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Imperialismo
– “La visita di Francesco in Congo mirava
a denunciare la violenza e la corruzione nello Stato centroafricano, i violenti
e i corrotti si misero in fila per un’udienza”. Il periodico di sinistra americano “The Nation” può sintetizzare
così, senza irriverenza, il recente viaggio del papa nel Congo. L’Africa delle indipendenze è un’occasione perduta, sprecata, tra
corruzione, imprevidenza, tribalismo accentuato, sotto forma di guerriglia permanente.
Quasi tuti i Paesi africani sono dittature. Anche di caporali.
Il colonialismo
ha creato, distruggendo, l’indipendenza distrugge e non crea. C’è una funzione
pedagogica insita nella stessa autogiustificazione dell’imperialismo, la
didattica. Che è essa stessa violenza, anche nelle sue prime applicazioni, all’infanzia.
E di più come legge, dopo la conquista, e amministrazione, col concetto esoterico
di cosa pubblica – non nuovo né strano, e anzi scontato, se data dalla repubblica
antico romana, ma nel resto del mondo sì. C’è un richiamo dell’imperialismo, di
cui viene fatto aedo Kipling (a torto, Kipling era rispettoso dei “suoi indiani”),
o del “fardello dell’europeo”, perento naturalmente con le doverose indipendenze,
ma con perdita.
All’altro
estremo dello spettro, dell’impero stabile da quasi un secolo, degli Stati Uniti,
l’interesse nazionale dichiarato preminente, soprattutto nei due decenni del
millennio, viene recepito acriticamente e accettato, quale baluardo di libertà
di ognuno. Esibito e non recondito, da presidenti di destra come di sinistra. “Quando attueremo
questo progetti”, ha detto ieri il presidente americano Biden nel solenne
discorso annuale sullo stato dell’Unione, cioè quando saranno operative le sue
due leggi per incentivare e sussidiare infrastrutture, industrie e tecnologie
americane, “compreremo americano. Buy American è stata la legge
del Paese dal 1933. Per troppo tempo le amministrazioni del passato hanno
trovato il modo di aggirarla. Ora non più”. Il paese che ha teorizzato, aperto,
e imposto la globalizzazione nel 1990, disarticolando i mercati del lavoro di
qualche miliardo di persone, tra Europa e Americhe, a favore dello schiavismo socialista
della Cina, chiude ora le porte con un mercantilismo dichiarato altrettanto brusco.
Si vogliono gli ottant’anni del dopoguerra
come un’epoca di libertà. di lotta tra la libertà e l’asservimento. Ma è di un
imperialismo con tutte le proprietà imperiali, di guerre, e quindi asservimenti,
e divieti e imposizioni, che l’epoca prende corpo.
È indubbio che un
secolo è passato, o quasi, di impero americano mondiale. Non grande e
indiscusso come fu quello britannico nell’Ottocento ma dotato di ben 737 basi
militari sparse nel pianeta. Sotto le insegne della libertà e la democrazia. Nella
sintesi di Obama, nel discorso alla Nazione dell’11 Settembre 2014: “Come
americani, avvertiamo la nostra responsabilità di nazione-guida. Dall’Europa
fino all’Asia, dall’Africa fino al Vicino Oriente, ci leviamo in piedi per la
libertà, la giustizia, la dignità. Questi valori hanno guidato la nostra
nazione fin da quando venne fondata” - con l’augurio finale consueto: “Dio
protegga la nostra Nazione”.
Un impero altrettanto
in buona coscienza come l’impero romano, si può aggiungere, lo fu sotto il
segno della legge – non c’è paese che onori tanto i Campidogli come gli Stati
Uniti - ma altrettanto severo. Con gli Stati rogue, come usa nell’opinione
pubblica americana, gli Stati “canaglia”.
