sabato 3 dicembre 2022
Ombre - 644
Formidabili il giudice
romano – giudice civile – e le cronache cittadine, che vogliono “pignorare i
palazzi dei tedeschi per risarcire le vittime della deportazione”: il Goethe
Institut, l’Istituto Storico Germanico, l’Istituto Archeologico Germanico. È
vero che non sanno di che parlano, nel senso che non hanno mai studiato niente
– che ne sanno della Germania, si limitano a titolare quello che sparano un
paio d’avvocati per le réclame gratis sui giornali. A settant’anni dalla guerra,
o ottanta.
Senza immigrati non si lavora
I lavoratori stranieri censiti in Italia sono 2.257.000, in calo quindi dai 2,5 milioni pre-covid. Sono il 10,2 per cento dell’occupazione totale – erano il 10,7. Una percentuale che è più elevata in alcuni settori: sono il 15,3 per cento nell’accoglienza (alberghi, ristoranti), il 15,5 per cento nell’edilizia, il 18 per cento in agricoltura, e due su tre, il 64,2 per cento, nella collaborazione domestica. Oltre che nei servizi alle famiglie, i lavoratori immigrati hano un peso decisivo anche in alcune attività produttive: sono il 38 per cento dei braccianti, il 25,3 per cento dei manovali edili.
Tra il 2019 e il
2022, per le lunghe fermate produttive a causa del covid, sono diminuite le
presenze degli immigrati europei: del 6 per cento i rumeni, che restano la
comunità nazionale più presente (un milione 76 mila), del 3 per cento gli
albanesi, la seconda comunità più numerosa (ora a 421 mila), del 10,3 per
cento i polacchi, dell’11,1 i bulgari. Sono invece molto aumentati gli immigrati
cinEsi (+ 14,4 per cento) e bengalesi (+ 13,8), e in misura minore marocchini
(+ 3,5 per cento), che ora sono la terza comunità straniera in Italia, 414 mila
i censiti.
Un corposo volume,
molto più dettagliato del dossier annuale del ministero del Lavoro, curato dal
centro studi e ricerche Idos (Immigrazione Dossier Statistico), creato all’interno
della Caritas romana per analizzare annualmente l’andamento dell’immigrazione. Con
molte analisi qualitative e tavole dettagliate regione per regione.
Idos, Dossier
statistico 2022, pp. 500 € 2-25
venerdì 2 dicembre 2022
Il fantasma dell’Europa alla Casa Bianca
Biden è uscito dal riserbo e ha aperto la Casa Bianca a Macron, per la rima volta in due anni: visita di Stato, pranzo di gala, e Francia presa alla sua rete, della grandeur, delle apparenze. Ma niente di concluso. Biden si tiene i 369 miliardi di finanziamenti pubblici alle sue industrie, a danno delle imprese europee concorrenti. E non mostra le carte nella battaglia contro la Russia – l’Ucraina ne è vittima, ma pazienza: si farà, perché no, un vertice a Parigi sull’Ucraina, magari da remoto, senza pompa, così la Francia è contenta.
Al gala per la visita di Stato segue una cena “improvvisata”, dietro un esercito di guardie del corpo, fra le coppie presidenziali, l’americana e la francese, in un ristorante italiano. Come a dire l’Europa unita e l’asse transatlantico. Ma queste scene notturne, benché festose, sembrano un racconto di fantasmi.
Migranti no, ma ne abbiamo bisogno
Non c’è solo Salvini, c’è il ministro dell’Interno francese Darmanin, il nemico dell’Italia, il governo tutto intero del cancelliere Scholz, e pure il governo spagnolo, a guida anch’esso socialista come quello tedesco: il fronte anti-immigrazione è ampio, è praticamente tutta Europa. Mentre, però, dappertutto si segnalano problemi nel reperimento di manodopera. Nell’assistenza domiciliare e infermieristica, nell’accoglienza (alberghi e ristoranti), nell’edilizia, perfino nell’industria.
Euractiv, la rete europea di media, censisce sei milioni di posti vacanti nell’Unione. Che sono il 3 per cento della popolazione attiva (calcolata in 193 milioni)), e quindi poco, ma sono in realtà molto. L’elenco paese per paese è allarmante: in Francia un’azienda su due non trova i lavoratori di cui ha bisogno, in Germania nove famiglie su dieci non trovano aiuto, l’Austria registra 250 mila posizioni vacanti, in Polonia ha problemi l’edilizia, lo stesso in Spagna.
