Giuseppe Leuzzi
“La luce sugli ulivi in Italia” Camus
trova, nella prefazione del 1958, poco prima della morte, a “Il diritto e il
rovescio” tra “tutto ciò”, dice, “che a miei occhi testimonia la verità”. Con
non molto altro: “una madre silenziosa, la povertà, l’amore solitario e
popolato”.
“Striscia la notizia” può fare un collage
di scemenze attorno a Messina Denaro. Specialmente vocali: chi lo chiama
Mattia, e qualcuno perfino Mattea – parliamo delle tv. Un colonnello (o generale,
ha tre stelle) dei Carabinieri ne parla come di Mattia Massina
Denaro. C’è molta distrazione sui fatti di mafia.
“Carlo Nordio, da Treviso, in via Arenula
(ministro della Giustizia, n.d.r.). Fabio Pinelli, da Padova, vice di Mattarella
al Csm. Andrea Ostellari, da Padova anche lui, sottosegretario alla Giustizia.
Ciro Maschio, da Verona, presidente della commissione Giustizia della Camera. Pierantonio
Zanettin, da Treviso, capogruppo di Forza Italia alla commissione Giustizia del
Senato. E per chiudere pure l’intraprendente Alberto Rizzo, da Vicenza, capo di
gabinetto di Nordio”.
Stupendo colpo d’occhio di Liana Milella al
plenum del Csm: “Da ieri la cordata veneta che domina la giustizia italiana è
al completo”. Il tribalismo è forte, la Lega, il più atico prtito italiano e,
con alti e bassi, il più robusto, è tribale. Il Nord è tribale.
Singolare inchiesta di Giulio Sensi sul
“Corriere della sera”, sulla pratica sportiva in Italia, anche solo di una
passeggiata. Risulta che un italiano su tre, poco meno, il 30 per cento, è
sedentario, non pratica “nessuna attività fisica”. Ma di questo terzo il 43,2
per cento vive al Sud.
Degli enti di promozione dello sport, il
Sud vanta il 26,9 per cento dei tesserati, il Nord il 24,4 per cento. Che però
fanno poca attività: degli “eventi” sportivi promossi, per favorire visibilità
(attrazione) e atletismo: solo il 18 per cento si organizza al Sud, contro un
73 per cento al Nord.
La migliore antimafia è dei “mafiosi”
Mercoledì Berlusconi può vantare a Paola Di
Caro sul “Corriere della sera”: “L’idea
che essere garantisti significhi essere meno fermi nella lotta alla mafia è
semplicemente assurda. Glielo dice un uomo che dopo aver reso permanente nel
2002 il carcere duro, cioè il 41bis, per i mafiosi, nell'ultima esperienza da
premier nel 2011 guidò un governo che sequestrò alle cosche beni per 18
miliardi di euro, e fece arrestare 6.754 mafiosi, compresi 29 dei 30 latitanti più
pericolosi. Ne mancava uno e si chiamava Matteo Messina Denaro, caturato oltre
10 anni dopo”. È vero.
Sono di Berlusconi, dopo Andreotti, le
norme antimafia più punitive, di maggiore impatto. Dei due capi di governo più
collegati dalla giustizia a Cosa Nostra. Andreotti è stato processato come
fiancheggiatore, cioè protettore. Di Berlusconi il miglior collaboratore e uno
degli amici più stretti, Dell’Utri, è stato anche condannato. Dopo che è stata variamente
tentata, col “pentito” Spatuzza, l’incriminazione di Berlusconi stesso - memorabile
il processo-monstre in transferta, con centinaia di giornalisti allertati, del giudice
Alfredo Montalto nel 2011 per ascoltare i mafiosi Graviano, o uno dei Graviano,
che avrebbe dovuto accusare l’allora presidente del consiglio Berlusconi (Montalto
poi si illustrerà al processo Stato-mafia per la condanna di Dell’Utri e gli
ufficiali del Ros dei Carabinieri – che in Appello saranno assolti – con una
sentenza di cinquemila pagine: non per scherzo).
Da sinistra si ricorda invece la messa nel
mirino del giudice Falcone – ampiamene documentata su questo sito, più distesamente
in:
http://www.antiit.com/2010/05/la-vera-storia-di-giovanni-falcone.html
Da Leoluca Orlando e Michele Santoro denigrato
in tv, alla Rai. Dallo stesso Orlando, con Alfredo Galasso e Carmine Mancuso, mandato
sotto processo al Csm nel 1991 – Falcone se la cavò spiegando che gli
appalti si facevano a Palermo col sindaco Orlando allo stesso modo come col sindaco
mafioso Ciancimino: lo fece sorridendo, ironico, e sbagliò. Dal Pci, che gli
preferì Cordova come candidato alla istituenda Superprocura Antimafia - “l’indipendenza politica di Cordova è comprovata per tabulas ed è più marcata che in Falcone”, di Cordova che era missino professo.
