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In viaggio col morto nel 1943, tra whisky e prostituzione
Nella rocca di
Scilla, in Calabria, il manipolo di guardia contro l’invasione alleata difende
la posizione come da istruzioni fino all’ultimo. Quando il tenente muore,
l’attendente Calusia, alpino, bergamasco, s’ingegna di condurlo a casa, come da
sua ultima volontà, “da mia madre, a palazzo Pignatelli, Monte di Dio, Napoli”.
Costruisce una specie di bara, copre la salma di carbonella e di fieno, sul
coperchio scrive con mano incerta l’indirizzo, la colloca su un asino sperduto
che gli viene incontro, e comincia il lungo viaggio. Nel quale si accompagnerà
a un’orfanella di Reggio Calabria in fuga dalle suore. E a una donna in lotta
contro gli accaparratori di grano, che è il contario dell’orfanella, solida e
squadrata, e quindi automaticamente “bergamasca”.
Nella collana
“Inediti e ritrovati” un racconto che è un “trattamento”, un abbozzo di
sceneggiatura, per un film che poi non si è fatto. Di scrittura semplice,
didascalica, che però sbalza l’Italia come si riesce a immaginarla in quei mesi
di sconfitta e abbandono. Specie negli incontri con i vari tipi di Alleati,
inglesi, inglesi della polizia militare, americani, americani neri. Tra fame,
ripari di fortuna, furti, e la borsa nera, con l’adescamento delle ragazze. Con
“l’istinto della libertà”, che era stato malgardo tutto il suo proprio fin dall’adolescenza,
volontario di guerra: lo celebra nelle vesti di un contadino “bergamasco”, e
alpino – una documentazione fotografica inedita lo mostra in varie età, più
spesso con la bustina da alpino. Col disincanto di sempre. “La guerra non l’hanno
vinta gli americani, l’hanno vinta i ladri”. E con lae celebrazione, forse
unica nella sua vasta narrativa, delle donne: “L’esodo femminile”, dopo la
rotta e la resa, “è forse il fenomeno più interessante e significativo di quel
riste periodo”, la liberazione delle donne.
Nella vena grottesca
che è la sua cifra, Malaparte mette qui molta bonomia. Un po’ ironico verso il
giovane tenente Cafero, il napoletano che molto presume di sé, e di ammirata
apologia della solidità “bergamasca”, fatta di devozione al tenente ma anche di
senso della giustizia e di impegno, fisico e morale.
Col lieto fine, la
bara giunge a destinazione. Ma con alcune sorprese. Anche qui Malaparte è
sbalordito, si direbbe ossessionato, dalla tranquilla deriva morale immortalata
nei racconti della “Pelle”, sotto l’occupazione Alleata.
Curzio Malaparte, Il
compagno di viaggio, Excelsior 1881, remainders, pp. 98 € 5,40
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