L'amicizia vince su tutto
Due amici “rinati”
altrove, Roman Polanski a Parigi e Ryszard Horowitz, fotografo, a New York, sì
incontrano nella città di nascita e della prima infanzia, Cracovia, per rievocare
i luoghi e le vicende dei loro primi anni, le rispettive case, la scuola, la
guerra, la costruzione del ghetto, le deportazioni, la solidarietà, la polizia
comunista del dopoguerra.
Programmato in
sala per il giorno della Memoria, il film è invece un amarcord straordinario,
perfino consolante, sempre sotto le righe, con punte comiche – la bestialità risolvendo
nella stupidità. Di un’amicizia durata settant’anni, ottanta. Sempre viva
malgardo ruoli discriminanti, gregario Horowitz dominante Pollasnki - o forse
per la naturalezza (l’accettazione) di essi. Che rivive seza ombre lo sciocchezzaio
delle avventure infantili, e i drammi, di entrambe le famiglie, per essere
ebrei. Non rinchiusi nel ghetto, e cioè benestanti, ma pure per quattro anni
sotto tiro, a rischio di denunce. La madre di Polanski deportata “ad Auschwitz”
e non più tornata – “ad Auschwitz” designa nel colloquio la fine, è il campo di
sterminio, degli altri lager si parla come di campi di concentramento.
Roman salvato dal padre, che non può allevarlo nella clandestinità, affidandolo
a una famiglia di contadini fuori città – un “paradiso” per il Roman decenne, che
fa un ricordo “della Buchalowa”, la giovane madre di questa famiglia, stupefacente
di lirismo e di forza. Horowitz e i suoi deportati col metodo Schindler, l’industriale
che se ne appropriava e li salvava facendoli lavorare nella sua fabbrica, e da
lui savati con determinazione – quando la madre e la sorella furono mandate
dalle SS “ad Auschwitz” lui andò a riprendersele.
Un film
documentario come ora usa, biopic, con mezzi poveri, inquadrature semplici e due
soli personaggi, che si aggirano per la città chiacchierando, ed è invece
invece un romanzo. Drammatico, grottesco, comico, lirico.
Mateusz Kudla-Anna Kokoszka-Romer, Hometown
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