astolfo
Donbass – Fu all’origine del crollo dell’Unione Sovietica,
già nell’inverno 1988-1989. Prima, e con maggiore impatto, delle fughe in massa
dai paesi della “cortina di ferro”. La stessa area della guerra civile ucraina
in corso da nove anni, e da un anno del tentativo russo di annessione. La cosa
è ora dimenticata ma all’epoca se ne parlò, per esempio nei programmi tv di Santoro,
con le prime ipotesi di crollo del regime sovietico per la protesta dei
minatori e metalmeccanici del Donbass. Una forma di sindacalismo e di protesta russa.
Gabriella Lapasini
– Personaggio notevolissimo
del giornalismo e del terzomondismo degli anni 1970-1980, di cui non c’è traccia
in rete, fatto inconsueto. Salvo due righe dell’editrice Sur: “Gabriella Lapasini è stata una nota scrittrice, giornalista
e traduttrice italiana. Fra gli autori su cui ha lavorato figurano
Eduardo Galeano, Miguel
León Portilla e Miguel Barnet”. Ma anche Mariategui, Halperin Donghi, Eva
Forest – e Alain Touraine, il diario che il sociologo tenne degli ultimi sessanta
giorni di Salvador Allende. Nonché coautrice dell’Enciclopedia “Europa” della
Cei, l’editrice del Pci, a dieci mani. Resta in edizione Galeano, riproposto da
Sur, “Le vene aperte dell’America Latina”.
Maria Rosa Cutrufelli la ricorda con
gratitudine nella rievocazione di “Noi Donne”, il settimanale del Pci: “Devo molto a
‘Noi Donne’ e alle sue meravigliose giornaliste, in particolare alla
capo-redattrice di allora, Gabriella Lapasini, che ha allevato con generosità
una giovane generazione di ‘professioniste della penna’”.
Su eBay c’è
ancora un suo libro di racconti, il suo primo, di giovane avvenente narratrice,
della provincia veneta. Che poi, inurbandosi, “si perdette” nella politica, nel
terzomondismo di quegli anni: “I racconti del borgo”, 1957. Pubblicato da Feltrinelli
nella serie Scrittori d’oggi, nella Universale Economica, una collana di 50
titoli negli anni 1956-1963 – la più parte scelta da Luciano Bianciardi, non di
grande fortuna. Un volume di racconti, “Fumo in collina”, “Il cappotto nuovo”, “Il
nonno, Marco e il macellaio”, “Il ritorno”. Di respiro paesano. Di ambiente
veneto – come la stessa autrice specificava nella terza di copertina: “I
personaggi, l'ambiente, il paesaggio dei racconti, sono quelli delle colline
venete tra le quali io sono nata (nel 1927, n.d.t.) e cresciuta ed alle quali
mi sento profondamente radicata. Non c'è altra aria, altra luce, altre voci che
io possa immaginare mi somiglino più di quelle che io possa supporre di
sentire, un giorno, più mie. I miei interessi sono molteplici e, credo, tutti
vivi; ma più che tutto amo la gente, le cose, un certo paesaggio veneto, verde
ed ondulato, amo la realtà tangibile di ogni giorno.
A Roma sarà giornalista, e traduttrice di autori latinoamericani,
specie politici. Nel 1979 fondò e diresse la rivista “Cubana” – poi “Latinoamerica”.