Il problema in realtà non è dei sovranisti, ma più generale: dell’incapacità dell’Europa di dotarsi di una politica dell’immigrazione. Che resta in balia dei mercanti, e viene affrontata – quando lo è – solo con miosure di polizia, Frontex, Sophia, o con deleghe plurimiliardarie – i fondi alla Turchia, che peraltro li prende da una mano e dall’altra non può o non vuole fermare il traffico.
Il
problema non è complicato. Oggi lo spiega al direttore di “la Repubblica” il
presidente del Niger con semplicità: Spiega a “la Repubblica”, al direttore
Molinari, il problema immigrazione il presidente del Niger: “In Francia, Spagna
e Italia avete molti posti dove gli africani possono lavorare. Bisogna stabilire
questi numeri, Paese per Paese, e poi affidare ai consolati la responsabilità di
farli rispettare. Così avremo… l’immigrazione regolare, non avremo più a che
fare con quella irregolare che alimenta i peggiori traffici” – e migliaia di
morti. Il presidente del Niger, lo Stato più povero del mondo – quasi: al 189°
posto su 191. Che dice peraltro quello che si è sempre fatto, in America e
nella stessa Europa, avendo bisogno di immigrati.
La legge contro l’aborto
In un mondo già di rapporti sessuali liberi, non impegnativi, una ragazza brava, studiosa, alla scuola di formazione per insegnanti, buona figlia, buona amica, rimane incinta. Che fare? Siamo negli anni 1970, poco più di quarant’anni fa, e l’aborto è proibito dalla legge, con particolare severità. Una difficile ricerca, sempre più ansiosa man mano che le settimane passano, si svolge di sistemni fai-da-e di aborto.
Un film chiuso, come
ferrato. Se non per il volto della protagonista, Anamaria Vartolomei, giocato
in mille sfumature di luce sotto l’espressione apparentemente unica, della determinazione.
Che si segnala per la tensione che la regista riesce a costruire monotematicamente,
senza digressioni e con poche caratterizzazioni, su un “fatto della vita”: tra
vita e morte, legge e realtà, amore e sofferenza, la storia événementielle
e la tradizione (durata, convinzioni, assuefazione).
Un’opera anche
diversa, questa di Audrey Diwan, dal racconto autobiografico di Annie Ernaux dal
quale sarebbe tratta e di cui conserva il titolo, “L’evento”, il fatto innominabile.
Ernaux, che lo racconta in flashback, senza quindi la tensione che il
film fa montare verso un finale che non si sa, lo ha costruito come documento
storico, di un’epoca. Facendo parlare medici, giurisperiti, donne con analogo
problema, amici terrorizzati o inutili. Un percorso doppio, entrambi di
successo, il film col Leone d’oro a Venezia, Ernaux col Nobel: l’aborto è tema
sempre aperto, e divisivo, ma è di tutti.
Audrey Diwan, La
scelta di Anne-L’Évènement, Sky Cinema 2
giovedì 1 dicembre 2022
Problemi di base - 725
spock
“Arrivi sempre primo se corri da solo”, Gino Paoli?
“Society is the happiness of Life”, Shakespeare?
“Il falso vola, e la verità gli viene dietro zoppicando”, Jonathan Swift?
“Il cammino dei più elevati desideri passa spesso per l’indesiderabile”, René Daumal?
“L’uomo è il più crudele degli animali”, Nietzsche?
“Nessuno viaggia mai così bene come colui che non sa dove sta andando”, Cromwell?
“Un religioso è più di qualsiasi altro capace di male”, Graham Greene?
“Figli piccoli guai piccoli, figli grandi guai grandi”, proverbio siciliano?
spock@antiit.eu
All’ombra di Bloomsbury
Tra la statuaria romana, sotto le volte di palazzo Altemps, l’universo umbratile – tutto sommato – di Virginia e Leonard Woolf, delle loro edizioni pregiate, con torchi a mano: un catalogo piccolo, quello qui in mostra, ma dalle copertine tutte per qualche motivo golose. Di più, e soprattutto, una mostra dei quadri e disegni di Vanessa Bell, la sorella di Virginia, e di artisti in qualche modo a lei connessi, nella tarda scoperta londinese degli impressionisti francesi e dei loro epigoni – di un’altra maniera di dipingere. Che la National Portrait Gallery di Londra prova a rilanciare da Roma, dalla sede prestigiosa del Museo Nazionale Romano, opera imponente (e insieme, curiosamente, anch’essa “segreta”) di Melozzo da Forlì, accanto a piazza Navona, luogo denso di turismo – tutto l’opposto di Bloomsbury, il quartiere di Londra che dà il nome al gruppo woolfiano, allora imponente (ospedali, università) e semidisabitato, semiperiferico.
