sabato 11 marzo 2023

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (518)

Giuseppe Leuzzi

“In Germania soffia il vento dello scisma”, avverte Filippo Di Giacomo sul “Venerdì di Repubblica”, l’ennesimo: “È probabile che la potente Chiesa tedesca”, chiesa cattolica, “inizierà a praticare su di sé quella sorta di eutanasia che ha cancellato il cattolicesimo (e il cristianesimo) da Olanda, Belgio, Svizzera, Lussemburgo e altre terre cattoliche del Nord Europa”. C’è una frattura Nord-Sud, perlomeno in Europa, anche in materia di fede: la chiesa cattolica sta a Roma e in fondo Gesù è un ebreo. Altre ragioni, teologiche o canoniche, per lo scisma non se ne vedono.


“Nelle prime due settimane eravamo tutti al buio”, dice l’infettivologo Bassetti, e con lui un po’ tutti gli specialisti di malattie infettive, sui primi casi di covid in Lombardia. Non è vero. Non si sapeva cos’era, esattamente, ma sì che era molto infettivo e pericoloso. Il 12 febbraio l’epidemiologo Merler, della fondazione Bruno Kessler di Trento, aveva calcolato matematicamente fino a 100 mila morti senza una chiusura immediata – i morti sono stati più di 100 mila. C’erano già stati i primi casi, una coppia di cinesi a Roma, e alcuni italiani di ritorno dalla Cina posti in quarantena nelle caserme della Cecchignola a Roma. Il 21 febbraio i primi decessi in Veneto e in Lombardia. Senza che si prendessero misure drastiche. E il dubbio ritorna di cosa sarebbe successo – con quanta decisione si sarebbe agito – se i primi casi si fossero manifestati a Napoli.


Spatuzza santo subito
Si celebra la libertà per Spatuzza, il killer di mafia di molte decine di persone, e di alcune stragi, un “pentito”, o “collaboratore di giustizia”, specialmente apprezzato dai giudici di Palermo perché ha consentito la condanna di Dell’Utri – non gli è riuscito con Berlusconi, ma ci ha provato in più modi. Esce circondato dalla fama di teologo. Benedetto anche da Franco Puglisi, un fratello di don Pino Puglisi, il parroco di San Gaetano al quartiere Brancaccio di Palermo, che Spatuzza uccise nel settembre 1993, in uno dei suoi ultimi, meno motivati e più efferati, delitti. Sarà catturato nel 1997. Non prima di avere organizzato le stragi di Firenze e Milano e l’attentato di Roma al Velabro – nonché, l’anno prima dell’assassinio di don Puglisi, della strage di via D’Amelio, contro il giudice Borsellino e la scorta. Si è “pentito” undici anni dopo l’arresto. 
In effetti, non è un evento da niente: il pentimento, le accuse e la telogia segnano un’epoca. Che però va ricordata nei suoi veri aspetti, che i media sembrano avere dimenticato. Questo sito ha avuto occasione di occuparsene più volte. Non servono aggiornamenti, basta una prima analisi, in forma di recensione della sociologa Alessandra Dino, dei suoi colloqui con Spatuzza in carcere:
http://www.antiit.com/2016/09/spatuzza-santo-subito-dei-killer.html


