venerdì 24 marzo 2023

Tragedia a Milano, tra mafie d'importazione

Un poliziotto va in pensione, dopo 35 anni di onorato servizio, eccetera eccetera, e una festicciola a sorpresa gli è stata preparata dalla moglie intraprendente, ma sarà una notte dell’ultimo giorno di delitti e pene, molti delitti e molte pene. Tutto per avere sempre considerato di famiglia un cugino della moglie, che per non lavorare fa di tutto, truffe, prostituzione, contrabbando, con le mafie nigeriane, e con quelle cinesi.  
Giallo, noir, splatter, azione, film d’autore, di varie raffinatezze, e filmaccio di serie B, di poche scene, di ambienti circoscritti. Per due ore di assoluta tensione. A partire dal preliminare sorvolo di Milano in notturna, una città quasi viva, quasi calda, illuminata, per alcuni minuti – una panoramica che resterà nella storia della città. Scandite poi da un vernacolare calabro-lucano, più adatto a una storia di vincoli parentali sempre pronubi di sventure, intervallato da po’ di cinese.
Di Stefano, regista romano ma di formazione anglo-americana, soggettista e sceneggiatore dei film che dirige, esperto di suspense in ogni sua forma (“Escobar”, “The Informer” sono i suoi precedenti titoli – da regista, è anche attore molto gettonato, in una ventina di film, una decina di serie tv), si rifà, anche nell’inverosimiglianza, a Quentin TarantinoQq, ormai saldo presidiatore della miscela di generi all’insegna della violenza.
L’inverosimiglianza della trama è retta, più che da Favino-Amore, che recita se stesso, da Paola Caridi, attrice milanese (sì, ma prima?), allieva del “Paolo Grassi”, che tiene su una moglie-madre calabrese che non la cede a niente e a nessuno. Una ben diversa “donna del Sud”, più rispondente al reale. Doppiata dal cugino delinquente, altrettanto incomprimibile ma dalla parte sbagliata della vita, dell’arricchirsi a danno degli altri – un Antonio Gerardi gonfiato come un pallone. Con la curiosa adozione, da parte di Di Stefano, di una sorta di canone nel filmare scene di famiglie calabresi, con obiettivo stretto e strettissimo, quasi addosso ai visi, e con personaggi femminili, giovani e meno giovani, veloci e ultimativi: quello di Jonas Carpignano, lo specialista newyorchese quasi antropologo della Piana di Gioia Tauro, dove ha piantato la cinepresa, regista di “Mediterranea”, “A ciambra “ e “A Chiara” - ma già nel cortometraggio di dodici anni fa “A Chjana”, la Piana appunto del suo territorio.   
Andrea di Stefano,
L’ultima notte d’Amore

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