astolfo
Angela
Merici – Una santa che è una protofemminsita
del ‘500. Non era suora e non voleva suore, ma volle attivare per le donne
fuori dal convento la possibilità di operare da sole, senza dover contrarre
matrimonio, o sotto la protezione paterna o comunque maschile – i conventi,
anche quelli femminili, erano soggetti ai cappellani e ai vescovi. Al modo delle
“beghine” delle Fiandre, ma senza – che si sappia – conoscenza di questo movimento.
Non fu educata in convento e non fece mai vita
monacale. Da terziaria francescana fu attiva in opere di carità dentro la
società. Nel 1533 fondò un suo ordine, ma senza obbligo di reclusione
conventuale, anzi di proiezione nella società. Un ordine di donne vergini, cioè
senza obblighi patriarcali – “dimesse” di sant’Orsola proprio perché senza l’abito
monacale. Dedicato alla formazione femminile, ma nel senso della autonomia di
giudizio e di mezzi, non della consueta preparazione delle giovani donne al
ruolo matrimoniale, di economia domestica. .
Ordini religiosi militari – Hanno ordinamento militare gli ordini religiosi creati a metà Cinquecento.
Sull’esempio degli ordini religiosi cavallereschi legati alle Crociate, i
Cavalieri Templari, Ospedalieri, del Santo Sepolcro, etc. Angela Merici nel
1533 ottiene il beneplacito a un ordinamento delle sue suore laiche, che chiama
“Dimesse di sant’Orsola”, come quelle che avevano abbandonato i conventi e l’uniforme
dele Orsoline, introduce il grado di “colonnelle” per le superiori di quartiere
(delle singole sezioni di attività), e di “governatrici” per le nobili cui
erano delegati i compiti di amministrazione e la protezione politica. Ignazio
di Loyola l’anno dopo fondò i gesuiti col grado di Generale – ora “preposito
generale”, o “papa nero” - per il capo
della congregazione.
Gli ordini religiosi cavallereschi, dei quali restano le tracce nel
Sovrano Militare Ordine di Malta, e nell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di
Gerusalemme, furono alcune decine, specie nel Due-Trecento.
Terre rare – Entro il 2025
sarà necessario aprire almeno 384 miniere, o “complessi di estrazione e
trattamento”, di grafite, litio, nickel e cobalto. Questo solo per soddisfare
la domanda di batterie per veicoli elettrici, in base ai programmi varati in
Europa e negli Stati Uniti. È l’esito di una ricerca di una società londinese
specializzata nell’analisi del settore minerario, Benchmark Minerals. Nel caso
che si attui una vera politica di riciclaggio delle batterie esauste, il
bisogno di nuovi siti minerari si ridurrebbe a 336.
È uno scenario di sviluppo che si presenta minaccioso perché la
produzione di “terre rare” è costosa e inquinante. Questi minerali si
definiscono terre rare non perché rare, ma perché associate in minime quantità
ad altri minerali da cui è necessario separarle con imponenti quantità di acqua,
e con enormi residui rocciosi o terrosi non utilizzabili.
Per la grafite, che oggi si produce in 72 miniere, prevalentemente in
Cina e in Africa, sarà necessario aprire altri 97 siti (nell’ipotesi zero
riciclo), di capacità estrattiva media di 56 mila tonnellate l’anno. In
aggiunta, si prospettano altri 54 impianti, da 57 mila tonnellate l’anno, per
la produzione di grafite sintetica. Gli anodi delle batterie sono realizzati
con una miscela dei due tipi di grafite.
Per il litio la previsione è di 74 miniere da 45 mila tonnellate l’anno -
riducibili a 59 con una seria attività di riciclo. Per il nickel 72 nuove
miniere, d 42.500 tonnellate l’anno. Per il cobalto 62 nuovi impianti, da 5
mila tonnellate l’uno – dimezzabili a 38 col riciclo.
Si tratta di materiali in uso nelle automobili di ultima generazione,
ibridi o elettriche. E sempre più in uso nei beni di consumo durevoli, elettronica,
informatica, telefonia mobile. Indispensabili nei dispositivi digitali: le proprietà
semiconduttrici di questi materiali consentono di modulare i flussi di
elettricità. E nella miniaturizzazione dei motori elettrici: a pari potenza, un
magnete di terre rare è cento volte più piccolo di un magnete di ferrite.
