Secondi pensieri - 507
zeulig
Guerra
– È sempre di annientamento, più o
meno radicale, più o meno secondo codici: il nemico va sconfitto, e nemico è la
forza in campo ma non solo, anche il territorio e le popolazioni – con assedi,
esecuzioni, distruzioni più o meno radicali. Anche nella “guerra umanitaria”,
di cui si è tentata l’enucleazione dopo il crollo dell’Unione Sovietica – a
conclusione della guerra fredda sotto la deterrenza nucleare, un cambiamento
giudicato epocale nella storia dell’umanità, verso un mondo unificato, pacificato.
Un’etichetta nuova sul solco della tradizionale irrisolta questione della “guerra
giusta”.
Il
meglio che se ne possa dire è con Malraux: “Ci sono guerre giuste, non ci sono guerre
innocenti”. Oppure, con C. Schmitt, “Il Leviatano”,
p. 84: “La guerra di stati non è né giusta né ingiusta. È un affare di Stato, e
in quanto tale non le occorre essere giusta”. La “buona causa” è “un concetto
discriminatorio di guerra (che) trasforma la guerra di Stati in una guerra
civile internazionale”. Cioè una guerra di tutti contri tutti. Una guerra
“totale”. Mentre non va con Ortega y Gasset:
“La guerra non è un istinto ma una invenzione”. È un’invenzione perché è un
istinto – primigenio, individuale, già quando non c’erano armi specifiche, con
la sola violenza del corpo, di Remo contro Romolo.
“Si è
detto”, aggiunge Schmitt, p. 87, “che possono ben esistere guerre giuste, ma
non eserciti giusti”. Oggi più a ragione, spiega, nella complessità
dell’industria degli armamenti - la “tecnologia”. Lo dice richiamandosi a
Machiavelli: “Quando in chiusura del «Principe» Machiavelli afferma essere
giusta la guerra, se è necessaria per l’Italia, e umane («pietose») le armi, se
in esse riposa l’ultima speranza, tutto ciò suona ancora umanissimo a paragone
della completa oggettività delle grandi macchine il cui perfezionamento si è
realizzato in modo esclusivamente tecnico”. Macchine statuali e belliche.
Sulla
“guerra giusta” l’unica argomentazione che tiene è quella di Elizabeth Anscombe,
del “Mr Truman’s Degree”, il breve pamphlet con cui l’“assistente” di Wittgenstein
contestò nel 1956 la decisione dell’università di Oxford di conferire la laurea
honoris causa che all’ex presidente americano Truman. La guerra, anche
la più giusta, diventa ingiusta se usa “mezzi immorali”, di distruzione di massa.
E se impone condizioni di pace capestro. La guerra più giusta, contro le potenze
dell’Asse, si può dire ingiusta quando impone la “resa incondizionata”. Dopo
aver mutato la tattica del “bombardamento per obiettivi” in quella dei “bombardamenti
d’area”. Nel bombardamento di tutte le città delle potenze avversarie, e infine
con i massacri atomici. In particolare, il bombardamento atomico del Giappone
Anscombe condanna per tre motivi. Il Giappone cercava un armistizio - lo aveva
chiesto a Stalin. Il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki non era contro
obiettivi militari. L’atomica si sapeva che avrebbe distrutto tutto, che non ci
sarebbero stati superstiti, e avrebbe lasciato l’area contaminata.
Si
riscopre erraticamente la pratica romana dei Feziali per legalizzare la guerra.
Una sorta di diritto internazionale, ancorché unilaterale, che prevedeva
condizioni belliche restrittive come base giuridica – giustificazione – della guerra.
Ma i feziali, il collegio sacerdotale elettivo che dichiarava la guerra per
conto del Senato e del popolo romani, non ponevano in realtà limiti alla
distruzione bellica. Analizzavano ed elaboravano i motivi per cui i Romani
dovevano dichiarare guerra. Davano cioè uno scopo alla guerra, non la pura e
semplice distruzione del nemico. Se non di una guerra proporzionata all’offesa,
di una guerra comunque limitata nello scopo. Ma sempre guerra, con la massima
violenza necessaria a vincerla.
C’è
molta invenzione lessicale attorno alla guerra, che è invece una sola, anche la
guerra di difesa: la violenza.