Così
la ricorda Astolfo, nel romanzo “La gioia del giorno”, nei tardi anni 1980, al
funerale “rosso” del suo ultimo compagno Franco,
combattente della Resistenza - qui chiamato “Severo”:
“Il corpo è deposto
nel capanno degli attrezzi in cima al poggio, aperto verso il giardino, coperto
di coppi rossi, adesso li fanno di plastica, tirato a calce, ornato di bandiere
rosse con la falce e il martello, e stendardi, gagliardetti, nastri d’onore oro
e azzurro delle formazioni garibaldine, con coccarde tricolori, sotto la
villetta a un piano e mezzo che è la Casa del Popolo alla Garbatella, il
quartiere costruito da Mussolini per le famiglie povere, pieno di pendii,
giardinetti, case unifamiliari, sorprese e privacy,
un fascismo biedermeier prima della
romanità novecentista……
“È un funerale civile, che i compagni
della Garbatella hanno organizzato nel segno della Resistenza. Sono loro che si
sono battuti a porta san Paolo e alla Montagnola. Severo è testimone del tempo,
giusto la massima di sant’Agostino che amava: “La fede non pensata non è
niente”. La stanzetta contiene giusto il feretro. Adagiato su trespoli di ferro
battuto. Si può guardarlo da fuori, dal fronte aperto sul terreno digradante. Fiori
di campo, roselline e grossi crisantemi deposti per terra prolungano le aiuole
del giardino.
“Dice poche parole il segretario della
sezione, indossando la giacca sulla blusa da lavoro, fazzoletto rosso al collo.
È l’unica presenza politica. Qualche giornalista è passato. Qualcuno intona
stentoreo un triplice “hip, hip hurrah!”. Segue un battimani, che si perde nel
giardino. Le bandiere sono state abbassate sulla bara da compagni
improvvisamente apparsi.
“Si salda la bara di zinco
con la fiamma ossidrica. Finito lo sfrigolio, il coperchio viene inchiodato. Si
apre intanto il cancello del giardino, il carro funebre entra a ritroso, tra
grida gutturali. Al ricordo, ma sarà falsato, anche gli addetti delle pompe
funebri sono in tuta da lavoro col foulard
rosso. La bara è portata a spalle giù per il sentiero e adagiata nel carro. I
compagni seguono con le bandiere rosse e i gagliardetti e si schierano ai lati.
Viene suonato il silenzio, da un anziano trombettiere, con trasporto. Segue un
altro battimani, che suona spento. Cos’è il rumore per il sordo? Da morto uno
può pensare, chissà, ma sordo sicuramente è. Il furgone si avvia nudo, senza
fiori….
“Stanno vaporose tra le aiuole fiorite del
giardino a gradoni, le gallerie, le barriere, o sedute attorno al pozzo, sotto
il fiammante verde della vite americana, la compagna Gabriella e altre signore
ignote. È il quadro dell’Angelico a San Marco, “Il battesimo del Battista”, per
l’aria di chiostro e la luce primaverile. Conoscenze ignote, malgrado la familiarità
di anni con Severo…. Gabriella è in seta rosso cardinale, a pois bianchi e
mezze maniche, con la cicca alla piega della bocca e la voce gracchiante per il
fumo, ma ordinata, chioma di parrucchiere, occhiali a farfalla, e fresca di argomenti,
in conversazioni prolungate, in toni neanche sommessi, francamente curiosa…. Bellezza
non bella, direbbe Platone… Capelli ramati, i fianchi appesantiti dai dispiaceri,
le caviglie gonfie….
“Gabriella aveva ambizioni in proprio e ha
esordito con Severo da Feltrinelli, nella collana avulsa dedicata alla narrativa
popolare, di finti contadini partigiani e storie di guerra che nessuno aveva
vissuto o visto. I racconti riemersi a Porta Portese s’illustrano di una foto
in piano americano, per mostrarne le gambe alte di giovane veneta, bionda,
levigata. Non resse a quella prima falsa uscita….
- Aveva un quadernetto – ha detto al
telefono – con i buoni da un lato e i cattivi dall’altro. Ho pensato che dovevi
saperlo, che ora Franco non c’è più. – E: - Non era contento ultimamente, le
tattiche lo deprimevano, era un duro - o intendeva un puro?