Spatuzza non ha niente da dire che non abbia detto. E sempre si lamenta povero e abbandonato – come tutti, primo Ottocento (già Dickens ne sa di più).
Non si capisce la ratio di questo libro. Non è nemmeno il solito sermone anti-Berlusconi, di quelli che si scrivono, si scrivevano, per uscire su “la Repubblica” o “l’Espresso” – il rito degli autori della “resistenza”. Berlusconi viene abbondante quarto nelle citazioni – dal suo nome Spatuzza non si aspetta più nulla? Qui si parla soprattutto dei tre Graviano, i padri-padroni del killer. Del quale non c’è una piega di condanna, solo comprensione – “misericordia”?
Ben nove incontri tra la studiosa e il killer. Dino dice che sono avvenuti nel mezzo di un periodo “di grande sofferenza”, poteva almeno risparmiarsi Spatuzza. E le venerabili edizioni del Mulino? Dov’è finita la sociologia?
 “Un racconto di vita una storia di stragi” è il sottotitolo. Di stragi, s’intuisce naturalmente, a opera dello Stato, con o senza Berlusconi, di vita invece di Spatuzza. E di vita del centinaio di persone da lui uccise, molte delle quali non erano nemmeno mafiose? Una testimonianza “pulsante”, dice la studiosa. Di che?
Di Spatuzza, il centokiller, valga quello che si scriveva su questo sito il 7 dicembre 2009:
http://www.antiit.com/2009/12/sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-49.html
“Il corteo palermitano a Torino in onore di Spatuzza è una coppa del mondo data vinta alla mafia, alla mafia mafiosa degli Spatuzza e dei Graviano, i killer e i boss. Un mago del marketing mafioso non avrebbe saputo inventare di meglio. E tutto gratis, a spese dello Stato, cioè degli onesti. La Corte d’Assise d’Appello, completa di giuria, che viaggia da Palermo a Torino per ascoltare il gran pentito Spatuzza, alla presenza di duecento giornalisti, che c’entra con la mafia? Che c’entra con il Sud? È una guerra tra De Benedetti e Berlusconi, tra Bazoli e Berlusconi, cui i giudici si prestano proni per loro particolari ragioni, e anzi in contrasto con i loro doveri istituzionali. Una scaramuccia in realtà, lupo non mangia lupo: non ci libereremo di Berlusconi, il padrone dei nostri voti, né di De Benedetti o Bazoli, i padroni della nostra opinione e dei nostri soldi.
“Spatuzza è un killer brutto quanto spietato, l’emblema anche fisico della stupidità assassina. Lo proteggono venti agenti addetti alla sua protezione personale, venticinque agenti in vario modo incaricati del trasporto, e settanta tra poliziotti e carabinieri addetti alla sorveglianza…
Uno che denunciasse un sopruso di mafia, un danneggiamento, un’estorsione, Libero Grassi per esempio, non avrebbe, non ha mai avuto, neanche un millesimo di questa sollecitudine. Bisogna arguirne che lo Stato è mafioso? No.
“Il pentito Spatuzza è un caso abnorme. Uno che da tempo studia teologia in carcere, ma “si ricorda” dopo quindici anni. E dopo che da ben sette anni i suoi (ex?) capi mafiosi gli chiedono di ricordare. Capi in isolamento, che però lo possono incontrare nel supercarcere di Tolmezzo, per distesi dialoghi – Spatuzza è uno che è lento a capire.
“Ma più del colloquio boss-killer a Tolmezzo, è mafiosissimo il colloquio tra Procuratore e boss, il giudice Alessandro Crini e uno dei fratelli Graviano, Filippo, a proposito del convitato di pietra Berlusconi, qui riportato nella redazione del “Corriere della sera” del 29 novembre: http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_29/pm-domande-spatuzza-berlusconi-bianconi_c286a9a4-dcbf-11de-8223-00144f02aabc.shtml
Procuratore: «Con lei si parla bene, un italiano consapevole, queste cose le capisce al volo... Noi pensiamo che Spatuzza abbia capito bene, e pensiamo che lei si sia difeso molto bene, con un’interpretazione molto saggia, che però secondo noi non è quella giusta».
Graviano risponde che lui non dice bugie; semmai non dice. E ribadisce di «non avere cognizione, né diretta né indiretta, di questi impegni, accordi, o come si possono chiamare; ma quella risposta articolata che vi ho dato è per aprirvi un sentiero, diciamo... ».
“Pier Luigi Vigna è il giudice fiorentino che è stato a capo della Procura nazionale antimafia. Al “Corriere della sera” del 29 novembre ricorda di avere incontrato un paio di volte Spatuzza, “nel 1999 o nel 2000”. Lo ricorda “intenso”, e “assai tormentato”. Un killer di mafia, autore di almeno cento assassinii. Sotto l’incubo del 41 bis. E uno dice: chi ci protegge? Non dai mafiosi.
“Spatuzza in carcere diventa teologo. Un killer volpino (il tipo qui lo dico, qui lo nego) nella foto dell’arresto. Il suo boss Graviano diventa economista. Tutti con buoni voti. Bene assistiti dai tutor. È il carcere una buona università, o viceversa?
“La storia dei pentiti è tutta disonorevole. Il pentito negli Usa si deve pentire “tutto insieme”: deve dire tutto quello che sa, dopo essersi preparato, a tutti gli inquirenti che possano essere interessati alle sue confessioni, magistrati o poliziotti. Non all’orecchio di questo o quell’inquirente, magari suo sodale. Non a rate. Il nemico, seppure retribuito, in America è sempre un criminale. Roba da sbirri, che sempre hanno avuto da fare con confidenti e mezzani. Solo nella giustizia italiana diventano martiri, per sbugiardare la giustizia.
“Buscetta, a parlarci, era un evidente bugiardo. E tuttavia scrittori molto apprezzati e molto pieni della propria onestà, Biagi, Bocca, i sicilianisti, ne hanno fatto un monumento: di correttezza, onestà, coraggio. Un criminale che ha vissuto magnificamente metà della sua vita, protetto come un capo di Stato e con lauti rimborsi spese. Era pronto anche a chiamare in causa Andreotti, dopo avere negato questo favore a Falcone, quando i nuovi procuratori ebbero bisogno della sua collaborazione”.
Alessandra Dino,
A colloquio con Gaspare Spatuzza, Il Mulino, pp. 312 € 20