Se ne trova una
sintesi in una curiosa interista breve pubblicata dal “Corriere della sera” nel
2011 al generale dell’Aviazione Tricarico, e non firmata (siglata M.Ne: - Marco
Nese?), malgrado dicesse cose importanti. Sulla famosa “difesa attiva” inventata
da D’Alema, presidente del consiglio nel 1999, grande furbata, contro la Serbia
che non minacciava nessuno, per sottrarle il Kossovo e darlo a un mafioso. Il
generale lamentava l’esercizio d’ipocrisia attorno alla guerra alla Libia nel
2011:
«In Kosovo i nostri aerei bombardarono fin
dalla prima notte del conflitto. Sono passati più di dieci anni e posso
rivelare come andarono veramente le cose». Il generale Dino Tricarico guidò gli
attacchi contro la Serbia come capo delle forze aeree italiane e vicecapo di
quelle Nato. «La notte del 24 marzo 1999 i nostri Tornado sorvolarono l’Adriatico
e lanciarono bombe di precisione contro le postazioni della contraerea dei
serbi. Fu un’operazione condotta insieme con i caccia dell’Aeronautica
tedesca». Durante il conflitto fu detto che i caccia italiani avevano solo un
compito di protezione verso i jet degli altri Paesi. «Questa fu la versione
ufficiale. Era presidente del Consiglio Massimo D’Alema. Per tranquillizzare i
sonni dell’onorevole Cossutta fu necessario inventare la dizione Difesa
integrata. In realtà i piloti italiani colpirono fin dal primo momento. Solo
una decina di giorni dopo arrivò l’ordine di intervenire coi bombardamenti. Tre
righe scritte in forma incomprensibile a testimonianza delle folli acrobazie
lessicali necessarie per scriverle. Con questo voglio dire che le operazioni
militari italiane, come dimostra ora la crisi libica, sono sempre accompagnate
da ambiguità e anche ipocrisia». Non c' è differenza tra governi di destra e di
sinistra? «Direi di no. Nella prima guerra del Golfo del 1991, i nostri Tornado
vennero immessi nelle operazioni di bombardamento dell’Iraq senza aver avuto
una sola opportunità di addestrarsi insieme agli alleati e senza le notizie di
intelligence necessarie per inserirsi nello scenario operativo. Era capo del
governo Andreotti. Bellini e Cocciolone vennero abbattuti dalla contraerea
irachena dopo essere stati gli unici a raggiungere il territorio nemico, dove
avevano fallito tutti i nostri alleati. Invece di elogiarli, furono messi sotto
processo mediatico».
Natura –
“La forza della natura è molto, molto più grande di quella dell’uomo”, Richard
P. Feynman, “Il senso delle cose”. Ma è bruta, sregolata.
La
natura è un mistero, continua ad argomentate il fisico americano premio Nobel:
“Le leggi di natura hanno l’aspetto di leggi matematiche”. Quindi logiche? Ma
“perché poi la natura sia matematica è un altro mistero” – “le leggi sono solo
congetture, sono estrapolazioni nell’ignoto”.
Urbanistica – È scienza di umana convivenza. Anche quando fosse adoperata a
fini bellici, di difesa (castelli, borghi addossati ai castelli, città murate).
O di difesa politica, anche dalle rivoluzioni – Parigi ridisegnata da Haussmann.
O di difesa politica e civile insieme, come Torino, la città squadrata. Qualcuno
spiega a Maria, la ragazza protagonista del racconto “Accabadora” di Michela
Murgia, che “il ripetitivo schema viario di Torno, nasceva “da esigenze si
sicurezza, perché una città regia non doveva offrire ai ribelli e ai nemici
alcun anfratto per nascondersi”. È tematica risaputa. Ma logica.
L’idea della città razionale, squadrata da linee e rettangoli, sembra
buffa a Maria, per un tempo esiliata a Torino, talmente “le sembrava illogica”,
che ne scrive alla sorella come di “una divertente novità”: “L’idea che i trinesi
avessero prima di tutto deciso il viaggio, e solo in un secondo momento si
fossero dati da fare per costruire come meta le case, le piazze ed i palazzi”.
C’è in effetti un altro modo di crescita dell’abitato – non solo per una
ragazza che non è mai uscita prima dal paese. “Quell’ordine millimetrico la
urtava nel buon senso, convinta che per le strade il modo giusto di nascere
potesse essere solo quello di Soreni, le cui vie erano emerse dalle case stesse
come scarti…., ricavate una per una come spazi casualmente sopravvissuti. ll
sorgere irregolare delle abitazioni”. Una “irregolarità” che però non è sinonimo
di socialità. In aree costruite senza piani particolareggiati o di lottizzazione privata, per “abusivismo di necessità”, anche fuori e contro il piano regolatore, per
esempio a Massa negli anni 1970-1980, l’esito è un conglomerato asfittico,
senza aria, senza spazi pubblici condivisi, ogni centimetro quadrato conteso in
lite col vicino, senza nemmeno spazi per la circolazione, strade, marciapiedi,
difficile poi da urbanizzare (acqua, luce, gas, fognature).
zeulig@antiit.eu
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