skip to main |
skip to sidebar
La virtù delle parole semplici
“Il ricordo sarà
la vampa\ Che ancora lei mordeva negli occhi spenti” – antica sfida, o
condanna, del suicida ai sodali. Come il mare, uguale a se stesso, importuno:
“Le voci morte\ assomigliano al frangersi di quel mare”. Indispettita e
intenerita - Cesare Pavese ossessiona gli amici - in pochi tratti, due versi
dell’ampia produzione dello stesso Pavese, Natalia Ginzburg ne scolpisce
l’immaturità, il disadattamento come ora la psicoanalisi la chiama,
quell’introversione che preclude il mondo – “aveva un modo cauto e avaro di dare
la mano nel salutare, poche dita concesse e ritorte”.
In brevi prose
Natalia Ginzburg ribadisce la sua arte di far “parlare” le parole povere,
l’eloquio piano, quotidiano – l’“infraordinario” di Georges Perec, suggerisce
Domenico Scarpa nella lunga introduzione. Elzeviri scritti per giornali e
riviste raccolti dall’autrice nel 1962. Una raccolta editoriale, per confermare
ai critici e ai lettori la cifra di “Le voci della sera”, il primo libro
topico, “ginzburghiano”. Pronuba di “Lessico familiare” - scritto mentre
raccoglieve questi testi sparsi (sarà pubblicato l’anno successivo). Natalia
Ginzburg li chiama saggi, ma non ne hanno l’impianto né il respiro, non se li
propongono: sono divagazioni, di cose viste e vissute per lo più. Molti sono
diventati subito “classici”.
Il confino col
marito e i figli in Abruzzo nei tre anni della guerra – il rientro a Roma, dopo
l’8 settembre, nei ranghi della Resistenza, sarà ferale per il marito, Leone
Ginzburg. Con brevi note sui figli, Carlo, Andrea e Alessandra. E notazioni
sparse che si rileggono come un’antropologia dell’Abruzzo montano, povero,
isolato, a due passi dall’Aquila (con una notazione breve ma molto lusinghiera
nella prefazione, brevissima, alla riedizione 1983 della raccolta).
L’Inghilterra malinconica, altro pezzo famoso della raccolta, caratterizzata
dall’immangiabile, chiamato genericamente food, in famiglia e fuori,
sotto nomi esotici, “Le Alpi”, “Roma”, “Chez nous”. Con l’impossibiltià di
avere in tavola acqua e pane. E la conversazione, stenta e formale. Per il riserbo.
Un lunghissimo,
dettagliatissimo – quante cose non si fanno insieme in una coppia – “Lui e io”, lei è il secondo marito, Gabriele Baldini.
Il testo del
titolo, che chiude la raccolta, è smisurato, pur nella brevità, come affannato
più che conciso: tema il se e il come insegnare ai bambini il senso e il valore
del denaro. Lo stesso “Il mio mestiere”, il testo che apre la parte Seconda del
volume, dove si racconta profusa scrittrice dai primissimi anni, con capoverso lunghi pagine - uno dei primi
“saggi”, 1949. Per il resto “saggi” tutti più o meno memorabili, “Le scarpe
rotte”, “Il figlio dell’uomo”, “La maison Volpé”.
Al centro il
famoso ritratto di Pavese, “Ritratto di un amico”, sette anni dopo il suicidio:
“Il nostro amico visse nella città come un adolescente: e fino all’ultimo visse
così”. Natalia Ginzburg può dirlo con cognizione, avendo cresciuto tre figli
turbolenti, se non con problemi – spiega Scarpa nell’introduzione. Mossa da
vera pietà – la quale non vuole essere pietosa. Un ritratto di cui la chiave è
nella notazione che apre il testo centrale della raccolta, “Il figlio
dell’uomo”. “Chi di noi è stato un perseguitato non ritroverà mai la
pace”.
Natalia Ginzburg, Le
piccole virtù, Einaudi, pp. XLV + 155 € 11
Nessun commento:
Posta un commento