sabato 31 dicembre 2022

Le quattro primavere

Le presenze a volte si mutano in tracce.
 
S’incontrava a Soroti, tra Tanzania e Uganda, sopra il lago Kyoga che il Nilo Vittoria si mette da parte, per una birra, o anche a Dar Es Salaam se andava in banca, e sempre assicurava che l’Uganda è il paese dell’eterna primavera:
- Viviamo tra quattro primavere, i fiori rifioriscono, l’erba è sempre verde.
Viveva in realtà solo. E quindi col problema di convivere con la famiglia della ragazza che a turno stava con lui, e con le gelosie degli altri clan:
- Saggiamente - diceva sereno della dote cui operavano nel fiore le ragazze.
Egli stesso non ambiva che a godersi l’esistente, ricavando dalla piantagione quanto basta a rifare il tetto, migliorare le terrazze, soddisfare le madri, sempre avide. Ma la libertà dei popoli è inflessibile e ora vive a Boccea, all’interno 47 del n. 124 da cui non esce, non sa camminare sull’asfalto, è sposato a una signora che fa l’infermiera, e ne ha avuto un bambino di cui non si cura. Sogna che Obote o Amin gli distruggano la modesta piantagione, incendiando la casa, e in fuga tra scoppi di mitra e lampi di machete per foreste melmose su corazze di coccodrillo, si salvi con la complicità dei vecchi compagni del Che, che lo mettono su un aereo senza bagaglio.
 

Cronache dell’altro mondo – (dis)informative (238)

Non cessano le polemiche sull’abortito Disinformation Governing Board, creato a febbraio, e affidato a Nina Jankowicz, trentaduenne, specialista dei servizi d’informazione russi, collaboratrice del ministero degli Esteri ucraino.
Il DGB fu sciolto appena un mese dopo la costituzione ufficiale, per “l’incapacità del Board di relazionarsi al Congresso” – Jankowicz non avrebbe passato l’esame del Congresso.
Nell’occasione, il ministro dell’Interno (Department of Home Security), Alejandro Mayorkas, assicurò che il DGB non aveva mai avviato l’attività. L’opposizione repubblicana non ne era convinta e ha chiesto gli atti riguardanti il Board.
I documenti sono stati ora comunicati e, benché “pesantemente editati”, cioè riscritti, mostrano che il Board era in attività da subito, da febbraio. Se ne parla nella corrispondenza interna allo stesso DHS, a iniziativa di Samantha Vinograd, sottosegretario con delega all’Antiterrorismo e alla Prevenzione delle Minacce.

