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La perdita di sé
Un uomo sfugge a
se stesso. E alla moglie, agli amici, al lavoro onesto e passionante. L’ansia
immotivata lo immerge in un gorgo – “disagio, malessere, malattia” - da cui non
esce, né con la chimica, né con gli appigli che cerca ma non lo legano, né con
i gesti automatici, il fumo, l’alcol, le fughe. Il racconto anche di una
catapulta, un distruttore. Ma quieto, piatto: distrugge per nessun motivo. Se
non che si distrugge.
Un racconto colto
e semplice. Sulla traccia del primissimo Camus, “Lo straniero”. Nell’atto gratuito:
come si può arrivare a uccidere senza un motivo. Nel soggetto che sfugge a se
stesso. Nel malessere fisico e metafisico più che psicologico. Al racconto di
Camus rinviano anche alcuni spunti narrativi. Ma innervato dalla tecnica del thrilling:
piano, “normale”, e svelto, ogni capitolo una sorpresa. La suspense si accende
piano, senza forzature, da sorpresa senza sorprese. Tra personaggi e eventi
veri, non traumatici, freddi. Con una scrittura elementare, anche rutiniera,
anche di modi di dire. E molti dialoghi ma ordinari, scontati. E tuttavia di
effetto.
Si ripubblica il
romanzo a vent’anni dalla prima uscita. Nel quadro di un recupero di Carbone,
letterato e narratore morto giovane in un incidente col motorino, a opera dei due
superstiti dei “quattro amici”, partito un anno fa con “L’assedio”. Emanuele
Trevi ne ha avviato il ricordo, col premiato “Due amici” (Strega 2021) – l’altro
amico è Pia Pera, morta anch’essa giovane, di malattia. Di Marco Delogu, il
quarto amico, il fotografo romano nel cui studio a Trastevere i quattro spesso
si ritrovavano, è la foto di copertina, “Sole Nero”.
Rocco Carbone, L’apparizione,
Castelvecchi, pp. 141 € 17,50
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