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La Germania fa da sé
Volkswagen, Siemens,
Basf e molti altri gruppi tedeschi moltiplicano gli investimenti in Cina nel
dopo-covid. I maggiori con l’obiettivo di diventare “gruppi cinesi per la
Cina”, cioè per il mercato cinese.
Per i tre gruppi
citati il radicamento viene spiegato e promosso dai capi azienda, come piano
strategico. Il decoupling che l’amministrazione americana richiede nei
confronti della Cina viene attuato nel senso che la produzione la produzione
tedesca in Cina si vuole cinese – una sorta di decoupling aziendale.
“La Cina diventerà
una seconda sede mondiale del gruppo Volkswagen”, secondo i responsabili della casa
di Wolfsburg: “Non indeboliremo la nostra posizione in Cina esclusivamente per
motivi politici. Lo stesso per Ronald Busch, il ceo di Siemens. “Siamo un’azienda
locale in molti mercati. Produciamo localmente per i mercati locali, sia negli
Stati Uniti che in Cina”. Lo stesso il per il ceo di Basf, il gruppo chimico:
il mercato cinese “rappresenta già quasi il 50 per cento del mercato globale
del nostro gruppo” ed è un’economia “molto dinamica”.
Con la Russia e con
la Cina la Germania marcia come vuole il governo americano, ma “con juicio”.
Mantiene in vita, con le assicurazioni appena rinnovate, e con la manutenzione per la tratta in mare, il NordStream 2, la gigantesca condotta di gas dalla Russia, anche dopo il
sabotaggio fatto operare da Biden - la condotta è praticamente nazionalizzata, avendo Berlino rilevato le quote del socio russo, Rosneft, e nazionalizzato Uniper, il socio tedesco. E i carri armati Leopard 2 che ha deciso di
fornire all’Ucraina ha limitato a un reggimento, tre compagnie carri da 6 – un supporto simbolico,
poco utile militarmente, tanto più considerando
che un reggimento carri si ritiene operativo quando ne funzionano 12 su 18 (il tank
è un mezzo sensibile, nell’elettronica, la meccanica, i cingoli).
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