Storia buffa del fondamentalismo sionista

Una narrativa composita, di quattro racconti o a quattro strati – e “storica”: fine anni 1950, nell’Upstate di New York, la grande provincia appena fuori dalla metropoli. L’ironia di essere “ebreo”, come fuori dal mondo. Le normali follie della vita accademica, tra settori (le facoltà umanistiche “depredate” da quelle scientifiche), tra dipartimenti, all’interno dei dipartimenti, e compresa l’intolleranza odierna dei giovani e giovanissimi “alfieri dei diritti” nelle aule. Una coppia ebrea con una figlia “pazza”, e con i rispettivi genitori. E i Netanyahu.
Ogni racconto ha sua accattivante dinamica – quella dei Netanyahu insistita - ma legano poco insieme. Se non come un racconto dell’“essere ebreo” in America, quando questo contava, ancora negli anni di Eisenhower, 1950-1960. Che però cozza con l’insofferenza dichiarata dell’autore verso questa “identità”, opera ora degli stessi ebrei, e dei gentili meglio disposti. 
Il racconto vero comincia dalla fine, dai “ringraziamenti”, una dozzina di pagine dense di cose. Tra esse l’abitudine che l’autore aveva preso di fare compagnia spesso a Harold Bloom, cui dedica il libro, immobilizzato a casa in carrozzina nei suoi ultimi tempi, e il piacere che Bloom aveva di rivangare vecchi ricordi. Tra cui l’incarico dal direttore del dipartimento, a lui primo e giovane professore ebreo alla sua università, di accogliere Netanyahu padre in cerca di un incarico accademico – Blum è il nome che Cohen dà al protagonista della sua narrativa, o meglio al personaggio che lega le quattro storie raccontandole. 
La sensazione è netta che la lettura si avvantaggia partendo da questi “ringraziamenti”. I racconti si legano. Il sottotitolo si spiega: “Dove si narra un episodio minore e in fin dei conti trascurabile della storia di una famiglia illustre”. Di due famiglie, quella illustre e quella no, “ebree”, caratterizzate per essere ebree. E si può anche ridere. Che è forse l’effetto che l’autore ha cercato, disperando del corso impresso a Israele dal Netanyahu primo ministro in venticinque anni ormai di protagonismo politico, di Stato imperialista senza limiti. Rovesciando il corso democratico, che Cohen richiama, perseguito dai socialisti Shimon Peres e Itzak Rabin. Il cui assassinio, ricordano i “ringraziamenti”, Benjamin aveva mimato in una sua manifestazione elettorale. Pochi mesi dopo l’assassinio di Rabin, Benjamin Netanyahu era primo ministro e creava lo stato razziale confessionale. Realizzando la deriva che Israele aveva a lungo rifiutato, impersonata dal contestatore del sionismo laico Vladimir Žapotinskij – un integralista di cui Cohen fa grande conto, a più riprese. E del primo Netanyahu, il nonno di Benjamin, un rabbino itinerante, di origine russo-craina, Mileikowsky.
È il nonno all’origine del sionismo antisionista, nemico cioè del sionismo laico e democratico, di Theodor Herzl. Le posizioni diverse e anzi opposte del sionismo Cohen si fa spiegare in sintesi da una lettera “stropicciatissmia di fattura straniera” recapitata al narratore prima dello sbarco dei Netanyahu, firmata da un Peretz Levavi, “lettore in assirologia, arianologia, liguistica e filologia indoeuropea alla Hebrew University di Gerusalemme”. Che dà una posizione centrale al rabbino Mileikowsky, quello che prese a farsi chiamare Netan-yahu, mandato da Dio. Un periatetico, come sarà a lungo il nipote Benjamin. E il promotore del “sionismo revisionista” di Vladimir “Ze’ev” Žabotisnkij, il fondatore della Legione ebraica nella Grande Guerra, a fianco dei britannici, “prima di dichiararsi loro acerrimo nemico” con la formazione terrorista che chiamerà Irgun, per uno Stato di ebrei in Palestina.
Tanto per lo sfondo della narrativa. Che però pone almeno tre problemi storici – del tipo “revisionista” che sulla pagina dileggia. Žapotinskij, ebreo russo di Odessa, dove aveva animato l’Autodifesa ebraica contro i pogrom, creò l’Irgun per combattere col terrorismo l’amministrazione britannica in Palestina, dal 1931, anno della fondazione, al 1948, anno della guerra l’indipendenza. Nello stesso 1931 brigò con Mussolini, nella comune psicosi dell’Inghilterra, e a Civitavecchia creò un primo nucleo di quella che avrebbe dovuto essere una marina militare sionista. Era già stato in Italia da russo di Odessa, durante la Grande Guerra, per studiare diritto alla Sapienza, mentre mandava corrispondenze giornalistiche da Roma, firmando con lo pseudonimo italiano “Altalena”.
Žapotinskij è il referente politico dei Netanyahu, questo Cohen lo sottolinea spesso, e ricorda che fu fu praticamente espulso da Israele, uno Stato che nacque quasi socialista, per morire, due anni dopo, esule in America. Il “romanzo” è soprattutto di questo lato storico, documentario, di Israele.
Storia vera dell’Inquisizione spagnola
“I” Netanyahu sono i familiari del primo ministro israeliano. Una famiglia terribile nel racconto: invadente, prevaricatrice, a volte anche antipatica, con i tre figli, tra essi il neo-primo ministro Benjamin, undicenne nel 1960, ineducati, o educati a prendersi tutto. Il racconto, che prende una buona metà del libro, è di quando i Netanyahu approdarono nella piccola università della piccola città dove insegnava il giovane professore Blum, a casa sua, per l’esame di ammissione del padre a una cattedra di storia medievale. Cinque persone, ipercaratterizzate, quasi caricaturali: il padre Ben-Zion, “medievista” dilettante, la madre Tzila, i tre fratelli.
