mercoledì 1 marzo 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (517)

Giuseppe Leuzzi

Un bandito di Vieste, Marco Caruano, evade dal carcere “di massima sicurezza” di Badu e’ Carros in Sardegna, e a Vieste si fanno i fuochi d’artificio. Non è vero. Ma è “naturale” scriverlo. Il sindaco protesta. Ma, si sa, i sindaci… La “narrazione” è quella, ineluttabile.
 
Caruano evade col lenzuolo, come nei romanzi. Sotto l’occhio di una telecamera. Questo chiunque può vederlo, ma non si dice – non si commenta: come la criminalità viene contrastata.
 
“Terra di tutti e di nessuno\ terra dove abitano i morti\ terra che entra ed esce\ con la forza di un bacio\ terra che conosce\ lo slancio del perdono\ terra che abiti lontano\ e uccidi per amore”.
Alda Merini, “Terra del Sud” – in Id., “Ogni volta ti vedo fiorire”
 
“Buone notizie”, il settimanale del “Corriere della sera”, racconta di una curiosa inchiesta di alcune Ong nella Casamance, il Mezzogiorno del Senegal, sui migranti di ritorno. Riprovati dai familiari, non più considerati nella comunità, isolati. L’inchiesta è vera, si può testimoniare, ma va inquadrata nella mercificazione tribale, dei legami familiari e comunitari – quante famiglie non sono in golosa attesa in Nigeria degli euro della figlia, sorella, nipote prostituta a Roma o Livorno. È vero però che l’emigrato di ritorno non ha più status, non solo in Casamance, o più genericamente in Africa.
 
Pentite di banca
Sono quattro donne, tre membre del consiglio d’amministrazione della Juventus, Laurence Debroux, Suzanne Heywood, Daniela Marilungo, e una sindaca, Maria Cristina Zoppo, le “gole profonde” dei pm torinesi professi odiatori del club. Incontenibili, non lasciano inappagata nessuna ipotesi di reato che i giudici sollevano, anzi ci mettono del proprio. La cosa si svolge a Torino, ma c’è sentore di Sud in queste chiamate di correo senza la correità.
Le quattro non sono le sole. Segue a ruota una consigliera di Unicredit, Jayne-Anne Gadhia, “donna d’affari britannica” (wikipedia), cavaliera dell’Impero (DBE): presidente del comitato Remunerazioni del gruppo bancario, si dimette per non aumentare quella dell’ad Orcel – che non è uno qualsiasi: ha raddoppiato in diciotto mesi il valore del titolo, ora sui 20 euro, e veleggia verso quota 24.
Un tempo si sarebbero liquidate le consigliere come casi di “isterismo”. Oggi vanno a rimpolpare la schiera dei “pentiti”, quelli che dopo avere attizzato l’inferno si fanno angeli. Avevamo i “pentiti” di mafia, avremo le “pentite” dei consigli d’amministrazione. Al peggio non c’è limite, come si suol dire, non c’è fine alla vergogna, la peste dilaga, o il colera, o il covid, eccetera. Un-a “pentito-a” sa di taumaturgia, capace di miracoli di Cana, di moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Ora, Unicredit è di un’altra galassia rispetto al Sud. Ma non si può dire, il pentitismo è infettivo - anche la squadra di calcio degli Agnelli si pensava di un’altra galassia. Se poi, con le quote paritarie, diventa femmina...
Gadhia non è andata dai Procuratori, Orcel evidentemente (ancora) non ha nemici, è andata al “Financial Times”, ma è lo stesso: il potere è del blocco Procure-media.
Però, sempre il potere è maschile in agguato, dei Procuratori.
 
Scalfari calabrese
Di Eugenio Scalfari molto c’è ancora da dire. Del suo appassionato cinismo, un ossimoro inevitabile, perché vero. Non cattivo, giocoso, e soprattutto “naturale”, istintivo. Distintivo della “calabresità”. Mediata dal padre, probabilmente, e dai due o tre anni che passò a Vibo, con la famiglia del padre, notabile della città, nel primo dopoguerra. E con i nonni Capialbi, famiglia preminente, dai quali fu iniziato alla massoneria.
Poche ma grate memorie, nelle conversazioni con Gnoli e Merlo di “Grand Hotel Scalfari” e in altre opere della vecchiaia, fino a dichiararsi “calabrese”. Dell’infanzia a Sanremo, a scuola, ricordando che lo chiamavano “Napoli”. Perché di padre calabrese, ancorché di vocazione “continentale”, “parigina”, quale era della borghesia meridionale Fine Secolo-inizio Novecento: Pietro Scalfari finì per dirigere il Casino di Sanremo, aperto da Mussolini, dopo aver perso tutto al gioco, dopo Fiume con D’Annunzio, e dopo un paio d’anni al fronte, medaglia di bronzo nella Grande Guerra – da cui il fratello maggiore, medaglia d’argento, uscì tanto menomato da arrivare presto al suicidio. 
Calabrese si può dire per la peculiare diffidenza della politica. Lui diceva dei partiti ma in realtà della politica. Un gioco senza le fiches, nessun capitale immobilizzato, da battitore libero – in cui non si perde. Vissuto con leggerezza, da “zannella” dice il dialetto, rinviando agli antichi “zanni”, da giocherelloni. In vecchiaia lo dice lui stesso allegramente, di essere stato fascista, antifascista, liberale e radicale, socialista e antisocialista, anticomunista e comunista. Solo democristiano precisando di non essere stato, ma sempre beffardo: la campagna antisocialista fece per De Mita prima che per Berlinguer, per le banche di De Mita, le banche pubbliche, di Napoli e di Roma.
Un capolavoro, di questo speciale aspetto calabrese, fu il suo peculiare tardo “comunismo”, nella forma del berlinguerismo. Dell’erotismo, come diceva, di Berlinguer. Mentre girava per il giornale sghignazzando che “i comunisti non hanno ancora scoperto il tasso di sconto”, la potenza di Baffi dopo Carli, della Banca d’Italia, della politica monetaria.
(continua)