Liturgia - Aveva da fare
in origine con le imposte, una sorta di “sostituto d’imposta”. Lo spiega meglio
Luigi Einaudi, “Miti e paradossi della giustizia fiscale”, pp. 274-275, a proposito
dei sistemi di tassazione in Atene: “Le imposte dirette erano considerate
incompatibili coni la libertà e con la qualità di cittadino. Solo gli
stranieri, le cortigiane e gli schiavi vi erano sottoposti. Gli stranieri permanentemente
domiciliati nella città pagavano il «métoikion», a guisa di compenso per i
privilegi di cui essi godevano nella città. Era un pesante uniforme testatico,
a cui si aggiungevano particolari tributi, ad es. per il diritto di lavorare
sul mercato. Anche le cortigiane erano soggette ad un tributo fisso. Più
incerta era la situazione degli schiavi e dei liberti.
“Le liturgie
ordinarie… sostituivano, per i cittadini, lei imposte da cui erano immuni.
Distinte in varie sottospecie, come le «coregie» destinate a coprire le spese
dei giuochi drammatici e musicali e delle danze, le «gimnasiarchie» a copertura
dei giuochi atletici, l'«estiasi», a sopperimento delle spese delle pubbliche
cene a carattere religioso delle tribù, poggiavano sul concetto che ad ogni
spesa si dovesse provvedere con una particolare entrata all'uopo stabilita e
sovratutto facevano affidamento sull'ambizione tradizionale nei ricchi greci di
fare buon uso della propria ricchezza e sul desiderio di rendersi popolari con
generose largizioni ad incoraggiamento di feste religiose, giochi e spettacoli.
La liturgia era dunque in origine e rimase sempre in principio una oblazione
spontanea. Lo spirito di emulazione tra i ricchi, la brama di cattivarsi il
favore del popolo innanzi alle elezioni inducevano non di rado i ricchi greci
ad eccedere, nelle pubbliche largizioni, i limiti considerati normali
dall'opinione generale. Testimonianza di volta in volta di patriottico amore alla
cosa pubblica e della sua degenerazione demagogica, le liturgie non sempre
bastavano a coprire la spesa, sovratutto quando essa assumeva dimensioni
insolite. All'oblazione spontanea sottentrava la coazione morale. Si
compilavano liste dei ricchi messi a contributo; problema sempre arduo, a causa
del piccolo numero dei chiamati e della gravezza del contributo. Soccorre qui
l'istituto forse più originale della finanza ateniese: l'antidati.
“Il cittadino
chiamato ad offrire la liturgia poteva designare un altro cittadino, che egli
avesse creduto più atto a sopportare il peso della spesa desiderata. Il
designato in seconda poteva rifiutarsi; ma in tal caso era obbligato a
permutare il proprio col patrimonio del primo designato, il quale doveva
prelevare l'ammontare della liturgia sul nuovo patrimonio cosi acquistato. Il sistema
era ingegnoso, poiché nessun designato in primo luogo avrebbe avuto convenienza
ad indicar altri, se la fortuna di questi non fosse davvero stata maggiore
della propria. Il sistema, suscitatore di atti emulativi e talora ricattatori,
non doveva però essere di piana applicazione, se a poco a poco si riduce a mera
forma, e la decisione è, nel quarto secolo a. C., rimessa al giudizio dei
magistrati…”
Linea Maginot – Il sistema
fortificato costruito dalla Francia nei vent’anni dopo il 1920, dal Mare del
Nord al Mediterraneo, più intensificato nel Nord-Est, alla frontiera con la
Germania e il Lussemburgo, celebrato
come di “temibili postazioni belliche”, era vistyo da Jünger come “un
cannicciato”. Ernst Jünger, capitano (richiamato) della Wehrmacht, spirito
sensibile, molto filofrancese, nel “Diario” trova a fronteggiare l’avanzata
tedesca dei cannicciati - “paraventi (contrevents”) di canne”.
Maria Cristina –
Una
regina di Napoli, una Savoia, moglie del “Re Bomba” Fedinando II, è da
tempo dichiarata beata dal papa, e mantiene la sepoltura a Santa Chiara nel
cuore della città - malgrado i rivolgimenti architettonici a cui il complesso viene
periodicamente sottoposto. Anche se la città, che pure ha il culto dei morti,
non lo sa. Napoli non si riconcilia col suo passato di capitale del Regno,
malgrado i campanilismi: dei Borbone, degli spagnoli. La sua memoria è di fatto
solo la versione risorgimentale – benché non fosse più mediocre, in tema di libertà
e di modernizzazione, a quella dei Savoia prima di Cavour (che durò pochi anni,
e fece poco).