Nei “ringraziamenti” c’è la storia successiva, di come i Netanyahu faranno la storia. Il fratello maggiore Jonathan-Yonatan, “Yoni”, diventerà un eroe nazionale con questo diminutivo per essere stato l’unico caduto israeliano nell’azione di forza dei reparti speciali in Uganda, a Entebbe, a fine giugno 1976, che lui comandava, per liberare gli israeliani presi in ostaggio da dirottatori palestinesi e tedeschi di un areo Air France in volo da Tel Aviv a Parigi. Paracadutista volontario a 18 anni nel 1964, combattente “con merito” nella Guerra dei Sei Giorni (1967) e in quella dello Yom Kippur (1974), Jonathan aveva ottenuto “una posizione di alto grado nell’unità antiterrorista d’élite nota come Sayeret Matkal” – “l’unità in cui avrebbero prestato servizio tutt’e tre i fratelli Netanyahu” (che si traduce come Unità di Ricognizione dello Stato Maggiore, ma è in realtà una unità di intelligence in territorio ostile, che riferisce direttamente allo Stato Maggiore delle Forze armate e non al governo, e ha come motto “Chi osa vince”). Il secondo fratello è Benjamin, “Bibi”, che farà viavai con l’America per studi e vari incarichi universitari, e anche come ambasciatore israeliano all’Onu, finché non deciderà per la carriera politica, prendendo il controllo del Likud, il partito israeliano di destra, col quale governerà Israele, con alcune interruzioni, per poco meno di trent’anni fino a oggi. Il fratello minore, Iddo, sarà radiologo a Hornell (New York), e autore di memorie familiari, “con molti buchi” - non ha voluto partecipare al “romanzo” di Cohen, e ora vive tra Hornell e Gerusalemme.
Il padre Ben-Zion era nato Miejkowski a Varsavia, e prese il nuovo nome dal villaggio in Palestina, Netanya, dove la famiglia si stabilì nel 1920, quando aveva dieci anni. Il nome originario è una delle “centinaia di variazioni che s’incontrano nei paesi slavi, Mileykovo, Milikov, etc.”, per dire “villaggio del mulino” - variazioni della radice proto-europea melh, macinare. Il nuovo nome viene a significare “inviato da Dio”. Ben-Zion crescerà irrequieto, a Gerusalemme, collaboratore di Abba Achimeir, altro sionista integralista di origine russa, ammiratore dei grandi nazionalisti bonapartisti, Lenin, Mussolini, Pilsudski, e sarà segretario di Žapotinskij in America nel 1949-1950. Dettagli che Cohen trascura nella narrazione, tutta centrata sulla scena-madre della loro apparizione nella piccola città dello stato di New York, nella sua piccola università. Che basta e avanza per incuriosire sui Netanyahu, e non amarli.  
In questo quadro, l’ingresso dei Netanyahu nel mondo accademico americano, nei tardi 1950, col padre irruento Ben-Zion, “che dopo una valanga di posizioni di docente a contratto in tutti gli Stati Uniti divenne professore di Storia medievale alla Cornell University” (poi vissuto in Israele, dopo la morte di “Yoni”, alla cui memoria dedicherà la stesura finale delle sue ricerche, scritta in inglese, fino al 2012) non resta sensa traccia. Il suo opus magnum, “Le origini dell’Inquisizione nella Spagna del quindicesimo secolo”, 1.384 pagine, svolge – a leggere Cohen – una tesi persuasiva. L’Inquisizione era nata e lavorava da secoli contro l’eresia, catara dapprima e poi contro ogni altra. La speciale Inquisizione voluta da Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona nella Spagna nascente era invece politica: introduceva il razzismo invece della religione, la “limpieza de sangre”, e dava gli ebrei conversos, i più da generazioni e ormai cristiani a tutti gli effetti, insieme con i residui mori, in pasto alla residua feudalità, di corte e di campagna, nel mentre che l’unione di Caatiglia e Aragona si cementava in Stato Unitario alla francese, con un solo potere, quello regale. La “limpieza de sangre” si introdusse come artificio per concludere che gli ebrei, che si erano convertiti in massa decenni prima, con la Reconquista, si dovevanoconsiderare marranos, finti convertiti, e quindi da perseguire – insieme con i mori residui nella penisola (l’Inquisizione spagnola fu anche portoghese).
Notevole teoria, che l’Inquisizione fosse molteplice. E che, verso la fine del Quattrocento, poco prima di Colombo, avesse cambiato obiettivo in Spagna e Poetogallo: non convertirte gli ebrei ma riconvertirli all’ebraismo, impedendone l’assimilazione.
È su questo sfondo che la narrazione si fa ironica, molto ebraica, sull’essere ebreo, in generale e in America. La “presentazione” che Netanyahu padre pronuncia alla piccola università upstate di New York la sera del benvenuto è grandiosa: la dissoluzione dell’America. Una conferenza, da gran signore, contro l’assimilazione. Il Paese non c’era, non c’era nulla a cui assimilarsi, “nessun centro, nessun cuore innato – non solo per gli ebrei ma per chiunque”: “Ecco cosa penso dell’America: niente. Ecco cosa penso degli ebrei americani: niente. La vostra democrazia, la vostra inclusività, il vostro eccezionalismo: niente. Le vostre chance di sopravvivenza: nessuna”.
Netanyahu padre, il figlio del rabbino peripatetico, è pure dell’idea che la storia di ogni popolo è anche la storia della sua pazzia, e più la scienza diventa una religione più la religione deve far finta di essere una scienza, alla dispeata ricerca di spiegazioni logiche”. Per cui fanno bene gli ebrei a non credere alla storia.
Per concludere la eduardiana “nuttata” ci vuole l’intervento dello sceriffo. Che si lamnenta: “Che gente del cazzo. Mi scusi, professore Blum, ma che gente del cazzo”. In risposta il narratore Blum confida allo sceriffo: “Sono turchi, sa…. Cosa ci si può aspettare dai turchi… giusto un branco di turchi fuori di testa”. 
Joshua Cohen, I Netanyahu, Codice, pp. 271 € 20

