Gli artisti fascisti, e non
Più che del
consenso di massa, del popolino, questo capitolo finale della storia di Gentile
evidenzia indirettamente il consenso di una vasta fascia intellettuale. Anche
di nomn fascisti, anzi specie di non fascisti: urbanisti, architetti, grafici,
registi di cinema, autori e registi di teatro. Per quel tratto di novità che negli
anni 1920 e 1930 il regime favorì e finanziò.
Il progetto
corporativo nacque morto, si può dire. Ci sono scioperi, per ilcrac del 1929 e
dopo, protestano le donne, a vario titolo, la corporazione si riduce
all’assistenzialismo, scuole reali, colonie marine, sostegni alla demografia. Mentre
gli anni si rivelano fertili per una sorta di illuminato (aperto) dirigismo
artistico.
Lo storico si sofferma
su Roma, ma molto si fece nell’urbanistica e l’architettura altrove. Nelle città
lombarde, Brescia soprattutto, in Romagna, nelle ex paludi pontine, e molto si
costruì, con indirizzo modernista, case del fascio e scuole elementari, asili, municipi,
nei paesi.
Alla Mostra della
Rivoluzione Fascista, per il decennale della presa del potere, a Roma nel 1932,
“collaborarono i maggiori artisti italiani del tempo, con Enrico Prampolini,
Giuseppe Terragni, Leo Longanesi, Antonio Valente, Achille Funi, Domenico
Rambelli, Mino Maccari, Marino Marini” e Sironi. Roma, per il bene e per il male,
ebbe un primo assetto urbanistico moderno, con l’apertura di alcune vie di
comunicazione nel centro storico – la più importante, e più discussa, quella
dei Fori Imperiali. “Era dai tempi dei grandi pontefici costruttori come Giulio
II”, scrive Gentile, “che non si radunavano a Roma tanti talenti di artisti e
architetti, molti dei quali giovani, chiamati dal duce a compiere trasformazioni
urbanistiche e a innalzare costruzioni ornamentali”. Erano “creatori e interpreti
dei miti totalitari del fascismo quanto lo era Mussolini, e forse, per mlti
aspetti, lo erano molto più del duce stesso” – l’artista ha una sola visione,
si sa, la sua: “Erano i più originali architetti e artisti dell’epoca, dal più
anziano classicheggiante Marcello Piacentini, potente e prolifico architetto
del duce, ai giovani modenisti Enrico Del Debbio, Gaetano Minnucci, Giuseppe
Pagano, Mario De Renzi, Adalberto Libera, Mario Ridolfi, Luigi Moretti”.
Si conclude una storia
del fascismo come movimento, dalla guerra civile agli anni del consenso. Senza
l’impero, l’isolamento (le sanzioni), l’Asse e la guerra. Un movimento
mussoliniano, un partito del capo, ma mirato al consenso, in queso senso
politico, ad ampio spettro. Un approccio originale. Ma mirato soprattutto a penerare
i pregiudizi, i giudizi somari. Dall’anonimo antifascista che nel 1944
pubblicava l’opuscolo “Il fascismo non è mai esistito”, dice Gentile nellanora
editoriale all’edizione originale Laterza, all’“illustre intelletuale antifascista”
che nel 1994 dichiarava “il fascismo è eterno” – Umberto Eco? nel 1995.
Emilio Gentile, Storia
del fascismo – 14. Masse e regime, pp. 156, ill. € 14,90
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