La magistratura imprenditrice
Quarant’anni fa, nel 1983, Arlacchi scoprì la “mafia imprenditrice”. In chiave weberiana, sottotitolo “L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo”, ma sulla scia delle indagini del Procuratore (allora) di Palmi Cordova, che se fosse vissuto sarebbe sicuramente stato il ministro della Giustizia del governo Meloni, il “suo” governo. E sulla strada contemporaneamente aperta a Palermo da Falcone, col mega processo. 
Barbano nel 2023 scopre la “magistratura imprenditrice”? Con eguale successo è da dubitare – tutti vogliamo i giudici dalla nostra parte. Ma i presupposti non gli difettano: le “mille e una” confische di beni mafiosi o presunti tali. Senza un giudizio. Con affidamento diretto a curatori giudiziari, molto ben remunerati, di propria fiducia. Di fiducia dei giudici. Senza dover rendere conto a niente e nessuno. Nemmeno alle regole basiche della buona gestione, del “buon padre di famiglia” – 9,8 beni su dieci confiscati vengono liquidati, messi in liquidazione.
Una procedura ormai, la confisca, del tutto irrituale, non codificata, discrezionale dell’autorità amministrativa (di polizia). Per modalità che Barbano ben precisa. “La prima garanzia”, procedurale, legale, “a cadere è stata l’indizio della illiceità della ricchezza, cioè la sperequazione tra il valore dei beni posseduti e i redditi dichiarati”: non è più necessario che sia “notevole”, come la legge La Torra precisava - “nel 1993, dopo le stragi di mafia, una riforma abroga l’aggettivo”. 
“La seconda garanzia abrogata è quella che subordinava la confisca a un giudizio di pericolosità qualificata della persona, cioè riferibile all’appartenenza alla mafia, e all’applicazione preventiva di una misura di prevenzione personale”, del carcere: “Dal 2008 la confisca diventa indipendente da questi due paletti”. 
Senza notare che molte confische, decise in via amministrativa, in via giudiziaria poi vengono abrogate, e i beni restituiti. Magari distrutti. Come il Café de Paris a Via Veneto, col ristorante cinque stelle George’s e il gigantesco caffè California in via Bissolati, che faceva il pasto di mezzogiorno per gli impiegati delle linee aeree, centinaia di coperti - con altri 100 beni, immobili e mobili - a Vincenzo Alvaro, degli Alvaro di Sinopoli, che fanno le cronache da una settantina d’anni ormai. Magari vengono restituiti a una famiglia sicuramente mafiosa. O, viceversa, si procede contro incensurati, fino agli eredi, figli, nipoti, che verranno poi, se giudicati, anche dopo decenni, riconosciuti innocenti. Sequestri e confische si possono fare a volontà. 
Ora, tutto si può fare, giustificato. Ma non se è un business. Fine a se stesso. Gli arresti e le confische sono talmente numerose che uno si chiede: è possibile? Per poi scoprire che non bastano mai: più arresti (la retate mattutine sono passate dalla trentina al centinaio) e più confische, e la malvivenza c’è sempre.  
In “Fuori l’Italia dal Sud”, 1992, deprecavamo i sequestri di beni non assortiti da confische – i sequestri che poi finivano in restituzione. Poi le confische sono state generalizzate, e anzi decise in via preventiva, come “misure di prevenzione”, prima ancora di un giudizio di colpevolezza. Senza giusto mezzo. Creando anzi l’effetto opposto, di impoverire gente onesta, e imprenditrice, e di arricchire impropriamente la Funzione Pubblica. Una presunta Funzione Pubblica a carattere molto privatistico, e anzi di amicizia - naturalmente non mafiosa.  
P.S. – Su una cosa Barbano ha certamente ragione – la polemica qui gli viene facile: che il sequestro preventivo generi ricchezza. Il capitolo “La legge che tutti ci invidiano ma nessuno adotta” apre citando la ministra della Giustizia Cartabia alla commissione parlamentare Antimafia il 10 giugno 2021: “La gestione dei beni tolti ai criminali è considerata da tutti un patrimonio e un pilastro fondamentale, sia per la sua capacità effettiva di generare ricchezza, sia per il suo valore simbolico”. Sul primo punto, la generazione di ricchezza, comunicando simultaneamente che 94 aziende sequestrate o confiscate su 100 erano morte.


