Tragedia a Milano, tra mafie d'importazione
Un poliziotto va
in pensione, dopo 35 anni di onorato servizio, eccetera eccetera, e una festicciola
a sorpresa gli è stata preparata dalla moglie intraprendente, ma sarà una notte dell’ultimo
giorno di delitti e pene, molti delitti e molte pene. Tutto per avere sempre
considerato di famiglia un cugino della moglie, che per non lavorare fa di
tutto, truffe, prostituzione, contrabbando, con le mafie nigeriane, e con quelle
cinesi.
Giallo, noir,
splatter, azione, film d’autore, di varie raffinatezze, e filmaccio di
serie B, di poche scene, di ambienti circoscritti. Per due ore di assoluta
tensione. A partire dal preliminare sorvolo di Milano in notturna, una città
quasi viva, quasi calda, illuminata, per alcuni minuti – una panoramica che
resterà nella storia della città. Scandite poi da un vernacolare calabro-lucano,
più adatto a una storia di vincoli parentali sempre pronubi di sventure, intervallato
da po’ di cinese.
Di Stefano, regista
romano ma di formazione anglo-americana, soggettista e sceneggiatore dei film
che dirige, esperto di suspense in ogni sua forma (“Escobar”, “The Informer”
sono i suoi precedenti titoli – da regista, è anche attore molto gettonato, in
una ventina di film, una decina di serie tv), si rifà, anche nell’inverosimiglianza,
a Quentin TarantinoQq, ormai
saldo presidiatore della miscela di generi all’insegna della violenza.
L’inverosimiglianza
della trama è retta, più che da Favino-Amore, che recita se stesso, da Paola
Caridi, attrice milanese (sì, ma prima?), allieva del “Paolo Grassi”, che tiene
su una moglie-madre calabrese che non la cede a niente e a nessuno. Una ben diversa
“donna del Sud”, più rispondente al reale. Doppiata dal cugino delinquente,
altrettanto incomprimibile ma dalla parte sbagliata della vita, dell’arricchirsi
a danno degli altri – un Antonio Gerardi gonfiato come un pallone. Con la curiosa
adozione, da parte di Di Stefano, di una sorta di canone nel filmare scene di
famiglie calabresi, con obiettivo stretto e strettissimo, quasi addosso ai
visi, e con personaggi femminili, giovani e meno giovani, veloci e ultimativi: quello
di Jonas Carpignano, lo specialista newyorchese quasi antropologo della Piana
di Gioia Tauro, dove ha piantato la cinepresa, regista di “Mediterranea”, “A
ciambra “ e “A Chiara” - ma già nel cortometraggio di dodici anni fa “A Chjana”,
la Piana appunto del suo territorio.
Andrea di Stefano,
L’ultima notte d’Amore
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