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La mafia in libreria
Il primo volume di
“Mafie. Storia della criminalità organizzata”. Una serie di ben 40 volumi, quindi
da seimila pagine. Un’enciclopedia. E una consacrazione.
Un progetto che
Barbara Ricotti, giurista, spiega nell’introduzione come dovuto alle vittime della
mafia, “oltre mille”. No, oltre diecimila, oltre centomila, sono milioni:
vittime di mafia non sono soltanto gi assassinati, per lo più mafiosi o collusi,
quelli della “zona grigia”, ma le innumerevoli persone e famiglie colpite nella
casa, nei beni, nel lavoro. Per ingrassare le peggiori canaglie - non c’è un
solo mafioso che abbia una qualsiasi caratura, malgrado gli sforzi di Biagi e dell’editoria
in cerca di una copia a sensazione da vendere, che si ricordi per un aneddoto
intelligente, un gesto, una battuta. Farne la storia in quaranta volumi è fare
un monumento al niente. Al niente in questo senso: un monumento che fissa il Sud,
poiché questo sono “le mafie”, al niente. Al male nella sua espressione più
miserabile: al vizio, e all’appropriazione dei beni altrui. Alla distruzione di
ogni iniziativa. Delle fatiche altrui, di una vita, di due vite, di più vite.
Nella storia purtroppo già lunga della Repubblica, che per due terzi della sua esistenza,
fino alla riscossa imposta dal giudice Falcone, si è limitata – ha limitato i
Carabinieri – al lasciar fare, giacché la proprietà è un furto. La proprietà che non sia degli amici della parrocchietta - o dei compagni, c’era anche quella, sì.
La “roba” di Verga
c’entra, ma nel senso opposto a quello che la presentatrice riprende in avvio.
La mafia radicando nella “infinita brama di alcuni per la «roba»”. No, nell’infinita
brama di alcuni per la roba altrui. La mafia non è borghesia, e la roba non è
un peccato. Prima della Repubblica, i mafiosi erano ladri di polli (per dire:
di olio, farina, castagne, perfino pomodori), abigeatari, piccoli e
piccolissimi magnaccia, spacciatori di banconote false, contrabbandieri, e quando
lavoravano erano “guardiani”, garantivano dagli altrimenti inevitabili furti.
Sono diventati appaltatori con la Repubblica, soci dei compagnucci della parrocchietta,
grandi elettori di scambio, grandi contrabbandieri, di droga e di valuta (perfino
di prostitute, dall’Africa, cinquant’anni fa, quando venivano in aereo e col
visto….), gente di denaro (prestatori, finanziatori, riciclatori), e imprenditori, anche internazionali, con passaporto e visto, ove richiesto (è capitato di viaggiare in aereo una trentina di anni fa con Carmine Alfieri, camorrista ricercatissimo - in aereo di linea). Nell’impunibilità.
Di fatto, malgrado le tante antimafie. Ci sono così, per esempio in Calabria, mafie
di seconda e di terza generazione, mafie anche per i dossier dei Carabinieri (compilano
alberi genalogici enormi), ma tuttora a piede libero. Uno si dice, di fronte
all’univerale stigma contro le mafie: c’è qualcuno che le difende?, non è possibile.
Ma è come se.
La mafia non è “un
metodo di governo” - questa è la più grossa topica o bugia della “sociologia da
caserma”, più dell’omertà. Non governa il territorio, lo sfrutta. Nascondendosi, tramando nell’ombra, sempre più o meno incontrastata – provatevi
a fare una denuncia di estorsione mafiosa. Non nasce dalla sfiducia verso lo
Stato, lo Stato è ben presente e temuto nelle aree mafiose, con le tasse e
tutto. I controlli vi fa
La mafia non è “un
metodo di governo” - questa è la più grossa topica o bugia della “sociologia da
caserma”, più dell’omertà. Non governa il territorio, lo sfrutta. Nascondendosi, tramando nell’ombra, sempre più o meno incontrastata – provatevi
a fare una denuncia di estorsione mafiosa. Non nasce dalla sfiducia verso lo
Stato, lo Stato è ben presente e temuto nelle aree mafiose, con le tasse e
tutto. I controlli vi fa minuziosi, perfino ossessivi, e nessun si ribella.
Perché “lo Stato”, i Carabinieri, la Finanza, un po’ meno la Polizia, controllano
solo le persone che sanno oneste, con le quali certificare l’orario di lavoro
svolto, in tranquillità. C’è l’incapacità, questa sì, o l’indifferenza dello Stato,
grazie alla quale i mafiosi, gente di basso e bassissimo livello, non si ripete mai abbastanza, di
capacità limitatissime, possono spadroneggiare col mero agitare la violenza,
perché sanno tutto dello “Stato”, sanno dello Stato meglio del cittadino
onesto. Se i Carabinieri funzionassero come nel più modesto dei gialli i mafiosi
non esisterebbero. Non emergerebbero, fino a diventare enciclopedia - si dice Carabinieri
per dire l’apparato repressivo, la “polizia”, oggi le Procure della Repubblica.
Mentre abbiamo giudici che parlano di Osso, Mastrosso e Carcagnasso, o Carcagnosso.
Roba da non credere, ma di giudici in cattedra, in best-seller molto milanesi.
Con le “retate” di duecento e trecento mafiosi. Che faranno bene agli avvocati,
ma lasciano le strade ingombre come prima.
Landi, nella sua onesta
ricostruzione (partendo sempre dal delitto Notarbartolo, che però è già
politica, c’entra molto la politica anti-Crispi, e Crispi non c’entra
assolutamente nulla con l’assassinio del banchiere), lo rileva, arrivato ai
giorni nostri: “Cosa Nostra, ricordano giudici e studiosi, non è nata per
uccidere, anzi punisce la crudeltà fine a se stessa. Il delitto subentra
quando l’intimidazione non basta” – non ci può essere nemico vincente: “La mafia agisce e
vive per i soldi”.
Giovanni Landi, Cosa
Nostra, “La Gazzetta dello Sport”, pp. 158, gratuito
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