lunedì 6 febbraio 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (515)

Giuseppe Leuzzi
Per un progetto poi non realizzato, anzi quasi subito abbandonato, una antologia del Sud o sul Sud, Sciascia propone a Laterza nel 1957 anche “la scoperta del Verga e, contemporaneamente, dell’epopea contadina russa”. Il “Sud” emerge quando la sensibilità, l’aura del tempo, vira al mondo contadino, povero, ribelle, passato\passatista. Non a una prospettiva di volontà, ingegno, avventura, anche soltanto di luce, di sole – di sole fisico.
 
“Vorrei farvi notare che noi siciliani abbiamo scritto sporadicamente libri storici e sociologici sulla mafia. Ma per quanto riguarda il racconto non c’è quasi nulla sull’argomento”. Così Sciascia in una delle ultime uscite, dicembre 1985, al ventiquattrenne Ian Thomson sceso a Palermo a intervistarlo per il “London Magazine”. Non era già più vero, la narrativa mafiosa si moltiplicava. Innescata dal peso massimo Sciascia, se non certo con la sua capacità di scrittura: l’inizio di una valanga.
 
Il re nel pallone
Ferdinando IV di Borbone, poi I delle Due Sicilie, in esilio a Palermo durante la conquista napoleonica del regno di Napoli, così annotò nel giugno del 1799 la riconquista della sua città da parte del cardinale Ruffo – nel “Diario segreto” che Umberto Caldora ha pubblicato nel 1965: “Alle sei andato con i miei soliti a veder giuocare al pallone fuori la porta di Craste (probabilmente di Castro, n.d.r.), dove la partita è stata buona ed il concorso grande. Ricevuto la consolante notizia di essere entrati i realisti in Napoli”.
Un aplomb si direbbe, non dispiaccia a Gladstone, britannico. Del “re lazzarone” – o carducciano “re fanciullo che mangia i maccheroni a teatro”. In effetti, i reali delle case reali sono soprattutto spensierati. L’8 luglio Ferdinando era già nelle acque di Napoli, ma non scese a terra, sentiva di che si trattava.
I reali regnano coi ministri e cancellieri, se ne trovano qualcuno buono – oggi, a Londra, con cervelli dei social. L’aneddotica dello scugnizzo-lazzarone vuole che il suo precettore, il principe di San Nicandro Domenico Cattaneo, un giorno che lo vide scorrere un libro glielo abbia sequestrato.  
Le storie dinastiche servono a poco – che ce ne saremmo fatti dei Savoia?  
 
Un’autonomia senza forza
L’“autonomia differenziata” farà bene o male al Sud? In linea di principio l’autonomia farebbe bene al Sud. In questo caso no.
In questo caso, della legge che si sta configurando, si ridurrebbero i trasferimenti nazionali a favore del Sud delle regioni che sono contribuenti netti al benessere nazionale in misura rilevante: Lombardia, con 5.090 euro pro capite, per ogni residente, Emilia-Romagna con 2.811 euro, e Veneto con 2.680 euro. Ma per provvedimento amministrativo, senza il colpo di frusta che l’autonomia implicherebbe, perpetuando il corso attuale, del Sud lamentoso, e richiedente.
La legge in discussione si propone molte cose: vuole regionali le reti elettrica e del gas, i rapporti con l’Europa, la politica commerciale. Fuffa - le Regioni hanno da tempo rappresentanze a Roma e nelle capitali del mondo, è la prima cosa che hanno fatto dopo l’istituzione nel 19, l’apertura di sedi di prestigio, per vacanze spesate di rango. La solita fuffa che si agita per coprire il nocciolo della legge, i trasferimenti.
Ma anche su questo l’autonomia andrebbe bene, se fosse uno shock. La “secessione” protoleghista sicuramente lo sarebbe stata, avrebbe avuto un effetto che non poteva essere che benefico.
Con l’autonomia differenziata si verrà a togliere indubbiamente molta parte dei trasferimenti al Sud, cui il Sud era abituato. Ma progressivamente, come una medicina o veleno di Mitridate al contrario. Che non immunizza ma solo intorpidisce.
La Funzione Pubblica è essenziale al Sud come al Nord e in ogni dove. Ma il Sud ha bisogno di rigenerarla: di ridare un senso alla politica, al fare, alla gestione al meglio dei propri destini, fuori dei “posti” e della corruzione.
 