Virginia Woolf non
cessa di stupire - anche al di fuori del femminismo, forse di più. Qui le
ricorrenti psicosi, di cui non riuscì a liberarsi, malgrado i tanti affetti che
la circondavano, emergono come una costante, a fronte dell’esuberanza della
sorella maggiore, che ebbe anche tre amanti in contemporanea, compreso il
marito da cui prendeva il nome, Duncan Bell. In un incrocio di artisti,
letterati, economisti, diplomatici, di eleganza e influenza, artistica e di
costume, che è sfavillante, come si sa (Keynes, Nicholson, Lytton Strachey,
lady Ottoline Morrelle e quindi Bertrand Ruseell, tart i tanti). Ma resta, o
comunque appare, intima, riservata. Come autoemarginata, che è forse l’effetto
dello snobismo - che purtroppo continua a dominare la scena, anche in questa memoria.
Curano i testi, in
schede più narrative che didascaliche, Nadia Fusini e Luca Scarlini.
Nadia Fusini-Luca Scarlini (a cura di), Virginia
Woolf e Bloomsbury. Inventing Life, Roma, Palazzo Altemps
mercoledì 30 novembre 2022
Con la Juventus si vince
Il reato è generale, il colpevole è uno solo, la Juventus. Tutte le squadre di calcio si sono “arrangiate” con la contabilità nei due anni di calcio senza spettatori, e anche senza partite, e di atleti in lunga quarantena. Tanto che la Figc, il tribunale della Figc, ha dovuto chiudere la pratica senza nemeo visionarla. Ma nel caso della Juventus, naturalmente, si fa un’eccezione.
Perché “naturalmente”? Perché non si fa carriera, e non si va sui giornali, colpendo l’Empoli, o il Frosinone (è ancora in A?). I Procuratori della Repubblica napoletani contro la Juventus diventarono d’un colpo Procuratori Capo – malgrado alcune “irritualità”.
Questo sito non è stato tenero con la dirigenza juventina, per tanti aspetti. P.es.:
http://www.antiit.com/2009/10/la-juventus-e-lincompetenza-di-elkann.html
O sulla gestione dilettantistica, balorda, che ora mezza Procura di Torino e tutta la Guardia di Finanza contestano, ancora di recente:
http://www.antiit.com/2022/08/la-squadra-perdere-la-juventus-degli.html
Salvo, da ultimo:
http://www.antiit.com/2021/12/torino-fa-simpatica-la-juventus.html
Perché questo è il punto: che giustizia è questa? Dove sono le plusvalenze fittizie delle altre squadre di calcio? Facendo i giudici.
O anche, facendo i giornalisti: chi ha cominciato questo giochetto contabile (le squadre romane, la Lazio di più).
Conigliera europea
Macron va da Biden per protestare contro le misure protezionistiche dei piani industriali americani, sotto la specie del contrasto all’inflazione (“Inflation Reduction Act”), e per chiedere più gas dagli Stati Uniti “a prezzi non iniqui”. Ci va già da “anatra zoppa” al suo paese, senza il collegamento di prammatica con la Germania (l’asse franco-tedesco, l’asse renano di tanta letteratura), e senza rappresentare altri paesi, non l’Italia per esempio.
Il belga barbuto Michel, presidente
onorario del consiglio europeo, va a Pechino a fare non si sa che, se non
perché dal viaggio ha potuto escludere finalmente Ursula von der Leyen, la
presidente della Commissione di Bruxelles – il vero consiglio dei ministri
europeo. È da Michel meditava questo dispetto.
L’Europa è in guerra con la Russia, ma
non se lo dice. Fa una guerra by proxy, sul fronte ucraino, con i
soldati, e i civili, ucraini. Una guerra doppiamente by proxy, essendoci
stata portata, renitente, dagli Stati Uniti. Fa la guerra fornendo le armi e i
fondi, e castrandosi con sanzioni pesanti.
Al momento di applicare queste sanzioni,
ognuno le tira dove gli fa comodo. Non solo gli Stati Uniti se ne
avvantaggiano, a spese dell’Europa, ma lo stesso avviene tra paesi europei.
L’Olanda per il gas che esporta, la Francia per l’elettricità che esporta, di
fonte nucleare, la Germania perché ha i soldi per pagarsi il gas a qualsiasi
prezzo e non vuole limiti - i rifornimenti prima di tutto.
