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Inferno – “Lei non sapeva che l’Inferno è l’assenza”, Paul Verlaine, “Jadis et naguère”. Questa che sembra una agudeza, immaginare il castigo eterno come un’assenza, un vuoto, è però ciò che di infernale si sperimenta in vita, di ansia, paura, dispetto – il dolore fisico, la sofferenza, è altro che l’inferno inamovibile, è combattimento, per quanto disperato.
Noia - Vecchio tema francese, di Baudelaire (spleen), Flaubert, Verlaine - non Balzac, non Zola. Letteratura, dei letterati che non sanno che fare nel tempo libero. Ripreso da Moravia, per il quale era caratteriale - era uno che s'annoiava subito, anche con le donne, che amava frequentare a preferenza degli uomini, anche con amicizie o relazioni stimolanti, Pasolini, compagno di vacanze e di cene, Gadda.
La noia come stanchezza psichica, anche morale,
malinconia vaga, nevrastenia, spleen, depressione, languore, tristezza,
debolezza. Sainte-Beuve la imputa a Chateaubriand – “Chateaubriand ha come
generato questa noia incurabile, malinconica, senza causa… il male di René”. Ma
è materia vecchia, patristica: accidia, acedia.
Si fa grande caso dell’ennui di Baudelaire e dell’ennui di Flaubert, che furono però autori
di molte migliaia di pagine. Moravia, autore de “La noia”, è forse il più prolisso
scrittore italiano. Infaticabile, giorno dopo giorno.
Politiche identitarie – “Politiche del risentimento” le
voleva Harold Bloom - Joshua Cohen, “I Netanyahu”,
p. 269. Cui però non dava senso negativo: “Trovo curioso”, diceva, “che tanti
dei nostri
autori migliori considerino il «risentimento» come intrinsecamente negativo”.
Risentimento – È forse il tema più pensato in
questo Millennio. Con un senso di angustia, essendo esso
soprattutto il rovescio – o l’esito - delle “magnifiche sorti e progressive”. Ma
Leopardi, due secoli fa,
ne era immune? È la cartina al tornasole dei limiti del Millennio, dell’incapacità
di pensarsi,
dopo la lunga stasi creativa del postmoderno che ha chiuso l’esuberante –
creativo\distruttivo
- Novecento.
La trattatistica sul risentimento è affollata sulla traccia di Girard. Ma
è il tema probabilmente più diffuso, se non pensato, da Omero in poi, nella
letteratura cioè oltre che nella vita – la prima violenza fra esseri umani
nasce dal risentimento.
Sinistra
– Quarant’anni
fa un lungo saggio in due puntate sul “New Yorker” lanciava la parola e il Concetto,
la globalizzazione, e apriva il mondo a un’economia senza più barriere. Niente
più dazi né contingenti,
e investimenti liberi di passare tutte le barriere, comprese quelle, ancora nobilmente in
vigore, del comunismo. Erano gli anni di Reagan e di Thatcher, e di Milton
Friedman, che
teorizzavano
e praticavano il liberismo senza limiti. E la ricetta si accettava come “più
produttiva” anche
dagli economisti keynesiani, sempre piuttosto sospettosi verso l’arricchitevi. Dalla
Cina Deng Hsiao
Ping rispose con le quattro modernizzazioni, dell’agricoltura, l’industria, la
tecnologia e la difesa, al
fondo e al capo delle quali stava il confronto internazionale dal Grande Balzo
maoista alla Grande
Apertura - al teorema ricardiano della maggiora ricchezza attraverso i maggiori
scambi.
L’organizzazione
“americana” del Wto, del commercio mondiale, fu subito aperta ai nuovi entranti – sola esclusa
la Russia. Gli investimenti in un fiat si delocalizzarono (metà del ciclo
produttivo
tedesco,
più o meno, si svolge oggi in Cina), quasi tutte le “catene di valore” (le reti
produttive) passarono
in capo alla Cina, ai grandi centri asiatici di produzione. La produzione e il
lavoro nelle aree già
industrializzate furono rivoluzionati. Nei soli anni 1990 l’Italia contò tre
milioni, almeno tre
milioni, di licenziamenti, tra i cinquantenni e più. All’insegna della
riduzione dei costi. Verso il basso, irraggiungibile, baricentro asiatico – si passò dal lavoro fisso al lavoro
mobile, esterno, a cottimo,
a ora.
Il mondo ha vissuto, sta
malgrado le tentazioni protezioniste ancora vivendo, un fatto politico
rivoluzionario. La globalizzazione è la rivoluzione che non si dice, mondiale,
radicale: ha portato due terzi dell’ex Terzo Mondo, povero e senza armi, tutta l’Asia
e due terzi dell’America Latina, tre, forse quattro, miliardi di persone, dalla
povertà all’affluenza, in pochi anni. Un evento senza precedenti. Su strategie
e a opera della politica più conservatrice e nell’ottica degli interessi monopolistici,
finanziari, industriali, commerciali, perfino delle professioni libere.