Un impero di
diritto, come ogni altro impero – che fa il suo proprio diritto. E nel caso di
Clinton con Blair in Iraq, e poi di Obama in Yemen, Libia, Siria e Ucraina, democratico,
liberatore, progressista, di sinistra. Di Obama in strana alleanza (Yemen,
Libia, Siria) con le petromonarchie, Arabia Saudita e il minuscolo ma attivissimo
Qatar, le più impegnate attive nell’ispirazione e il finanziamento del
fondamentalismo islamico di matrice wahabita, e quindi dell’esatto opposto della
democrazia e la libertà – “il Male” nella terminologia americana. Con Hillary
Clinton alla Segreteria di Stato, presidente mancata nel 2016, la cui
Fondazione è - era – ricca soprattutto delle donazioni delle petromonarchie.
L’imperialismo può
conservare le sue ragioni anche in quelle della democrazia e la libertà? Il concetto
di imperialismo va rivisto, nel mondo “unito”, cioè globalizzato.
Occidente
– Sempre, a partire da Erodoto (ma non del
coevo Tucidide), l’Occidente si definisce in relazione a un Oriente che lo
stesso Occidente ha inventato (formato, redatto). Non come due masse limitrofe
e contrapposte, fisiche (tettoniche, geografiche, climatiche), tribali, politiche,
ma come due culture o modi di essere, di qua libere e democratiche, di là autoritarie
e asservite. È sulla persistente convinzione, da Atene e l’antica all’illuminismo,
che ha preparato il colonialismo, nel più vasto quadro dell’imperialismo, della
preminenza culturale e politica oltre che economica e militare. Riaffermata
oggi con più forza: ora che la bilancia dei poteri mondiali non è più così
sperequata, non allo steso modo, con l’Occidente nel piatto superiore, tanto
più si fa dell’Occidente il difensore della libertà e la giustizia. Ma è stato
l’Occidente a creare questo bilanciamento, con la globalizzazione, per motivi
di guadagno più che di educazione o costrizione alla libertà. Perché questo è
stato il trigger della globalizzazione, il guadagno, facile, enorme, con
le produzioni asiatiche a costo prossimo allo zero, in condizioni di schiavitù
del lavoro, e non un disegno di prosperità, libertà, pace. Che, al contrario, è
stato anzi prevenuto e impossibilitato, con le guerre preventive a mezzo mondo
in soli trent’anni. Col riconoscimento e l’ammissione alla Wto della Cina, per
le favorevolissime condizioni di guadagno che proponeva, malgrado le tantissime
derogazioni di quel paese ai diritti sindacali, civili e politici di quel paese,
contrarie agli statuti perequativi dell’Organizzazione del Commercio, ma non
della Russia, che pure qualche legge liberale ha fatto. E anzi contro la Russia
animando un colossale riarmo, dall’ex Jugoslavia alla Georgia e all’Ucraina. Cn
la frammentazione definitiva da ultimo, nella guerra contro la Russia,
dell’Occidente, che sempre più dichiaratamente si identifica in termini di potenza
militare e sovranità culturale (politica) con gli Stati Uniti, mentre l’Europa sempre
più si manifesta in stato di subordinazione e declino.
Singolare
e significativa è in questo quadro la presentazione che Biagio de Giovanni si
fa della guerra in Ucraina come scontro “tra potere orientale e potere
occidentale” - “Questo scontro è carico di filosofia”, “Corriere della sera”, 8
febbraio: l’Oriente “è qualcosa di più di una autocrazia. È l’idea radicata di
un potere”. Come se l’India, e la stessa Cina, o la Russia fossero immense plaghe
di potere tribale. Come se la Russia per tutto l’Ottocento, sconfitta la temibilissima
Francia napoleonica, vittoriosa sull’impero austro-ungarico e sull’incipiente
potenza prussiana, non avesse vissuto la stagione delle libertà, analoghe a
quelle delle carbonerie repubblicane e dei movimenti risorgimentali che tanto
si onorano in Italia. E via via sviluppato il costituzionalismo fino al rifiuto
della guerra e alla rivoluzione d’Ottobre - una rivoluzione sicuramente
democratica. Del resto il filosofo stesso De Giovanni, citando Jünger e il suo
“Nodo di Gordio” – “Jünger dice che il gioco degli scacchi non poteva che
provenire dall’Oriente, perciò l’uccisione del re chiude la partita” - lo dice
volendo dire il contrario: la partita si chiude con l’uccisione del re.