Macron è giù “anatra zoppa”, appena
rieletto, in quanto non più rieleggibile. È già gara alla successione. A opera
specialmente del suo ministro dell’Interno, Darmanin, il capo dei gollisti, di
cui Macron non può fare a meno in Parlamento, che non ancora quarantenne già si
vede all’Eliseo fra cinque anni e in questa ottica si comporta – è quello che
ha organizzato e alimenta la campagna contro l’Italia.
Non si saprebbe dire che c’è un’Europa
unita – se non nella fantasia dei media italiani. Nemmeno un’Europa, se non per
ridere – sembra una frotta di conigli spaventati.
La morte della madre
La madre muore,
Annie, l’ex marito e i due figli vanno al funerale, Annie racconta gli ultimi
momenti, all’inizio e alla fine, e nel mezzo tenta un ritratto, l’ennesimo ma senza
più irritazione, della madre. Una realtà che le sfugge: “Per me, mia madre non
ha storia”, il luogo è inospitale, “Yvetot è una città fredda”, i ricordi confusi.
Una vita dunque senza storia, se non è raccontata.
“Questa non è una
biografia, né un romanzo naturalmente, forse qualcosa tra la letteratura, la
sociologia e la storia”, è la conclusione. Ma più forse tra la letteratura e la
psicologia, la psicoanalisi (che non si fa) del rapporto madre-figlia: “Di
nuovo, ci rivolgevamo la parola su quel tono particolare, fatto di fastidio e
di irritazione perpetua, che faceva sempre credere, a torto, che litigavamo e
che riconoscerei, tra una madre e una figlia, in qualsiasi lingua”. Ancora un
corpo a corpo con la madre. L’ultimo, e quindi caritatevole – pensando naturalmente
a se stessa, nell’inevitabile corso del tempo. Alla fine, ancora qualche pensiero
cocente: “Ho fatto tutto perché mia figlia fosse felice e lei per questo non ha
potuto esserlo di più”.
Una elaborazione del
lutto, operazione comune. Operazione semplice e liberatoria, ripercorrendo
momenti e impressioni della persona che non c’è più. Oppure no, dolorosa e forse
inestinguibile - per es. per Roland Barthes, maestro di scrittura: è quando ci
si proietta nell’altro, non ci se ne è mai staccati. Ernaux è molto diversa
dalla madre, se ne è staccata già da bambina, sa oggettivare il rapporto madre-figlia
– poco frequentato dai freudiani benché invasivo, costitutivo si direbbe, della
maternità. Aiutata, nel caso personale, dalla saggezza (sapienza) della
narratrice.
Tra le prime prove
di un genere che poi dilagherà, il ritratto della madre senza più memoria.
Dell’Alzheimer che la riduce, nei momenti buoni, e nelle difficoltà materiali,
fisiche, fisiologiche, allo stato infantile, di madre figlia della figlia. Con
effetti negativi, sulla concentrazione, la memoria, l’abilità, il senso della
realtà, anche dell’accudente, se legato da affetto, come ad Annie è successo.
Una delle prime tappe nel percorso che confluirà in “Gli anni”, 2008, del progetto “Scrivere la vita”. “Scrivere la vita” è il titolo
d’insieme che la scrittrice ha voluto dare al Quarto Gallimard, la “Pléiade dei
poveri”, a prezzo cioè accessibile come un tascabile, che l’editore le consacrava
già nel 2011 - una raccolta preceduta da una lunga autobiografia per immagini,
commentata dall’autrice: “Scrivere la vita. Non la mia vita, né la sua, neppure
una vita. La vita, con i suoi contenuti che sono gli stessi per tutti ma che si
provano in modo individuale: il corpo, l’educazione, l’appartenenza e la condizione
sessuali, la traiettoria sociale, l’esistenza degli altri, la malattia, il
lutto. Non ho cercato di scrivermi, di fare opera della mia vita: mi sono servita
di essa, degli avvenimenti, generi altrimenti ordinari…….. per cogliere e
portare alla luce qualcosa dell’ordine di una verità sensibile”.
Annie Ernaux, Una
donna, L’Orma pp. 99 € 15
martedì 29 novembre 2022
Secondi pensieri - 498
zeulig
Coscienza – Riemerge alla fine (provvisoria, certo, non bisogna farci affidamento, troppa religione vi è attaccata) della corsa scientifica. Forse gli scienziati sono stanchi, ma forse la corsa è interminabile. Tononi è uno scienziato, neurologo, che dice: “I concetti non sono altro che forme nella mente, concentrati di informazione integrata grandiosi. La giustizia, il bene, il male sono immense forme nella mente ed esistono in quanto tali. La prima volta che qualcuno arrivò a pensare alla giustizia….”. L’io “odioso” di Pascal, c’è poco d’altro.
