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Dare lavoro ai vecchi
La riforma delle pensioni contro cui si protesta in Francia
si limita a innalzare l’età pensionabile da 62 a 64 anni – non a 67. Con l’obiettivo
non tanto di risparmiare sulle erogazioni dell’Inps francese quanto di “aumentare
il tasso d’impiego degli anziani”. Nell’ipotesi che sia una delle chiave per
contrastare il “declino economico”, demografico e dei “saperi” - che la Francia
ritiene di poter misurare, in rapporto alla Germania. Nell’ipotesi che si allenti
il mercato del lavoro, si migliori
la produttività, e si incrementino risparmi e consumi.
Per anziani s’intende la fascia d’età dai 55 ai 64
anni.
I numeri da cui parte la riforma francese sono di per
sé significativi. Il tasso medio europeo di occupazione di questi “anziani” è
del 60,5 per cento. Ma è a percentuali molto superiori nei apesi che funzionano
meglio: al 76,9 per cento in Svezia, 72,3 in Danimarca, 71,8 in Germania, 71,4
in Olanda. In Francia il tasso è invece basso: 55,9 per ceto – 55,8 in Spagna,
solo 53,4 in Italia, che negli anni delle “esternalizzazioni” fece falcidia di
questi “anziani”, scaricandoli sull’Inps, sullo Stato, sull’inattività
(obbligatoria per legge: niente cumulo).
Anche la spesa, però, il progetto di riforma francese
non sottovaluta. La spesa per le pensioni assorbe il 14,4 per cento del pil francese
(in Italia è ancora peggio, il 14,5 per cento). Contro una media europea molto
inferiore, l’11,3 per cento. Mentre in Germania assorbe molto meno, il 10,9 per
cento del pil – e il 10,8 in Danimarca, il 9,6 in Svezia, il 7,4 in Olanda,
paesi che pure non affamano i pensionati.
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