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Pasolini santo borghese
Questa parte del
trittico romano “Pasolini santo” “parte dall’idea che mai un poeta, uno
scrittore, un regista, un intellettuale, è stato così corpo e incarnazione
della parola” come lui.
Come al Maxxi, moltissimi
giornali, con gli articoli e le interviste di Pasolini, e molte prime edizioni,
in libro o in rivista. Un po’ meglio leggibili che nel catafalco di Zaha Hadid -
anche il Palazzo delle Esposizioni è un monumento allo spreco, ambientale e
pure visivo, inutile oltre che brutto (è curioso, ma forse no, Pasolini in
questi ambienti). E meglio ordinati, in sette sezioni: Volto (le persone sono
santi), Dileggio (il linguaggio dei padri), Femminile (il sacro che ci è tolto),
Abiti (i costumi del corpo), Voci (di popolo e di poeta), Partitella (la vera
Italia, fuori dalle tenebre), Roma (la città in strada) e Roma (complice Sodoma).
Col fondo sonoro, anche qui discreto, delle canzoni che Pasolini ha scritto o
amava. Con molte foto curiose. Specifica di questa parte del trittico è l’esposizione
di costumi e abiti di scena, un centinaio. Il centro vuoto dell’enorme palazzo
è trasformato in sala lettura, con molti libri a disposizione dei visitatori,
di Pasolini e su Pasolini.
L’impressione è
confermata di uno scrittore-intellettuale, come si diceva in quegli anni, protagonista
politico. Settimanalmente su “Vie Nuove” (“Dialoghi con Pasolini”) e su “Tempo”
(prima “Il caos”, poi “Letture”), da ultimo su “Il Mondo” (“La pedagogia”), e
negli ultimi cinque anni con i testi corsari da commentatore principe del “Corriere
della sera”. Una presenza che i curatori assimilano a uno zibadone di pensieri –
“tutta la sua produzione giornalistica ha la valenza di uno straordinario
Zibaldone di pensieri e di lotta: è nel dialogo, nell’incontro con gli altri
che avviene l’esperienza più poetica dei corpi”. No, la polemica giornalistica,
cioè pubblica, è altro, è azione forse politica, sicuramente agonistica, malapartiana,
da prim’attore (il modello è dei “Battibecchi” di Mapalarte).
In tutt’e due le
mostre è assente, fra i tanti testi di richiamo, quello che fece più epoca, la
poesia del ’68, contro il ’68. Che è per esempio politica e non corporea – il “corpo”
dello studente non è dissimile da quello del poliziotto, seppure con i “capelli
lunghi” invece che rasati, e anche più povero: “Il Pci ai giovani” si rilegge come
una comica, pubblicato, a tamburo battente, oh scandalo, sull’“Espresso”, il
settimanale della “buona borghesia”, in copertina.
Un linguaggio teologico
impregna le didascalie, del mondo come “incarnazione”: tutto è corpo, le lingue
“tagliate” (e le altre no?), i poveri, il popolo (ma Pasolini non ha il popolo).
Un exploit linguistico, oltre che di immagini. La chiesa non ha esibito mai
nulla di simile, per nessun santo. Non così articolato, il tutto liquidando nei
soliti quadri, molti di maniera.
Un linguaggio teologico
impregna le didascalie, del mondo come “incarnazione”: tutto è corpo, le lingue
“tagliate” (e le altre no?), i poveri, il popolo (ma Pasolini non ha il popolo).
Un exploit linguistico, oltre che di immagini. La chiesa non ha esibito mai
nulla di simile, per nessun santo. Non così articolato, il tutto liquidando nei
soliti quadri, molti di maniera.
Questa
santificazione di piazza, non subito ma quasi, gli avrebbe fatto piacere? Non è
da escludere, Pasolini era come i suoi fans, si credeva. A leggerlo non si direbbe,
ma lo era, uno che si credeva. Non amichevole. Non di se stesso. Non
pacificato. Ma nel senso che non ne aveva mai abbastanza. È stato polemista da
sempre, nei venticinque anni romani. Prima maestro di scuola, pedagogo sapiente
e, sembra, paziente. Poi invece polemista – cioè uno che solleva i sassi su cui
inciampare, se ne trovano dappertutto.
Le foto sono tutte
in posa, quasi sempre sceneggiate – curate. Curatissima la foto in giardino a Sabaudia
con Maraini, Callas e una sconosciuta in bikini a prendere il sole, che pure è
un’istantanea, una polaroid. O a Porta Portese in due bottoni gabardine grigia di
ottimo taglio, camicia bianca, piega ai pantaloni, a luglio, che a Roma è
afosissimo.
Sponsor della
mostra è Gucci, giustamente: Pasolini si voleva elegante, anche con gli scarpini
e la maglietta del calcio, benché sui campi il fango predomini. La dimensione
borghese di Pasolini, inevitabile forse, comunque ineluttabile, sia pure di
borghese che si nega (si critica), troppo trascurata da critici e celebrazioni,
sovrasta curioaamente la mostra. La sua morte, a figurarselo, a ripensarci, ha
tutto dell’inverosimile, dell’enorme, dell’impossibile, ma è connaturata alla sua
faccia, ai suoi curati tormenti. Mishima dev’esserte un richiamo già avanzato,
ma è d’obbligo, soprattutto trattandosi del “tutto è corpo”.
Giuseppe Garrera- Cesare
Pietroiusti-Clara Tosi Pamphili-Olivier Saillard, Pasolini santo – Il corpo
poetico, Palazzo delle Esposizioni
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