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Il “consenso” arriva con il Concordato
Il volume è
interessante per la prima parte, “Plebiscito di fede”, sul voto popolare
chiamato il 24 marzo 1929 ad eleggere la nuova Camera dei Deputati, che doveva
ratificare gli accordi fra la Santa Sede e lo Stato italiano. Gentile curiosamente
non dà rilievo al senso epocale dei Patti Lateranensi, che chiudevano un’esclusione
assurda dei cattolici dalla vita politica nazionale – una esclusione che il mezzo
secolo abbondante di vita “liberale” dello Stato italiano non si era curato di
chiudere. Si limita a ricordare che a un mese dai Patti Lateranensi, aprendo il
10 marzo 1929 la campagna per il voto del 24, Mussolini così ne poteva presentare la firma:
“Per gli Italiani basterà ricordare che il giorno 11 febbraio 1929 è stato dal
Sommo Pontefice finalmente e solennemente riconosciuto il Regno d’Italia sotto
la monarchia di Casa Savoia, con Roma capitale dello Stato italiano” –
sottinteso: a nessun costo, o minimo, per lo Stato. Però lumeggia la mobilitazione
del mondo cattolico per il Si come una sorta di anticipazione, di fatto, degli “anni
del consenso” defeliciani.
Si schiera per
prima l’Azione Cattolica, per tempo, per evitare l’astensione abituale dei cattolici
alle urne. Consigliando di votare comunque, anche se i candidati erano fascisti,
del partito unico - “ma il plebisicito è sulla fede fascista”, può anticipare
lo storico, più che sui Patti Lateranensi. Il presidente dell’Azione Cattolica,
Luigi Colombo, lo fece con un discorso a Milano che De Gasperi bollò in privato
come “documento di dabbennaggine e di ottimismo infantile”, ma che l’“Osservatore
Romano” pubblicò.
La mobilitazione
cattolica era importante per evitare l’astensione, alla prima elezione
fascista, che si sarebbe potuta mascherare ma non troppo. I rapporti dei
prefetti testimonieranno che la mobilitazione fu capillare, organizzata nelle
parrocchie, e riuscita. A Cosenza come a Frosinone (“il Clero con a capo i Vescovi
delle Diocesi, hanno risposto all’appello. Le comunità religiose, come quelle
numerose, delle Abbazie di Casamari e di Trisulti, si sono recate inquadrate
alle urne”, è il rapporto del prefetto), a Firenze (“il cardinale partecipò al plebiscito votando in una
delle sezioni del centro, la stessa dove votava il prefetto”, nota Gentile), a
Reggio Emilia, a Venezia (“il patriarca di Venezia, cardinale La Fontaine, e i vescovi
di Chioggia e Portogruaro si recarono alle urne fra gli applausi dei fascisti,
mentre il parroco di Malamocco andò a votare con i paramenti sacri…”). Dopo una
propaganda elettorale intensa: “Quasi tutti i sacerdoti si prodigarono in opera
di propaganda verso gli elettori delle rispettive parrocchie e taluno, contravvenendo
a divieto delle superiori Autorità ecclesiastiche, parlò del plebiscito in chiesa,
durante la celebrazione della messa”.
Protestarono per
la conduzione del voto-plebiscito gli antifascisti, ormai dell’esterno, ma anche
“fascisti che avevano votato sì”. Era il primo voto di regime. Ma le proteste non dovettero essere molte. Gentile ne elenca solo due, da Benevento e da
Livorno, per la “eccessiva” gestione del voto – “che danno veniva da un milione
o due di meno di sì quando fossero stati tutti onestamente dati gli altri
milioni”, obietta un contestatore. Il consenso fu sicuramente vasto e
entusiasta, molto.
Emilio Gentile, Storia
del fascismo – 10. Credere, obbedire, combattere, “la Repubblica”, pp. 157,
ill. € 14,90
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