mercoledì 29 marzo 2023

Letture - 515

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Dante
– La “Commedia” in balletto. Ci ha lavorato il compositore inglese Thomas Adès,  col coreografo Wayne McGregor, “The Dante Project”, portato a termine nella lunga seclusione da covid, e rappresentato a Londra nell’ottobre del 2021, con la London Philarmonic Orchestra, diretta dallo stesso Adès, e il Royal Ballet, scene e costumi di Tacita Dean. Tre atti, di venticinque minuti l’uno, ispirati alle tre cantiche.
Adès scrive nel programma di avere letto la “Commedia” nell’adolescenza, nella  traduzione di Dorothy Sayers,  subendone “un effetto profondo e inquietante”, per “la sua geografia fisica”: “La profondità fisica dell’Inferno e l’altezza del Paradiso, il Purgatorio come montagna magica nell’emisfero meridionale, quindi sottosopra, quell’immaginazione sconfinata, mi hanno lasciato senza fiato”.
 
Antigone – Personaggio a forti tinte, tra violenze di ogni tipo, condanne, impiccagioni, suicidi, incesti, anche solo ipotizzati (col tempo diventato un puro nome, materia e esercitazioni di ogni tipo - specie nella cultura di “genere”, essendo donna), nasce su un terreno semplice: la pietà dei morti.  È un tema perfino ovvio, rileggendo la prima “Antigone” – riproposta anche in scena da Giovanni Greco.
 
Chateaubriand-Proust – “Chateaubriand, quel Proust di un coté Guermantes la cui grazia malinconica serbava, come di un ultimo ricordo, il gusto altero della morte” – C. Malaparte, “Il ballo al Cremlino”
 
Dante – Si drogava? Lo sostiene Barbara Reynolds, “Dante: the Poet, the Political Thinker, the Man”. La studiosa americana non ha dubbi: Dante si drogava di marijuana e mescalina.
Reynolds, morta due anni fa ultracentenaria, moglie di Lewis Thorpe, francesista, col quale scoprì e coltivò “Guido Farina, pittore di Verona”, fu italianista rinomata alla London School of Economics e poi a lungo a Cambridge. Studiosa e traduttrice di letteratura italiana, ancora in uso è il suo “Orlando Furioso”, direttrice del Cambridge Italian Dictionary.
Reynolds era figlioccia di Dorothy Sayers, che fu traduttrice di Dante. Scrisse molti saggi sulla sua madrina e ne pubblicò varie opere non del genere giallo, mentre presiedeva la Dorothy Sayers Society.
 
Si può dire giallista, perché no, del genere noir. La maggiore dantista inglese di metà Novecento è stata Dorothy Sayers, dopo T. S. Eliot (con Pound naturalmente) e C. S. Lewis, la scrittrice di gialli. Buona cattolica e traduttrice della “Commedia”, che considerava il suo miglior lavoro. La bibliografia dantesca di D. Sayers è impressionante: la traduzione delle tre cantiche e tre raccolte di saggi, “Il poeta vivente nei suoi scritti”, 1954, “Gli eredi e i predecessori”, 1957, l’anno della morte, “La poesia della ricerca e la poesia dell’affermazione”, postumo nel 1964.
Questi studi contano molto nelle università britanniche. Nessuno degli studi danteschi di D.Sayers è stato tradotto.
 
Europa – È di conio recente, ottocentesco – come luogo o culla di civiltà (da legare poi all’Occidente, nozione di cui non si aveva ancora idea). Era in antico denominazione turistica, tipo Bellavista, del mare sotto la Tracia. Quindi a lungo denominazione amministrativa dell’area a Nord della Tracia, suppergiù l’odierna Ucraina-Russia-Bielorussia. Per questo estesa fino agli Urali, confine geografico dell’area panrussa. Novecentesca è l’“idea di Europa”, come luogo di civiltà comune a molti popoli. Una ricerca-ricostruzione di Carlo Curcio – già accennata da Croce, e poi elaborata da Chabod, Febvre, Fisher.
 
Francese - Quello dei russi, dei nobili russi superstiti nel sovietismo, vecchi e poveri, nel 1929 o 1930, al mercatino delle pulci a Mosca, nello Smolenskij Boulevard, Malaparte percepisce (“Il ballo al Cremlino”) come una lingua morta, o di morti: “Suonava remoto e straniero, aveva quello stesso suono di lingua morta  che l’orecchio di un lettore moderno percepisce nel francese dei personaggi di ‘Guerra e pace’”.
 