venerdì 30 dicembre 2022

Appalti, fisco, abusi (226)

Continuano ad arrivare bollette della luce e del gas, a periodicità bimestrale, allo stesso costo di un anno fa, anzi leggermente meno, per uguali consumi. A costi uguali, più o meno, proprio per la “materia energia”, non per la fiscalizzazione degli “oneri di sistema” (sovvenzioni all’industria delle fonti di energia green). Mentre da un anno si ascoltano tg e si leggono giornali con calcoli minacciosi dei costi in bolletta dell’energia. Da dove nascono questi “calcoli”? Sono come una minaccia di futuri aumenti.

La crisi del Monte dei Paschi di Siena è stata gestita male e malissimo, sbotta in conferenza stampa la presidente del consiglio Meloni. Tremila euro d’investimento nel terz’ultimo e penultimo aumento di capitale Mps si liquidano per € 2,52, avendo pagato € 5,33 di commissioni.


Banche e carte di credito, che vogliono dai fornitori e servizi che utilizzano il pos una commissione, a loro volta fanno pagare anticipatamente la carta di credito agli utenti, e fanno pagare anche l’uso del pos, da 50 euro l’anno in su. Si dice che il pos serve contro le mafie. Quali?

Cronache dell’altro mondo - golpiste (238)

Si condanna nel Michigan a 235 mesi di prigione, 19 anni abbondanti, Barry Croft jr., un cinquantenne accusato ad agosto di complotto per il rapimento della governatrice dello Stato, Gretchen Whitmer, Democratica. Una condanna necessaria, ha spiegato il giudice, anche se il progetto di rapimento non è stato poi tentato, per garantire tranquillità alla governatrice nella sua attività politica, e come “deterrente”. L’accusa ne chiedeva il carcere a vita.
Il progetto di rapimento sarebbe stato elaborato nell’estate del 2020. Whitmer sarebbe stata messa nel mirino giacché aveva criticato, per conto del partito Democratico, l’ultimo messaggio sullo Stato dell’Unione di Trump.
In precedenza quattro altri personaggi erano stati condannati per lo stesso progetto a pene variabili: Adam Fox a 12 anni, Pete Musico e Paul Belar a una pena di 7-12 anni, Joseph Morrison, il “comandante” del gruppo, a 11 anni.
Altre persone hanno avuto pene ridotte, per avere cooperato contro Croft e gli altri.
Gli imputati non si sono difesi in aula. I loro avvocati sostengono che sono vittime di un tranello teso dall’Fbi, “attraverso una collezione di agenti sotto copertura e di informatori”.

L’amore in carrozzina, lieve

Lo “scannatore” seriale per scommessa ci prova con due sorelle: una lo crede disabile in carrozzina, dell’altra, disabile in carrozzina, s’innamora. Una commediola ben giocata, per la delicatezza della materia.
La disabile continua la sua vita, di umore costante: da solista di violino, col tennis per il tempo libero, della disabilità facendosi una ragione predendosi il carico giacché esito di un incidente di macchina da lei provocato. Il finto disabile, riccastro fabbricante di sneakers, è tanto aggressivo e volgare in consiglio d’amministrazione quanto delicato, perfino troppo, con le donne che punta.
Niente di pecoreccio, le commedie di Miniero sanno essere lievi - a parte un paio di battute da vecchio Alvaro Vitali, che la produzione si poteva evitare. Con una coppia Favino-Scalera (la segretaria che dirige il traffico) promettente.
Luca Miniero, Corro da te, Sky Cinema

giovedì 29 dicembre 2022

Se il risparmio scompare in banca

Un operaio alla pensione a 67 anni, al quale ai 45 è stata proposta la sottoscrizione ultraredditizia di una polizza vita da “una notissima società di assicurazioni”, viene liquidato, “a fronte dei 36 mila euro versati” nel 22 anni, con 35 mila euro. Non è un caso isolato, è la norma: non c’è polizza vita o fondo comune, sia esso Arca oppure Anima, i due fondi delle banche italiane, che non diano che perdite. Ma anche di altre banche, JpMorgan, Goldman Sachs. Con perdite solitamente più vistose di quella che l’operaio lamenta, dal 5 al 10 per cento.
Non c’è ragione perché così sia, ma non c’è rimedio. E la condanna è senza alternative, poiché ora si vuole tassare il contante.
La questione è anche taciuta, benché interessi tutti, risparmiatori e non – confinata, nel caso in questione, alle lettere al direttore. Ma non è da poco: distruggere il risparmio, per ingrassare le banche, che senso ha? Economico? Sociale? È una partita di potere: bisogna risparmiare per remunerare le banche. Un totem?

L’amore è meglio di un romanzo

Una gradevole, distensiva, immersione nella campagna toscana. Sulle tracce del romanzo dallo stesso titolo di Edoardo Nesi – ma limitando alla giusta misura, accennato, il bozzettismo toscano. Con finale in una fredda Milano, di grigio uniforme, vivace come una grande Ikea. Dove però si scopre l’amore, fulminante.
Uno strano film, a tratti curatissimo, a tratti tirato via. Una prova misurata e maggiore dell’attore-scrittore Giuseppe Maggio. Piena dei soliti tic, anche se d’autore, quella di Marco Giallini – cui però la sceneggiatura non offre molti spicchi. L’assistente editoriale, incubatore del secondo parto del romanziere di successo, e il bizzoso autore di un solo libro, ma con venticinque anni di sucesso ininterrotto.
Anche il finale stona: vi si dichiara l’inutilità (la “stronzaggine”) dei romanzi, tanto più se di successo persistente, e la felicità della vita. Lasciando perplessi: infelicità d’autore? Ma la lenta, posata, minimal narrazione è simpatica: divertente il giusto, comprimendo i gigionismi.
Eugenio Cappuccio, La mia ombra è tua, Sky Cinema

mercoledì 28 dicembre 2022

Cronache dell’altro mondo - letali (237)

Il governatore dell’Alabama, la repubblicana Kay Ivey, ha scritto alla Corte di Giustizia dello Stato per chiedere più tempo per le esecuzioni delle pene di morte.
Le esecuzioni capitali del 2022 sono andate male in Alabama. Dei tre condannati da giustiziare solo uno è morto, dopo lunghi tentativi di rintracciare due vene che sostenessero il catetere intravenoso attraverso cui inoculare il veleno mortale. Degli altri due giustiziandi l’esecuzione è stata sospesa dopo tentativi infruttuosi.
Ne dà testimonianza una delle poche persone che, a vario titolo, chiedono e ottengono di assistere alle esecuzioni: Elizabeth Bruenig, trentenne scrittrice texana, redattrice del periodico progressista “The Atlantic”, già curatrice delle “Opinioni” al “Washington Post” e al “New York Times” - moglie di Matthew Bruenig, il blogger fondatore del think thank di sinistra People’s Policy Project. Al fine di migliorare la procedura.
Gli spettatori vedono solo la parte finale delle esecuzioni, quando il condannato comincia a spirare. I preparativi per l’iniezione letale non sono visibili per proteggere l’identità degli esecutori. Quest’anno hanno così assistito all’agonia di un solo condannato, Joe Nathan James.
In alternativa alle intravenose l’Alabama progetta di costruire una camera a gas.