“L’Occidente
nasce in Svevia”, secondo Heidegger. E non è possibile, proprio lì è il nodo
irrisolto della storia tedesca, Croce l’ha accertato, che la vittoria di
Arminio nel 9 d.C. tenne la Germania fuori dalla cultura latina. Secondo Hannah
Arendt l’Occidente nacque quando i romani inventarono la politica estera, la
“politicizzazione dello spazio”. Una certa cultura, centrale nell’Italia
repubblicana, insiste che questo Occidente è nato nell’anno Mille. Col mito
della Croce, del Dio uomo. È partita allora la corsa alla semplificazione della
storia, a mezzo dei miracoli, le reliquie, le missioni, le crociate, la
teologia, la superbissima pretesa dell’uomo d’inquadrare Dio, e l’orgoglio
rovesciato di san Francesco, le cattedrali e l’arte, la creazione del classico,
l’accumulazione. L’anno Mille suona bene, è buona data di nascita, Carducci già
lo notava: nacque il cristiano con la spada, il cavallo, l’onore, e l’amore
cortese.
(continua)
Pacifismo – Si invoca la pace (il papa Francesco), si
consiglia la pace (Kissinger) in una guerra d’aggressione, quale quella della Russia
contro l’Ucraina. Non si dovrebbe consigliare, volendo essere equanimi, il
ritiro puro e semplice dell’aggressore, e semai una sua penalizzazione? Evidentemente
no, per un fatto che non si dice: le cause dell’aggressione.
C’è – c’era un tempo – nella storiografia la ricerca
delle fonti di un evento, per un giudizio o un’analisi più equanime dell’evento
stesso, più realistica, più giusta. Anche delle guerre d’aggressione. Quale la
seconda guerra mondiale, d’aggressione per antonomasia. Eppure vi si esercitarono
A.J.P. Taylor e altri storici inglesi e americani molto presto, quasi a ridosso
del terribile e oltraggioso evento.
La richiesta di Kissinger ha come sottinteso il
rischio nucleare: che il conflitto derivi all’uso della Bomba se la Russia si
trovasse alle corde -ma anche il papa, sotto l’umanitarismo generico, prospetta
questo timore. Che è a prima vista insensato: perché la Russia dovrebbe usare
le armi nucleari, e quindi condannar e anche se stessa, per una guerra d’aggressione,
se la parte dell’Ucraina di cui rivendica la sovranità non le venisse data in
possesso? Perché la Russia dovrebbe o potrebbe “essere messa alle corde”? Da
chi? Non dall’Ucraina, evidentemente, tra i due paesi c’è una sproporzione enorme
di forze. Perché l’Ucraina combatte una guerra “per procura”, questa è la tesi
della Russia – degli Stati Uniti, della Nato, dell’Occidente. Ma lo sesso retropensiero
è alla base della richiesta del papa e del ragionamento di Kissinger – la guerra
nucleare sarebbe una guerra Russia-Occidente, e allora avrebbe senso.
Si dice anche che la pace è indivisibile, e
questo è più giusto. Ma di fatto, nel farsi della storia, il pacifismo non può
essere radicale – come l’obiezione di coscienza: deve confrontarsi con le cause
della guerra.
Il pacifismo può essere storico, non può essere
utopistico – non avrebbe sesso.
Storia - La
storia data dall’anno Mille, secondo il filone non secondario della storia
provvidenziale. Il senso della durata, inerente alla religione, viene
trasformato dal cristianesimo, a partire dal Mille, in teofania. Pasqua
prevarica Natale, la redenzione l’incarnazione.
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