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Islam - Radicale e non,
non è una fortezza, un bastione compatto, coerente, ma un ammasso. Odia, ma a
volte no, e comunque non gli basta, l’odio non unisce. Petromonarchie,
primavere, fondamentalismo religioso, dall’Iran degli ayatollah colti alla Somalia
e alla Nigeria selvagge - la Nigeria è la metà dell’Africa. Un Arco sempre
delle Tempeste, ormai è un secolo, dalla dissoluzione dell’impero ottomano: di
inabilità, instabilità, guerre, per lo più interne, intestine. Dall’Iran che le
moschee schiavizzano all’Afghanistan in perpetua rivolta, al Pakistan che ammazza
i suoi eletti, al Bangladesh sott’acqua, all’Indonesia militarizzata. Dalla
Tunisia, che non sa per che cosa manifesta, all’Algeria, in guerra col Marocco,
al Marocco, in guerra con l’Algeria, alla Libia, in guerra con se stessa, all’Egitto,
da un secolo in attesa di diventare un paese normale, un mondo senza pace: Sudan,
Somalia, Eritrea, la stessa Etiopia, lo Yemen, il Libano, la Siria, l’Irak, i Palestinesi
– e non esclusa, incongruamente, Israele nella deriva teocratica.
Occidente – L’Unesco vota Odessa “patrimonio dell’umanità” dopo “una lunga e turbolenta
discussione in seno al comitato direttivo”, con questa maggioranza: sei Paesi a
favore, 14 astenuti, contraria la Russia. A favore I paesi impegnati nella Guerra
contro la Russia, con armamenti e\o le sanzioni: Italia, Belgio, Grecia,
Bulgaria, Thailandia e Giappone. Astenuti: Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Etiopia,
India, Mali, Messico, Nigeria, Oman, Qatar, Ruanda, St-Vincent and Grenadines,
Sud Africa, Zambia. L’Occidente non sa in che mondo vive - il mondo globale,
che ha creato per guadagnarci meglio, di cui ancora non percepisce che è – era –
“inferiore” soltanto per il reddito.
Il trionfo era visto come la fine dell’Occidente da
Benedetto Croce con singolare perspicuità alla fine della guerra: “Nel corso e
al termine della seconda guerra mondiale si è fatta viva dappertutto
la stringente inquietudine di una fine che si prepara, e che potrebbe nei
prossimi tempi attuarsi, della civiltà o, per designarla col nome della sua
rappresentante storica e del suo simbolo, della civiltà europea”. È l’attacco
di un saggio, “La fine della civiltà”,
pubblicato nel 1846 nel secondo dei “Quaderni della Critica” – ora recuperato
nel volumetto dallo stesso titolo, ed. Morcelliana.
Un trionfo che si è poi spinto fino alle guerre “umanitarie”,
ancorché aeree (missilistiche),
ad alto potenziale distruttivo e ad alta imprecisione, e ora, in Ucraina, alla guerra
per procura, combattuta cioè sulla pelle degli ucraini per il bene dell’Occidente.
Alla gestione armata dei diritti civili o umanitari, come esportare la
democrazia, liberare le donne. Che non è logico, oltre che ineffettuale, ergersi
a guardiani dei diritti con la violenza.
Il
trionfo dell’Occidente nel 1989, la “fine della storia”, fu peraltro un
incidente, provocato dal malaccorto Gorbaciov (lo fronteggiva un mediocre Reagan),
che le politiche economiche non seppe allineare a quelle politiche, e finì per buttare
anche il bambino insieme con l’acqua sporca. Fu cosiderato il trionfo del
capitale su ogni altra ricetta produttiva, “definitivo”. Come se l’armamento
non avesse pesato – la moltiplicazione degli armamenti – nel fallimento di
Gorbaciov, dell’Unione Sovietica.
La globalizzazione,
in clima trionfalistico, non estendeva il dominio occidentale all’Asia e
all’Africa, al Terzo mondo, ma trasferiva il potere alla Cina e all’India,
potenze demografiche, ingovernabili (imbattibili). Che ora sfidano gli Stati
Uniti non colo alla Unesco ma perfino alla Wto, che gli stessi Stati Uniti hanno creato dopo “la fine
della storia”, l’organizzazione mondiale del commercio.