La scoperta dell’amicizia

Una storia di amicizia, tra un ragazzo di città e uno “montanaro”. E di paternità - un riconoscimento, tardivo, della paternità. Raccontata come nel libro di Cognetti, premio Strega e prix Médicis Ètranger, ma con più semplicità. I registi, una coppia di fiamminghi, del “plat pays” di Jacques Brel, hanno scoperto il libro durante una vacanza estiva in Valle d’Aosta, e hanno lavorato un anno per riprodurne le tonalità, sommesse.
Qui le immagini, di luce incerta, tra dialoghi appena accennati, negli odori della natura forti, sudori, stalle, mungiture, formaggi, danno nel dramma. In vari drammi che si susseguono. Li presagiscono, li affievoliscono. A una forma di poesia catturando con questo dimmering, l’estenuazione della luce e dell’orizzonte. Riposante più che malinconica, e anzi robusta, per tutta la lunga durata del film. Trascurando la sentenziosità del titolo, e del libro, peraltro dubbia.
Le “otto montagne” vengono dal Nepal, dove un monte altissimo si vuole al centro del mondo, il Sumeru, e attorno al Sumeru, come i raggi di una ruota, otto montagne e otto mari. Con l’inevitabile quiz di saggezza: impara di più chi fa il giro delle otto montagne, oppure chi arriva in cima al monte? Chi esplora tutto l’esplorabile oppure chi si concentra su un solo obiettivo? Quesito per la verità non pleonastico, giacché l’esito è immorale: l’amico di città, quello che resta per raccontarla, ha scelto il vagabondaggio, dopo aver dissipato la gioventù, rifiutando l’amore paterno, familiare, mentre il montanaro, campione d’innocenza e generosità, le perde tutte.
Una sensazione di pace emerge così dalle tante asperità. In una “comunità” di cime senza nome – “Qual è il Grenon?”, sopra il villaggio di Grana, luogo del racconto: “Per noi è la montagna di Grana. Tutte queste cime insieme? Ma sì. Non diamo nomi alle cime qui. È questa zona”. E senza indugiare al facile fascino del monte Rosa, ai cui piedi il villaggio di Grana (Graines, oggi dodici abitanti, a 1.400 m., nel comune sparso di Brusson) si trova. Cime di accesso agevole. Viventi nell’abbandono, come è di tutte le Prealpi. Forse per la malinconia di tutte le fini inevitabili.
L’incantesimo che la coppia di registi riesce a creare è particolarmente apprezzabile in quest’epoca di fastidiose elucubrazioni di identità e di genere, restaurando il vecchio senso dell’amicizia. Di purezza, altro termine e concetto desueto. Un modo di vivere smarrito, anzi calpestato, nell’onnisessualità - di genere nell’identità, o viceversa. Che dall’ambito culturale anglosassone, cosiddetto “puritano”, innestato alle montagne di Freud ossessive, da qualche tempo ci sovrasta, minaccioso, cattivo.  Come se queste montagne, benché all’ombra dell’Himalaya – altro must? -, consentissero di respirare.   
Una scoperta probabilmente per i registi. I quali, benché anche loro implicati nei “diritti” di genere, professionalmente e personalmente, si danno una pausa. Anzi ci si adagiano, in una lunghissima reverie, a scapito del ritmo, del plot, della velocità. Un effetto tanto più apprezzabile in un’opera tutto sommato all male, solitamente da film d’azione.
Felix van Groeningen-Charlotte Vandermeersch,
Le otto montagne

martedì 27 dicembre 2022

La Germania può finanziare la sua industria, per 200 miliardi

Bruxelles ha fatto danni all’Italia per “aiuti di Stato” che non erano aiuti di Stato. Per esempio per il salvataggio di banca Tercas, 300 milioni. Col risultato di mandare per aria sette o otto altre banche, le deu venete, le cinque del “pacchetto Renzi”, e un po’ anche la Popolare di Bari, che doveva rilanciarsi rilevando Tercas risanata. Bruxelles, cioè la commissaria alla Concorrenza Vestager.
Vestager è la commissaria “che non guarda in faccia nessuno”, secondo i media. Nel caso della Germania, infatti, si è girata dall’altra parte: la Germania ha stanziato 200 miliardi per aiuti alle famiglie e alle sue imprese, miliardi non milioni, di cui 91 per ridurre il prezzo del gas a 12 centesimi al mc – a 7 per la grande industria energivora. Cioè a niente. A partire da lunedì prossimo. Per sedici mesi. Questo contro tutti i regolamenti e codicilli europei. Ma per Vestager è ok.
Ma non solo per Vestager. Non si sono sentiti lamenti per questa decisione a Bruxelles. Né, in Italia, da Mario Monti per esempio, che dell’Antimonopolio Ue è il miglior conoscitore, anche dei suoi trucchi e trucchetti.
Vestager, una danese messa alla Concorrenza dalla Germania nel remoto 2014, vi è stata confermata dalla tedesca von der Leyen per un altro quinquennio nel 2019, benché fosse stata già condannata dal Tribunale europeo per la vicenda Tercas (condanna poi confermata in appello dalla Corte di Giustizia). Il danno che Vestager aveva fatto, pagato da milioni di italiani, non era ripagabile. Ma la materia, oscuramente penale, non era tale da consigliare perlomeno un suo allontanamento?
Il populismo non è abbastanza feroce, si direbbe, se gli europeisti tollerano un tradimento così sfacciato e grave di ogni idealità o aspettativa europea.