Si dice: “Finisce l’io, inizia la
verità”. Nella fantascienza, forse - della verità come “aliena”, un mostro.
Evoluzione – Pone altrettanti misteri che la creazione. Dal punto iniziale, quale che esso sia, aria, polvere, luce. Ma anche il colore senza luce, il grigio per dire, è un problema. Come si arriva al cervello, per esempio. Non per il suo intrico, la sua complessità materiale, ma come si passa dall’evoluzione all’autonomia, di giudizio, di decisione. Come e perché ogni forma è possibile, vegetale, minerale, animale. Senza in realtà ereditarietà, o allora solo casuale alla fine. Come si concilia l’evoluzione con la casualità. O perché la fisica dell’infinitamente piccolo non arriva mai all’indivisibile – al punto d’inizio.
L’evoluzione è un mistero più della
creazione – un mistero in itinere, di oggi, contemporaneo a ogni
vivente. L’inizio come Big Bang è solo sonoro, canoro – di una fisica “tricche,
ballacche e putipù”.
Occidente – Con la Russia esclusa, resta poco. Restano gli Stati Uniti. L’Europa si è ridotta allo stato vegetativo con la guerra americana d’assedio alla Russia, via Ucraina, Baltici, e chiunque altro. In base alle teorie geopolitiche tardoottocentesche di Halford Mackinder, che pone l’area di confine eurasiatica al centro del potere mondiale, riproposte da Zbigniew Brzezinski a fine Novecento ne “Il grande scacchiere”. Delineando l’assedio alla Russia via Ucraina. Come è poi avvenuto: con le “rivoluzioni” colorate di piazza Meidan a Kiev, circoscritte ma abbastanza per rovesciare con patenti di legittimità presidenti regolarmente eletti che non accettavano l’assunzione dell’Ucraina nella Nato. La Russia ha reagito alle “rivoluzioni” colorate annettendosi la Crimea, e ora una parte di Ucraina. Una bellicosità senza fine è stata innescata, nella quale l’Europa sprofonderà. È tutto qui il mancato parallelo – che ogni scienziato politico avrebbe dovuto fare ma non si fa – tra Cuba e Ucraina: i missili russi a Cuba no, quelli americani in Ucraina sì.
Lo stesso Brzezinski ha sancito la fine dell’Occidente indirettamente, vent’anni dopo “La grande scacchiera”. Il teorico dell’assedio alla Russia via Ucraina aggiunse a metà 2016, poco prima di morire, questo “Epilogo” alla riedizione “aggiornata” della “Grande scacchiera”: “Di fronte a una struttura globale in evoluzione”, cioè a seguito dell’emergere della potenza cinese, “l’America deve lavorare ad attirare la Russia in un Occidente allargato e simultaneamente perseguire una visione geopolitica di lungo termine che includa cooperazione tra Stati Uniti, Cina e Russia”. Una nota di ravvedimento? Brzezisnki temeva molto un “eventuale asse Russia-Iran-Cina”. Ma i giochi erano già fatti, nell’“America First” di Trump e Biden.
Puritanesimo – È quella cosa per cui il peccato è tutto sessuale. Si vuole parecchie cose, libertà, indipendenza, anticonformismo, ma si distingue solo nel campo sessuale. È una psicologia ristretta al mondo anglosassone. A un mondo, cioè, che tiene la sessualità in sospetto.
Queer,i- Forse non dovrebbe, ma si confonde con asessuale. Ripulito dalla crosta (luccichio) inglese e new englander, cioè dal puritanesimo, è la realtà di ogni provincia e di ogni famiglia, anche la più semplice o ovvia: c’è sempre stato uno zio e una zia queer, senza nessun minus, di considerazione o di affetto, familiare o sociale - è il celibato o nubilato “naturali”, in assenza cioè di stimoli sessuali. Come è del resto di tutti, e di tutte, a una certa età – anche se un certo marketing vuole il contrario. Issarlo a bandiera dei “diritti” è stato possibile nel corpaccione dell’America – anche perché è un merchandising, anzi un franchising, del freudianismo, per cui non c’è altro verbo che il sesso, del business psicoanalitico, doppiato col pruriginismo puritano.
