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sabato 10 dicembre 2022

Ombre - 645

Può fare spettacolo Crozza, un comico, col tutto-banca a proposito del pagamento senza contanti. Con la banca che si nasconde, impossibile stabilire un contatto, anche non fiduciario, come sarebbe opportuno. Ma cui dobbiamo consegnare i nostri soldi, d’obbligo. Senza corrispettivo, e senza garanzie – ci si perde, sempre. E ora vuole obbligarci alla moneta bancaria, a un costo, con la scusa dell’antiriciclaggio, che nessuno crede.

È un argomento che prende, se se ne può fare spettacolo. Una verità molto semplice, di cui però non c’è traccia nei media d’informazione.
E si è dimenticato, Crozza, la cosa più divertente. Che le assicurazioni, cioè le banche, non accettano le carte di credito. 

Quest’anno la Scala consegna alla stampa una standing ovation al presidente Mattarella di cinque minuti, invece dei dieci passati. Ma con qualche urlo da claque. E con un sonoro che la Rai eleva a ondate. Mentre le riprese del pubblico, benché poche e “tagliate”, mostrano soprattutto gente che aspetta paziente in piedi, in attesa dell’Inno di Mameli. È Milano che corteggia il presidente, o la Rai?
 
Il Pd fa autocritica, il Pd va al congresso, il Pd si rinnova, con Schlein un Pd movimentista, ma a Roma bada alle sol(it)e promozioni: i suoi dirigenti, qualcuno anche con qualche condanna, si danno cariche pubbliche da ottomila euro al mese. O concorrono a dirigenti pubblici al culmine di una lunga carriera politica, che non dismettono – dirigenti in aspettativa, tengono occupata la poltrona.
 
È da ridere il tentativo di collegare la moglie di Soumahoro a Berlusconi, al bunga-bunga. Anche a costo di farle torto – non è una sprovveduta. Sono dieci o quindi anni ormai che il soviet giudiziario, cronisti e giudici, non trovano altro. La moglie di Soumahoro è colpevole solo se è andata a letto con Berlusconi? Sembra di sognare, ma è la realtà dei media.
 
Richiamo-francobollo in prima pagina del “Corriere della sera” per il nuovo libro del papa – ha più spazio Alessandro D’Avenia. Il papa si spreca.
 
Si rinazionalizza ora anche il petrolio (Priolo), dopo la rete telefonica e l’acciaio. Perché le privatizzazioni sono state fatte venticinque anni fa in fretta e male (da Draghi), ma questo non si dice.
 
I fondi soci di Unicredit non vogliono pagare a Orcel, l’ad che loro stessi hanno voluto e che li ha locupletati, il premio per i risultati di gestione, e se ne lamentano col “Financial Times”. Avanzando il dubbio che i miglioramenti, benché registrati in bilancio, siano soprattutto di Borsa, di aspettative, sostenute da un forte buy-back. Cosa vera e non vera – i buy-back sul nulla finiscono nel nulla. Ciò che è vero è il respiro corto e cortissimo dei fondi, i protagonisti dei mercati finanziari, forse più delle banche d’affari. Che intorbidano l’informazione, e quindi le aspettative, e quindi i mercati, per interessi di corto e cortissimo raggio – qui si tratta di non pagare a Orcel uno o due milioni.
 
Si legge infine sul “Sole 24 Ore
” la verità contabile degli addebiti alla Juventus, che sono di poca  o nessuna entità. E si capisce la volgare violenza che s’indovina alle raffiche violente e volgari (le intercettazioni) della Guardia di Finanza e della Procura di Torino.

Delle intercettazioni Juventus si segnalano quelle a base di “merde”, le due o tre volte in cui impiegati e dirigenti del club, in decine di migliaia di intercettazioni, si sono lasciati andare alla coprolalia. Le segnalano i giornali della famiglia Elkann, che della Juventus è anche proprietaria.
 
C’è un’inchiesta dell’Autorità per le Telecomunicazioni, Agcom, sulla Rai che cripta Rai 1 e Rai 2? C’è, richiesta da Paolo Gentiloni. Ma risale al 2011, quando Gentiloni, funzionario del Pd, faceva campagna contro il governo Berlusconi. Ora la Rai cripta le partite importanti, serali, del Mondiale, e Agcom tace.
 
La Rai cripta senza un perché manifesto. Sarà inadeguatezza tecnica (quando le partite sono in chiaro, ogni tanto l’immagine è frazionata). Un motivo commerciale non si vede, e anzi la riduzione conseguente della audience la penalizza - col monopolio del Mondiale impedisce a molti italiani di vedere le partite. L’incapacità tecnica si doppia con quella commerciale.

Sissi erotica, di serie B

Distribuito dai cinema “di qualità”, come una rivisitazione femmminista del mito di “Sissi”, la sposa dell’imperatore d’Austria-Ungheria Francesco Giuseppe, che un anarchico italiano pugnalerà a fine Ottocento, è di fatto un polpettone, che rimanda al vecchio serie B erotico, quando si facevano venti minuti di niente fra una scena erotica e l’altra. Qui l’erotismo è solo accennato, ma c’è di tutto, tra onanismo e saffismo. Con guardiacaccia incorporato per l’imperatrice sporcacciona. Con interpreti sommariamente addobbati. In interni, ed esterni, approssimativi e senza carattere – per lo più lo stesso ambiente: un corrido fra due appartamenti, un grande magazzino, un prato nel bosco, con location un po’ dirute per pagare poco l’affitto, la stessa vasca in ghisa per molti bagni nudi.
La diversa Sissi, quarantenne ansiosa del tempo che fugge, con due figli melensi, è un po’ rifatta sulla principessa Diana, di cui va a visitare la fatiscente casa di campagna – l’imperatrice va in vacanza per una settimana (dopo una settimana di viaggio?) in Inghilterra, dagli Spencer, la famiglia di Diana: s’interessa ai “poveri ungheresi”, etc. Un po’ è alla D.H.Lawrence: le piacciono gli ufficiali che non pensano, e dagli Spenser ha uno spasimante stalliere, l’unico che la innamora. Ma, onestamente, il film non ha l’ambizione di riscrivere la storia.
Uno scherzo? Si fa pure il vaffanculo, Sissi imperatrice lo fa, col dito medio teso - che è peraltro uso recente, copiato come tutto dagli Usa. Il film è stato mandato a tutti i festival dell’anno, Cannes, Toronto, San Sebastian, New York, ed è agli Oscar in rappresentanza dell’Austria.
Marie Kreutzer,
Corsage-Il corsetto dell’imperatrice