Beata Serena

Una commedia al femminile. Trasposizione della commedia teatrale “Farsi fuori”, di Marisa Merloni. Ricamata su Serena Rossi multiregistro: cantante, regista, innamorata delusa, figlia della madre. Col contrappunto di Fabio Balsamo, un Arcangelo Gabriele che parla come il papa argentino (“gli arcangeli devono annunciarsi come il papa regnante”), onnipresente anche al bagno e di tutto ingordo.
L’annuncio dell’Arcangelo a Marta-Maria è alla “donna di quarant’anni”. Che però, arrivata appunto ai quaranta, tituba, Come è giusto in chiave contemporanea. Anche perché, ora, si può essere “madri” di una buona regia di Shakespeare – “Amleto”, naturalmente. 
Sky si è specializata sulla commedia leggera, un po’ (poco) demenziale, a partire dalla serie ormai veterana del “BarLume”, e ci sa fare: lo svago è assicurato, tanto più quanto la vicenda è inverosimile. Balsamo è perfetto nel genere, Serena Rossi è ancora Serena Rossi, da poco miracolata da “Mina Settembre” (sul cui
format l’adattamento sembra ricalcato: la madre importuna, le tre amiche, la sensualità fredda, “detta”), ma regge bene il ruolo: la sua meraviglia (“chi me l’avrebbe detto”) è contagiosa.
Paola Randi, Beata te, Sky Cinema

lunedì 26 dicembre 2022

Ombre - 647

La Germania vara 200 miliardi di aiuti alle imprese – cifra énaurme, direbbe Ubu. Di cui 91 subito, per ridurre il prezzo del gas a 12 e a 7 centesimi\mc, per le imprese piccole e medie, e per le grandi.  Subito la commissaria Ue alla Concorrenza, Vestager, si precipita a dichiarare che non è aiuto di Stato, Berlino non viola la concorrenza. La stessa che nel 2015 vietò al Fondo depositi e crediti, che è privato e non statale, di salvare la banca Tercas, con soli 300 milioni, come da suo statuto.
 
Per questo “errore” Vestager è stata condannata, due volte, dalla Corte di Giustizia europea. Ma è sempre al suo posto. Di bronzo chi è, la signora, la Commissione, la Germania? L’Europa questa è.
 
Si fa il processo a Bruxelles a due o tre eurodeputati colti con gli euro in casa nel sacco. Ma la corruzione è sentita come palese a Bruxelles. Anche di soldi: il potere dà influenza e retribuzione. Comunque, palesemente politica, contro ogni legge, contro le stesse regolamentazioni europee.
 
A p. 1 Augias rimprovera a Meloni di avere taciuto sull’evasione fiscale, pur parlando molto, da Vespa. A p. 7 il vice-ministro di Meloni all’Economia Leo può dire: “Nel 2014 il governo di centro-sinistra ha previsto una sanatoria di tutti i reati fiscali, anche le frodi, compreso il riciclaggio, pure a carattere internazionale”. Il che è vero.
 
“Non pesano solo la sconfitta e i sondaggi”, dice Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria del Pd, “ma il non aver mai voluto discutere la perdita di sei milioni di voti dal 2008 a oggi”, dalla nascita del Pd. Lui che è stato l’ultimo segretario della Fgci, la federazione dei giovani del Pci, dovrebbe però saperlo.
 
Si discute in America di ridurre l’aggio per le banche sull’uso delle carte d credito, e sull’abolizione di ogni incentivo all’uso delle stesse, quali cashback  e premi (punti). C’è battaglia, scoperta, tra il Congresso e le banche. È il furbone Grillo che in Italia ne ha fatto una scelta di civiltà, per fare un favore alle banche – fino al cashback, pagato dal fisco… Da non credere.
Ma nei media nessuno lo sa.
 
I vigili urbani di Roma “contro la caccia libera ai cinghiali”. Temono “l’effetto far west”: “Si spara troppo vicino ai condomini”. Che sembra insensato in effetti. Cioè, pensarlo.
Ma allora ci sono a Roma dei vigili “urbani”: ecco di cosa si occupano, quando talvolta vanno in ufficio.
 
Di Giacomo lamenta sul “Venerdì di Repubblica” che la persecuzione dei cattolici nel Nicaragua sia denunciata solo dal dipartimento di Stato americano. In effetti, col papa argentino non ci sono più maltrattamenti e assassinii di cristiani nel mondo, non in Cina come non nei paesi mussulmani. Sarà un papato dell’appeasement. Per quale pace, che il papa argentino tanto invoca?
 
Meloni e Draghi si elogiano per il price cap europeo al gas. Un grosso risultato. Prova ne sia, dicono i sicofanti pronti, che Putin s’è arrabbiato, e la Germania ha dovuto aggirarlo. Non fosse che il price cap di Bruxelles, di 180 euro per megawattora, è più alto del prezzo di mercato, e nove volte la media dei future a ungo termine, che è di 20 (venti) euro. E che Putin si arrabbia perché l’Europa taglierà tra qualche settimana le residue forniture russe, non per il price cap.
 