Maria Cristina
era figlia di Vittorio Emanuele I e di Maria Teresa d’Asburgo-Este, nipote di Maria
Antonietta. Nacque a Cagliari perché il Piemonte era occupato dalla Francia. Le
cose non andarono meglio quando la famiglia tornò a Torino: Vittorio Emanuele I
si inimicò la parte liberale, post-napoleonica, e dopo I moti del 1821 dovette
abdicare. Abdicava in favore del fratello Carlo Felice, che però non era a Trino,
e vivrà ancora pochi mesi, e quindi il regno passò di fatto al cugino Carlo Alberto,
dei Savoia-Carignano, che era invece vicino ai liberali.
In un primo
tempo, nel 1827, Maria Cristina, quindicenne, era stata chiesta in moglie per
il duca d’Orléans. Ma la madre non volle un matrimonio fracese. Né Maria Cristina
era propensa al matrimonio: avrebbe preferito farsi suora. Tre anni dopo fu lo
stesso Carlo Alberto a negoziare per suo conto il matrimonio col principe
Borbone Ferdinando, che da re, nel 1848, dopo il bombardamento di Messina avrà
il nomignolo di Re Bomba. Maria Cristina vivrà poco, a gennaio del 1836 morirà,
di soli 23anni, di parto – dei postumi del parto. Lasciava l’erede al trono, l’ultimo
re di Napoli, Francesco II. E una tradizione di pietà.
La chiesa l’ha
beatificata – al termine di un processo aperto dal marito, Ferdinando II, e
durato poco meno di due secoli - riconoscendo come miarcolosa una guarigione
dal tumore al seno impetrata in suo nome. Ingentilì la corte napoletgana, e non
è ricordata male dai liberali. Settembrini, “Ricordanze della mia vita”, attest
che “finché ella visse tutti i condannati a morte furono aggraziati”.
Matrimonio
repubblicano – Fu così detto uno dei procedimenti di esecuzione sommaria
adottati dalla Convenzione Nazionale della rivoluzione francese a fine 1793 contro
la ribellione della Vandea, nella città di Nantes. Consisteva
nel legare insieme due condannati, in un primo tempo vestiti poi più spesso
nudi, per tesaurizzare gli abiti, portarli su una chiatta al centro della
Loira, e lì buttarli in acqua. Nelle esecuzioni più famose si imbarcavano più
coppie di condannati su una chiatta che poi veniva affondata, fino a una
cinquantina per barcone.
Nantes,
la città celebre per l’editto, lo divenne anche per le noyades o “matrimoni
repubblicani”. Teatro di una delle prime,
se non la prima, esecuzioni di massa della storia, tra novembre e dicembre
1793, studiate con applicazione. Jean-Baptiste Carrier, il commissario mandato
dalla Convenzione parigina, lo escogitò come sistema di esecuzione meno costoso
delle fucilazioni, e più rapido: benché procedesse a duecento fucilazioni al
giorno, non riusciva a uccidere tutti i rivoltosi. Nel mese di ottobre erano
stati presi prigionieri diecimila rivoltosi vandeani, e altri diecimila
prigionieri furono fatti a dicembre.
Di matrimonio repubblicano
si parlò propriamente in una testimonianza contro Carrier, quando il
commissario cadde in disgrazia – fu ghigliottinato da Robespierre: “Consisteva
nel legare insieme, sotto le ascelle, un giovane e una giovane completamente
nudi e precipitarli così nelle acque”.
Carrier
vantava di avere eliminato con questo sistema 2.800 prigionieri. Gli storici della
Vandea ne conteggiano 4,800.
astolfo@antiit.eu
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