Letture - 507
letterautore
Edoardo
Bennato-Lucio Dalla - Ascoltando distrattamente “L’anno che verrà” in tv
negli spettacoli di fine anno si pensa di stare ascoltando una hit di
Edoardo Bennato. L’anno di composizione, 1978, lo consentirebbe, Bennato aveva
già una sua “cifra”. Ma anche Dalla: “Gesù Bambino” (“4\3\1943” all’anagrafe)
era da anni un successo planetario, rilanciata da Dalida e Chico Buarque de
Hollanda. E pure “Piazza Grande”: la “cifra” di Dalla è ben nota. Sono due cantautori,
entrambi strumentisti per caso, con esperienza di jazz: è questo background
che crea le somiglianze?
Dialetto
– “Non è assolutamente giusto considerare un
dialetto le espressioni linguistiche del Belli”,
Massimo
Popolizio, “quello del poeta non è dialetto, è una lingua fitta di lirismo e
intelligenza
teppistica. È
materia vibrante”. Cioè, è dialetto.
Don
Giovanni – C’è una tradizione russa, che sulla straccia di Puškin.
“Il convitato di pietra”, che lo fa “crudele, empio, scellerato, un senza Dio,
un seduttore senza scrupoli”, lo accosta alla Morte. “Don Giovanni sposo della
Morte” è un dramma di Pëtr Potëmkin e Solomon Poliakov, messo in scena da Potëmkin
nel 1926 a Roma, al Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia, in cui
don Giovanni in realtà corteggia, sotto le spoglie di Donna Anna, la Morte – “Ah,
Leporello, sapessi quanto è terribile la Morte nel sembiante della vita!”. Lo ricorda
Antonella D’Amelia nella sua ricostruzione dei russi in Italia, “La Russia
oltreconfine. Artisti e scrittori nell’Italia del Novecento”, pp. Y182-187.
Francese - Non solo bistrattato nella pronuncia, da quando è
fuoriuscito dall’insegnamento, paivot, desert, steig, se
ne è erasa ogni radice culturale e di massa. Jacques Brel? Piaf? Montand? Si fa
molto De André, e anche Conte, ma niente di Brassens.
Anche di narrativa e poesia si sa poco - Ernaux ha dovuto aspettare trenta o quaranta anni per essere tradotta, da un piccolo editore. Molto meno di quanto
si sappia in Francia di narrativa e poesia italiane – la Francia resta grande
lettrice.
Giornalismo – Umberto Eco ne ha dato definizione lusinghiera, perfino
esaltante: “Storiografia dell’istante”. Finendo però per scrivere “Numero zero”,
del giornale come covo di falsari – l’ultima sua “fatica” del genere romanzo
(più polemico in effetti che brillante). Aggravando l’accusa in un’intervista
demolitrice con Scalfari che si ascolta in rete.
Google - È
diventato il supporto della lettura. Gli autori non si fermano più a spiegare
un termine o un personaggio specifico, dimenticato o di rilievo limitato, il
sottinteso è che, se interessa, si può digitare la ricerca sul cellulare. Il
bestseller “I Netanyau” può dare per scontati gli ebrei “litvak e chassidici”.
Illeismo
- Sarebbe parlare di se stessi in terza persona in
letteratura - racconti, romanzi, poemi. Harold Bloom lo dava come un termine
ricorrente raccontando a Joshua Cohen (“I Netaniahu”, 268) di Gershom Scholem, il grande amico di
Walter Benjamin, presto emigrato a Gerusalemme, che appunto parlava di sé in
terza persona. Almeno in tarda età, quando Harold Bloom si recò a fargli visita
in Israele, come lo stesso Bloom ha raccontato a Joshua Cohen, che ne riferisce
appunto in appendice a “I Netanyahu”: “Quando andai a trovarlo nel suo appartamento
su Abravanel Street parlava invariantemente di se stesso in terza persona….
Quindi una sua frase tipica poteva essere: «Il giudizio di tal-dei-tali su
questo-e-quello è così-così, ma Scholem pensa che….»… In letteratura quando ci
si riferisce a se stesso in terza persona si dice illeismo”.