Attualmente circa l’80 per cento dele “terre rare” usate nell’industria
hi-tech e dell’auto è prodotto dalla Cina: 120 mila tonnellate in totale nel
2019, prima del covid. Seguivano l’Australia, con 20 mila tonnellate, e gli
Stati Uniti, con 15 mila. Dal 1990 circa fino al 2010 la Cina produceva l’85
per cento delle terre rare in uso, e ne raffinava (procedimento specialmente
costoso e inquinante) il 95 per cento.
L’amministrazione Biden intende promuovere la produzione domestica di questi
minerali, di cui gli Stati Uniti hanno riserve abbondanti, ma ha avuto e ha
tuttora problemi a conciliare l’attività mineraria con i vincoli ambientali. Nella
Mojave National Preserve, al sud della California, dove una delle principali
miniere di terre rare in America è in attività, le acque reflue del primo trattamento
minerario hanno comportato una notevole contaminazione radioattiva da torio nei
terreni desertici circostanti – il torio viene rilasciato durante l’estrazione.
Gli Stati Uniti erano i maggiori produttori di terre rare fino a fine anni
1980, quando gli investimenti si sono poi praticamente fermati, a fronte dei minori
costi cinesi, e senza l’aggravio della protezione ambientale. La Francia, che
si ritiene “un gigante minerario dormiente”, secondo l’ex ministro degli Esteri
Hubert Védrine, non ne ha praticamente avviato mai l’estrazione.
Non solo per i minerali necessari alle auto elettriche, per tutti i
metalli rari la produzione è altamente inquinante, sia in miniera che alla
raffinazione. Si chiamano rari questi metalli, che in realtà sono diffusi su
tutta la terra, perché si trovano associati in proporzione minima ad altri
metalli dai quali devono essere separati. Bisogna lavorare sedici tonnellate di
roccia per produrre un kg di cerio, che si usa nelle marmitte catalitiche; 50
tonnellate per un kg di gallio, usato nei semiconduttori e le lampade a basso
consumo; 200 tonnellate per un kg di lutezio, usato in medicina nucleare.
L’estrazione richiede un consumo abnorme di acqua e comporta la frantumazione,
la separazione, la raffinazione di tonnellate di roccia inerte. Sono poi
necessari più cicli di raffinazione.
La “terre rare” propriamente dette in chimica sono un insieme di 17
elementi della tavola periodica, che hanno elevate proprietà elettromagnetiche,
ottiche, catalitiche e chimiche. La parte con maggiori applicazioni produttive di
un insieme di materiali “rari”, una cinquantina (una lista della Commissione di
Bruxelles ne elenca una trentina, oltre ai diciassette canonici): lantanio,
cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadolinio, terbio,
disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio, lutezio, scandio e ittrio.
Il litio è il primo degli elementi chimici metallici, e trova applicazioni
anche in farmacologia – protegge dalla depressione, altri usi. Il cobalto, importante nella dieta umana e dei mammiferi, componente
essenziale della vitamina B 12, presente in tutti i tessuti animali, con
concentrazione più alta nel fegato, i reni e le ossa, è diffuso in natura in
diversi minerali, ed è solitamente associato al nichel e al rame. Si trova allo
stato minerale quasi soltanto, nel quadro attuale delle ricerche, in Cina e
negli Stati Uniti. Il nichel, un metallo argenteo anch’esso del blocco del
ferro, si accompagna spesso in natura al cobalto – è tossico per l’uomo, per contatto
(rubinetterie, gioielli e altr oggetti metallici), fumi di combustibili fossili,
sigarette. La grafite è forse la terra rara più diffusa: matite, coloranti, lubrificanti,
ceramiche, antiruggini, etc.
In generale le terre rare non si trovano mai in forma
concentrata in questo o quel minerale. Sono diffusi, mescolati, in un centinaio
di minerali, sotto forma di ossidi, carbonati, silicati, fosfati, e associati
ad altri elementi “non rari”, calcio, ferro, alluminio, etc. I minerali che ne
presentano concentrazioni tali da giustificarne l’uso economico si trovano allo
stato delle ricerche per l’80 per cento in Cina, per il resto nel Minnesota (Stati
Uniti) e in India. La messa in valore delle terre rare è per questo complessa e
costosa, gli elementi non presentando mai in concentrazione elevata. E perché
convivono nei conglomerati con strette somiglianze fra di loro, chimiche e
fisiche, tali da rendere complessa la separazione.
astolfo@antiit.eu