A
lungo l’avamposto dell’Occidente fu Berlino, come di entità contrapposta agli Slavi
e ai Balcani. Cioè la Germania, che sempre si vuole “altra”. Ogni popolazione tedesca che poco poco sia associata con altri popoli
si dice sempre altra. I lombardi si aggrappano ai latini, e perfino agli slavi
bizantini, i francesi ai galli, gli inglesi ai francesi. E quante radici
celtiche non si scavano. Del resto i tedeschi, venendo a Occidente, non
incontravano che welsch, tali erano per loro i romani, i latini, ma la
lingua li direbbe celti, e insomma incontravano “europei” - Europa è toponimo
greco del genere alberghiero, significando Belvedere o Bellavista.
A Salamina Temistocle salvò la libertà contro Serse e nacque l’Occidente
Il mito di Faust, così centrale all’identità dell’Occidente, è di
un imbonitore da fiera.
La storia è occidentalista, degli
orientalisti occidentali, che la vogliono inventata. A partire dal solito
Schopenhauer, per il quale fanno la storia le risse europee. La storia e la
cronologia sono scoperte occidentali, ribatte Borges, adepto di Schopenhauer e
Budda. E come dargli torto: la storia è solo occidentale, la democrazia, il
progresso, la costruzione del futuro. È cristiana, ma cominciò con l’essere
ellenica, grazie ai barbari di Erodoto. La storia è dunque l’Occidente che
viene dall’Oriente.
È l’affermazione di sé. Non in affari,
tutti sono buoni. Nella storia, o la filosofia. È l’affermazione
di sé, il Nord identifica in questo l’Occidente – che non va tanto a Ovest
quanto a Nord, non ce n’è molto nel Brasile, né in Nord Africa. Una qualsiasi
squinzia delle periferie britanniche, sformata, ignorante, le unghie sporche,
diventa signora nell’India opulenta o in East Africa. Benché squinzia ponga un
problema: essendo escuinca all’origine,
messicano per ragazza sguaiata, bambinaccia, come ha fatto a penetrare il
romanesco, c’è un Occidente retrogrado?
L’Europa cristiana e borghese, dice Hegel,
è “la conclusione del grande giorno dello Spirito, che va da Oriente a
Occidente”. Ma è il fine o la fine? Si vaga al centro dell’Europa respirando il
vuoto, in tanta presunzione. Sembra ignoranza, pur tra le accademie, di come è
e come va il mondo.
Per il
vescovo Berkeley l’Occidente è “la via dell’impero”, che va a Oriente. Questo
no, l’Occidente è fuga. Fisicamente è poca cosa: emerge allontanandosi dal
ceppo originario, è un’inquietudine. L’Europa s’è messa a correre verso Occidente,
l’Europa che Ercole strappò all’Asia, il precursore di Cristo. Così dice il
mito dell’Occidente. E forse è arrivata. Ma ne aveva il presentimento. L’Iliade e l’Eneide, le epopee che la fondano, si nominano da una città e una
famiglia sconfitte. L’Iliade, che
Simone Weil vuole poema della forza, è pure il poema del vincitore-vinto. Se è
vero ciò che dice Tucidide, che ottant’anni dopo aver battuto i troiani loro pari,
loro pari in bellezza e intelligenza, gli achei furono soggiogati da rozzi
barbari. Il canto di Omero ha la malinconia del vinto.
Che ne direbbe Pound giocoso: “L’Occidente
si basa sul podere”? Un’eminente lettura della storia pone le origini del
potere in Occidente nella pastorizia. Ma questo è il potere in Oriente, a Ovest
col re e il prelato contano il giudice, il poliziotto, il padrone e il
giornalista, e la famiglia, l’Azione Cattolica, la scuola, l’azienda,
l’officina, il mercato rionale, e quello degli affari pubblici. Forza, potere e
autorità, Passerin d’Entrèves lo spiega, fanno “la dottrina dello Stato”. La
mafia, che non ha studiato, lo sa.
(continua)
Onore – “Virtù degli in giusti!” lo dice Camus, presentando
“Il diritto e il rovescio”. Con l’appendice: “Ma è una parola, l’onore, che il
nostro mondo reputa oscena: aristocratico è un insulto letterario e
filosofico”. Detto in chiaro senso antifrastico. Nel senso comune essendo
“retrospettivo”, di tradizione, lignaggio, superiorità non confrontabile.
Mentre ha un senso attivo: di comportamento onorevole, come nelle battaglie
personali, nei duelli, nei combattimenti.
Parole – Sono segni, sonori prima che grafici, che creano.
Basti pesare ai segni (simboli) matematici. In divenire costante.
Suoni
che articolano varie rappresentazioni del sistema sensoriale, fino a un assetto
più o emo definito – non definitivo: essendo suoni creativi, le parole sono in
divenire costante.
zeulig@antiit.eu
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