lunedì 20 marzo 2023

L’editoria dall’estetista

Mimando la “Storia confidenziale della letteratura italiana” di Giampaolo Dossena, prodotta quando era l’editoriale di Rizzoli, l’ex grand patron di Mondadori in epoca Leonardo Mondadori-De Benedetti-primo Berlusconi propone qui una storia che poi chiama romanzo. Scritta con brio, col passo, a tratti, del romanzo, mette in scena le figurine (padroni, manager, editoriali, editor) dell’editoria italiana del Novecento. Le note (Mondadori, Rizzoli, Bompiani, Garzanti, Einaudi) e meno note. Dell’editoria di Milano, con la coda Torino (Einaudi e Boringhieri).
Poche le pagine fuori Milano-Torino (anche Marsilio, veneziana, confluisce nella galassia milanese), sei o sette in tutto, con brevi note su Sellerio, Elido Fazi, il duo Sandro Ferri-Sandra Ozzola, il duo Repetti-Cesari, Fanucci, Daniele di Gennaro, per avere imbroccato la strada dei bestseller-longseller - Montalbano, Melissa P., Ferrante (e innumerevoli altri), Stile Libero di Einaudi (De Cataldo, Lucarelli, Ammaniti, Don Winslow, Fred Vargas), Philip K. Dick, Carver. Niente di Laterza e altri.
La parte più nuova e interessante è la fabbrica del libro, che per la prima volta diventa organizzata e non più rapsodica. Il personaggio centrale, ricorrente, del “romanzo”, oltre l’ombra del narratore, è Mario Spagnol nelle sue varie incarnazioni, “soprattutto” per essersi dedicato “con passione e senza pudore, al bestseller o, per meglio dire, alla costruzione editoriale del bestseller”. Arte che lo stesso Ferrari, s’intuisce, ha messo a punto, specialmente nella lunga direzione di Mondadori, con successi in serie strabilianti, come “Gomorra”.
“Gomorra” è un libro “nato figlio di numerosi padri e madri” (il cui successo però Ferrari lo ascrive alla ‘ndrangheta, alla carneficina di Duisburg: il libro, appena tradotto in tedesco, volò nelle classifiche estive in Germania, e Mondadori trovò facile organizzarne il rebound in Italia). L’editoria, spiega Ferrari, classicista di formazione. “ha a che fare con il parto”, etimologicamente, “di cui gli editori sarebbero le levatrici”. La questione “chi è il padre” anche qui restando incerta: subito dopo s’illustra “il caso Gomorra”, come libro d’autore ma senza mai nominare Saviano.
Un racconto attento anche alla parte industriale del libro, la copertina, la grafica, il titolo prima di tutto (Ferrari è titolista felice, anche quando non gli piace “La sera andavamo in via Veneto”, il primo Scalfari pubblicato da Berlusconi – non gli piace il titolo, assolutamente voluto da Scalfari), i motivi promozionali. In effetti, l’editori a italiana si è rivoluzionata: sa fare i conti, sa fiutare il mercato (gli umori, le tendenze), sa trovarsi il pubblico. Molto più industriale rispetto a mezzo secolo fa, quando era ancora artigianale, ma di qualche intuito, una sorta di editoria d’autore, e di poca professionalità. È la ricetta nobile dell’editoria americana che Ferrari ha imposto, del maggiore e più diversificato e più profittevole mercato librario: i libri si partoriscono, cioè “si fanno”.
“Fare i libri” con l’autore è la ricetta americana. L’editor americano non è un funzionario, è un “franco cacciatore”, si occupa di pochi libri, quattro, cinque l’anno, in simbiosi con gli autori. “Si lega all’autore e insieme a lui modifica, sposta parti e capitoli, ne inserisce di nuovi, consiglia tagli. Un lavoro lungo e paziente che può durare anni”.
Una sola indiscrezione - insomma, un po’ di pettegolezzo. È l’eredità Calvino, trasferita dalla vedova a Mondadori (Oscar e Meridiani) per una “cifra enorme”, seppure rateizzata su dieci anni. 
Un racconto sorridente ma un po' greve. Altre memorie editoriali, per esempio di Sandro Ferri di E/O, che ha imbroccato molti best-seller, ne fa un quadro meno infernale - commerciale: vi si può arrivare con la semplice lettura del testo, senza pubblicità, promozioni, affitti di spazi in librerie e vetrine, interviste, anticipazioni, soffietti, ci sono libri che da soli attraggono molti lettori. Quello che Ferrari non nota è che che non c’è più l’Autore. In questi cinquant’anni si è perduto, nella narrativa o nella poesia, ma anche nella saggistica, letteraria e non, nella storiografia, nel pensiero, di qualsiasi forma. Non si può più fare una storia della letteratura, poco danno, ma cosa resta? Già vent’anni fa Baricco si lamentava che Citati non volesse citarlo, ma ne aveva ragione? Si fa editoria come una fabbrica, di parole certo. 
Si pubblica di tutto, si fa molta pubblicità, diretta e indiretta, ci sono molti periodici librari, e si vende anche, libri e periodici, il business c’è. Che è un bene. Ma l’editoria non ha più lo spessore riflessivo che finora ha sempre proposto. Di innovazione, di acume, di autorevolezza. Va a briglia sciolta. Un  po’, con più peso ovviamente, come i social. Se non fosse scorretto, si direbbe che si è femminilizzata: un buon parrucchiere, un buon visagista, gradevole certo.  
Gian Arturo Ferrari, Storia confidenziale dell’editoria italiana, Marsilio, pp. 366 € 19


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