Hitler - Non è morto? Non solo per i nostalgici, per segni manifesti, perfino intellettuali. Gian Arturo Ferrari, diventato direttore di Mondadori, punta sulla formula “argomenti bassi, trattazioni alte”, spiega nel romanzo-memoir “Storia confidenziale dell’editoria italiana”, p. 163. E tra i bassi opera “specialmente attorno ai temi legati alla Seconda guerra mondiale, al nazismo, al fascismo. Più che storia il principale mito - e in quanto mito sempre vivo – del Novecento”.
 
Lenin – Era rosso di capelli. Nella visita al mausoleo a lui dedicato nella Piazza Rossa, questo è il particolare che più incuriosisce Malaparte nel 1929 (è uno degli aneddoti de “Il ballo al Cremlino”, il romanzo incompiuto pubblicato postumo): “La barba è rossa. Nelle fotografe, la barba appare nera, e neri i baffi, i sopraccigli, i pochi capelli attorno alle tempie. In realtà, Lenin è rosso di capelli, e ha il viso bianco, sparso di lentiggini, quel viso un po’ incerto, delicato, quasi timido, che hanno i rossi di capelli”.
 
Mosé – “Tormentava” Freud – così Freud avrebbe detto a Lou Andreas Salomé (ma lui stesso vi accenna, parlando dei suoi “studi” sul monoteismo e presentandoli. Che infine lo fa, come molti, egiziano, generale o capobanda. In effetti, nei primi libri della Bibbia, più propriamente ebraici, fino a Mosè, e prima della riscrittura clericale, Dio è uno che si diverte, banchetta, furoreggia, impaziente, geloso, prepotente e anche mafioso, e ogni tanto vorrebbe sterminare pure i suoi – sarà divino ma è, come si sa, molto umano, e copia gli ebrei: c’è più letteratura che religione nella Bibbia. L’ipotesi che l’“inventore” del monoteismo sia stato a scuola dai sacerdoti egiziani è anche probabile.
Mosé sul Sinai non è mai piaciuto agli ebrei, che maledí invocando “cecità, follia, delirio” - si capisce che Dio abbia tentato di ucciderlo (lo salvò il sangue freddo di Zippora, che se lo sposò – una principessa, quindi forzatamente egiziana, oppure etiope, Zippora o Zipoora, essa pure però principessa).
La tradizione prevalente lo vuole esito di una vita molto avventurosa. Nato da una coppia di ebrei, Amram e Iochebed, scampato alla persecuzione perché la figlia del faraone lo prese appena nato con sé e lo fece educare a corte. In fuga dalla corte per avere ucciso in una lite una guardia, rifugiato nel Madian, il deserto arabico al limite col Sinai, dove sposò Zippora o Zipoora, ritornato in Egitto su chiamata ricevuta da Dio sul monte Oreb, per chiedere al faraone la liberazione del popolo d’Israele, la ottenne dopo che le dieci piaghe afflissero l’Egitto – tra esse la morte dei primogeniti.  
 
Malaparte – Curiosamente vittima dei suoi migliori amici, Longanesi e Montanelli. Montanelli cita Geno Pampaloni (“mio collaboratore e amico”), che a Malaparte  riconosceva “un alto senso di professionalità letteraria”, per aggiungere: “Che volentieri gli riconosco anch’io, ma cn molte riserve dal punto di vista dea mortalità sua, intendo soprattutto come scrittore”.  Non solo questo, Montanelli gli rimprovera anche il suo antifascismo-fascismo, benché Malaparte sia stati stato, a differenza di Montanelli (e di Longanesi) da Mussolini carcerato a Regina Coeli e poi  al confino. E ricorda una nota di Gramsci in carcere, nel 1934: “Il carattere prevalente del Suckert (nome anagrafico di Malaparte, nd.r.) è uno sfrenato arrivismo, una smisurata vanità e uno snobismo camaleontesco”. Riconoscendogli una “complessa personalità che, pur nel proprio conformismo, era anche capace d’indignazioni (o di fingerle)”.
Longanesi ne scrisse, dopo morto, “a cadavere caldo”, a Giovanni Ansaldo: “Non fu nemmeno grande stilista; era soltanto un grosso manierista, ed un fiero bugiardo. Malato di narcisismo, visse senza affetti, senza passioni, sempre davanti allo specchio. Finto toscano, credette di fare il becero: era invece un lanzichenecco, uno schiavone con segrete tendenze omosessuali. A leggere bene i suoi libri, ci si trova di fronte non a un voltairiano, com’egli amava dipingersi, ma a un crepuscolare: amava la mamma e i grand hotels”.
Le segrete tendenze omosessuali (degli schiavoni? – non c’è la virgola), e il lanzichenecco oggi condannerebbero Longanesi.
 