venerdì 9 dicembre 2022

Cronache contanti ter

Ho pagato 48 mila euro di commissioni bancarie” per l’uso del pos, Roberto Castroni, titolare di uno “storico caffè in via Cola di Rienzo” a Roma, quartiere Prati, spiega al “Corriere della sera-Roma”. Finalmente si fa strada la vera ragione dell’obbligo del pos per spendere un euro: rimpinguare le banche. Per nulla: una scrittura contabile, che non serve a nessuno, non alla banca, non al cliente, non al fisco. Si direbbe un pizzo.
 
Ma la Grande Notizia si fa strada nella cronaca locale. Come dire: noi l‘avevamo detto, mentre di fatto il giornale non lo dice, non nella cronaca nazionale, non nei commenti.

Di corsa nel Millennio senza tempo

La madre single multitasking nei giorni degli scioperi parigini dei trasporti pubblici. Master in Marketing, già capo struttura di primaria società di ricerche di mercato, ora cameriera al piano in albergo (quanta fatica, non s’imnmaginerebbe). Con l’ex coniuge assente e quindi senza mantenimento per i figli. Mentre all’anziana baby-sitter la sua propria figlia intima di non più lavorare, “altrimenti chiama i servizi sociali”.
Una simulazione più che un racconto. Che regge il tempo lungo, di giorni e anzi settimane, di un disguido dietro l’altro, di corse a piedi sotto la pioggia e passaggi racimolati all’avventura, col volto che mostra sempre fresco della protagonista, interpretata da Laure Calamy – attrice interprete in Francia di una cinquantina di film. O più che della vicenda-situazione specifica, il racconto di come si viva, apparentemente occupatissimi, in realtà “senza tempo”, cioè sopravvivendo, nella confusione, di corsa, nel Millennio. 
Premiato a Venezia per i suoi valori morali. Una lezione, allora? Comunque apprezzabile, non ricerca (sfrutta) effetti di angoscia. 
Éric Gravel, Full Time – Al cento per cento, Sky Cinema

giovedì 8 dicembre 2022

Cronache contanti bis

Si legge sul “Corriere della sera” di un signor Gaetano Tarantini cui a Monaco di Baviera la tassista ha fatto pagare il 10 per cento in più la corsa del taxi poiché pagava con la carta di credito. Con suo sgomento, del signor Tarantini: “Devo pur dire che, avendo vissuto per vent’anni in Austria e girato l’Europa parecchio (la Germania in particolare) non avevo mai avuto un’esperienza simile”.
Il solito tedesco “lurco”, anzi tedesca? La tassista, non potendo manomettere il tassametro, ha fatto al signor Tarantini la commissione che lei paga alla banca della carta, elementare, Watson. Ma come non detto. il giornale relega la lamentela alle lettere al direttore, come una bizzarria. Della tassista, o del lettore - si sa che scrivono al giornale vecchi colonnelli in pensione.

Il miracolo della fede

La storia dei pastorelli e della Madonna di Fatima raccontata matter-of-fact. Nella sua ordinarietà: bambini che hanno le visioni, genitori inquieti, autorità Pazienti e poi indignate, laiche e religiose, il popolo altalenante, entusiasta e minaccioso. Nelle sue incongruità: la morte precoce predetta dalla Madonna a due dei pastorelli, i segreti di cui li grava, le durezze fisiche che vuole si infliggano. E in parallelo Lucia adulta, la sopravvissuta, che non sa né cosa né come, ma ci crede. La fede, che non si spiega. I miracoli, che pure si compiono.  
Un altro recupero utile delle uscite sfortunate del 2020-2021. Un racconto scontato che Pontercorvo riesce a vivacizzare, in ogni momento interessante.
Con un cast internazionale, per la promozione in vari paesi. “Fatima” è un progetto americano, di produttori di grandi serie, come “Rome” e “Game of Thrones”, cui Pontecorvo ha lavorato. Partendo dalla canonizzazione di Jacinta e Francisco nel 2017, a un secolo dall’apparizione, a San Pietro da parte di papa Francesco: la fede promossa dal business.
Marco Pontecorvo, Fatima, Sky Cinema

mercoledì 7 dicembre 2022

Secondi pensieri - 499

zeulig

Constant – È il commercio e non la guerra che fa la libertà delle nazioni, e la loro ricchezza? Tra gli antichi e i moderni, il liberale insuperato Benjamin Constant rifletteva due secoli fa che è il commercio che connota le società moderne, e non la guerra degli antichi, e che il commercio vale meglio della guerra – fa gli interessi dei più, del popolo, della massa. Nel suo liberalismo storicizzato, non ideologico, Constant spiegava anche l’evidenza: la libertà dei moderni si fonda sulle libertà civili, sulla legge, sulla moderazione dello Stato, cui è delegato l’uso della forza. Ma con una partecipazione limitata dei cittadini ai fatti pubblici, per due evidenti motivi: la taglia enorme assunta dagli Stati moderni – questo detto due secoli fa, prima dello Stato sociale e delle politiche economiche – e l’organizzazione “commerciale” (economica) della società, senza più schiavi, di cittadini lavoratori. Semplice, inattaccabile anche.

