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Il sovietismo ballava sul vulcano già nel 1929
Il ballo della nomenklatura
bolscevica, gonfia di grassi e di mogli, principesse, ballerine, attrici,
Malaparte apre, attorno al 1950, nel tratto ormai suo proprio, dopo “Kaputt” e “La
pelle”, oggettivo e feroce, surreale-espressionista. Il “ballo” di una
borghesia di Stato, già corrotta, sul quale vigila già un baffuto muto Stalin. Kamenev,
Lunačarskij e altri personaggi sfilano sotto l’occhio, compassionevole e severo,
di un Malaparte come li ricorda per averli frequentati nel 1929.
Uno sguardo che si
propone proustiano, alle prime righe. Non moralista. Partecipe ma distaccato.
Compassionevole ma critico Su una società che agli albori è già decadente, perduta.
Altri pezzi d’antologia,
oltre il ballo, sono il mausoleo di Lenin, il mercatino delle pulcio dei vecchi
aristocratici (“La poltrona del principe Lvov”, l’ultimo presidente della Duma,
“La Veronica d Mosca”). E alcune figure di scrittori che a Malaparte si
accompganano. Bulgakov, allora noto solo a lui. E il dimenticato Demjan Bendyi,
il “nemico di Dio”, capo della Lega dei Senza Dio. “Una Pasqua bolscevica” è un
ritratto vero-verosimile di Mosca: - la luce, la gente, i modi di dire (“ci
sputo sopra”, non me ne frega), i silenzi, le cupole – “le mille cupole,
coperte di maioliche verdi gialle rosse turchine”, e ancora “le vecchie case di
legno risparmiate dall’incendio del 1812”, anti-Napoleone.
Con molto name dropping – Malaparte era uno snob. Ma una serie di
immagini godibilissime. La meno è quella che avrebbe dovuto essere la più godibile:
Majakovsjìkij suicida: Malaparte è ammesso eccezionalemnete dal ministro Lunačarskij
alla stanza dove il poeta si suicidò, ma non ne ricava nulla. Eccetto l’ennesima
diagnosi della corruzione del regime – più volte ripetuta, qui accostata alla
delusione mortale del poeta. L’analisi pèrò è sempre penetrante della vacuità
del potere sovietico, seppure del 1950, già in clima da guerra fredda, e non
del 1929, quando Malaparte effettivamente fu a Mosca, ma bene in anticipo di un
quarto di secolo sulla sociologia politica - se ne accorse col breznevismo.
“Il ballo al
Cremlino” introduce un serie di inediti che Enrico Falqui aveva pubblicato
postumi, per Vallecchi, nel 1971. Tra essi un altro racconto lungo, “Una tragedia
italiana” – un romanzo in realtà di cui la guerra ha interrotto la stesura, o
l’interesse dello scrittore: gli otto capitoli che lo compongono erano stati
pubblicati mensilmente su due riviste, “Circoli” e “Raccolta”, da giugno 1939 a
febbraio 1940. Qui rivisti e presentati da Patrizia Redondi.
Curzio Malaparte, Il ballo
al Cremlino, Adelphi, pp. 417 €
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