domenica 12 febbraio 2023

Letture - 511

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Amleto - Diventa Amleto, principe del dubbio e dell’inganno, tra Sette e Ottocento, in Germania. A opera degli Schlegel, di Goethe e di Hegel. Con una ripresa a Fine Secolo-primo Novecento in Nietzsche e nel primo Carl Schmitt. Mentre si estendeva in Russia, Tolstoj, Turgenev e Blok. Con code e agganci Pirandello, Joyce, T.S. Eliot. Boitani ne traccia così la fortuna in “In cerca di Amleto”.
Singolare la sua assenza nelle lettere francesi, va aggiunto. E americane – con la tardiva ripresa da parte di Stephen Greenblatt, già cultore di italianistica.

Geografia – Da Deledda in poi, e fino a Camilleri, compreso Sciascia, o i sardi compresi Ledda e Murgia, usa inventarla. Aveva il suo nome proprio in precedenza, da Manzoni e fino a Pirandello, compresi Verga e D’Annunzio?


Pasolini - Era un maestro di scuola, un pedagogista, prima e più di tutto - l’unica sua figura non celebrata nel centenario della nascita. Aveva cominciato come maestrino, di lingua, di poesia, di vita, insieme con la madre a Versuta, giovane imboscato durante l’occupazione. Gli articoli che pubblicò sul settimanale Il Mondo” nell’ultimo anno di vita, scrittore celeberrimo, firma di punta della rivista, volle sotto la rubrica “Il Pedagogista”.
È la chiave forse di Pasolini: molta pedagogia è negli scritti linguistici, nella poesia “civile”, nella narrativa e in alcuni film, negli stessi scritti corsari e luterani degli ultimi anni – è in questa chiave che si possono ancora leggere.

Piroscafo dei filosofi – Così Ilja Ehrenburg chiama nelle memorie (“Uomini, anni, vita”), una delle cosiddette “Navi dei filosofi”, Quella che aveva imbarcato in particolare Berdjaev, Bulgakov, Lev Karsavin, fratello della ballerina Tamara Platonovna Karsavina, Osorgin, esuli in Germania, a Berlino. Altri intellettuali e artisti russi arrivarono a Berlino, più o meno esuli volontari, in treno: Šklovskij, Remizov, Nabokov, lo stesso Ehrenburg – che nelle memorie nel 1960, li ricorderà numerosissimi: “Ignoro quanti russi vivessero a Berlino in quegli anni, ma senza dubbio erano molto numerosi,  dato che a ogni cantone si sentiva parlare russo…In un solo anno sorsero ben diciassette case editrici russe”. Nel solo 1922, nota Antonella D’Amelia, “La Russia oltreconfine”, p. 219, si tennero “due grandi mostre d’arte”, che segnarono la scena di Berlino – la prima era “La grande mostra futurista (Die grosse futuristische Ausstellung).
Furono dette “navi dei filosofi” le spedizioni all’estero di artisti e intellettuali russi nel 1922. Da Pietroburgo alla Germania, a Stettino, e quindi a Berlino, che nei primi anni 1920 fu una sorta di capitale intellettuale e artistica russa, dei russi in esilio dalla rivoluzione, o semplicemente in pausa di riflessione – molto ritorneranno nella Russia orma sovietica. A maggio del 1922, prima della proclamazione del sovietismo, Lenin pensò buona cosa facilitare l’emigrazione degli intellettuali che non intendevano aderire al regime socialista. E la fece organizzare dalla polizia politica, la futura Cekà, di Feliks Edmundovič Dzeržinskij. Nel mentre che modificava le leggi per introdurre il confino amministrativo, l’espulsione diretta su decisione della polizia.
Degli indesiderati si fece una retata, poco meno di un arresto in massa, a Ferragosto, lasciando loro la scelta di andare in prigione oppure in esilio. In questo caso pagandosi le spese di viaggio e senza poter asportare niente, nemmeno i libri, ma con la famiglia. Due navi tedesche si incaricarono del trasbordo di chi optava per l’esilio: la “Oberbürgermeister Haken”, che partì il 29 settembre 1922 e giunse a Stettino l’1 ottobre, con 35 emigrati intellettualii, e la “Preussen”, che partì più tardi a novembre. Tra gli emigrati delle due “navi” tra gli altri la futura Elsa Triolet, nata Kagan, col padre Abram.

