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La libertà americana è dei servizi segreti
Una spy story
da camera, in due o tre ambienti, una stanza, un’automobile. Senza in effetti ambienti,
solo il buio, l’obbiettivo fissato sulle facce.
Un thriller
di serie B o C, una furbata, una sorta di recita teatrale firmata, con un nome
di richiamo, Mel Gibson – un’altra faccia, per lo più immobile. Ma un film
curioso, della mania americana del complotto. Della libertà o democrazia come complotto.
A Hollywood è un
filone, tanti i film in cui le forze del bene sono i servizi segreti. Spietati,
qui anche crudeli, e doppiogiochisti – in cui Bene e Tradimento si intrecciano.
Si direbbe che l’America si protegge mettendo le mani avanti, mettendo in conto
che la sua Bontà (Giustizia, Libertà, Generosità) possa essere tradita dagli
stessi americani. Una forma suprema d’innocentarsi, in particolare con i
servizi segreti, che – quelli americani perlomeno, Cia e Nsa – non hanno mai
fatto del bene a nessuno. Nemmeno all’America, si direbbe, che ha perso in
pochi anni quattro guerre di seguito, Afghanistan, Iraq, Libia e Siria, non per mancanza di armamento ma per non sapere nemmeno cosa andava a combattere né dove. Ma -
questa la curiosità - con esclusione totale del Resto del mondo, prima e anche dopo le quattro guerre perdute, per il quale la
buona America si batterebbe.
Qui la didascalia
ci informa che la camera di tortura è in “un paese dell’Est Europa”, che la
consente agli americani, così ci viene detto – in Belgio no, “non abbiamo licenza legale” si dice di
un rapimento di persona a Anversa. Una prefigurazione sinistra – il film è
stato girato quindici mesi fa – della guerra, con gli usi e le pratiche che
hanno portato alla guerra.
Dermot Mulroney,
Agent Game, Sky Cinema
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