La scoperta della Tauride
L’imperialismo russo in due brevi saggi, per la Società
Italiana di Storia militare quello sul Tolstoj, di una studiosa russa. Su un territorio
di cui non si contesta probabilmente più, malgrado le residue resistenze ucraine,
il carattere russo, ma conquistato nel Settecento con una guerra lunga e feroce
contro il khanato indipendente, all’interno dell’impero ottomano. Polomochnykh
ricorda e contestualizza la conquista, ma soprattuto spiega come la Tauride, “come
si chiamava fino a un secolo fa”, entrò nel cuore dei russi.
La scoprì Puškin, che “vi passò tre incantevoli settimane di
vacanza nell’estate del 1820, durante il suo primo confino politico a
Ekaterinoslav”, oggi Dnipro. “Sotto la benevola sorveglianza del generale
Raevskij, padre di un suo compagno di liceo e di quattro bellissime fanciulle,
tutte intelligenti, colte e – tranne una – più giovani di lui”, che
naturalmente lo innamorarono – le prime due sposeranno dei “decabristi”, i
giovani nobili rivoluzionari del 1825. Ci scrisse il poema “La fontana di
Bachčisaraj”, “affresco romanntico dei fasti e degli intrighi dell’harem dei
khan di Crimea”, e il mito dilagò, “storico, multiculturale e multietnico della
Tauride”. Subito ci vennero Muravyev-Apostol, che la celebrò anche lui, l’amico
Griboedov, e il giovane Gogol’.
“Nel
Jurzuf”, centro balneare, Puškin ricorderà anni dopo, “vivevo sedentario,
facevo il bagno nel mare e mi abbuffavo d’uva; mi sono abituato immediatamente
alla natura del mezzogiorno, della quale godevo con tutta l’indifferenza e la
noncuranza del lazzarone (in italiano, n.d.r.) napoletano. Mi piaceva
camminare di notte e ascoltare per ore lo sciabordio delle onde. Vicino a casa
cresceva un giovane cipresso; ogni mattina andavo a trovarlo e mi legai a lui
con un sentimento simile ad amicizia”. Un idillio, per profonde ragioni, spiega
Polomochnykh, oltre che per l’identificazione con Ovidio, anche lui
esliato sul Mar Nero: “Il
clima caldo e la natura gli parlavano della tanto agognata Italia, dove non poté mai recarsi.
Non lontano si trovavano gli antichi insediamenti genovesi e veneziani, che
aumentavano il fascino della Tauride cosmopolita, dove si mescolavano i resti
delle colonie greche e romane, le moschee e le cupole cristiane. Col suo sangue
africano, Puškin doveva sentirsi qui a suo agio”.
Tolstoj
ci fece la guerra del 1853-1856, quella di Sebastopoli, della carica dei
Seicento, e dei bersaglieri di Cavour – di cui la realtà, sotto il mito, è
questa, nota Polomochnykh: “La guerra e il colera immolano un quarto
di milione di russi e sessantamila inglesi, francesi e piemontesi”. Tolstoj ci arriva ventisettenne, ufficiale d’artiglieria,
reduce dal Caucaso, ancora “incantato dalla guerra” - “l’anno prima, esasperato
dalla vita di guarnigione in uno sperduto villaggio, aveva chiesto il congedo”;
non avendolo ottenuto, “aveva fatto domanda per Sebastopoli”. Nel diario si annota
incantato dalla guerra. I commilitoni lo ricordano “insubordianto, sarcastico,
scontroso, trascurato nel servizio, unicamente interessato alla letteratura, a
parte il gioco d’azzardo”. Un vero principe, si direbbe – non batte ciglio
perdendo al gioco anche la cas a di Jasnaya Poliana. Ma anche perché, operando
nella zona più difficile, è bravo, “dimostra capacità di comando”.
Poi
ritorna a San Pietroburgo, scrive i tre “Racconti di Sebastopoli”, e passa dall’ammirazione
per la vita militare, per la generosità e la dedizione dei singoli del primo
racconto, quello che ne crea la fama, lo zar in testa, al rifiuto della guerra.
Non proclamato, non ancora, ma vissuto, rappresentato. Di grande impatto sul
publico. I racconti lo consacrano scrittore, “Guerra e pace” ne germinerà. Sarà stato un ultimo
miracolo della Tauride, si voglia russa opure tatara (tartara).
Tatiana Polomochnykh, Tolstoj in Tauride, limesonline,
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Id., La Crimea di Puškin, ib.
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