Deutsche Bank e i due pesi Bce
Tanto tuonò che piovve, là dove i parafulmini in teoria
erano i più solidi. Nel caso delle banche, in Germania. La Bundesbank, che impone
le politiche iperrestrittive della Banca centrale europea, non ha mai messo
ordine nelle sue banche: quelle statali, salvate quindici anni fa anche con i
soldi italiani, a suo tempo di Unicredit, ma anche le banche nazionali, Commerzbank,
malato cronico da almeno trent’anni (quando volevano rifilarla a Generali), e da
qualche anno Deutsche.
Il crollo in Borsa di Deutsche Bank non si
saprebbe attribuire a una manovra speculativa. È da anni che la massima banca
tedesca è in sofferenza, per problemi di gestione, e per troppe pratiche speculative
(tra esse la mai ricordata liquidazione dei titoli di Stato italiani, fatta trapelare
al mercato – al “Financial Times” - a luglio del 2011, insieme con valutazioni
abusive del proprio ufficio studi, che scatenò il quasi-default dell’Italia).
Senza che la vigilanza Bce evidentemente sia mai intervenuta, non in modi efficaci
– mentre faceva le bucce a Unicredit ancora a dicembre. Deutsche Bank, la quarta
o quinta più grande banca europea per attivi, capitalizza appena 18 miliardi,
un crollo di mesi e anni non di un giorno - Intesa 42
miliardi, dopo essere arrivata prima della “minicrisi” bancaria a 49, Unicredit
32, dopo essere arrivata a 40.
Non ci sono problemi per le banche europee? Sì, ci sono, e vengono da Francoforte, dove la Bce legifera. In America i problemi sono di assetti normativi, nella Ue di assetti politici.
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