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L’Italia senza braccia
Il recupero dei pensionati, per ora dei
medici e infermieri, basterà a colmare il buco che si va aggravando nella produzione
e nei servizi? Non basta più l’immigrazione a compensare il deficit di nascite
in Italia. Direttamente, con l’immissione degli immigrati nella produzione, e
indirettamente, per la maggiore prolificità delle madri immigrate.
La previsione, ormai quasi certezza, dell’Istat
e dei maggiori demografi, tra essi lo stesso presidente dell’Istat, Blangiardo,
è che tra pochi anni, all’orizzonte 2030, la popolazione italiana in età lavorativa
(le classi dì età 21-65 anni) diminuirà di 1,7 milioni. Di poco meno del 10 per
cento rispetto ai livelli attuali, che non sono reputati ottimali. Con le ovvie
conseguenze negative sulla capacità produttiva e sul finanziamento della
previdenza.
Da anni sono evidenti le carenze nell’organizzazione
della sanità, tra medici e paramedici. Le organizzazioni imprenditoriali lamentano
da oltre un anno, dalla ripresa post-covid, una carenza di forza lavoro in molti
settori, specialmente (e paradossalmente) nei servizi alla persona, accoglienza
e famiglie. E questo deficit proiettano nel 2030 a una cifra elevatissima, tra
1,5 e 2 milioni di posti di lavoro.
Una crisi già in atto, quindi, che però
si confronta con due paradossi. Una disoccupazione ancora alta, sull’8 per
cento. E un’immigrazione asfittica, benché se ne discuta in politica come di un’invasione.
Negli anni dal 2013 al 2019, anni di governo del partito Democratico, in teoria
più incline all’immigrazione, il saldo netto fra immigrati ed emigranti si è
ridotto a poche decine di migliaia l’anno, in totale meno di 500 mila unità nei
sette anni (nei dodici anni precedenti il saldo netto ha oscillato fra 4 e 500 mila ingressi ogni anno per quattro anni, e fra 2 e 300 mila negli altri otto), e ora l’Italia ne ha carenza. Secondo Blangiardo l’Italia avrebbe
bisogno già da subito del triplo dell’immigrazione netta, per colmare il
fossato crescente nel mercato del lavoro, da 130 mila a 370 mila nuovi ingressi
l’anno. Non ci sono soluzioni alternative: le politiche di sostegno alle nascite,
di cui si parla, se anche attuate, non daranno benefici prima di una generazione
o due.
Il lag disoccupazione-offerta di
lavoro inevasa è effetto delle retribuzioni basse. Soprattutto nei servizi. Che
disincentivano le migrazioni interne – il tasso nazionale è diseguale
regionalmente, tra la quasi piena occupazione in Lombardia, e il 12-13 per
cento di disoccupazione in Sicilia. Mentre l’immigrazione è sempre regolata da
una legge restrittiva, la Bossi-Fini, che ribaltò la legge Martelli, proiettata
su un “buco” demografico già noto, e ha precarizzato gli accessi e, di più, la
stabilizzazione del lavoro immigrato – la residenza, la cittadinanza. Stroncandone
anche la natalità.
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