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Troppe tasse sui redditi, e sbagliate
La spesa ubblica è
eccessiva. Incontrollata, incontrollabile, ingestibile, dispersiva.
Improduttiva, specie a fronte delle risorse che sottrrae alla produttività, con
l’imposizione fiscale sul reddito. L’imposizione fiscale sul reddito è a sua
volta distorsiva più che peequativa: non produce la giustizia sociale che
dichiara, mentre alimenta la spesa politica, di sottogoverno, a scapito degli
investimenti, e soprattutto della “libertà d’investimento”, del sentirsi sicuri
di non essere perseguitati, di potere operare in sicurezza. L’evasione ha un
costo, ma evidentemente un costo che bisogna sopportare a fronte dell’onere
fiscale.
Un’opera concisa e
chiara, che ebbe due edizioni in due settimane, e poi è scomparsa. Mentre è
attuale, ancora, dopo qasi quarant’anni. Se non altro perché ancora distingue
fra evasione fiscale, erosione e elusione. Anche questa minima intelligenza
della questione, lessicale, si è perduta. Dopo la “riforma Visentini” -
l’“avvocato dei ricchi” © Scalfari – che tuttora fondamentalmente ci governa,
dopo quasi mezzo secolo, non si è riusciti a fare più nulla: il reddito fisso
paga, salari e pensioni, sempe più salato, e gli altri si arrangiano.
“La distribuzione
del carico fiscale è considerata da tutti iniqua”. Perentoria e incontestata
l’apertura – la prima riga - di pugno di Fuà. Troppe le tasse sul reddito. E
troppo progressive. Anche per squilibri (automatismi) che l’inflazione aggrava -
oggi come allora, nei primi anni 1980. Per “due fenomeni strettamente connessi:
la dimensione della finanza pubblica, che essendo cresciuta vertiginosamente ha
portato a un incremento assai accentuato della pressione tributaria”, senza
alleviare la sperequazione sociale, “e il peso preponderante che ha assunto
l’imposizione sui redditi”.
Un’analisi e un
atto d’accusa di sinistra – con ripetuti riferimenti a analisi allora dottorali
anche di Vincenzo Visco, che poi sarà ministro del Tesoro di vari governi
“progressivisti” a cavaliere del 2000, autore del celebre motto “le imposte
sono belle”. Fuà è stato l’economista forse più aggiornato del secondo
Novecento, sui problemi dello sviluppo: collaboratore di Adriano Olivetti, di
Enrico Mattei all’Eni, con Giorgio Ruffolo et al., di Gunnar
Myrdal all’Onu, da ultimo creatore e animatore della “scuola di Ancona”, per la
formazione del “capitale umano”. Rosini era un professore di Scienza delle
Finanze, consigliere di Stato – personalità quasi istituzionale anche se
fumantina: deputato Pci nella seconda legislatura (1953-1958), radiato dal Pci
nel 1966 per indisciplina, vice-sindaco di Cacciari a Venezia, creatore e
animatore degli Atei e Agnostici Razionalisti.
Una lettura
spedita e comprensibile, che basterebbe riprendere quando si parla di evasione
fiscale. Piena di verità semplici. “Se è problematico che la Pubblica Amministrazione
danese riesca a spendere bene il 60 per cento del pil, come ci si può illudere
che quella italiana spenda bene il 51 per cento?” (il 54,1 nel 2022). “L’opinione
popolare diffusa negli ultimi decenni, che l’imposizione del reddito sia la
forma di tassazione per eccellenza di un paese civile e non una forma come le
altre, va energicamente combattuta”. L’erosione e l’evasione si legano a
imposte sul reddito elevate – hanno un costo, che a un certo punto diventa conveniente.
“L’aggravarsi del carico fiscale in Italia ha portato con sé, inevitabilmente, iniquità
sempre più stridenti e quindi un crescente senso di ribellione”. Iniquità radicate
nello stesso ceto sociale, tra familiari, coinquilini, conoscenti, tra chi paha
il 50 per cento d’imposta e chi non paga niente. Senza contare la traslazione,
che chi produce può sempre operare a danno dei clienti – dei più deboli: la “traslazione”
non era considerata “quando l’imposizione diretta colpiva una parte relativamente
esigua della popolazione e con aliquote che oggi giudicheremmo modeste” – ancora
a fine Ottocento un’aliquota del 15 per cento “era considerata mostruosa”, un
secolo più tardi “la maggior parte della popolazione è tassata con un’aliquota
minima del 18 per cento” – oggi del 23 per cento.
Giorgio Fuà-Emilio
Rosini, Troppe tasse sui redditi
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