Puškin – Lo ricorda il servo di Gogol’ Nimčenko (nel “Racconto di Jakim Nimčenko”, raccolto da Vasilij Gorlenko), frequentatore di Gogol’ (“veniva spesso”): “Non moto alto, ricciuto, butterato, non bello”, nelle parole di Gorlenko, “vestito alla buona, in modo un po’ bislacco”. Molto diverso dall’immagine di poeta principe, quasi di core, benché critico.
“Fuori catalogo” in Italia già da prima di Putin, ed è un danno. Personaggio contemporaneo, oltre che narratore, drammaturgo e poeta capitale, per la Russia e non solo. Afrorusso, libertario, innamorato, se morì fu per gelosia della moglie, generoso, con Gogol’, Griboëdov, e tutti gli scrittori suoi contemporanei.

Romanzi russi – “Nei romanzi russi c’è sempre l’uomo forte, ma è tedesco” – Eugenio Montale.

Sciascia – Ha qualcosa di Camus e non lo sapevamo? Il giovane Ian Thomson, che poi lo avrebbe tradotto in inglese, lo vede la prima volta a Palermo nel 1984, in visita per una lunga intervista – lunga alla fine tre ore di seguito - per il “London Magazine”, “in piedi, curioso incrocio tra Albert Camus e Humphrey Bogart”. Somiglianza fisica, ma il rapporto con Camus c’è, seppure non indagato, e forse fuori dall’orizzonte di Sciascia – che, a memoria, non lo ha mai citato: c’è nella polemica civile, e nei tempi dei racconti, compreso il distacco ironico.

Torino – L’idea della città razionale, squadrata da linee e rettangoli, appare buffa a Maria, la giovanissima protagonista di Michela Murgia, “Accabadora”, per un tempo esiliata dal apese natìo, “Soreni, a Torino, talmente “le sembrava illogica”, che ne scrive alla sorella come di “una divertente novità”: “L’idea che i torinesi avessero prima di tutto deciso il viaggio, e solo in un secondo momento si fossero dati da fare per costruire come meta le case, le piazze ed i palazzi”.

C’è un altro modo di crescita dell’abitato – non solo per una ragazza che non è mai uscita prima dal paese: “Quell’ordine millimetrico la urtava nel buon senso, convinta che per le strade il modo giusto di nascere potesse essere solo quello di Soreni, le cui vie erano emerse dalle case stesse come scarti…., ricavate una per una come spazi casualmente sopravvissuti…”

Vermeer - Vermeer si era fatto cattolico. Senza alcun dubbio, spiega il curatore della mostra al Rijkmuseum sul “Robinson”: vicino dei gesuiti nella sua città, Delft, e come loro appassionato di ottica (ombre, luci, lanterna magica), ma non si può dire. Se fosse nato cattolico e morto calvinista sarebbe stato un titolo di onore.
In realtà c’era molto più cattolicesimo in Vermeer di quanto il curatore ha tenuto conto. Nato da una copia calvinista, e battezzato nella chiesa protestante, aveva sposato giovane, a ventun anni, una giovane cattolica, e con lei era andato ad abitare dalla suocera, che era vedova, ricca e molto religiosa. Vicina e praticante dei gesuiti. Ricca tanto da sostenere Vermeer nella sua difficile “carriera” di pittore senza corte, al benvolere di committenti borghesi, sparsi - per quanto danarosi però non collezionisti. E ne protesse la numerosa figliolanza, quattordici tra ragazzi e ragazze, tutti battezzati cattolici – “due dei suoi figli erano stati battezzati nella fede cattolica con i nomi dei fondatori (dei gesuiti, n.d.r.)”, spiega il curatore Gregor J.M.Weber a Dario Pappalardo, “Francesco (Saverio) e Ignazio”.

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