Sud manomorta
“Un sistema che ha prodotto una gigantesca manomorta pubblica, in assenza di qualsiasi capacità gestionale”, Alessandro Barbano può dire in “L’Inganno” la normativa e la pratica delle “misure di prevenzione” del crimine, sequestri e confische. Ai danni del Sud com’è ovvio, essendo le “misure di prevenzione”, amministrative, prefettizie, di polizia, slegate da un giudizio di colpevolezza, legate alla “mafia”: è il Sud che è mafioso, variamente ma interamente.
Manomorta è in gergo giuridico – era – l’insieme di immobili (terreni e7 fabbricati, con coltivazioni, impianti di trasformazione, macchinari, depositi, e ogni altra fonte di reddito) in proprietà a soggetti privati, inalienabili e insieme esentasse. Secondo un istituto giuridico di origine longobarda. Una sorta di dotazione a fin di bene.
L‘appropriazione della manomorta, a più riprese, dello Stato sabaudo e poi ita.liano, fu all’origine della borghesia italiana. Della sua parte improdutitva, che la connota, seppure non ne è la parte maggiore: notabilare, petulante, e un po’ mafiosa, anch’essa. Lo Stato nazionalizzò la manomorta, e la cedette, praticamente gratis, agli amici e agli amici degli amici. Nacque così la borghesia improduttiva caratteristicamente italiana, il notabilato.
Ma tutto questo avvenne soprattuto al Sud. Fu a Napoli, come già denunciava nel 1862 Pasquale Villari, e in Sicilia che la manomorta ecclesiastica fu confidata alle persone di fiducia, non necessariamente massone – Napoli lasciando, spiegava Villari, senza alcuna assistenza pubblica, che la manomorta eccelesistica assicurava, in qualche misura. Da qui l’origine della speciale borghesia meridionale, per lo più notabilare e improduttiva – e senza stamina contro i facinorosi e i violenti, i mafiosi, anzi singolarmente mite. Lo stesso si può dire, dalle cifre che Barbano accumula, e dai test-case che racconta, ora. Lo Stato toglie alla borghesia produttiva, accusandola di mafia, per salassare le aziende a vantaggio di amministratori giudiziari anche poco capaci ma molto amici, dei tribunali delle misure di prevenzione.
 
Assistenza sociale alla mafia
Graziella Crialesi lascia la Calabria, dove è nata e cresciuta, per non sottostare al maschilismo, al familismo. Va in Emilia, dove diventa campionessa italiana di sollevamento pesi e sposa uno che poi la picchia.
Ma non è la sola lezione della sua vita. Vedova del terzo marito, si trasferisce a Roma con l’ultimo figlio e rileva un bar. Lo rileva a Cinecittà Est, uno stradone prospiciente la Romanina, il quartiere dove i Casamonica sono padroni, i mafiosi rom.
È un locale che paga poco, probabilmente, uno spazio commerciale a livello strada, ricavato però tra due appartamenti. Uno a destra e uno a sinistra, assegnati dal Comune, dall’assistenza sociale, a donne sole con bambini. Assegnatarie che ospitano quantità numerose di persone. Meglio per il locale? No, perché la fauna che i due appartamenti “sociali” ospitano si serve voluttuosa al bar, pretende di non pagare, e di utilizzarne il bagno per fare le dosi, da vendere poi poco lontano.
Le prime donne che entrano vogliono, per saggiare la nuova gestione, caramelle e tè, gratis. Graziella dice no. Insulti, calci, strattoni, ma Graziella è ancora forte e si difende.
Uomini in attesa delle due donne osservano dall’altro lato della strada. Non intervengono perché Graziella intanto ha chiamato il 112. Ma sputano, giurano che bruceranno il locale, sghignazzano che Graziella non sa con chi a che fare, con i Casamonica.
Non è la prima volta dei Casamonica naturalmente, sono lì da tre generazioni almeno, se non quattro. Tra furti, droga e usura. In un’area della capitale grande più di qualsiasi città della Calabria.  Noti a tutti. Ricchi sfondati, di supercar, ville e ori. Privilegiati dall’assistenza comunale. Com’è possibile?
P.S. Pignatone, Prestipino, Lo Voi, i giudici palermitani che la “linea della palma” di Sciascia hanno portato su fino a Roma, i tre ultimi Procuratori Capo, pensano veramente che la mafia sia solo siciliana?
 