Da Londra e il New
England esteso alla grande America, che è una grande provincia, e quindi alla
provincia mondo, si ricorda importato con abiti nuovi (mitici) da Arbasino, il
collettore di mondi diversi, Bloomsbury, Keynes, E.M.Forster – prima che lo scrittore si
rimettesse a guardare in casa, dalla “casalinga di Voghera” a Moro e alla “cintura
bassa” dei pantaloni. Associandolo peraltro al camp, che non ha nulla in
comune col queer, ma sì come sbracataggine.
È la scoperta snob dell’acqua calda, o invenzione della storia, altra specialità anglosassone, da Walter Scott a Namier. Per dare e acquisire un che di lustro – come ripulire gli argenti. Reazione anche al pansessualismo, anche questo in definitiva anglosassone – è il brand di Freud ma il dominio era già anglosassone. Cioè del tutto è peccato. Che è un’esagerazione, come tutti gli eccessi, ma anche nella sua sostanza, l’attrazione o stimolo sessuale, che non è poi colpa grave, nemmeno veniale. Tanto più quando manca.
Riso – “Il ridere rientra
tra i fenomeni ritmici del nostro organismo, selezionati dalla natura per rilassarci;
per questo è parente del pianto: si piange per allegria e si piange per
disperazione. Il nostro comportamento include schemi ripetitivi e ritmici, che
vanno dal succhiare al seno dei bambini al respiro”, Carlo V. Bellieni, “Laughter: A signal of ceased alarm toward a perceived incongruity between life and stiffness” (“New Ideas in
Psichology”). Che sono però dei comportamenti, il ridere e il piangere.
Altra cosa che il succhiare o respirare, reazioni fisiologiche. Sono delle
reazioni, che si dicono istintive ma sono eventi psicologici, derivanti dal riflesso
cognitivo ma in modio del tutto soggettivo, variabile per ognuno in riferimento
a una molteplicità inclassificabile di fattori, da ultimo il temperamento.
Scienza - È bellicosa. Parisi afferma: “La pace viene con la scienza”. Ma in un senso particolare, che non è la pace. Il Nobel può infatti proseguire: “La scienza diventa sempre più utile alla società (lo sviluppo economico si basa sul progresso scientifico)”. E quello della salute, si aggiunge di solito. Ma già qui il passo è problematico.
La scienza è innovativa, questo si può
(si deve) dire. Il tipico percorso innovativo, la ricerca (scoperta), è il suo
lavoro, la sua materia. Non è negativa, non di per sé. Ma è dirompente, cerca e
impone il cambiamento. Che andrà nel senso
della selezione - del migliore, più adatto, più innovativo - ma impone
distruzioni in continuo di vecchie ipotesi e assetti, e non garantisce dale spoglie
o vittime del nuovo. L’esempio macroscopico è della rivoluzione industriale,
col balzo prometeico della capacità di fare, e la sua erezione a regola
sociale. O recentemente della globalizzazione, dell’assetto ricardiano,
liberoscambista dei rapporti mondiali, con l’enorme crescita del reddito, e parallelamente
dell’inquinamento, della distruzione di risorse (i vecchi “elementi”) naturali.
Nell’arco di una sola generazione la popolazione mondiale classificata al di
sotto della soglia di povertà è scesa al 10 per cento, dal 37 per cento –
mentre la popolazione mondiale aumentava di due miliardi. Ma si è raggiunta una
soglia di degradazione del clima – aria, acqua, terra – rischiosa per tutta
l’umanità.
zeulig@antiit.eu
Proust perduto nei salotti
Prose inverosimili, invereconde, di Proust, non più agli esordi, del 1903, 1904,1905, e fino al 1907, quando di anni ne aveva 36. Per lo più su “Le Figaro”. Al quale collaborava già dal 1900, e con la più ampia disponibilità del direttore Gaston Calmette. Firmate “Dominique”, “Horatio”, “Écho”, come “echi” mondani, ma ben lunghe, anche di una pagina di giornale, che è comunque troppo.
Primeggia il
ritratto della principessa Mathilde, che più di ogni altra emoziona Proust,
otto o nonagenaria, figlia di Girolamo Bonaparte, “re di Vestfalia”, la
“comandante” di tutti i Bonaparte. Grande pittrice è Madeleine Lemaire, per
il semplice fatto che frequenta uno dei salotti. La poetessa del secolo è Anna
de Noailles. Con un profluvio di “nomi”, da impenitente name dropper, il
lato più faticoso dello snobismo - mostrare di conoscere le eccellenze.