La sinistra non ha
ispirato questa rivoluzione. Non l’ha governata. Non ha saputo. Forse non se ne
è nemmeno accorta – l’opinione in Europa è sempre autoreferenziale. Ha solo
patrocinato, mosca cocchiera, le trasformazioni che i monopoli hanno imposto.
La disgregazione, anche legale, normativa, del mercato del lavoro –
specialmente radicale in Germania. La liberalizzazione del commercio e di ogni
altra attività secondo gli indirizzi e gli interessi delle forze monopolistiche
del mercato. Ha perfino, non richiesta dalla globalizzazione ma nell’ottica del
minor costo, indebolito, quando non liquidato, le politiche sociali, la
sanità, l’istruzione, la ricerca scientifica.
La rivoluzione mondiale, storica, della
globalizzazione, si è peraltro prodotta in un’ottica produttivistica del “minor
costo”, che di fatto è solo uno slogan, chiunque lo vede. Anche dal punto di
vista produttivista. Si riducono i salari e si aumentano i prezzi. L’inflazione
che oggi si registra contabilmente è stata forte anche negli anni passati, per
tutti i generi di prima necessità, e anche per le abitazioni e i trasporti – e per
i concerti, dirà uno scanzonato Gaber. “Destra e sinistra”, a scempi già compiuti,
nel 994: “Il concerto nello stadio è di sinistra,\ i prezzi sono un po’ di
destra”. La “crisi fiscale” dello Stato che in contemporanea col lancio della
globalizzazione fu teorizzata e decretata sembra non avere fine. Ma questo è
segno e colpa della sinistra politica, che lo Stato sociale ha teorizzato e
realizzato (lo ha realizzato per primo Bismarck, mezzo secolo prima del
laburismo inglese, ma incalzato da un forte partito Socialista - il cancelliere di ferro fece una elezione, nel 1878, e poi una serie di leggi eccezionali, contro i socialisti, i giornali, le manifestazioni, ma si approprio di buona parte del loro programma).
Bobbio voleva la coppia
destra-sinistra una sintesi di differenti assiologie. Di differenti, opposti, canoni
filosofici interpretativi della realtà - ma sarebbe meglio dire ordinativi della
realtà. Come se la politica fosse progettuale. Ma non per un fondo di idealismo?
La politica è progettuale per fatti concreti, di conquista e conservazione del
potere.
Questo tipo di alterità costringe anche a interminabili
acrobazie intellettuali – la lettura dei giornali ne è asfissiata – per fare le
parti politiche. Si può tuttavia accettare questa impostazione, se non altro
per motivi storici, per essere stata il nostro passato prossimo. La partizione
sintetizzando fra una destra individualista che coltiva e impone l’interesse
proprio, di classe, e una sinistra di classe che invece cura quello sociale, la
solidarietà cercando nella perequazione. Una partizione ambigua, fra interesse
e solidarietà, e rovesciata, fra individuo e classe,
Si tralascia il rovesciamento di fronti tra
sfera privata e libertà di giudizio. In troppi casi la sinistra avendo fatto
proprie le inquisizioni, anche di interessi e ambienti squalificati come le cronache
giornalistiche di nera e giudici malavitosi, con le tipologie del terrore di Rrobespierre:
le voci (intercettazioni, indiscrezioni), la denuncia, il falso processo, l’esecuzione.
Con vittime martiri, come il giudice Falcone – per non dire del “fascista”
Borsellino.
Questa è debolezza mentale. Culturale ma perché
è mentale. Anche se si radica in una cultura politica del tanto peggio tanto
meglio, e del “popolo eletto” berlingueriano. Che politicamente si è stato un
suicidio di massa. È una deriva, cioè, molto circoscritta al caso Italia, alla
vita politica avventurosa della Repubblica, che per cinquant’anni è stata
confrontata da un partito Comunista fortissimo, e ferreo, che alimentava la
cultura del sospetto. Sul modello sovietico. Dalla quale l’Italia non riesce a
liberarsi, benché il sovietismo sia morto e sepolto.
Ma è una deriva attiva, e anzi crescente, anche
negli Stati niti, senza nessuna ombra di sovietismo. Nel nome di “diritti” di ogni
specie, intolleranti benché limitati e limitatissimi. Quasi sempre superati dalla
realtà – non c’è “diritto” non riconosciuto e applicato. Ma alimentati da una
cultura curiale, avvocatesca – del patrocinio gratuito, a percentuale. Parte della
deriva generale che l’ideologia del mercato (globalizzazione) ha impresso a quella
che si può dire una prima forma di “cultura mondiale”.
(fine)
zeulig@antiit.eu
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