Una democrazia come commercio, all’interno e all’esterno degli Stati, che sembrava inverata dalla globalizzazione: “mai stai così bene”, avrebbe detto il vecchio statista britannico MacMillan, allargando lo sguardo a tutta l’umanità, compresi i suoi cinque sesti relegati ancora trent’anni fa in un paludoso Terzo Mondo. Ma così non è, nota Sabino Cassese, nel breve saggio “I leader di tutto il mondo e la difficile arte della pace”, pubblicato ieri sul “Corriere della sera”: tutti incontrano tutti, i capi di Stato, e si stringono accordi, per il commercio, per i diritti, per il benessere, ma un disegno di pace non c’è, anzi le guerre si moltiplicano.
Cassese non lo ricorda, ma si sono fatte, si fanno, guerre “umanitarie”, nella ex Jugoslavia, in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria. Di fatto per sperimentare bombe all’uranio, per quanto “impoverito”, bombardamenti aerei d’alta quota “di precisione”, uso tattico dei missili, sul campo di battaglia. Con centinaia di migliaia di morti, e decine di milioni di profughi negli ultimi trent’anni, quelli della globalizzazione economica. Ma ne ha presenti i limiti, anzi le negatività: “La ricerca di un mondo più democratico è entrata in conflitto con l’inviolabilità dei confini (non solo con quelli territoriali), con il rispetto della sovranità degli Stati e con il principio di autodeterminazione dei popoli”. Di cui è difensore il presidente della Repubblica Popolare di Cina, Xi Jinping, Cassese nota perplesso.
 
Diritti – La “società dei diritti” cancella più che affermare? Jonathan Bazzi – “sono uno scrittore e una persona queer” - trova che “l’enfasi sui traumi vissuti intrappola le voci queer in stereotipi a uso social”. La sua condizione, spiega, di scrittore e persona queer, “sempre più spesso mi spinge ad interrogarmi sul rapporto tra trauma e immaginazione”. Che si penserebbe alimentata dai traumi. Se non che i social, imponendo “loro regole del gioco”, appiattiscono tutto nella ripetitività: Così l’esperienza dell’essere vittima e il racconto del trauma subiscono una mutazione: da marginali diventano, ce ne si (? ci se ne) renda conto o no, una specie di nuovo canone”.  E diversificarsi non si può: “Di fatto significa rischiare la più grande vergogna contemporanea, quella di non essere visti”.
Si sapeva della rete che fosse una grande piazza. Anzi, un mercato. Di imbonitori e vaiasse. E da prima di internet si sapeva che al mercato in quantità più si propone della stessa merce, più i prezzi declinano. È colpa dei social se i “diritti” fanno meno impressione, oppure ce ne sono troppi sul mercato, e fuori stagione?
 
I social, cioè la grande rete dei “diritti”.

Eresia – “Nella storia delle divisioni ecclesiali è sempre scaturita dalle violenze di un aut-aut. Decidere da che parte stare è sempre un atto disumano, perché gli esseri umani sono sia da una parte sia dall’altra. Per la Chiesa il sigillo delle fede si ritrova molto più riconoscibilmente nella pratica dell’et-et, che spesso tiene insieme verità in apparenza contradittorie”. Michela Murgia, “God seve the queer”, 5-6. “Spesso” forse sì, o per la Chiesa. Se vuole essere comunità piuttosto che maestra di verità e di vita, nel solco del Vangelo frainteso del porgere la guancia.
Un altro scrittore, il tedesco Günter Grass, curiosamente ha argomentato il contrario, a proposito della psicologia del suo popolo. Una voce grossa, discordante, quella di Günter Grass, ma incontrovertibile, che “aspiro”, scrive, “a farvi scettici, aspiro a strappare le radici di questo idealismo tedesco che continua a sbocciare”, che cresce come la gramigna, e non ha voglia di libertà, causidico: l’amata formula “dall’una parte e dall’altra”, dice lo scrittore, si vuole precisa ma è indecisione. O l’aveva detto Jünger: i tedeschi non sono un popolo dell’aut-aut ma del tanto-quanto. O già Rivière: i tedeschi non sono il popolo dell’“o…o”, bensì del “non solo…ma anche”, de “l’uno e l’altro insieme”, Occidente e Oriente, amore e morte. Da cui la nota immagine, che i tedeschi, come certi vini, vanno tagliati.


Filosofia - Deve difendere Gianni Vattimo Franco Debenedetti, che non è un filosofo, nemmeno un letterato, solo un amico. Nemmeno autorevole, se il giornale lo confina alle lettere al direttore. Deve difendere il filosofo ottantaseienne dai discepoli e colleghi e altri  filosofi e letterati, che lo vogliono incapace d’intendere e di volere, e da paio d’anni gli avvelenano la vita con una causa. Bisogna sempre diffidare della filosofia – che tanto presume di sé, pretendendosi ultimativa? Anche nei confronti di un mite, che ha filosofato il “pensiero debole”.  Anzi, tanto più facinorosa in quanto Vattimo è un mite: l’accusa, da cui indirettamente deve difendersi in tribunale, è di non essere più prodigale, come soleva – si processa il suo ultimo collaboratore-assistente-badante, che ha chiuso i rubinetti. Da qui l’assurda accusa: si difenda Vattimo che non dilapida più i suoi averi. Avallata da un giudice.
Si è sempre detto la “Repubblica” di Platone utopistica – cioè un qualcosa troppo perfetto o bello per essere realizzato. In realtà non si realizza, anzi non si insegna e di fatto non si auspica, perché i suoi profeti e interpreti tendono a fare male – come lo stesso Platone del resto fece, quando provò a a farsi maestro dello sperimentato tiranno di Siracusa.
 
