Letture - 511
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Amleto - Diventa Amleto,
principe del dubbio e dell’inganno, tra Sette e Ottocento, in Germania. A opera
degli Schlegel, di Goethe e di Hegel. Con una ripresa a Fine Secolo-primo
Novecento in Nietzsche e nel primo Carl Schmitt. Mentre si estendeva in Russia,
Tolstoj, Turgenev e Blok. Con code e agganci Pirandello, Joyce, T.S. Eliot.
Boitani ne traccia così la fortuna in “In cerca di Amleto”.
Singolare la sua
assenza nelle lettere francesi, va aggiunto. E americane – con la tardiva
ripresa da parte di Stephen Greenblatt, già cultore di italianistica.
Geografia
–
Da Deledda in poi, e fino a Camilleri, compreso Sciascia, o i sardi compresi
Ledda e Murgia, usa inventarla. Aveva il suo nome proprio in precedenza, da Manzoni
e fino a Pirandello, compresi Verga e D’Annunzio?
Pasolini - Era un maestro di scuola, un pedagogista, prima e più di tutto - l’unica sua figura non celebrata nel centenario della nascita. Aveva cominciato come maestrino, di lingua, di poesia, di vita, insieme con la madre a Versuta, giovane imboscato durante l’occupazione. Gli articoli che pubblicò sul settimanale Il Mondo” nell’ultimo anno di vita, scrittore celeberrimo, firma di punta della rivista, volle sotto la rubrica “Il Pedagogista”.
È la chiave forse di Pasolini: molta pedagogia è negli scritti linguistici, nella poesia “civile”, nella narrativa e in alcuni film, negli stessi scritti corsari e luterani degli ultimi anni – è in questa chiave che si possono ancora leggere.
Piroscafo dei filosofi – Così Ilja
Ehrenburg chiama nelle memorie (“Uomini, anni, vita”), una delle cosiddette “Navi
dei filosofi”, Quella che aveva imbarcato in particolare Berdjaev, Bulgakov,
Lev Karsavin, fratello della ballerina Tamara Platonovna Karsavina, Osorgin,
esuli in Germania, a Berlino. Altri intellettuali e artisti russi arrivarono a
Berlino, più o meno esuli volontari, in treno: Šklovskij, Remizov, Nabokov, lo
stesso Ehrenburg – che nelle memorie nel 1960, li ricorderà numerosissimi: “Ignoro
quanti russi vivessero a Berlino in quegli anni, ma senza dubbio erano molto
numerosi, dato che a ogni cantone si sentiva
parlare russo…In un solo anno sorsero ben diciassette case editrici russe”. Nel
solo 1922, nota Antonella D’Amelia, “La Russia oltreconfine”, p. 219, si tennero
“due grandi mostre d’arte”, che segnarono la scena di Berlino – la prima era
“La grande mostra futurista (Die grosse futuristische Ausstellung).
Furono dette “navi
dei filosofi” le spedizioni all’estero di artisti e intellettuali russi nel
1922. Da Pietroburgo alla Germania, a Stettino, e quindi a Berlino, che nei
primi anni 1920 fu una sorta di capitale intellettuale e artistica russa, dei
russi in esilio dalla rivoluzione, o semplicemente in pausa di riflessione –
molto ritorneranno nella Russia orma sovietica. A maggio del 1922, prima della
proclamazione del sovietismo, Lenin pensò buona cosa facilitare l’emigrazione
degli intellettuali che non intendevano aderire al regime socialista. E la fece
organizzare dalla polizia politica, la futura Cekà, di Feliks Edmundovič
Dzeržinskij. Nel mentre che modificava le leggi per introdurre il confino amministrativo,
l’espulsione diretta su decisione della polizia.
Degli indesiderati
si fece una retata, poco meno di un arresto in massa, a Ferragosto, lasciando
loro la scelta di andare in prigione oppure in esilio. In questo caso pagandosi
le spese di viaggio e senza poter asportare niente, nemmeno i libri, ma con la
famiglia. Due navi tedesche si incaricarono del trasbordo di chi optava per
l’esilio: la “Oberbürgermeister Haken”, che partì
il 29 settembre 1922 e giunse a Stettino l’1 ottobre, con 35 emigrati intellettualii,
e la “Preussen”, che partì più tardi a novembre. Tra gli emigrati delle
due “navi” tra gli altri la futura Elsa Triolet, nata Kagan, col padre Abram.
