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Il papa non era fascista
Singolare assunto,
e singolare trattazione, del rapporto tra il fascismo e la chiesa, e in
particolare tra Mussolini e Pio XI, il milanese papa Ratti. Mussolini aveva
grande opinione della funzione del papato, della sua “imperiale” durata e
proiezione. Fu in piazza San Pietro a Roma il 5 febbraio 1922, dieci mesi prima
della “Marcia”, per il conclave che il giorno dopo avrebbe scelto il cardinale
Ratti – ci fu da semplice cittadino, non avendo preso nemmeno un seggio alle
elezioni del 1919, benché schierasse nomi eccellenti, tra essi Toscanini e
Marinetti. E locupletò la chiesa nei suoi primi anni di governo, che coincisero
con i primi anni del nuovo pontificato. Con “atti del governo che furono doni
molto garditi dal Santo Padre, come l’introduzione dell’insegnamento della
religiine nelle scuole elementari e l’istituzione dell’esame di Stato che parificava
gli istituti privati cattolici alle scuole pubbliche, l’obbligo di esporre il
crocifisso nelle aule scolastiche, l’incompatibilità tra fascismo e massoneria,
l’opposizione al divorzio col riconoscimento della sacralità del matrimonio, l’inserimento
delle feste religiose nel calendario civile, l’esenzione degli ecclesiastici
dal servizio militare, il sostanzioso aumento della congrua ai parroci,
contributi finanziari per il restauro degli edifici religiosi, il ripristino dei
cappellani nella Marina e l’istituzione dei cappellani nella Milizia, il riconoscimento
dell’università Cattolica di Milano, il salvataggio del Banco di Roma”.
Mussolini ha fatto
tutto questo, ma anche di più. Ha creato l’Opera Nazionale Balilla, contro il
Vaticano. Nell’anno santo 1925 ha creato lo Stato totalitario, ha soppresso le
libertà civili oltre che le politiche, ha espulso i deputati Popolari dalla Camera.
In un clima di violenza tale che la segreteria di Stato vaticana prudentemente
aveva organizzato il viaggio all’estero di don Sturzo. Il 14 dicembre, nota lo
stesso Gentile, il papa chiuderà mesto il giubileo dicendo “la gioia dell’Anno
Santo intrisa di acerbe afflizioni”.
Mussolini aveva
grande considerazione per il potere “universale” della chiesa. Commentando la
morte del papa precedente, Benedetto XV, il 22 gennaio 1922 scriveva che il
papa era “un imperatore, sia pure elettivo”, discendente “in linea diretta
dall’impero di Roma”, a capo del “più vasto e
più veccho impero del mondo” – “dura ormai da venti secoli” - con
capitale sempre a Roma. Sì, ma il papa?Mussolini era opportunista con la
chiesa come con tutto il mondo.
Mussolini
sosteneva di avere incontrato il cardinale Ratti a Milano nel Duomo, per la celebrazione
del Milite Ignoto, il 4 novembre 1921, e che il cardinale era stato “cortesissimo”,
permettendo agli squadristi di entrare in Duomo con i loro gagliardetti. Lo
storico registra anche una confidenza che negli stessi giorni Ratti aveva fatto
al suo amico Giacomo Boni, un architetto, così ripresa da un giornalista francese
su “L’Illustration” quindici anni dopo: “Mussolini, un uomo formidabile”,
avrebbe detto “parlando con voce profetica”. Per concludere che, “se non è mai
bene che un uomo solo divenga onnipotente”, Mussolini era però geniale, e “di
cosa è fatto il genio? Di un grano di follia”. Ma Mussolini non era potente, un
anno prima della Marcia. E lo steso storico avverte brusco in nota che Mussolini
vantava incontri che non aveva fatto, dicendo “senza fondamento” quanto Margherita
Sarfatti scriverà nel 1926 in “Dux” e vari biografi posteriori riprenderanno, a
proposito di “un incontro tra il cardinale Ratti e Mussolini il 28 marzo 1921
nel Duomo di Milano, in occasione dei funerali delle vittime di un attentato al
Teatro Diana”, per il semplice motivo che “in quel periodo il cardinale era
delegato apostolico in Polonia”. Non solo, ma non era nemmeno cardinale.
Il titolo di questo
lungo capitolo nell’edizione originaria Laterza, “Il papato e il fascismo”, è
più giusto.
Emilio Gentile, Storia
del fascismo – 9. Impero cattolico per un impero fascista, la Repubblica,
p.155, ril., ill,. € 14,90
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