Napoli
Si celebra sempre molto, a opera di comici, cananti, registi, ma non più per la cultura, che ebbe di prim’ordine – in Italia poi, da sempre patrimonio dell’umanità. Sappiamo sempre molto dello stento illuminismo milanese, ma poco e niente di quello florido napoletano, Vico, Genovesi, Galiani, Filangieri, la lista sarebbe interminabile. O la musica, operistica e non. O l’Ottocento filosofico, che tanto contruibuì al rinnovamento dell’idea d’Italia: si celebra molto la (piccola) modernizzazione agricola introdtta da Cavour in Piemonte e nulla di Hegel in Italia, di De Sanctis e Spaventa, e più giù, fino a Labriola, Croce, Gentile, alla mediazione di Marx.
 
Si ricorda l’economista Palomba in età avanzata, a fine anni 1980, quando si discuteva di deindustrializzare Napoli, partendo dall’acciaieria. Scandalizzato dalla “supeficialità” con cui si poneva la questione. “Pensano di far vivere i napoletani con le pizze e i gelati”, commentava sconsolato, dei tanti discorsi che la città faceva sul passaggio a un’economia di servizi.
 
L'acciaieria, impianto pubblico, di Stato, era stata rinnovata nel 1985 con un investimento di 1.200 miliardi di lire. Nel 1989 fu deciso di dismetterla, e gli impianti furono svenduti per 20 miliardi alla Cina e all’India. Ma di questo Napoli non ha colpa, solo delle chiacchiere. Che ancora si fanno sui resti dell’acciaieria.
 
Curiosamente credono nella città – ne hanno convenienza – il business della moda, milanese, per l’arte incomparabile del lavoro à façon (che la “Gomorra” frimata Saviano ridocolizza), l’ex Fiat ora Stellantis, e ancora i grandi gruppi pubblici, seppure sempre meno, Finmeccanica-Leonardo, Fincantieri.
 
Si sono dimenticati Spaventa e De Sanctis totalmente anche per le celebrazioni del centocinquantenario dell’unità, a Napoli e altrove. L’ultimo ricordo dell’introduzione di Hegel e di Marx in Italia risale, scrive Fernanda Gallo, “Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento”, a Eugenio Garin: “Se una cosa deve dirsi dell’hegelismo italiano, e non solo dell’Ottocento, è che non si è trattato mai di un fatto accademico. Il nome di Hegel in Italia è indissolubilmente legato ai grandi eventi della storia, sia che si tratti dell’opera degli Spaventa e di De Sanctis nel Risorgimento, o di Antonio Labriola nelle battaglie socialiste; sia che si pensi alle “riforme” della dialettica hegeliana di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, o all’Hegel “romantico e mistico” fra le due guerre, o alla discussione del rapporto Hegel-Marx dopo la seconda guerra mondiale. Proprio perché non neutrale né accademica, la “presenza” di Hegel in Italia è stata varia secondo i momenti: diverse le vie di accesso, diverse le opere “tradotte”, discusse, assimilate”.
 
Gallo insegna all’università della Svizzera Italiana a alla Queen Mary di Londra. Garin scriveva nel 1972, “L’opera e l’eredità di Hegel”, quando Laterza ancora se ne occupava.
 
“Napoli” – si censura troppo Malaparte, nel caso “La pelle”: è uno dei pochi italiani che conosceva le lingue e più culture, aveva anche viaggiato - “è la più misteriosa città d’Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. È la sola città del mondo che non è affondata nell’immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una città che non è mai stata sepolta. Non è una città: è un mondo”.
Città di mare e di altura, come si sarebbe poi provato a fare per i grandi scali marittimi, a difesa dai malintenzionati, Amalfi, Genova – a differenza di Pisa, Marsiglia, Venezia.
 
Si eclissa nelle memorie dei viaggiatori dell’Ottocento, già prima dell’unità, in favore di Ercolano, Pompei, Capri, Sorrento. Risorge nel Novecento, in controluce della nascente “questione meridionale”, del Risorgimento “incompiuto” o “tradito”. Napoli è la “questione”.
 
Vive da tempo nel Pallone, molto prima del tifo quest’anno, e di Maradona. La notizia della riconquista di Napoli da parte del cardinale Ruffo, il 13 giugno 1799, arrivò a Ferdinando IV in esilio a Palermo mentre assisteva a una partita di pallone. Lo annota lui stesso nel “Diario segreto”: “Alle sei andato con i miei soliti a vedere giuocare al pallone fuori la porta di Craste, dove la partita è stata buona ed il concorso grande. Ricevuto la consolante notizia di esser entrati i realisti in Napoli”. La “notizia” viene dopo, solo “consolante”.

leuzzi@antiit.eu

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