Heidegger
– Se ne continua a parlare, a quasi cinquant’anni dalla morte, dopo essere stato invasivo di ogni aspetto della filosofia, solo per l’antisemitismo, se non c’era, se c’era, e di che natura. La pubblicazione dei “Quaderni neri”, accortamente studiata sul piano editoriale-commerciale, ha avuto fortuna solo per questo aspetto. Il Filosofo Bino (dopo Platone) è tenuto in vita proprio da quel Judentum che lui in qualche modo disprezzava, teoretico, ontologico, o anche solo facciale – benché amante focoso e avventuroso nello stesso Judentum. Avviene per lui come per Wagner: sono un problema per l’antisemitismo, o del semitismo?
 
Idealismo – Ha tendenze integraliste. Una volta conduceva al terrorismo.
Se connesso alla tolleranza, come dovrebbe, è piuttosto pragmatismo – un vedere che succede.

zeulig@antiit.eu

Cronache contanti

Quale che sia l’opzione politica di Balassone, Banca d’Italia, ora critico con Meloni per il contante, ma dopo essere stato molto critico con Draghi per il debito (lo spread era salito di 70 punti, quasi ottanta), è curioso che il governo di destra, “sovranista”, si appelli alle regole europee, e del diritto, che l’unica moneta valida considerano quella a corso legale, contro chi, da sinistra?, vuole invece la “moneta” delle banche, cioè una tassa privata sui pagamenti, che l’utente paga. Destra e sinistra si scambiano i ruoli anche sulla moneta? Non c’è più religione.
 
Si torna alla moneta bancaria come cinquant’anni fa, poco meno, quando la crisi economica fu analoga, recessione più inflazione, con i “pizzini”. La tentazione è ricorrente.

Babbo Natale si diverte, tecnologico e corretto

Titolo poco felice. Per un soggetto non più nuovo, Babbo Natale all’era della tecnologia: le letterine non chiedono più bambole e giocattoli ma congegni elettronici. Giocato inizialmente in un napoletano troppo veloce e indistinto, di suoni inarticolati. Passando dagli elfi della Lapponia a un partenopecentrismo indigesto. Attorno all’arte, verrà spiegato, della “cazzimma”, neologismo in uso da qualche decennio, che Ernesto Ferrero e Treccani presentano negativamente, e anche Pino Daniele nelle sue memorie, ma Siani riabilita: l’arte di arrangiarsi, con furbizia certo. Che poi si movimenta con le cialtronerie di Babbo Natale e della Befana: De Sica e Finocchiaro si divertono e divertono.
I due vecchi concorrenti del dono con scope a reazione riescono anche a battere la multinazionale delle consegne rapide: recuperano la slitta del tempo e fanno, come sempre fa Babbo Natale, le consegne in simultanea. Anche se in una notte indistinta: il Natale non si menziona neanche per caso, come vuole la correttezza – eccetto che, forza maggiore, nel nome che in italiano ancora si dà a Santa Claus.  
Una felice ripresa, dopo l’infausta uscita un anno fa, in concomitanza con la reinsorgenzra del covid.

Alessandro Siani, Chi ha incastrato Babbo Natale, Sky Cinema, Sky Q

martedì 6 dicembre 2022

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (510)

Giuseppe Leuzzi

“Sono metà siciliano e metà napoletano e sono cresciuto a Bensonhurst, un’area tutta italiana”, proclama a Monda su “la Repubblica” Anthony Fauci, il controllore americano della sanità che ha lavorato con sette presidenti, alcuni dei quali lo hanno avversato con asprezza, da ultimo Trump. Uno a cui peraltro tutti riconoscono grandi meriti. È straordinario, e sempre inspiegato, che questo non possa avvenire in Sicilia e a Napoli.

La Corte dedi Conti esamina infine il bilancio della Regione Sicilia 2020 e lo boccia: deve trovare subito un miliardo 620 milioni. Un decreto del 2019 che consentiva alla Sicilia di spalmare il debito in dieci anni non è “costituzionale”.
Perché scoprire incostituzionale a fine 2022 un decreto del 2019? Burocratismo? Probabile, trattandosi della Sicilia: la Corte dei Conti non si sarebbe svegliata tre anni dopo se si fosse trattato della Toscana, per dire.
Sempre si conferma che il problema del Sud è l’Italia, lo Stato. E non per ridere, come si argomentava trent’anni fa, “Fuori l’Italia dal Sud”.
 
“La vera secessione è degli scrittori del Sud”. Si rilegge casualmente un vecchio saggio disperso di Luigi Baldacci (“Corriere della sera”, 15 ottobre 1996, con questo titolo), e si trasale: “Dagli autori meridionali le denunce delle speranza tradite del Risorgimento”. Subito, dopo l’unità: Verga, De Roberto, Pirandello. “Per i «nordisti»”, invece, “una visione bonaria e ottimista. Al Nord dominava l’ottimismo dei «nipotini» dI Manzoni”.

