L’Italia è l’India, che differenza c’è
Non ci sono rapporti
bilaterali speciali con l’India, il Paese che la presidente del consiglio
Meloni ha scelto come sua prima visita di Stato. Eccetto che per le iniziative dei residui campioni nazionali, i gruppi pubblici Leonardo, Fincantieri, Enel e Ferrovie. E per la carestia del
1965-1966, l’ultima dell’India, quando l’Italia si mobilitò, eccitata e commossa,
mandando nell’estate del 1966 le eccedenze del suo raccolto frumentario. Montagne
di sacchi che rimasero a marcire sui moli indiani, perché l’India si nutriva
quasi solo di riso – e non perché allergica al glutine.
I due Paesi sono
uniti dal culto della “antica civiltà”. In passato, un secolo fa, dalla comune
angoflobia. Ma anche, in un passato più remoto, poco meno di due secoli fa, dagli
exploits professorali cui indulgevano Carlo Cattaneo
e Carlo Marx. Pur sapendo poco, Marx, dell’Italia e entrambi niente dell’India.
“L’Indostan è un’Italia di dimensioni asiatiche”, più volte Marx informò i suoi
lettori sulla “New York Herald Tribune”, con profusione di analogie
geografiche, tettoniche, agricole, storiche, politiche. Identicamente Cattaneo,
che scese nei particolari: “La penisola indostanica rammenta l’Italia.
Anch’essa ha le sue Alpi: anch’essa protende fra due mari una catena di
Appennini; l’indole fluviale del Gange simiglia a quella del Po; il Bramaputra
raffigura l’Adige; la Nerbudda l’Arno; l’Indo gira intorno alli Imalai come il
Rodano alle Alpi; l’altipiano del Seichi e di Casmira potrebbe compararsi a
quello dell’Elvezia”. E così via: “Quello dei Rageputi al Piemonte, le campagna
d’Agra e di Benares alla Lombardia, la laguna veneta al Bengala, i monti dei
Maratti alla Liguria e all’Etruria, le lande del Coromandel al tavoliere
dell’Apulia, il Malabar alle riviere della Calabria, e l’isola di Ceilan, se
non giacesse verso levante, alla Sicilia”.
Un’ultima corrispondenza
avrebbe fatto sussultare Cattaneo, se non Marx: le intercettazioni. “L’India è
il paradiso delle persone che origliano”, stigmatizza il giustiziere di “I sei
sospetti”, il classico del giallista indiano Vikas Swarup - un giustiziere che di
mestiere fa l’intercettatore. E la corruzione anche – ma questa non è pratica
difficile.
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