Harold Bloom
accreditava l’uso, italiano, del “lei” per l’interlocutore.
News
fatigue – Neologismo americano, su cui la rivista “The New
Yorker” fa ruotare la sua scelta di articoli online per la fine dell’anno. Dopo
il covid, la guerra in Europa, il rigetto da parte della Corte Suprema
americana della libertà di aborto, una “news fatigue” è stata rilevata, una sorta di indigestione, che ha
“colpito l’industria di settore”: una riduzione consistente delle attività
digitali, dei social.
I bilanci in
calo di Twitter e Facebook potrebbero esserne la riprova.
Papa
Ratzinger - Già G. Grass lo ricordava disappetente, nelle
memorie “Sbucciando la cipolla”, 2006. Reclutato a 16 anni, nel 1943, nella
contraerea della Luftwaffe, l’aviazione militare, coetaneo e compagno di dadi e
di filosofia durante la prigionia di guerra, entrambi diciottenni.
Pensare un
ragazzo così timido, gentile, umile, col roboante Grass, fa in
effetti molto teatro.
Ma “rivoluzionario”
per questo – non un debole come si vuole per le dimissioni.
Proust
– “Trovo bizzarro, per non dire inappropriato, che
scrittori come Kafka o Svevo passino per esponenti della letteratura ebraica
mentre si ignora Proust”, Alessandro Piperno, che pure a Proust ha dedicato
alcuni volumi, a Gnoli, “Robinson”, 31 dicembre. Ma Kafka e Joyce non hanno
personaggi “ebrei” negativi, mentre Proust ne ha. Il Proust “antisemita” del
primissimo saggio dello stesso Piperno, da neo francesista. Che in tutte le sue
opere, anche gli scritti più occasionali, fa stato delle pratiche religiose in
chiesa, o le racconta, commosso, come naturali.
Romanzo – Praz lo radica
nel Seicento (“Pittura di genere e romanzo”, in “La crisi dell’eroe nel romanzo
vittoriano”): nella pittura olandese del Seicento, della vita quotidiana. Che
ha aperto il gusto letterario, e anzi la pratica, della descrizione, di
ambienti e personaggi. E ha anticipato il romanzo di costume, fuori dal fiabesco
o dall’eroico.
Non in Carpaccio, nelle vedute minute di Venezia, tra Quattro e
Cinquecento? Era ancora epoca di gesta eroiche, fantastiche. Anche questo conta:
ci sono cicli, epoche, nella storia, nel gusto, nella sensibilità. “Don
Chisciotte”, coevo della pittura olandese di genere cui si riferisce Praz, si
può ritenere il controcanto a conclusione di un’era, delle grandi narrazioni
cavalleresche - non apre un ciclo o un genere.
Turchi – “Palestinese?
L’ultima cosa che sono stato era ottomano”, rispondeva un giovane pasticciere
arabo un sabato mattina in una Gerusalemme storica deserta. È l’accostamento
con cui Joshua Cohen chiude “I Netanyahu”. La famiglia Netanyahu, compreso “Bibi”
allora (1960) undicenne, l’antesignano e il leader delle politiche “identitarie”,
pivot politico di Israele da un quarto di secolo, ha messo a soqquadro in
America la casa del giovane professor Blum che la ospita. È dovuto intervenire
lo sceriffo. Che a un certo punto sbotta: “Che gente del cazzo. Mi scusi, professore
Blum, ma che gente del cazzo”. In risposta
il narratore Blum confida allo sceriffo: “Sono turchi, sa…. Cosa ci si può
aspettare dai turchi… giusto un branco di turchi fuori d testa”.
Witz
– Si dice in tedesco ma non sarà ebraico? Lo praticano gli scrittori dichiaratamente ebrei, è la cifra
ricorrente, dominante, della narrativa ebraica, yiddish e americana – della comicità
(Woody Allen), della filmografia. Anche di Svevo e, volendolo, di Kafka –
anche di Proust, ma non della “Ricerca”, che si vuole, tutto sommato, romantica,
e molto cattolica, della pietas.
Sarà stato uno
dei tanti prestiti dell’ebraismo alla Germania.
letterautore@antiit.eu
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