Il libro di Alessandro Barbano, “L’inganno”, riesplora il giustizialismo. Con intercettazioni a strascico, indiscrezioni pilotate, testimonianza indotte con i benefici di legge, anche dei delinquenti più perversi. Per le carriere dei giudici, e degli inquirenti. Un fascismo giudiziario impiantato sulla legislazione antimafia – su questo “la linea della palma” ha veramente invaso l’Italia. Cose note. La sorpresa è il pubblico plaudente alla presentazione del libro: Giuliano Amato, Paolo Mieli, Gianni Letta, Savona, Brunetta, Bini Smaghi, Giachetti, Maria Elena Boschi… Cioè, la classe dirigente.

Ma Milano accettò l’Italia a malincuore

Si resuscita Bossi contro Salvini, e Bossi resuscita il leghismo “puro e duro”. Ma questo leghismo è molto più vecchio di Bossi, di un secolo. E si manifestò anche, con asprezza – se i letterati erano “bonari”, bonariamente unitari, come dice Baldacci, i milanesi no.  
Avvenne tardi, a fine Ottocento, in preparazione dell’era Giolitti, che Milano accettò l’unità, pur continuando a diffidare di Roma. Fu dopo la sconfitta di Adua, 1896. Che fu la sconfitta di Crispi, l’odiato presidente del consiglio che aveva indispettito i milanesi. Tutti: i federalisti di un tempo, cattolici e repubblicani, gli unitaristi moderati, e i socialisti, nuovi alla politica parlamentare.
Ancora un anno prima il socialista Filippo Turati ribadiva sulla “Critica sociale”: esistono “due nazioni nella nazione, due Italie nell’Italia, che discutono pel sopravvento”, e dava a Milano un ruolo di guida politica per l’intera nazione e anzi di moralizzatrice del nuovo Paese. Milano, federalista nel fondo con Cattaneo, aveva sofferto la politica delle annessioni plebiscitate, e poi via via molte delle scelte politiche unitarie: Firenze, Roma, il fiscalismo, il burocratismo, la guerra doganale alla Francia, la Triplice Alleanza, che si voleva nemica di Parigi e Londra, le capitali cui Milano guardava – i Verri, Federico Confalonieri, Manzoni.
Crispi individuava in Milano una “Repubblica ambrosiana”, uno “Stato di Milano”. Che diceva dominato da una “fazione aristocratica plebea” nemica dell’Italia.
In precedenza la lamentela era “comune” (Fausto Fonzi, “Crispi e lo ‘Stato di Milano’”) contro l’“oppressione” delle “classi dirigenti meridionali, che sfruttano le regioni più laboriose per sostenere una pazzesca politica estera e coloniale”. Dopo Adua Milano fu agitata da manifestazioni di piazza, che si concentrarono sul Comune, e imposero al sindaco, Giuseppe Vigoni, di farsi latore a Roma di questo messaggio chiaro: fine della guerra d’Africa e dimissioni di Crispi. Il che avvenne – Crispi annoterà nel diario le parole della regina Margherita: “Questa volta ha vinto Milano”.

Milano sempre si mette in rapporto con “Roma”, con l’Italia, in termini rivendicativi, bellicosi. Da ultimo con la Lega e con “Mani Pulite”. Dopo la violenza di piazza, fino al terrorismo.     


L'Italia perde terreno, il Sud regge
Le tabelle Eurostat registrano un calo sostanzioso, un crollo, del peso realtivo dell’Italia nell’economia europea. Nell’insieme, e pro capite. Dal 2000 in poi, da quanto Eurostat fa questo calcolo (ma sicuramente da un decennio prima, dal crollo della lira). Ma il calo è più marcato – molto più marcato - al Centro-Nord che al Sud.
La metà del’Italia che registra un pil pro capite al di sopra della media europea ha visto il divario ridursi di 15 e 20, anche 30, punti percentuali – Roma di 40. Anche le province meridionali hanno perso terreno sulla media europea, ma di poche unità: un miglioramento relativo, rispetto al resto d’Italia.
Se l’Italia non corre il Sud non arranca? Quello che si può dire è che il Sud mantiene le posizioni nella disgrazia generale: l’Italia è in forte calo di produttività. È ancora un paese industrial, la seconda economia manifatturiera d’Europa, pare, dietro la Germania. Che è l’attività che dà più valore aggiunto. Ma con investimenti insufficienti, soprattuto nelle infrastrutture (reti, comunicazioni, tecnologie, ricerca applicata). E un settore dei servizi in grande espansione, ma nell’accoglienza (turismo), che è un settore poco riproduttivo, piuttosto che in quelli tecnologici, finanziari, alla persona.   
 
Il Sud deserto delle cattedrali
Il megarissaficatore a Gioia Tauro, il Ponte sullo Stretto, e ora “le coste sarde contese dai big dell’eolico: progetti per 1.500 nuova pale, torri alte 300 metri”.
Ci saranno dei cicli nell’economia, come qualcuno ancora teorizza? Al Sud evidentemente sì, se invece della manutenzione ordinaria (strade, ferrovie, ponti, porti, linee telefoniche, wi-fi, etc.) si ripropongono le vecchie “cattedrali nel deserto” – anche l’eolico è pagato dallo Stato (cioè da noi, lo paghiamo in bolletta “oneri di sistema”: un affare sicuro, solo utili). Le raffinerie, i petrolchimici di Gela, Ottana, Brindisi, Crotone, i tanti veleni disseminati da Montedison, la stessa acciaieria di Taranto. Che hanno distribuito qualche stipendio, per alcuni anni, diffuso molti veleni, e lasciato rottami. Senza fare o promuovere il circolo virtuoso dello sviluppo.
Riproporre oggi le cattedrali è però colpevole. Perché si sa che non sono motore di sviluppo né lo avviano - la globalizzazione ha accantonato ogni altra teoria dello sviluppo, i megainvestimenti come la cooperazione, magnificndo il lavoro: crescono, anzi si moltiplicano, le economie che sono lasciate libere di lavorare, senza ostacoli o limiti sui mercati. Ma anche perché si sa che le nuove cattedrali si fanno al Sud sempre per il vecchio complesso nimby, not in my backyard, non nelle vicinanze: fumi, polveri e puzze non valgono i (pochi) stipendi.   
 