Sciascia meridionalista
Il burbero Sciascia così scriveva nel 1964
a Vito Laterza, l’editore, che lo stimolava a nuove collaborazioni dopo il
successo del debutto, “Le parrocchie di Regalpetra”: “Laterza è il mio editore «naturale»:
per la geografia, per la tradizione, per il rapporto personale e di collaborazione
che si è stabilito fra noi (io ricordo sempre quanto Lei mi abbia aiutato per
le ‘Parrocchie’, a scriverle, a darle - sic! - forma), Einaudi è invece
irraggiungibile, dietro le sue barriere burocratiche (e di una burocrazia che non
ha nemmeno il merito di essere ordinata): e Lei può immaginare quanto ciò sia
irritante per un meridionale come me, abituato a risolvere tutto nel rapporto
personale, di amicizia”.
L’amicizia restò forte in Sciascia – fino a
indulgere a qualcuno del suo paese in odore di mafia. Ma per pubblicare
continuò a pubblicare con Einaudi. In un certo senso, doppiamente meridionale.
Le grida antimafia
Si legge con sgomento il resoconto dell’arresto
del collaboratore di Messina Denaro, Andrea Bonafede, a sei giorni dall’aresto
del caponafia:
https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/23_gennaio_24/andrea-bonafede-arresto-messina-denaro-7643b905-3e2a-42c7-bb6a-e65be877bxlk.shtml
Mai tanto garantismo per un galantuomo. E un’indigenza
investigativa da non credere: si arresta dopo sei giorni, e solo per supposizioni,
presunzioni, deduzioni uno che lavorava a tempo pieno per il latitante e lo ha
aiutato in mille modi.
Si capisce la debolezza dell’antimafia. Due
secoli dopo la denuncia di Manzoni, che pure tutti leggiamo a scuola, della
stupidità delle “grida”, delle leggi contro le mafie di allora. Senza bisogno
di dare credito alle denunce di chi sapeva tutto del latitante e non è stato
ascoltato.
Che meritano però di essere ricordate,
almeno due, fra le tante “solite” – ogni fatto di cronaca eccita gli animi. Un
dirigente della Polizia di frontiera, Antonio del Greco, che esibisce a “Striscia
la notizia” un verbale da lui redatto dieci anni fa con l’indicazione di una persona,
suo confidente, che a Trapani sapeva tutto del superlatitante, degli spostamenti e degli affari. E il “pentito”
Pasquale De Filippo, pentito del 1995, che chiama Palazzolo per dirgli: “Due giorni
dopo la mia cattura, nel giugno 1995, avrei dovuto avere un incontro con Bagarella
e Messina Denaro, per i dettagli dell’operazione (l’assassinio dell’ex ministro
della Giustizia Martelli, n.d.r.). Dissi alla Dia che ero pronto ad andarci, per
farli arrestare, ma non vollero”.
L’antimafia dà spesso l’impressione di essere
un baraccone da fiera. Perché, come operazione di legge, anti-violenza, sarebbe
anche fattibile, non difficile.
I giustizieri del Sud
Si riprone con lo scandalo calcistico, in
piccolo ma in certo senso più acuto, serpeggiante più che proclamato ma
diffuso, anche tra i meridionali, il fastidio per la “giustizia del Sud”, di
Mani Puilite, del duo Borrelli-Di Pietro. Che il Nord non denuncia ma di cui si
risente. Nei social in questo caso, e anche alla Figc, l’organizzazione del
calcio. Contro lo stesso presidente della Federazione, Gravina, d’improvviso diventato
“l’apulo-abruzzese”, e contro il Procuratore Chiné, “il calabrese” - come già a Torino per il dandy Santoriello, il giudice napoletano e proclamato napolista. Per la selettività
del procedimento, perché la Juventus e non la Lazio, per esempio, e anche per
l’approssimazione, dietro i leguleismi, della requisitoria e della condanna.
Molta insofferenza contro la sentenza è agitata
dai club, che temono un crollo commerciale, di credibilità e popolarità nel mercato
mondiale e dei connessi diritti tv. Ma pure tra gli stessi club si diffonde,
oltre che fra i tifosi, l’insofferenza verso la “giustizia meridionale”.
Gravina viene collegato al suo (ex?) sponsor Lotito, a cui Chiné abbuonò i finti
tamponi fatti fare alla Lazio, per poter schierare in campo la
squadra al meglio. Mentre condannava sportivamente Agnelli, cioè sempre la Juventus,
per un processo penale in cui lo stesso era parte lesa.
C’è sempre, non se ne parla per il politicamente
corretto?, una diffidenza persistente tra Nord e Sud sulle attività istituzionali,
la giustizia, l’amministrazione (la burocrazia). Prefetti e questori
meridionali – e in prevalenza sono meridionali - da Firenze in su lamentano sempre
l’isolamento sociale. C’è pregiudizio perfino nella storia, nella storiografia:
accanto a storici meridionali equilibrati, da Croce a Rosario Romeo, una
insofferenza del Nord, pervicace, è della storiografia radicale alla Salvemini
(che pure aveva debuttato con un’apologia di Milano, della politica milanese),
da Giolitti a Togliatti. E della contestazione, tutta meridionale, del processo
unitario. Che ha a specchio la persistente lettura gladstoniana del regno di
Napoli.
In questo caso, del processo di Chiné, la
condanna si fa curiosamente di una squadra e di una proprietà che hanno al Sud
probabilmente più tifosi, e più clienti affezionati. La quota Fiat nelle
vendite di automobili è al 27 per cento in Italia, al 33 per cento al Sud. Oltre
che gli investimenti maggiori.
leuzzi@antiit.eu
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