Si potrà dire che
ci vuole genio per scrivere molto senza dire nulla, eccetto i nomi, e allora
Proust è geniale, ma per ridere. Sono paginette, oggi, documentarie, di Fine
Secolo, di chi c’era e di come si era o diventava personaggi. Nella Francia
iperrepubblicana: tutti in qualche modo titolati. Prose quindi come documenti d’ambiente.
Ma c’è poco, oltre i nomi.
Proust se ne fa
perfino una teoria, non balorda. Confortato da un testo di Renan, il discorso
di ricezione all’Accademia: “Quando una nazione avrà prodotto ciò che noi abbiamo
fatto con la nostra frivolità, una nobiltà più coltivata della nostra nel
sedicesimo e diciassettesimo secolo, delle donne più affascinanti di quelle che
hanno sorriso alla nostra filosofia…. una società più attraente e più
spirituale di quela dei nostri padri, allora saremo vinti”. Con qualche dubbio,
però: “Lo charme delle maniere, la cortesia e la grazia, lo stesso spirito,
hanno veramente un valore assoluto?”, chiede Proust a Renan: “Lo si crede
difficilmente oggi”. Questo non lo dissuade.
Marcel Proust, I
salotti di Parigi, Passigli, pp. 128 € 12,50
lunedì 28 novembre 2022
Cronache dell’altro mondo - residenziali (234)
Le migliori città dove vivere in Nord America sono in Canada. Secondo l’indice delle città più vivibili, 172 nel mondo, censite dall’Economist Intelligence Unit, in base a una trentina di fattori (istruzione, cultura, ambiente, sanità, infrastrutture, stabilità politica). Le migliori sono Calgary, Vancouver, Toronto e Montréal.
Negli Stati
Uniti reggono il confronto internazionale solo Atlanta e Washington. Si salvano,
ma non al top, New York e Boston.
Degradata
tutta la West Coast: Seattle, Portland, San Francisco, Los Angeles, San Diego. Sempre
degradate Detroit, Pittsburgh, e ora anche Houston.
Nel
complesso, però, l’indice Eiu fa il Nord America – essenzialmente gli Stati
Uniti – la “seconda area più vivibile al mondo”, appena dietro l’Europa -
segnalando che nella prima metà del 2022, “oltre 630 mila persone” sono passate
negli Stati Uniti da altre aprti del mondo: “Quest’anno, ogni città del Nord America
inclusa nell’indice ha segnato sopra 80 punti percentuali, con una media di 88”.
Quando l’Africa era a corte, in Italia
L’africano era già stato “scoperto” in Europa nel Rinascimento, nelle corti italiane, a Firenze, a Mantova, a Ferrara. E a Venezia naturalmente, ce n’erano a frotte. Questo lungo documentario, “Presenze africane nell’arte”, lo documenta.
Era una presenza spesso
servile e anche di schiavitù – specie dopo che i portoghesi si dedicarono a
questo commercio, con la complicità dei reucci africani. Ma anche di normalità,
senza cioè i pregiudizi e i luoghi comuni degradanti, che poi si affermeranno,
con l’avvicinarsi della “scoperta dell’Africa” a fini coloniali, da fine Seicento
a metà Novecento inoltrato. Come si sa soprattutto dagli archivi fiorentini - “le
fonti archivistiche più complete al mondo”, secondo Kate Lowe, la studiosa
inglese che partecipa alla ricostruzione documentaria dopo averli utilizzati. E
dalle immagini, dalla pittura. Che documenta la vita di corte e quella comune –
quello che oggi fa la cinematografia: Pontormo, i Ghirlandaio, Mantegna, Filippino
Lippi, Botticelli, Michelangelo, Vasari, Tiziano, Carpaccio, Veronese.
Tantissime immagini
e tantissimi personaggi, anche minori e minimi, ma significativi. Fino a Sägga Krǝstòs, il giovane fantasista
che si diceva figlio del re di Abissinia, svelato per impostore dai francescani
d’Egitto, ma da loro esibito quale ragazzo prodigio in Europa, “ospitato e
sostenuto da Propaganda Fide, molti principi italiani, e dalla monarchia francese”:
a Roma presso i Barberini, il papa e la famiglia, infine a Venezia, sempre portato
dai francescani, dove scomparve, per riemergere a Torino, dove fu fatto ritrarre
dalla pittrice di corte, Giovanna Savoia, e infine a Parigi, autore di una
autobiografia, il primissimo scritto di un africano, creduto e protetto da
Richelieu – in Francia morirà di polmonite il (Seicento fu ricco di “re” esotici,
curiosità onoratissima, ce ne fu uno anche della Palestina).
