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Tutti perdenti alla guerra delle tasse
La “guerra” è tra
chi paga le tasse sul reddito e chi si sottrae, ribaldo, in piccola o in larga
parte. Ben scritta. “La mia nipotina ha 11 anni, è figlia unica, ha due zii che
non hanno figli e due prozie che non hanno discendenti diretti: nel corso della
sua vita, dopo alcuni passaggi intermedi, erediterà beni di sette famiglie,
prevalentemente immobili, e quindi sarà una donna molto più benestante rispetto
alle famiglie di origine. Se le leggi non cambieranno, non dovrà pagare tasse
di successione di ammontare rilevante. Se deciderà di utilizzare uno degli
immobili ereditati come prima casa, non pagherà nemmeno l’imposta immobiliare.
Se sceglierà di affittare gli altri immobili ricevuti, pagherà un’imposta
ridotta sui proventi degli affitti, e lo stesso accadrà se investirà parte
delle eredità in titoli. Praticamente tutto ciò che potrebbe decidere di fare
con i guadagni delle eredità sarà, dal punto di vista fiscale, più vantaggioso
che lavorare”. Vero. Ma è colpa della nipotina, o di chi la “protegge”, o non
di chi non protegge i lavoratori, e i pensionati di lavoro?
Un pamphlet politico.
Visco attacca i “privilegi fiscali”, concessi “da una classe politica in
ostaggio delle lobby”. Il frutto avvelenato di una politica, quella di Reagan e
Thatcher, dell’“affamare la bestia”, ossia la Funzione Pubblica, tagliare le tasse
e i conti dello Stato. E questo dice tutto: è il solito articolo polemico, rimpolpato,
contro “i guasti del capitalismo”. Mentre l’impasse fiscale in Italia è
ben anteriore a Reagan, di almeno un decennio.
Lo stesso editore
che nel primo anno di Reagan proponeva la critica radicale di Fuà e Frosini agli
eccessi della tassazione del reddito,
http://www.antiit.com/2023/02/troppe-tasse-e-sbagliate.html
ora ha cambiato
idea, e gli basta liquidare la questione al grido “evasione! evasione!”. Lo
stesso fa Visco, sempre in quell’anno autore di uno studio su “Disfunzioni e
iniquità dell’Irpef e possibili alternative”. Disfunzione (evasione) che stimava
“prudentemente” in 10 mila miliardi di lire, tra un quinto e un quarto del gettito
Irpef 1983. Anche se poi, da ministro del Tesoro o delle Finanze negli anni a
cavaliere del millennio, dei governi D’Alema, Amato, Ciampi e Prodi, si era trasformato
in apologeta delle imposte sul reddito quali che siano.
Un instant book
su una materia che meriterebbe più precisa riflessione. La fiscalità non è roba
da polemica spicciola. È il sistema venoso di un essere-Paese, la rete di
comunicazione di tutte le sue sostanze vitali. Ed è la palla al piede
dell’Italia: complicata, esosa, erosa, evasa. All’origine (è la causa, non l’effetto)
della crescita spropositata del debito pubblico, che continua ad alimentare.
Nonché di una fortissima discriminazione sociale, a danno di chi lavora o ha
lavorato. Cose note, da più di trent’anni. A cui però non si pone rimedio – come
se si volessero comoda riserva di facile polemica politica, sterile di fatto.
Visco, specialista
di Scienza delle finanze, una scienza che ha avuto grandi esperti in Italia,
Einaudi, Cosciani, si adagia anche lui sulle approssimazioni giornalistiche, o
della sinistra seduta di questi decenni: si evade perché si è cattivi. Personalmente
si dice agnostico, “non ho più nemmeno la tessera del Pd”. Ma da uno come lui
ci si attenderebbe qualcosa di più del “paghino i ricchi”, eccetera. Al limite,
per dire, ha ragione Reagan, se tassare i ricchi va ad alimentare una spesa
pubblica improduttiva e dispersiva, riduce gli investimenti, e porta alla fuga
dei capitali, e delle professionalità. Le tasse non sono materia bellica, o di
punizione – altrimenti ognuno si difende, si deve difendere.
Giovanna
Faggionato-Vincenzo Visco, La guerra delle tasse, Laterza, pp. 136 € 16
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