Milano
Sul “Corriere della sera” Elvira Serra racconta “Una notte a Milano”. Non incontra che immigrati, o figli di immigrati, pagati poco e pochissimo anche di notte, e tutti, senza eccezione, anche i più giovani, preoccupati della violenza dei ragazzi. È vero che Serra viene dalla Sardegna, però che notte a Milano!
 
Due francesi, impiegati di banca, dicono a Serra di trovarcisi bene perché Milano è piccola, mentre Parigi è troppo grande, e vi “si fuma troppo, ci si droga troppo”. A Parigi e non a Milano? E poi, aggiungono, “prendiamo le paghe francesi, altrimenti a Milano non potremmo vivere”. Un sogno.
 
Bacilieri, veneto, con molte esperienze fuori, a Parigi e altrove, si considera milanese – “la mia teoria”, confida a Luca Raffaelli sul “Robinson”, “è che, mentre non si può diventare napoletani e direi neanche romani, si può diventare milanesi”. Concludendo: “Magari ci vuole tempo e fatica, e chissà se vale la pena”. 
 
Pronta Milano fa la fiera del turismo lgbtq+. Con 547 partecipanti, di 39 paesi, di spiega con orgoglio. Perché è un mercato speciale? Viaggiano molto. Quanti viaggi fanno in un anno? Tre. Quanto spendono? 2-3 mila dollari, l’uno. Buoni clienti. L’unico problema è aggiornare i portieri, quando in due, dello stesso sesso, chiedono una matrimoniale. “Il turismo lgbtq+, che in Italia vale 2,87 miliardi, in Europa 75, è un mercato che fa gola a molti”.
 
È a Milano che - si ricorda, ricordando Testori – fu bloccata la “Arialda”, il dramma messo in scena da Visconti, con la collaudata compagnia Stoppa-Morelli. Dalla Procura di Milano, che già allora “faceva” l’Italia. Da parte di un Procuratore Capo sempre napoletano, Carmelo Spagnuolo. La miscela dev'essere micidiale.
 
Si aspetta per “montare” il caso della curva Inter svuotata durante la partita perché il capo “ultra”, un pluripregiudicato, è stato assassinato. Si aspetta di poter dire che c’è dietro la mafia, o la ‘ndrangheta – ora ci vuole la ‘ndrangheta. Milano altrimenti non fa delitti.
 
Si indaga a Torino, la Juventus, in continuazione, a ogni assoluzione segue un nuovo processo, non si indagano Milan e Inter per le stesse ipotesi di reato, accordi con gli “ultra” e falsi in bilancio, Milano si sa proteggere. Mafia?
 
Racconto lungo lusinghiero di Marco Missiroli pubblica “La Lettura”, “Milano 100%”, dove si spiega così i timori del provinciale immigrato: “Come in un verso di Enzo Jannacci un frammento di quella pubblicità che a noi della riviera faceva tanta paura: la bottiglia dell’Amaro Ramazzotti proiettata su dei palazzoni con sotto il traffico, la notte, e le luci dei neon rossi, la città da bere”.
 
Giuseppe Catozzella, autore di “Italiana”, romanzo “sull’unità dell’Italia”, nato e cresciuto a Milano, si sente milanese. Pur avendo con Giorgio Dell’Arti su “Robinson” ricordi tristi di scuola, per essere figlio di genitori lucani: “Ero l’unico di origine meridionale. Mi sfottevano. Tanta sofferenza…”. Alla domanda: “I milanesi sono razzisti”, rispondendo deciso. “Oh, sì. Molto razzisti”.
 
“Sir Thomas More”, il drama elisabettiano a più mani, compreso Shakespeare, che ora si recupera, parte da un evento del 1517, lo Ill May Day, il “Malo Calendinaggio”, quando Londra si ribellò contro gli “stranieri” – “portano le malattie”, “si prendono il lavoro”, “si prendono le donne” - e il futuro cancelliere del re Thomas More, allora sceriffo di Londra, si prodigò per far tornare la pace.
Nel dramma More opera per salvare un tracotante Francois de Barde, che si trascina dietro la moglie di un onesto lavoratore, “un lombardo”, e un Cavaler, “un lombardo, o un francese”.
De Barde sarebbe stato un mercante toscano in realtà, della famiglia dei Bardi. Ma la tracotanza era ritenuta a Londra lombarda.
 
Tutte le province meridionali sono al di sotto della media europea del pil pro capite. Ma anche le province di Como, Lodi e Pavia, con Varese poco sopra, il feudo leghista.


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Sadomaso queer

Comincia con Caterina Caselli, “Nessuno mi può giudicare”, finisce con Bach, “La passione secondo san Matteo”, ma è un film sadomaso. In vesti lesbiche, o queer, ma violento, dall’inizio alla fine. È divenuto famoso – è stato promozionato – perché la protagonista fa l’amore con una macchina, un’automobile, che in effetti è l’unica scena “ben fatta”, ma è un’attrazione pubblicitaria a un salone dell’auto, tra passanti distratti o appena incuriositi, in cui le modelle sono professioniste della lap-dance, si contorcono sulle superfici luminescenti invece che attorno al palo. È un momento, presto si passa a strizzoni sanguinolenti, autopunizioni, mutilazioni, incendi, gli incendi sono molti, fano fuoco e fumo, assassinii con gli spilloni in testa, con le sciabole, con le mani, tentati aborti con i ferri infilati, e infine un parto, forse di un mostriciattolo.