Narcisismo slavo – Un “tipo di narcisismo slavo” Malaparte individua nell’incompiuto romanzo della decadenza sovietica, “Il ballo al Cremlino”, “di cui è malato ogni personaggio della letteratura russa, specie di Dostoevskij, ogni eroe russo, il più umile, il più diseredato, il più ignobile, il più corrotto”. Un misto di “ambizione sfrenata”, di “supremo, insolente, e al tempo stesso pigro disprezzo per il genere umano”. Sotto il quale “una morbosa passione” coverebbe, “un doloroso rammarico per la vita libera, individualistica, dell’Occidente”.
 
Pavese – Come Nietzsche, usava proporsi (in matrimonio) alla prima donna che gli parlasse. A Tina Pizzardo, quando aveva venticinque anni (lei trentuno) e aveva già “poeta famoso”. Alle sorelle attrici Dowlings, venute da Hollywood dopo la guerra e presto rientrate. E poco prima delle sorelle a Bianca Garufi, sua compagna di stanza alla Einaudi di via Boncompagni a Roma nel 1945-46 e sua coautrice. Dopo Garufi sarebbe stata la volta di Fernanda Pivano, altra traduttrice illustre dall’inglese, specie di Hemingway - che però si attribuisce molti corteggiatori, lo stesso Hemingway. Dopo le Dowlings, sicuramente infatuato da ultimo, pochi giorni prima di darsi la morte, della diciassettenne bellissima Romilda Bollati, baronessa di Saint-Pierre – sorella di Giulio Bollati, che lavorava con Pavese da Einaudi.
Tina Pizzardo nelle memorie, “Senza pensarci due volte”, sostiene che per occultare quest’ultimo capriccio la vicenda Pavese, amori e morte, sarebbe stata falsata. “Nei giorni precedenti” la morte di Pavese, racconta, Natalia Ginzburg, con la quale condivideva la vacanza, con le relative famiglie, a Maen (di Valtournenche, in valle d’A osta), “mi aveva parlato di Pavese: «È al mare dagli Einudi ed è più matto di sempre. Si è presa una cotta per una ragazzina, sorella di un collaboratore di Einaudi». Natalia trovava che adesso era troppo: prima furori per l’americana bionda, partita questa, furori per la di lei sorella, l’americana bruna, e adesso, senza prender riposo, rifurori per una bambina («La donna venuta dal mare» cui accenna nelle ultime pagine del diario)”.
Dopo i funerali, Natalia le confiderà che, “oltre al libro con le parole che tutti sanno”, “Mestiere di vivere”, “c’era una lettera per la ragazzina, di cui si era preferito tacere” – la lettera sarà pubblicata dopo vent’anni, nell’epistolario. La conclusione è che “con l’occultamento della lettera alla ragazzina e con il libro di Lajolo (“Il vizio assurdo”. n.d.r.) ha inizio la falsificazione del personaggio Pavese”.
 
Ucraina – Controrivoluzionaria la voleva Malaparte attorno al 1949-1950, nell’abbozzo di nuovo romanzo “Il ballo al Cremlino”, prima che antirussa. Quale era stata nell’invasione tedesca, e poi nella guerra fino al 1945. Al posto di Hitler, ma nella sua attitudine, Malaparte immaginava un Trockij vincente: “Se Trockij fosse entrato in Russia, nel 1941, in quelle belle giornate tiepide dell’Ucraina (Malaparte era inviato al seguito delle truppe tedesche nell’estate del 1941, n.d.r.), “alla testa di un esercito di popi in paramenti sacri, intonanti le antiche litanie, e accompagnato da una folla di soldati e ufficiali, tutto il popolo ucraino gli sarebbe andato incontro. Perché Trockij era la controrivoluzione”.

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