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La guerra "italiana" di Orwell in Spagna
Ian
McEwan, che pubblica un saggio su Orwell, “Lo spazio dell’immaginazione”, dice a
Cristina Taglietti su “La Lettura”: “Non ho dubbi che oggi combatterebbe in Ucraina”.
Improbabile. Volontario entusiasta, Orwell fu presto deluso dalla guerra, anche
minacciato dai suoi stessi compagni, gli stalinista, o marxisti-leninisti, nel maggio catalano che segnò l’eliminazione
degli anarchici (tanti) e dei (pochi) “trockisti” del Poum, nel quale si era inquadrato,
e segnò l’inizio della fine della Repubblica. Non fece un anno di guerra. E ne
scrisse subito criticamente: l’“Omaggio” fu pubblicato, nel 1938, un anno dopo
il ritorno a Londra, con la guerra civile ancora in corso. E scrisse con levità
di tratto, che fa la lettura ancora interessante. Ma la verità del suo racconto
è nel ritorno in patria: “E
finalmente l’Inghilterra: l’Inghilterra meridionale, forse il più mite
paesaggio del mondo. È difficile, quando la si attraversi, soprattutto mentre
ci si riprende dal mal di mare, col velluto di un treno internazionale sotto la
testa, credere che qualcosa stia accadendo nel mondo… L’Inghilterra della mia
infanzia: la linea ferroviaria scavata nella parete rocciosa e nascosta dai
fiori di campo, i prati profondi dove i grandi cavalli lustri pascolano
meditabondi, i lenti rivi orlati di salici, i verdi seni degli olmi, le peonie
nei giardini dei cottages; e poi l’immensa desolazione tranquilla
della Londra suburbana, le chiatte sul fiume limaccioso, le strade familiari, i
cartelloni che annunciano gare di cricket e nozze regali, gli
uomini in cappello duro, i colombi di Trafalgar Square, gli autobus rossi,
i policemen in blu: tutto dormiente del profondo, profondo
sonno dell’Inghilterra, dal quale temo a volte che non ci sveglieremo fino a
quando non ne saremo tratti in sussulto dallo scoppio delle bombe”.
Appena
tornato aveva pubblicato un articolo disilluso, “Sono stato testimone a Barcellona”, sulla
rivista “Controversy” in agosto.
In
questo “Omaggio alla Catalogna” la partecipazione di Orwell si condensa nella prima
pagina, nell’incontro col volontario italiano, ignoto ma dalla stretta di mano generosa,
confidente, che dà un senso alla guerra. Questo “soldato
italiano” ritornerà negli appunti successivi, “Looking back on the Spanish
War”, 1943, come una delle due immagini che la guerra automaticamente genera in
Orwell. Una è l’ospedale di Merida, “l’altro ricordo è del miliziano italiano
che mi strinse la mano al corpo di guardia, il giorno in cui mi arruolai nella
milizia. Ho scritto di quest’uomo all’inizio del mio libro sulla guerra di
Spagna (“Omaggio ala Catalogna”, n.d.r.) e non voglio ripetermi. Quando ricordo
– oh, quanto vividamente! – la sua uniforme trasandata e la sua faccia fiera,
patetica, innocente, le complesse questioni della guerra sembrano svanire e
vedo chiaramente che non c’era comunque alcun dubbio su chi aveva ragione.
Malgrado i giochetti politici e le bugie giornalistiche, il punto centrale
della guerra era il tentativo di gente come lui di guadagnarsi una vita
innocente che sapevano essere loro diritto per nascita. È difficile pensare
alla probabile fine di questo specifico essere umano senza varie dosi di
amarezza. Quando l’ho incontrato alla caserma Lenin era probabilmente un
trockista o un anarchico, e nelle speciali condizioni di questi anni le persone
come lui quando non sono uccise dalla Gestapo sono di solito uccise dalla Gpu”,
la polizia politica staliniana.
Un lamento per i caduti
senza storia della guerra di Spagna, sul fronte giusto, repubblicano,
democratico, nel quale Orwell aveva militato, che è anche un lamento contro la
guerra, ogni guerra. L’omaggio è a una guerra inutile, anche se combattuta per un
ideale. Tanto idealismo, tanta generosità, che la stretta di mano del proletario
italiano volontario trasmettono, non
meritano la morte, la sfida della morte. L’immagine del volontario italiano
ritornerà anche in un poemetto, nove quartine, “The Italian Soldier shook my
Hand”: uno che “era nato sapendo già
quello che io avevo imparato\ dai libri, e lentamente”. Una stretta che è
iniezione di coraggio, di vita: “Al tuono dei cannoni\ oh, che pace
ho conosciuto in quei giorni!”. Il tardo poemetto restò sommerso nel rifiuto di
Orwell antibolscevico. Anche se storicamente fondato: nella guerra di Spagna i
comunisti di Togliatti andavano al fronte contro le forze reazionarie come
contro gli “altri” socialisti. Orwell era fiducioso che la poesia avrebbe
superato questo rifiuto: “La faccia di quest’uomo, che ho visto per uno-due
minuti, mi rimane come una sorta di promemoria visivo di per che cosa la guerra
si faceva. Simbolizza per me il fiore della classe lavoratrice europea,
tormentata dalle polizie di tutti i paesi, gli stessi che riempiono le fosse
comuni dei campi di battaglia in Spagna e imputridiscono ora, a milioni, nei
campi di lavoro forzati”. Non lo dice, ma la guerra da volontario ha vissuto
come un incubo.
Il “miliziano italiano”
che apre questo “Omaggio alla Catalogna” ha segnato Orwell a vita per la carica
di umanità e di speranza. La guerra poi, nelle prime pagine, è come avrebbe
potuto vederla un italiano. Si capisce da altri “Ricordi della guerra di Spagna”,
prose variamente sparse. Pagine di fame, freddo, paura, non come ci hanno
abituati a vedere la guerra i film di guerra, di soldati scattanti, con le
scarpe lucide e armi tuonanti. Che ammoniscono, giova ricordarlo leggendo “Omaggio
alla Catalogna”, contro le rappresentazioni che della guerra danno i media, i
quali, spiega Orwell, scrivono ciò che “devono” scrivere, ognuno secondo le
proprie “fonti”. Una lezione, si vede, ancora da imparare.
La riedizione è curata
da Andrea Bonelli, specialista di inglese e traduzione.
L’edizione Newton Compton è ritradotta e presentata da
Francesco Laurenti, accademico di Teoria e Prassi della Traduzione.
George
Orwell, Omaggio alla Catalogna, Feltrinelli,
pp.336 € 13
Oscar,
pp. 280 € 19
Newton
Compton, pp. 320 € 5
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