Un film del genere horror. Che però si presenta con la palma d’oro a Cannes, come un film d’autore. Cannes, il “cinema francese”, si sono voluti adeguare a Venezia, che aveva premiato il genere - Guillermo del Toro, “La forma dell’acqua”, “Pacific Rim”, o Iñarritu? Poi anche Oscar, quindi una “tendenza” del cinema mainstream? Rivisto a distanza è poca cosa: una sorta di bestia selvaggia, in ambiente urbano scuro come una foresta, che dopo molti grugniti e violenze si lascia infine domare.

Resta l’interrogativo se i critici vedano i film che recensiscono o presentano, li vedano per intero.

Julia Ducournau, Titane, Sky Cinema  

lunedì 5 dicembre 2022

Il Non Occidente

Nella nuova guerra fredda, o a distanza, con la Russia riemerge in forma di “Non Occidente” il vecchio Terzo Mondo, reduce dal colonialismo. L’umanità che intorno al 1955 si riunì a Bandung, in Indonesia, a iniziativa della Cina di Mao e Zhu Enlai, cui si accodò l’India di Nehru, per prendere le distanze dall’Occidente e dalla Russia sovietica. In realtà uno schieramento asimmetrico: nella bilancia mondiale indeboliva l’Occidente, riducendolo a Stati Uniti e Europa
occidentale, e per questo stesso motivo giocava a favore del Patto di Varsavia, l’alleanza militare del polo sovietico.
Il Non Occidente che ora si teorizza comprende Cina e India, come allora, con i molti paesi asiatici, Indonesia, Malesia, etc.. Con in più il Sudafrica, l’Iran e la Turchia.
Il nuovo concetto è stato elaborato a Mosca, nel corso della guerra all’Ucraina. In particolare dal presidente del Consiglio di Politica Estera e di Difesa, Sergei Karaganov, e del direttore di “Russia in Global Affairs”, Fjodor Lukyanov. Ma in chiave (auto)critica: come paesi che, pur non condannando la Russia, si astengono però dal prendere posizione per un ordine mondiale “più 
equilibrato”, cioè non americanocentrico.
 

Cronache dell’altro mondo – tribali (236)

“Il razzismo è negli Usa un problema centrale, il separatismo etnico no”, Klaus von Dohnanyi, “Nationale Interessen”, p. 29 – qual è invece il caso, intende l’autore, delle altre superpotenze, Russia e Cina.
“In America una sorta di segregazione c’è ancora, non per etnia ma per ceto”, Jacqueline Woodson, autrice di “Bambina nera sogna”: “I più poveri frequentano scuole peggiori”, e finiscono agli ospedali peggiori, quando possono.
Woodson è una “tra i primi 20 autori messi al bando nelle scuole Usa” – “La Lettura”. Questa la sua sintesi della storia degli Stati Uniti: “Costruiti sulle spalle dei neri, attraverso la schiavitù, su terre sottratte alle popolazioni native, basandosi su un sistema capitalistico”.

Forza, e illusione, dela memoria

Una delicata reminiscenza dello scrittore a passeggio per Roma con la moglie, di una bellezza femminile nella piazza di Spagna che concentra gli sguardi. In un’Italia da anni Cinquanta? Una visione di ritorno, forse cinematografica, che si confonde con una forse successiva, poiché “tre milioni di persone hanno marciato a Roma contro la guerra” – in Vietnam. O si riferisce a “uno degli ultimi film di Fellini, nel quale Anita Ekberg recita se stessa”, di cui lo scrittore, “in leggero panico”, non ricorda il titolo. Che poi gli sovviene, il film è “Intervista”, e Anita Ekberg è “drappeggiata in enormi teli arancio: ha una casa di campagna e grossi cani saltellanti e somiglia a una custode di nordiche ancelle, quelle che condurranno le anime degli assassinati al Valhalla. I suoi ospiti sono lo stesso Fellini, lo stesso Mastroianni, e una troupe di non-paparazzi dal Giappone”.

Ma la donna della “Dolce vita” non è “la donna di quel giorno a Roma”. Giorno e visione unici. Poi Ursula Andress emerge, come in “Casinò Royal”, film che lo scrittore forse non ha visto, non ne ha memoria, e tuttavia un’immagine che gli riassume tutto 007.

Una celebrazione del cinema, della cinematica: Roma, piazza di Spagna, la scalinata, la bella donna, gli sguardi, sono Fellini, i tanti film di 007 sono in un’immagine. Per una conclusione mesta: “Ogni memoria che abbiamo è, alla fine, di noi stessi. Se la memoria di un’esperienza è fagliata, c’è una crepa nella continuità del sé”.   

Don DeLillo, That Day in Roma, he New Yorker”, 20 ottobre 2003, free online

domenica 4 dicembre 2022

Cronache dell’altro mondo – grandiose (235)

“Jill e io ci siamo onorati di ospuitare i Macron al nostro primo pranzo di Stato come Presidente e First Lady - E di celebrare un’amicizia definita dalle più grandi fra le cause: Democrazia, libertà, eguaglianza, opportunità. E libertà”. Così il presidente Biden su tweet.
Una grande vetrata è stata innalzata sul prato sud della Casa Banca a cui sono affluite per il pranzo d’onore le delegazioni ufficiali, in dinner jacket (tuxedo) con sparato e fiocchetto nero, rose rosse e
iris sui tavoli, e gran numero di celebrità: Claude Lelouch e Xavuier Niel, co-proprietario di 
“Le Monde” e della canzone “My Way”, e Claude Lelouch per parte francese, il cantante John Legend e il presentatore Stephen Colbert per quella americana.