Tutti maestri da qualche tempo di approvvigionamenti di fonti di energia. Da sempre regolati, a  memoria d’uomo, dalla diversificazione - come in tutte le cose umane: mai dipendere da una sola entità. Mentre si corre verso altre dipendenze che non la Russia: l’Algeria, il Qatar, l’Azerbaigian, che poi è la Russia, gli Stati Uniti. Si farebbe la guerra alla Russia con altre armi, vere, proficuamente, invece che privandosi delle sue ricchezze minerarie, abbondanti e a minor prezzo.
 
“Due ex Dc stanno portando il Pd alla Livorno del 1921”, alla nascita del partito Comunista d’Italia: “Letta e Franceschini si avvicinano alle origini del Partito Comunista”. Arturo Parisi, sociologo, animatore del Cattaneo, artefice di qualche vittoria elettorale di Prodi e suo ministro della Difesa, è un democristiano simpatico, perfino liberale, ma senza pudore? Letta? Franceschini?
Di Stefano prende una colonna del “Corriere della sera” per criticare il manuale di nove pagine dell’università di Brighton ai dipendenti contro il Natale, parola “cristianocentrica”. Nessun rischio che prenda altrettanto spazio per analogo documento dell’università di Macerata, l’analogo di Brighton. Perché Macerata (ancora) non è Brighton. Ma soprattutto perché Macerata è nelle Marche e non in Inghilterra. Che cosa ha più da insegnarci l’Inghilterra – anche in fatto di humour?
 
Sfogliando la stampa illustrata americana si trova dappertutto la celebrazione del Natale, sia negli articoli che nella pubblicità. Nel paese cioè che più sarebbe diviso, per razza, religione e politica. È in Inghilterra invece che il Natale è sostituito dalle Feste. È un fatto massonico? Gli islamici gestiscono l’opinione? Forse è solo snobismo.
 
Lo stesso per la legge che si vuole introdurre, in Inghilterra dopo la Scozia, per permettere a sedici anni di cambiare sesso. Bere no, guidare no, votare nemmeno, ma cambiare anagraficamente sesso sì, si è già “maturi” a sedici anni. Snobismo non è.
 
Uno vede De Maria in Francia-Argentina che da solo ubriaca mezza difesa francese, anche senza l’intesa con Messi, dopo averlo visto nella Juventus, contro avversari ben più modesti, tipo il Monza, e si chiede: ma è lo stesso? In Francia-Argentina reduce perfino dall’influenza, che quest’anno è faticosa. Chi lo paga non diritto alla stessa prestazione? Il calcio è sport di squadra, e le squadre vanno formate - le vedettes contano solo per alzare il prezzo del biglietto.
 
Senza una politica, una idea di politica, e sospinto da interessi estranei (Scalfari, “la Repubblica”), il Pd, sia esso o no la sinistra politica in Italia, si è adagiato sulla superiorità morale, dei “belli-e-buoni” della Repubblica. Al punto da non rendersi conto, col Qatargate, di essere ridicolo – se qualcuno non conoscesse il Pd romano. Dopo avere patrocinato ogni possibile interesse di parte, purché del grande captale: grande distribuzione, banche, grandi conglomerati.
 
È curioso, ma anche un po’ assurdo, che una persona come Giuseppe Conte, un socio junior di un grande studio legale, senza alcuna esperienza politica, diventi all’improvviso presidente del consiglio, faccia un governo prima con Salvini poi con Letta, affossi il governo Draghi sugli aiuti all’Ucraina, e venga recepito come salvatore del Pd. Lui ce la mette tuta, ma è patetico. Il problema è come possa ess ere l’interlocutore del Pd, salvifico.