La sicilitudine è una prigione
La Sicilia è una totalità. Un imprinting, indelebile, più che un fatto geografico e storico - sì, sicani, fenici, greci, romani, arabi, normanni, angioini, spagnoli di mare e spagnoli d Castiglia, inglesi, piemontesi, il melting pot è ricco ma non conta. Non si può farne colpa alla “sicilitudine” – che peraltro molti siciliani, perfino Sciascia, indossano con rassegnazione. Ma nel progetto di antologia del Sud del 1957, Sciascia proneva a Laterza nientemeno che un capitolo “Sicilia (o Calabria o Lucania) come Spagna, Sicilia come Tennessee, Sicilia come Cina”. Niente di meno.
Nella prefazione del 1967 alla riedizione delle “Parrocchie di Regalpetra” nella Universale Laterza, insieme con “Morte dell’Inquisitore”, Sciascia si vuole autore di un unico libro. Di e sulla Sicilia: “Tutti i miei libri in effetti ne fanno uno”, conclude ricordando un critico delle “Parrocchie” che lo voleva autore di un solo libro (“cavò il giudizio che io fossi uno di quegli autori che scrivono un solo libro e poi tacciono”): “Un libro sulla Sicilia che tocca i punti dolenti del passato e del presente e che viene ad articolarsi come la storia di una continua sconfitta della ragione”. Non una sofferenza, come si penserebbe, essere autore di un solo libro, anzi un motivo di orgoglio. Ma qui Sciascia è all’estremo opposto, della Sicilia suicida.
Tornando per la prima volta dalla Spagna di cui ha sempre fantasticato, dalla Castiglia, “tutta la Castiglia, anche Burgos” delle cattedrali gotiche, il 9 luglio 1956 Sciascia scrive a Vito Laterza, allora suo editore: “A Racalmuto mi par di trovarmi come in Svizzera”. La Sicilia, pur deprecata, è misura di tutte le cose.
 
Milano
È la più antica città d’Italia, fondata da “Subres, bisnipote di Noè, attraverso Iafet l’Europeo (un primato difficile da battere)”. Così scoperta da Galvano, letterato cortigiano dei Visconti, nella sua “Cronica universalis”, primo Trecento, di cui ora Paolo Chiesa fa la scoperta. Un illustre geografo d’invenzione, il Trecento è fervido di viaggi, per lo più fantastici, come il più celebre Mandeville, che però non pretendeva di scoprire nulla.
 
Aveva scoperto l’America prima di Colombo. Anche lei come i vichinghi. Anzi, già un secolo e mezzo prima, sempre secondo Galvano e la sua “Cronica universalis”. Tra le altre facezie vi nomina la Marckalada, terra ferace abitata da giganti – gente cioè che mangiava bene e tanto. Deformazione del Markland delle saghe norrene.
 
Roma è otto volte Milano. Nasce da qui l’odio contro Roma?
O nella burocrazia – i manager lombardi con la valigetta al quarto piano del ministero del Lavoro, dietro via Veneto, per gli “stati di crisi” (che funzionari ex sindacalisti gestiscono)?
 
Dal database “Le religioni degli stranieri in Italia”, creato da “La Lettura” del 29 gennaio, si vede che gli immigrati in Lombardia sono un quarto di tutti gli stranieri residenti in Italia (1.155.393 su 3.561.540), e uno su otto lombardi (l’11,6 per cento dei lombardi). Ai quali il rito ambrosiano concede ampia libertà di culto. Dove si colloca dunque il leghismo, se non è razziale?
 
“In fondo, nella borghesia del Nord solo gli Albertini e i Pirelli non si assimilarono pienamente al fascismo”, Andrea Carandini, nipote di Luigi Albertini, ricorda con Paolo Bricco sul “Sole 24 Ore Domenica”. Nel 1925 Albertini fu costretto a lasciare la direzione del “Corriere della sera” e a cedere le quota alla famiglia Crespi. Che nel dopoguerra diverrà, specie con Giulia Maria, ancella della sinistra più sinistra. Bisogna cogliere l’attimo – perché no, se ne fa anche poesia.

Mussolini lo storico Gentile può dire “milanese di adozione”, nella “Storia del fascismo” che ripubblica illustrata, in edicola con “la Repubblica”, nel volume 9. “Impero cattolico per un impero fascista”. E anche per questo in sintonia col Lombardo papa Ratti, Pio XI. Ma, bisogna dire, up to a point: il papa era lombardo vero e sapeva cosa conveniva.

Scrivendo a Vito Laterza da Caltanissetta, il 21 aprile 1964, per proporre “un romanzo sul separatismo”, un progetto che presto però dismise, Sciascia spiega giubilante: “È un’idea che mi è venuta all’improvviso, a Milano (la città d’Italia più adatta a risvegliare sentimenti separatisti, anche in me che sono stato decisamente unitario al tempo del separatismo)”.
 
Il giornale mostra Letizia Moratti, sicura perdente al voto regionale domenica, in lieta conversazione al teatro Parenti con i suoi sponsor politici, Calenda e Renzi. E anche questo è parte del successo, non darsi per vinti, anche se si è fatto un errore – una previsione sbagliata, un calcolo poco avveduto, una scommessa. L’atto di dolore, se necessario, è breve, serve all’assoluzione, e “non si piange sul latte versato”, “domani è un altro giorno” etc.. Quello che oggi si dice resilience, bisogna pur adottare l’inglese, come la città fa seriosa, un tempo nell’abbigliamento oggi nelle università.

leuzzi@antiit.eu

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