che Claudio Martelli negli anni 1980 impersonava. Ed è qui
che s’innesta il caso Sofri. Vittima, l’ennesima, dopo Sciascia e altri meno
illustri, della politica che decise l’assassinio di Moro.
Del Pci furono i primi confidenti di
Marino. Del Pci il primo collegamento tra Marino e Bonaventura. Del Pci la
campagna di stampa che accompagnò l’incriminazione e forzò la condanna.
Cazzullo ricorda il senatore Bertone, come tramite coi servizi. Ma si
schierarono molti politici subito, i giornali di partito, e anche l’Anpi,
l’associazione dei partigiani. Ancora nel Duemila Piero Fassino, ministro ex
Pci della Giustizia, non solo si rifiutò di proporre la grazia per Sofri, come
avrebbe dovuto nella vecchia procedura, ma per non scarcerare Sofri non propose
nemmeno l’indulto, benché lo chiedesse il papa, per il giubileo del millennio.
Con Napolitano al
Quirinale la grazia non fu nemmeno discussa, e Sofri si è fatto tutto il
carcere, fino alla scadenza della pena nel 2012. Caso raro, anzi unico, negli
annali giudiziari. Quella di Napolitano è l’unica delle tre presidenze della
detenzione di Sofri dopo la condanna definitiva che non hanno discusso la
grazia. Lo fece perfino Scalfaro, in medias res. Mentre Ciampi
arrivò a promuovere una decisione della Corte Costituzionale che gliene
attribuisse la facoltà anche col parere contrario del governo: la pronuncia
della Corte, a prevalenza ex Pci, arrivò tre giorni dopo la scadenza del
mandato di Ciampi. In occasione della grazia per direttissima a Bompressi, il
proponente Mastella, ministro di Giustizia, annunciò che la proposta era in
arrivo anche per Sofri, solo un po’ più complicata. Ma non è stata mai
proposta, né da Mastella né da Napolitano, che dopo la sentenza della Corte
Costituzionale poteva agire di sua iniziativa.
Il giudice Pomarici, che
istruì il caso, era il terminale dei servizi segreti. Il colonnello
Umberto Bonaventura, carabiniere, che mise a punto la testimonianza di Marino –
poi unica “prova” al processo - in almeno dieci giorni di isolamento con lo
stesso, veniva dalla famigerata divisione “Pastrengo”, non una buona scuola
(c’era stato Dalla Chiesa ma anche il generale Palumbo, fascista dichiarato,
con lo stupro di Franca Rame), ed era dei servizi segreti, specialista della
controinformazione. Tratterà lui il “Dossier Mitrokhin”, che infamerà non pochi
giornalisti onesti. Il generale dei carabinieri Bozzo, che lo ebbe ai suoi
comandi, ne conserva una buona opinione, ma ha voluto dire che non ha
apprezzato il modo come l’allora maggiore Bonaventura raccolse la testimonianza
di Marino contro Sofri, soprattutto non la decisione di remunerarlo.
Pomarici e Bonaventura
erano incaricati delle indagini sull’assassinio di Calabresi da subito, nel
1972. E si erano perduti in ipotesi fantasiose. Dovevano non fare la vera
indagine? A che cosa lavorava Calabresi quando fu assassinato? Calabresi era
vice-capo dell’Ufficio politico della Questura quando fu assassinato. In
servizio attivo. Non passava le giornate nelle polemiche e la causa con Lotta
continua, come hanno narrato i giornali.
Il cuore della questione è: come è
nata la questione Sofri? Dalla testimonianza di Marino. E com’è nato
Marino? Sì, era stato “Gasparazzo”, era stato Lotta Continua, ma il Marino della confessione
è nato dalla frequentazione del Pci. E dalla reazione giudiziaria al rovinoso
referendum sulla responsabilità civile dei giudici promosso dai radicali e dai
socialisti per i Morti del 1987, con l’80 per cento di voti in appoggio, e un
65 per cento di votanti, due record. A poco più di un anno, il tempo di preparare
la trappola, dal referendum stesso. A opera di inquirenti di destra, missini.
In contemporanea con la parallela offensiva che, sempre sul lato missino,
lanciava in Calabria contro i socialisti il giudice Cordova. Lo stesso che, pur
non nascondendo le sue idee missine, sarà il cannone del Pci per abbattere
Falcone, isolandolo - mettendolo nel mirino.
Il fasciocomunismo, come all’epoca si sarebbe
detto, non è inventato - né è invenzione posteriore di Pennacchi romanziere. Né
sono sono state eccezioni Marco Travaglio che diventa analista dell’“Unità” e
D’Avanzo di “Repubblica”. Sofri è il primo anello di un aggiramento
del Psi che si concluderà nel 1992, sul terreno più fertile del finanziamento politico illecito.
Il cuore della questione sono le
condanne preconcette, in tribunale e fuori. Dei giudici, dell’ex Msi e dell’ex Pci.
Leo Sisti, Linea continua
http://www.misteriditalia.it/calabresi/inchieste/Lineacontinua.pdf
mercoledì 27 luglio 2022
Problemi di base produttivi - 707
spock
Globalizzazione significa che la Cina produce e noi
compriamo, con che soldi?
Il pianeta si salva con l’economia del ricambio continuo,
nuovi sneakers, nuovo iphone, nuova auto, magari elettrica, e sia pure made in
China?
È per questo
che il Made in China dopo un po’ non funziona, per iol ricambio?
Perché le
ferrovie ritardano i treni, senza (quasi) mai un motivo?
Perché il wifi
ogni tanto salta – con la fibra ultraveloce?
Perché le aziende
dei telefoni sono così disastrate?
spock@antiit.eu