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Mussolini franò con l'imperialismo - di cui pure sapeva tutto
Giunta al dodicesimo
volume, su quattordici, la storia del fascismo scopre la politica estera, che
fu il campo di maggiore interesse di Mussolini, e il più attivo, anche con
qualche merito. Nello spirito dell’imperialismo, lo spirito dell’Otto-Novecento,
per cui l'Italia si era anche svenata, fino alla guerra di Libia. Ma di una
politica nazionale che non può fare a meno di un ancoraggio solido, e
rispettato, all’estero.
Con molta intelligenza.
Su Hitler fino a fine 1938. O sugli Stati Uniti, sull’imperialismo liberatore,
pur sempre missionario – il “fardello” di volta in volta dell’uomo bianco, dell’Occidente,
dei diritti umani. Il 1° gennaio 1919, a guerra appena finita, sapeva già: “L’imperialsimo
non è, come si crede, necessariamente aristocratico e militarista. Può essere
democratico, pacifico, economico, spirituale. In un certo senso, il presidente
Wilson – e non è difficile dimostrarlo – è il più grande e il più fortunato
degli imperialisti”.
Ma è sul fronte esterno,
della proiezione internazionale, che Mussolini ha poi fallito. Non ha calcolato
bene la potenza degli “anglossassoni”, che pure conosceva. E si è ingannato
sulla potenza di Hitler, di cui pure non si fidava, scopertamente fino al 1938.
Il 29-30 settembre si adoperò a Monaco per contenerne l’avidità. Subito dopo si tradì,
tradì se stesso, per voler fare l’ideologo: il 6 ottobre impegnava
il Gran Consiglio del fascismo, che pure era un organismo “suo”, in una maratona di ben
trenta ore per farsi approvare le leggi razziali, talmente erano assurde.
Emilio Gentile, Storia
del fascismo – 12. La via dell’impero, la Repubblica, pp.150, ill. € 14,90
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