La Russia deve morire

Putin perpetua la tradizione plurisecolare imperiale della Russia, nel mondo slavo e nel Caucaso, in Armenia, Georgia e Azerbaigian. Rinvigorita dal sovietismo. La Russia non si acconcia a un ruolo al passo con i tempi, non più dominante, dittatoriale, su questa o quella parte dell’Europa orientale che in qualche modo, in qualche periodo storico, è stata impero russo. È il fondamento della persistente autocrazia russa: autocrazia (illibertà) e impero si alimentano vicendevolmente.
È questa “la” Russia, l’anima russa? Applebaum vi accenna. Ma non bisognerebbe sottovalutare che da un secolo e mezzo almeno un vasto fronte russo di tendenze liberali e democratiche è esistito, seppure con scarsa fortuna politica, e quasi sempre finito in esilio - quando non in Siberia. Questo Applebaum sottolinea anche: che dal secondo Ottocento una diaspora russa si è creata, di intellettuali e anche di gente semplice, che non sopporta quella che si potrebbe definire alla Marx “ideologia russa”, dell’autocrazia imperiale. In frotte, in massa. A fine Ottocento. Dopo l’abortito costituzionalismo del primo Novcecento. Dopo la presa del potere bolscevica. Con gli accordi per l’emigrazione Kissinger-Breznev. Dopo il crollo del sovietismo. E perfino ora, con la guerra in corso.
Un’ideologia russa perseverante, si potrebbe aggiungere, secondo la triarchia dominante negli studi sul potere sovietico in auge negli anni 1950-1960: partito-esercito-polizia, il ruolo del partito bolscevico sostituito da un patriarcalismo tradizionalista a base ortodossa, chiesastica. Il tutto però sempre, è ancora da aggiungere, nell’Ottocento, nel Novecento, e in questo primo Millennio, nel quadro di una “questione slava” irrisolta. Tra gli slavi, e nell’ottica europea. Da intendersi dell’Europa occidentale, quella che ha seguito un diverso percorso storico, derivato da Roma e dalla chiesa di Roma.
Nell’immediato, alla radice di questa guerra, Applebaum trascura – come tutti, peraltro - che si è arrivati all’occupazione della Crimea, e ora all’“Operazione speciale”, dopo una annuale querelle invernale sui transiti del gas russo, due colpi di Stato di piazza contro presidenze elette che non volevano fare la guerra economica alla Russia, e il tentativo insistito di portare la Nato alla frontiera con la Russia. Ribaltando il principio di diritto internazionale stabilito nella crisi dei missili a Cuba nel 1962: che una potenza non può sovvertire unilateralmente gli equilibri nucleari, non – specificamente - portando gli arsenali nucleari alle sue frontiere geografiche – la guerra missilistica non ha cancellato il territorio, la geografia. Dice però che l’Ucraina non combatte l’imperialismo russo: combatte la Russia. “L’idea che ci possa essere una Russia differente, una Russia che sia una nazione-stato e non un impero, non ha molto peso in Ucraina in questo momento. Al contrario, molti Ucraini considerano l’opposizione democratica russa altrettanto colpevole, altrettanto imperialista, e altrettanto responsabile della guerra quanto i non-dissidenti”. Questa è lidea del presidente ucraino Zelensky, che ha promosso la chiusura dell’Occidnte agli espatri dalla Russia

Russia – “non ci sono russi buoni”. Applebaum cita anche la giornalista Olga Tokariuk, nota in Italia dagli schermi Rai e Mediaset: “Perfino i russi ‘liberali’ hanno ripetutamente espresso idee imperialistiche in materia di politica estera e di Ucraina. C’è tolleranza alla guerra e avversione alla democrazia”.

Pubblicato col doppio titolo, sulla rivista e online.
Anne Applebaum, The Russian empire must die (Putin must loose), “The Atlantic”, free online

domenica 25 dicembre 2022

Problemi di base divini - 728

spock

Perché creare l’uomo per poi salvarlo?
 
La creazione è buona, l’umanità cattiva?
 
Quello del male è un batterio andato a male – la creazione fa vita propria?
 
Il problema del male è quello della libertà?
 
Il problema è pensare, sentire va un po’ meglio?
 
È anche vero che Dio si fa uomo con l’impero romano.


spock@antiit.eu

L’odissea montanara della morte – o la fatica del vivere

Una giovane madre il cui primo parto è di una bambina che nasce morta, in una spiaggia povera di pescatori a fine Ottocento-Primo Novecento, di fronte al rifiuto del parroco di battezzare la salma, decide d’intraprendere un “viaggio del respiro”, verso un remoto santuario al confine con l’Austria, per avere il miracolo dei pochi secondi di resurrezione del cadaverino che ne consentano il battesimo.
Il film è del viaggio, lento, lungo, a piedi, col fardello della figlia morta in una cassetta di legno. Dalle marane della laguna di Marano al cuore della Carnia, una val Dolais, un abitato chiamato Trava, in prossimità di un lago. Un’odissea dentro una montagna inospitale, con l’aiuto-guida di un ragazzo che è una ragazza, Lince – che per prima cosa ha tentato di venderla a servizio come balia. Dentro un mondo sempre arcaico, per essere povero, ignorante, isolato. In un friulano appena accennato, e pieno di forestierismi (tedesco, slavo). Di banditi di passo, streghe avide, padri che ripudiano i figli – Lince. La morte è infine bella, come soave, provata o intravista o sognata, nelle acque del lago di approccio, come un ritorno all’elemento liquido primordiale: la prova della resurrezione - Mar sarà battezzata la creaturina al momentaneo risveglio. La morte definitiva, dopo l’accidentata odissea montanara, è infine pacificante, con sepoltura nel cimitero del minuto santuario.
Un’opera al femminile. Di donne buone e cattive, tutte determinate – l’unico personaggio maschile, Lince, è una vergine di proposito. Sul tema della maternità, che privilegia e asservisce la donna, ma sembra non domarla. In ogni caso senza alcun bisogno del maschio.
Un’opera visiva. Di senso forse simbolico, più che narrativo: il viaggio della vita, la vita come sequenza casuale, compresa la resurrezione come illusione. Il senso finale, per lo spettatore ingenuo, è la stanchezza del vivere, malgrado la fede, l’estrema fiducia.
Un apologo che finisce per essere religioso. Della fede che non può non essere indiscutibile, indistruttibile. In fattezze però di fatica, bruschezza, brutalità, Avversità di ogni tipo in ogni momento, per lo più umane. 
Un’opera apprezzata in molti festival che però non ha trovato distribuzione: di ardua ricezione. Recuperata a Roma da Nanni Moretti nel suo cinema. Una narrazione faticosa, di senso incerto. Forse non abbastanza significante come sequenza di immagini, al montaggio, malgrado la poeticità dell’aneddoto.
Laura Samani, Piccolo corpo