Puškin – Lo ricorda il servo di Gogol’
Nimčenko (nel “Racconto di Jakim Nimčenko”, raccolto da Vasilij Gorlenko),
frequentatore di Gogol’ (“veniva spesso”): “Non moto alto, ricciuto, butterato,
non bello”, nelle parole di Gorlenko, “vestito alla buona, in modo un po’
bislacco”. Molto diverso dall’immagine di poeta principe, quasi di core, benché
critico.
“Fuori catalogo” in Italia già da prima di
Putin, ed è un danno. Personaggio contemporaneo, oltre che narratore, drammaturgo
e poeta capitale, per la Russia e non solo. Afrorusso, libertario, innamorato,
se morì fu per gelosia della moglie, generoso, con Gogol’, Griboëdov, e tutti
gli scrittori suoi contemporanei.
Romanzi
russi – “Nei romanzi russi c’è sempre l’uomo forte, ma è
tedesco” – Eugenio Montale.
Sciascia
–
Ha qualcosa di Camus e non lo sapevamo? Il giovane Ian Thomson, che poi lo
avrebbe tradotto in inglese, lo vede la prima volta a Palermo nel 1984, in visita
per una lunga intervista – lunga alla fine tre ore di seguito - per il “London Magazine”,
“in piedi, curioso incrocio tra Albert Camus e Humphrey Bogart”. Somiglianza
fisica, ma il rapporto con Camus c’è, seppure non indagato, e forse fuori dall’orizzonte
di Sciascia – che, a memoria, non lo ha mai citato: c’è nella polemica civile,
e nei tempi dei racconti, compreso il distacco ironico.
Torino – L’idea della città razionale, squadrata da linee e
rettangoli, appare buffa a Maria, la giovanissima protagonista di Michela
Murgia, “Accabadora”, per un tempo esiliata dal apese natìo, “Soreni, a Torino,
talmente “le sembrava illogica”, che ne scrive alla sorella come di “una
divertente novità”: “L’idea che i torinesi avessero prima di tutto deciso il viaggio,
e solo in un secondo momento si fossero dati da fare per costruire come meta le
case, le piazze ed i palazzi”.
C’è un altro modo
di crescita dell’abitato – non solo per una ragazza che non è mai uscita prima
dal paese: “Quell’ordine millimetrico la urtava nel buon senso, convinta che
per le strade il modo giusto di nascere potesse essere solo quello di Soreni,
le cui vie erano emerse dalle case stesse come scarti…., ricavate una per una
come spazi casualmente sopravvissuti…”
Vermeer - Vermeer si era fatto cattolico.
Senza alcun dubbio, spiega il curatore della mostra al Rijkmuseum sul “Robinson”: vicino dei gesuiti nella sua città, Delft, e come
loro appassionato di ottica (ombre, luci, lanterna magica), ma non si può dire.
Se fosse nato cattolico e morto calvinista sarebbe stato un titolo di onore.
In realtà c’era molto più cattolicesimo in Vermeer di quanto
il curatore ha tenuto conto. Nato da una copia calvinista, e battezzato nella
chiesa protestante, aveva sposato giovane, a ventun anni, una giovane
cattolica, e con lei era andato ad abitare dalla suocera, che era vedova, ricca
e molto
religiosa. Vicina e praticante dei gesuiti. Ricca tanto da sostenere Vermeer
nella sua difficile “carriera” di pittore senza corte, al benvolere di committenti
borghesi, sparsi - per quanto danarosi però non collezionisti. E ne protesse la
numerosa figliolanza, quattordici tra ragazzi e ragazze, tutti battezzati cattolici
– “due dei suoi figli erano stati battezzati nella fede cattolica con i nomi
dei fondatori (dei gesuiti, n.d.r.)”, spiega il curatore Gregor J.M.Weber a
Dario Pappalardo, “Francesco (Saverio) e Ignazio”.
letterautore@antiit.eu
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