Sicilia
“È stata una persona speciale”, dice l’artista napoletana Isabella Ducrot del marito Vicky Ducrot, da cui ha preso il nome: “Proveniva da un’importante e ricca famiglia palermitana”. E poi ha un lampo di memoria, dice all’intervistatore: “Pensa che allora credevo che Palermo fosse una succursale di Napoli”, allora ai suoi trent’anni. Oggi novantenne, Isabella Ducrot lo credeva sessant’anni fa, negli anni 1960. A Milano ne avranno saputo di più.

Fu posta in stato d’assedio, l’ennesimo, il gennaio 1894, al comando di un piemontese, il generale Fossa di Lavriano, con 92 morti (almeno novantadue, nei conti di Napoleone Colajanni, il governo non li contò nemmeno), contro i Fasci dei lavoratori, le prime organizzazioni sindacali, da un siciliano, Crispi. Un mazziniano garibaldino, erede della Sinistra in Parlamento. Antesignano del fascismo, Mussolini nel 1922 pretenderà - come Sergio Romano nota nella sua biografia: per il filogermanesimo, la francofobia, e le “sentenze”, sul battesimo di sangue, l’inciviltà degli slavi, la barbarie degli abissini, la missione civilizzatrice dell’Italia. La Sicilia fa cattiva politica?

È anche vero che i 92 morti contati da Colajanni erano di prima dello stato d’assedio. Opera della “normale” azione di contrasto  della sicurezza pubblica nell’isola, rinforzata dai bersaglieri – quante ne hanno fatte i bersaglieri al Sud. 

Non ama i suoi “parrini”, pur vivendo tra parrocchie, vescovadi e feste patronali. Nella lunga composizione di storie paesane, di storie del notabilato, che poi – dopo esitazioni e proposte varie lunghe un anno – prenderà il titolo “Le parrocchie di Regalpetra”, Sciascia trascura “i preti”, come con linguaggio laico gli obietta in ultimo Donato Barbone, per conto della redazione Laterza. Sciascia rimedierà all’obiezione, Nino Caffè disegnerà una copertina di preti, e il titolo sarà infine trovato.


Solo Tomasi di Lampedusa non omette “i preti”. Ma non in veste per qualche verso simpatica, neanche lui.
Ma dei “preti” Tomasi fa come di tutto e di tutti. L’autore del “Gattopardo” è il Rutilio Namaziano della Sicilia, il “cantore malinconico della decadenza”, direbbe lo storico della decadenza Santo Mazzarino – catanese.

Mantiene una immagine, aristocratica, notabilare, non più attuale da decenni. Se non da poco meno di un secolo, dalla guerra, dalla caduta del fascismo. Basta vedere la sua classe politica. Non solo Sciascia e Tomasi nel 1955, e qualche romanziera francese di quegli anni, ancora Camilleri e Agnello Hornby, e il fortunatissimo “I leoni di Sicilia”, vi si appoggiano. Per una letteratura, tutto sommato, del rimpianto, nostalgica.

Ne fanno a meno i catanesi, vigorosi realisti, Capuana, Verga e De Roberto, e fino a Brancati.  Come se Catania fosse stata una repubblica, pianamente borghese.

“Erede di Verga, Capuana e De Roberto, Rosso di san Secondo ha offerto della Sicilia un’immagine che travalica la dimensione provinciale, come Pirandello, ha proiettato in questo ambiente la tragedia universale del vivere degli umani….”. Ne fa la rivalutazione Antonella D’Amelia (“La Russia oltreconfine”, pp. 229-338), romana, russista, che fu allieva di Ripellino, altro siciliano dimenticato. 

leuzzi@antiit.eu

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