Nei colloqui Macron si è lamentato del Biden Act, i 36o miliardi a sostegno dell’industria americana contro la concorrenza straniera. Biden ha risposto: “Gli Stati Uniti non si scusano. Tanto più che io mi sono mobilitato per questo piano. Siamo di ritorno agli affari, l’Europa torna agli affari, contineuremo a creare occupazione in America, ma non a spese dell’Europa”.
Si suppone si sia discusso anche di sommergibili. La Francia lamenta di esere stata esclsua d’imperio dagli Stati Uniti un anno fa dall’accordo già concluso con l’Australia per la fornitura di sommergibili (l’Australia ha pagato per il mancato accordo una penale di 583 milioni di dollari). Ma non se ne è fatto cenno nelle dichiarazioni.
Il giorno dopo Macron ha visitato New Orleans, in compagnia della ministra degli Esteri antitaliana Colonna, per celebrarvi la francofonia – la colonia, francese, fu venduta agli Stati Uniti da Napoleone nel 1803. E per lanciarvi il programma French for all, scritto e promozionato in inglese ma mirante a rafforzare e l’insegnamento del francese, lingua bruscamente caduta in disuso, anche nell’Africa ex francese.  

Con la Russia, senza Putin

È cambiata ultimamente la prospettiva, o l’assetto delle informazioni: senza la Russia l’Europa è poca cosa, una pedina nello scacchiere mondiale, un alfiere, non di più. E allora dentro la Russia, basta che sia senza Putin: non più Russia raus, ma una Russia democratica – anche se Putin è regolarmente eletto.
C’è un “assetto delle informazioni”? L’informazione si vorrebbe veritiera, il più possibile, al limite delle capacità di giudizio, ma di fatto è eterodiretta, in vari modi, e c’è poco da fare: pochi pensano, sanno (hanno studiato), capiscono, gli altri scrivono. L’informazione non è un manufatto qualsiasi, ma così viene gestito, e accettato, anche dai suoi operatori. Per la nuova opinione sulla guerra ora si recupera il giudizio di analisti russi. O fuoriusciti, cioè antiputiniani da tempo, oppure comunque critici. Su due fronti: quello interno, del rapporto del potere, per quanto eletto, con il popolo russo, e quello esterno, dell’isolamento della Russia nella guerra all’Ucraina, anche nell’ex Terzo Mondo, in qualche modo o per qualche verso in antitesi con l’Occidente (Usa, Ue), e cioè l’India, la Cina, il mondo islamico, l’America Latina.
Non si considera però che Putin non è un dittatore, alla testa di chissà quale forza occulta, anche se quarant’anni fa è stato ufficiale dello spionaggio russo. È uno che ha fatto carriera politica, in elezioni non contestate, contro lo sbandamento impresso alla Russia dalla desovetizzazione. Dall’anarchia violenta in cui maneggioni, furbastri e mafiosi ex boiardi di Stato, alcuni solo trentenni, anche ventenni, si sono impadroniti dei beni comuni. Dalla riduzione a provincia remota dell’impero del “pensiero unico”, malgrado gli arsenali nucleari. Contro una storia nazionale che invece si vuole imperiale: politica, religiosa, e anche economica. Con una popolazione considerevole. Con una superficie sterminata, e ricchezze minerarie in dimensione.
Non si considera cioè che dopo Putin non ci può essere che un altro Putin. Che gli Yeltsin delle libere mafie non possono che essere passeggeri, in Russia come in Sicilia - non ci vuole molta scienza politica per capirlo. Anzi, che Dio ce ne liberi: che ne sarebbe dei supermissili russi con le mafie al comando?
L’Occidente se lo chiede? Naturalmente sì, l’Occidente che sa. Ma forse non l’Europa. Certamente non la sua opinione pubblica, così facile da agganciare al carretto, ma forse nemmeno l’Europa che dovrebbe sapere, non che si veda.

La vita è asimmetria

“L’universo è asimmetrico”: Louis Pasteur, indirizzandosi alla Società Chimica di Parigi, alla vigilia di Natale del 1883, sintetizza l’esito delle sue prime e durature ricerche. “Se i i principi costituenti della vita sono asimmetrici il motivo è che alla loro elaborazione presiedono delle forze cosmiche asimmetriche (p. 20)... La vita è dominata da azioni asimmetriche di cui noi intuiamo l’esistenza avviluppante e cosmica (23)”. Non tutto il mondo è fatto ala stessa maniera: “C’è una separazione profonda tra regno organico e regno minerale”, l’uno regolato dall’asimmetria, l’altro dalla simmetria. E irriducibile, “nei nostri laboratori attuali”.

Il testo di Primo Levi, uno dei suoi testi sparsi, ripreso dalla rivista di divulgazione scientifica “Prometeo”, rievoca in questo ambito gli studi da chimico effettuati per la sua tesi di laurea, poco prima della caduta del fascismo e dell’internamento.

Jona-Lasinio, novantenne decano dei fisici Italia, che ha recuperato e presenta i testi, è un matematico, e quindi rifugge da generalizzazioni biochimiche, e meno che meno filosofiche. Ma la sensazione è forte, alla lettura di Pasteur più che di Primo Levi, che la vita voglia essere ingovernabile – non disordinata ma irreggimentabile, incasellabile.

Louis Pasteur-Primo Levi, Chiralità. La vita è asimmetria?, Gattomerlino, pp. 59 € 10