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Senza immigrati non si lavora - o mano ai sessantenni
La Fondazione
Consulenti del Lavoro, cui fa capo la ministra del Lavoro Marina Calderoni,
calcolava a novembre che nei quattro anni 2023-2026, a fronte di un fabbisogno
di 4,3 milioni di posti di lavoro, poco meno di un terzo, 1 milione e 350 mila,
resterà inevaso.
A
dicembre, Unioncanere e Anpal, l’Agenzia per le politiche attive del lavoro, ha
calcolato che quasi la metà, il 45 per ento, delle assunzioni previste a breve
termine sarà di difficile attuazione. L’indice della difficoltà di reperimento
di forza lavoro risultava raddoppiato, rispetto al 22 per cento registrato nel
2017, da un lavoratore su quattro, a due su quattro.
Per il
futuro le prospettive sono peggiori, in dipendenza dall’“inverno demografico”,
dalla scarsezza di nascite in Europa. Cui dovrebbe sopperire l’immigrazione. In
Germania il governo calcola un fabbisogno di 400 mila nuovi immigrati l’anno, e
studia come facilitarne l’assimilazione: facendo pesare, olre i
ricongiungimenti familiari, l’età, l’esperienza professionale, e la conoscenza
della lingua.
Una ricerca
dell’Agenzia del Lavoro tedesa calcola che nel 2035 verranno a mancare sette
milioni di lavoratori. Per rimediare suggerisce ultericori facilitazioni al
lavoro delle donne, per ampliare la platea, soprattutto delle donne immigrate,
e il rientro in attività, in determinate mansioni, degli ultrasessantenni.
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