Un documentario di
ricerca su un pezzo di storia italiana, con marginali contributi italiani.
Praticamente uno solo, dell’autore della bio-ricostruzione della vicenda di Sägga Krǝstòs. Cécile Fromont,
martinichese, è di Yale. John Brackett, che sa tutto e di più su Alessandro, primo
duca, dei Medici, un mulatto, è americano, ben bianco, e insegna a Cincinnati. Kate
Lowe, ben bianca anche lei, fellow del Warburg Institute londinese, è
stata cattedratica di Storia e Cultura del Rinascimento a Londra, curatrice della
serie “I Tatti Studies in Italian Renaissance History”, grazie al lascito di
Berenson e all’università di Harvard, e autrice di numerose ricerche “speciali”:
la “cultura” delle monache in convento, a Firenze e altrove, nel Quattro-Cinquecento,
i bambini lasciati all’Ospedale degli Innocenti a Firenze, anche di colore (“Black and Florentine: documenting the
mixed ancestry babies at the Innocenti in the second half of the fifteenth
century”). Unico italiano, di complemento, Matteo Salvadore, uno studioso
riminese confinato all’università di Sharjah, emirato minore dei ricchissimi
Emirati Arabi – gli ex Trucial States - sul Golfo Persico, studioso dei legami
centroafricani, soprattutto abissini, con Roma e l’Europa, “biografo” del temerario
Sägga Krǝstòs. Di Angelica Pesarini, dell’università di Toronto, e Igiaba Scego
gli altri contributi italiani, di contorno.
Christian Di
Mattia, Rinascimento nascosto, Sky Arte, streaming su Now
domenica 27 novembre 2022
Cronache dell’altro mondo - giudiziarie (233)
Il presidente Biden ha nominato più giudici federali nei primi due anni di mandato di ogni altro presidente americano – il presidente nomina i giudici di corte suprema, i giudici di corte d’appello e i giudici distrettuali, sottoponendo le nomine all’approvazione del Senato.
Nel dopoguerra il numero dei giudici
federali, in carica per otto anni, è salito da poche decine a oltre
quattrocento. Ronald Reagan, che ha moltiplicato le nomine, detiene anche il record
delle stesse, 383. Segue Clinton, con 378.
Donald Trump, cui si rimprovera un numero eccessivo di nomine, si è fermato a 234. Trump ha però il record di nomine in un solo mandato, mentre Reagan e Clinton, con Bush jr., 327 nomine, e Obama, 329, hanno governato per due mandati.
Biden è il presidente che ha fatto più nomine nei primi 18 mesi di mandato. Ha inoltre il record delle nomine di giudici donne e di non-bianchi: tre su quattro dele sue nomine sono di donne e un quarto di afro-americani.
La favola della Sila “inospitale e buia”
Il primo volume della serie subito cult di “Cosma & Mito”. Annunciata in quattro volumi, come “epopea nippo-calabra”, forse per il ricorso, in copertina, a proverbi minacciosi tratti dalla pratica dialettale (ma “lupiminari” è nient’altro che lupi mannari), ma ben cosmopolita, o internazionale come ora si dice. Di due quarantenni già affermati tra Roma e Milano. Zurlo sceneggiatore, Filosa noto come “l’uomo del Giappone”, o “il più giapponese degli autori italiani”, dei “mangaka”, scopritore del “manga indipendente” degli anni 1960-1970, curatore della collana di manga Gekiga (anni 1960-70, quando i manga, i fumetti giapponesi per ragazzi, divennero storie per adulti: lotte di classe, drammi storici, storie noir)), e doku (“fumetti contemporanei”).
Ragazzine avventate corrono molti rischi, su e giù per la Calabria. Nei boschi “inospitali e bui” della Sila – che invece è ridente, ma questa è un’altra storia. Minacciate da loschi avventurieri, il clan dei Lupi e quello dei Polpi. Finiranno male? Una madre avventurosa, molto calabrese, per salvare il suo figlioletto sfida i Lupiminari.
Tra favole di folklore locale e narrativa giapponese illustrata. La fine è nota, dopo molte scene paurose, come è di tutte
le favole.
Nicola Zurlo-Vincenzo Filosa, Cosma & Mito. L’antro dei lupiminari,
Coconino Press, pp.112, ill. € 16