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Buona morte con riso sardonico
In epoca senza
tempo, ma con l’automobile, i jeans nuovi, e il televisore in camera. In una geografia
inventata ma non fantastica – i fagioli bianchi di Tonara e le ciliegie di Aritzo
sono reali, e così pte i tanrtssimio dolci di cui si attesta l’uso, la
confezione e il sapore. In un mondo affatato invece che arretrato - la notte di
Ognissanti le porte delle case si lasciano aperte, non solo per dare alla
narazione il suo punto di svolta, ma perché le anime dei morti entrino a
nutrirsi. E aperto, soprattutto alle guerre, la prima e la seconda, con tante
vedove e tanti storpi, ma
circoscritto, qual
è la Sardegna. Eventi normali ed eccezionali vi si producono che coinvolgno il
lettore, anche se Murgia, al quasi esordio come narratrice, ha voluto mettere
assieme tre temi d’attualità, quindici anni fa e ancora oggi, nel quadro della “correzione
politica”: la “buona morte”, la pedofilia, e l’affido, o la famiglia per
scelta.
Una vechia sarta
prende in affido, “fill’e anima”, figlia dell’anima, una bambina che fa i dolci
col fango, la più piccola di quattro sorelle, figlie di una vedova, che cresce.
Praticando se richiesta la buona morte, per ridurre o eliminare le sofferenze a
chi è già condannato. Un uso e un “mestiere” che sarebbe etnico, tradizionale e
sempre in pratica - come già la “mammina” dei parti, e la mammana degli aborti?
Sotto la scorza della legge.
Un racconto tematicamente
inquietante, se poco poco uno si diletta di storia. La buona morte sa sempre di
eugenetica (razzismo) e di Hitler, c’è poco da fare, se programmatica – la realtà,
di fatto, si compone e si ricompone. E nella geografia fantastica ma non tanto,
non si può non evocare la vecchia pratica isolana di uccidere i vecchi. “Tra l’antichissima popolazione di
Sardegna, i sardi o sardoni, vigeva l’uso di uccidere i vecchi. E mentre
uccidevano i vecchi, ridevano sonori”, spiega Propp, l’analista delle fiabe. È
una commistione: a Creta, alle origini dell’Occidente, una statua di bronzo fu
donata, di nome Telo, che ogni giorno faceva il giro dell’isola, e se
incontrava un nemico fenicio lo arroventava abbracciandolo e rideva. La risata
passò in Sardegna quando Telo e i cretesi, fonditori di metallo, si trasferirono
nell’isola ricca di miniere – via Sardi di Libia, lì vicino? Il riso nacque
così irridente, sardonico, cioè in Sardegna.
Letto a distanza
dal succès de scandale della prima uscita quindici anni fa, il romanzo
fa emergere (pesare) il disegno politico. Ma è una lettura sempre gratificante:
inventiva, accattivante. Di giusta misura anhe nei linguaggi, tra le
intraducibilità linguistiche, gli usi folklorici e una umanità moderna-tradizionale.
Il riuso delle forme espressive locali è di speciale interesse, sempre vivo – a
fronte, per esempio, della stagione dei dialetti, così perenta, per esempio in
Pasolini, forse anche in Gadda.
Michela Murgia, Accabadora,
Einaudi, pp.165 € 12
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